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L’ELEZIONE DIRETTA DEL SINDACO ED IL TERZO MANDATOMichelangelo La Rocca, Segretario Comunale della convenzione Borgofranco-Settimo Vittone (TO)Sono trascorsi ormai dieci anni da quando il 25 marzo 1993 è stata approvata la legge n.81 sull’elezione diretta dei sindaci. Il decorso di due lustri è un lasso di tempo sufficientemente congruo per fare qualche riflessione su tale legge , sui suoi effetti, sull’impatto che ha avuto sulla vita dei comuni. Un
dato è certo: tale legge ha garantito stabilità politica ai comuni ed alle
province; non è necessario, infatti, avere una particolare memoria per
ricordare come fosse precaria ed instabile la vita dei comuni, specie quelli
più grandi, durante gli anni 80 e l’inizio degli anni 90. Si può dire,
pertanto, che quello della maggiore stabilità politica degli enti locali è
un dato oggettivo, sicuramente ascrivibile tra gli effetti positivi
conseguenti all’entrata in vigore della legge 81/93. Tale dato, tra
l’altro, è acquisito come tale dal dibattito politico e risulta condiviso
da tutte le forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione. Altro
aspetto positivo della legge 81/93 è quello della maggiore visibilità
degli enti, della loro più facile identificazione con gli uomini che li
governano. Dobbiamo
ammettere che i danni temuti prima dell’approvazione della legge
sull’elezione diretta non si sono, salve rare eccezioni, verificati: ci
riferiamo al temuto effetto del cesarismo. C’è
da dire che l’articolazione degli enti locali è stata congegnata in modo
da evitare che i sindaci si potessero comportare come dei podestà
dell’era moderna; d’altra
parte c’è ormai nei cittadini una matura coscienza democratica capace di
impedire simili degenerazioni. A tale proposito occorre affermare che un
sicuro deterrente, un valido contrappeso è rappresentato certamente dalla
limitazione temporale della durata della carica dei sindaci, dal così detto
divieto del terzo mandato. Negli ultimi tempi un buon numero di sindaci,
specialmente quelli dei comuni più piccoli, ha reclamato con forza
l’eliminazione del suddetto divieto. Diciamo che questa richiesta, pur
poggiando su qualche motivazione giuridicamente valida, non appare
condivisibile nel merito della sua opportunità politica ed istituzionale. I
sostenitori dell’eliminazione del divieto del terzo mandato sostengono, a
ragione, che la norma esistente discrimina i sindaci ed i presidenti delle
province rispetto ai Presidenti delle Regioni (i c. d. governatori ) ed ai membri del Parlamento per i quali,
in effetti, non esiste alcun limite di durata della carica. Ci sentiamo di
condividere l’obiezione riguardo ai presidenti delle Regioni ma non per i
membri del Parlamento. I
Presidenti delle Regioni, come i Sindaci ed i Presidenti delle Province,
gestiscono il potere e quindi anche per loro sarebbe politicamente ed
istituzionalmente corretto introdurre un limite temporale alla loro durata
in carica. Lo
strumento che più si presta allo scopo è lo statuto della Regione per
esaltare, anche nel rispetto dello
spirito della recente riforma costituzionale,
l’autonomia regionale. Diverso è, a nostro avviso, l’esercizio
della carica di parlamentare che non si estrinseca nel mero esercizio del
potere e non necessità, pertanto, di particolari limitazioni temporali. I
sindaci dei comuni minori, poi, sostengono che l’eliminazione del divieto
del terzo mandato appare opportuna anche per il fatto che nelle realtà più
piccole è difficile a volte trovare personalità
disponibili a cimentarsi nella difficile impresa di amministrare la comunità. Secondo
noi tale problema, ammesso e non concesso che esista, può essere reale solo
per i così detti comuni “ polvere”, collocati sotto la soglia
demografica dei mille abitanti. Neanche tale motivazione, però, appare
convincente; ci sarebbe da chiedersi, infatti, se siano meritevoli di
esistere come enti autonomi quei comuni che non sappiano esprimere un
candidato a sindaco ogni dieci anni. In questo caso pensiamo che i problemi
non si risolvano con l’abrogazione del divieto del terzo mandato ma
studiando e stimolando forme di unioni capaci di esaltare l’autonomia
delle piccole comunità in un contesto di aggregazione più ampia. Crediamo
che una soluzione possa consistere nell’arricchimento e nella
nobilitazione del concetto di “frazione” elevandolo dal significato di
periferia spesso dimenticata del capoluogo a cuore vivo e pulsante di un
ente locale più complesso ed articolato. A conclusione di questa parte
introduttiva ci permettiamo di sottolineare che se la politica è, come
spesso enfaticamente si dice, servizio non
ci è piaciuto il fatto che la richiesta dell’abrogazione del divieto del
terzo mandato sia partita dagli stessi sindaci. Fatta
questa premessa ci soffermiamo ora sul merito politico ed istituzionale del
problema. La riforma dell’elezione diretta dei sindaci è stata mutuata
dall’esperienza politica americana, nella legislazione degli Stati Uniti
d’America l’elezione diretta ed il divieto del terzo mandato sono
inscindibili e si bilanciano a vicenda. Ci sia consentito dire che
l’elezione diretta disgiunta dal divieto del terzo mandato sarebbe
un’altra cosa, non riconducibile all’esperienza americana. L’elezione
diretta con il limite temporale ha dato stabilità agli enti locali,
l’elezione diretta senza il divieto del terzo mandato rischierebbe di
anchilosare l’evoluzione politica degli enti locali, di bloccare il
ricambio negli stessi enti e di inaridire la loro vita democratica. La
democrazia, infatti, si sostanzia anche nella possibilità di alternanza, di
ricambio nella guida della cosa pubblica; non è un caso se, salve rare
eccezioni, i sindaci uscenti vengono di norma riconfermati dagli elettori. Per
questi motivi non solo siamo favorevoli al mantenimento del divieto del
terzo mandato ininterrotto ma vorremmo che fosse impedita anche la
possibilità a chi ha ricoperto la carica di sindaco per due mandati
consecutivi di ricoprire la carica di vice-sindaco od assessore onde evitare
che entri dalla finestra chi è uscito dalla porta. Detto
questo, ci permettiamo di avanzare una proposta per una piccola
modifica alla legge 81/93. Ci sembra esagerato, e tutto sommato poco
democratico, legare in modo totale la sorte di un comune alla sorte
personale del suo sindaco; in altre parole non troviamo giusto che in caso
di morte, dimissioni, decadenza o destituzione del sindaco ci sia
l’obbligo di indire nuove elezioni. Per
evitare in tali casi la fine traumatica della vita di tutti gli organi del
comune sarebbe sufficiente dare investitura diretta e popolare anche alla
carica del vice-sindaco come avviene, d’altra parte, per il vice-presidente degli USA. Il
vice-sindaco forte dell’investitura popolare avrebbe tutte le carte in
regola per continuare a guidare il comune in caso di decesso, dimissioni, decadenza o destituzione del
sindaco. Una simile modifica servirebbe a rafforzare la stabilità degli
enti locali, quella stabilità che, come abbiamo detto all’inizio, è uno
dei punti di forza della riforma introdotta con tanto successo dieci anni
fa. |
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