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LEGITTIMA
VOTAZIONE DI UN PIANO REGOLATORE GENERALE IN CONFLITTO DI INTERESSE
È noto che, ai sensi
dell'articolo 78 del decreto legislativo n.267/2000, "il
comportamento degli amministratori, nell'esercizio delle proprie funzioni,
deve essere improntato all'imparzialità e al principio di buona
amministrazione, nel pieno rispetto della distinzione tra le funzioni,
competenze e responsabilità degli amministratori… e quelle proprie dei
dirigenti delle rispettive amministrazioni. Gli amministratori… devono
astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di
delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al
quarto grado" e che "l'obbligo di astensione non si applica ai
provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani
urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e
diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi
dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado".
L'astensione (in sé) è un istituto generalmente del diritto processuale
civile e penale, che concerne la posizione del giudice e del pubblico
ministero rispetto a determinati giudizi, consistente nella spontanea
rinuncia a trattare i casi al fine di non compromettere la loro genuinità
da una intrusiva sfera personale che può comprimere le libertà di
determinazione imparziale.
Tale principio è stato recepito dal diritto amministrativo e trasformato
in un l'obbligo da parte degli amministratori e dei pubblici funzionari, e
più in generale di chi ricopre un incarico o ufficio pubblico, di non
partecipare ad atti ai quali siano trattati interessi propri o dei
prossimi congiunti, posizione che si presenta tutte le volte in cui si
verifichi una situazione di conflitto o di contrasto di situazioni
personali, che comporti una "tensione della volontà" verso una
qualsiasi utilità (anche solamente psicologica o morale) che si possa
ricavare dal contribuire all'adozione di un particolare provvedimento:
"la ratio dell'obbligo di astensione del pubblico funzionario, già
stabilito con l'art. 290 t.u.com.prov. 1915, va ricondotta al principio
costituzionale dell'imparzialità dell'azione amministrativa. Esso trova
applicazione ogni qualvolta esista un collegamento tra deliberazione ed
interesse del votante, ancorché la votazione non possa avere altro
apprezzabile esito o la scelta risultante dalla votazione sia in concreto
la più utile ed opportuna per l'interesse pubblico" (Cons. Stato,
sez. VI, 25 settembre 1995, n.988).
Nei casi in cui sussiste l'obbligo di astensione il soggetto interessato
può essere ricusato, perché la sua partecipazione viola i principi di
imparzialità e buon andamento posti a base dell'azione amministrativa, e
questo fatto determina un vizio nella formazione dell'atto ripercuotendosi
nell'intera procedura, minando alla radice la sua legittimità, "la
ricorrenza di una causa di incompatibilità, ricavabile attraverso
l'applicazione analogica della disciplina recata dall'art. 51 c.p.c.
comporta l'obbligo di astensione del componente dell'organo collegiale ed
in caso di violazione di detto obbligo l'illegittimità degli atti
adottati da tale organo e di quelli sugli stessi fondati: tale effetto
invalidante si produce sulla base di un mero giudizio in astratto ed
"ex ante" circa gli effetti potenzialmente distorsivi del
sospetto del difetto di imparzialità ricollegato alla situazione
specifica dal legislatore e dai principi cristallizzati dall'art. 97 cost.
senza che assuma rilievo alcuno il profilo fattuale "ex post"
dell'esito inquinante in concreto sortito", (T.A.R. Toscana, 31
maggio 2001, n.1137).
Ne consegue, in altro versante procedurale, che "quando i componenti
della commissione giudicatrice svolgono anche altre funzioni o incarichi
tecnici od amministrativi relativamente ai lavori oggetto della gara, si
determina una inconciliabile sovrapposizione che contrasta con il
principio dell'incompatibilità, quale desumibile dall'art. 21, comma 5,
l. n. 109 del 1994, che costituisce uno dei principi fondamentali di
riforma economico - sociale in materia di gare pubbliche che trascende il
settore dei lavori pubblici", (T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 25
novembre 2002, n.1783).
Essa (l'astensione) costituisce una ulteriore applicazione del principio
di imparzialità ed è ritenere applicabile a tutti i casi in cui il
soggetto non si trovi, per qualche palese ragione di ordine obiettivo, in
una posizione di assoluta serenità rispetto alla decisione che dovrebbe
adottare o prendere parte.
Fatte queste premesse, è di rilievo riferire che l'obbligo di astensione,
dalla votazione del piano regolatore generale da parte dei consiglieri
comunali, presuppone un collegamento immediato e diretto con l'interesse
personale, non libero di esprimere la propria posizione se non mediata
(anche solo potenzialmente) da questa compressione psicologica che
oggettivizza l'impedimento, e reprime il soggetto titolare di munus
publicum dal portare - in votazione -interessi confliggenti con la
posizione personale, o interposto dei congiunti, e l'interesse pubblico.
L'obbligo di astensione dei consiglieri comunali - in conflitto di
interessi - non è fondato su una sfiducia nelle capacità di saper
decidere anche contro il proprio personale interesse, quanto piuttosto
sulla convinzione che il soggetto, al quale è affidata la causa di un
interesse pubblico, deve essere posto in condizione di operare senza
condizionamenti di sorta (in grado di coartare la libera esplicazione del
mandato popolare, così Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2003, n.1191),
considerato anche che è stato ritenuto non invalida la delibera adottata,
con la presenza di un consigliere versante in situazione di incompatibilità
qualora nella votazione si sarebbe giunti allo stesso risultato pur con la
sua astensione (così, T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 2 settembre 1998,
n.2041).
L'incompatibilità e il dovere di astensione è presente,
indipendentemente dalla prova dell'esistenza dell'"animus"
diretto a trarre utilità dalla partecipazione procedimentale, in ragione
del fatto che "l'obbligo di astensione costituisce espressione di un
principio generale direttamente collegatosi al dovere d'imparzialità
dell'azione amministrativa: esso si correla ad una situazione
d'incompatibilità di natura oggettiva sicché diviene irrilevante
l'indagine volta ad accertare la volontà del soggetto di trarre concreta
utilità nell'affare deciso" (T.A.R. Puglia, sez.II, 26 luglio 2001,
n.3143).
Per rispondere a queste esigenze di imparzialità, si rende necessario
guidare la fase deliberativa senza compromettere la libertà del
consigliere comunale di esprimere le proprie valutazioni (vulnus), e allo
stesso tempo senza pregiudicare il corretto esercizio del diritto da
inevitabili situazione di conflitto giacché "da un lato, le
eventuali cointeressenze degli amministratori locali vanno apprezzate non
già in una dimensione statica, bensì in ragione della diretta
interferenza che, sul piano eziologico, hanno esercitato sull'atto
deliberativo e, dall'altro, che le conseguenze invalidanti della
violazione dell'obbligo di astensione restano circoscritte alle sole
prescrizioni inficiate dal condizionamento di interessi egoistici".
(T.A.R. Calabria - Catanzaro, del 7 giugno 2004, n. 1386).
Appurato che questo dovere di legalità, che incombe sui soggetti chiamati
alla votazione di un atto di pianificazione (PRG), sorge per il solo fatto
che si determini il conflitto di interessi, a nulla rilevando il fine
specifico di realizzare l'interesse privato e/o il concreto pregiudizio
dell'amministrazione pubblica, si possono trovare delle soluzioni
operative in grado di conciliare le due diverse e contrapposte situazioni:
la partecipazione all'atto deliberativo in presenza di un conflitto di
interessi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 2003, n.2826 e T.A.R.
Veneto, sez. I, 17 maggio 2002, n.2104).
Giova, questo punto, rientrare nelle indicazioni suggerite dalla
giurisprudenza amministrativa che sul punto ha consolidato un orientamento
comune "nel caso in cui alcuni consiglieri comunali siano proprietari
di aree interessate dal piano regolatore in itinere, il consiglio
comunale", prescrivendo che si "deve procedere a deliberazioni e
votazioni su singole componenti del piano - nelle quali i consiglieri
interessati si astengono", per poi giungere con separata votazione
alla "votazione finale sul documento pianificatorio nel suo
complesso, al quale partecipano tutti i consiglieri" (T.A.R.
Trentino-A. Adige Bolzano, 29 luglio 1999, n.237).
Questa soluzione è stata introdotta "partendo dal presupposto che
nei piccoli Comuni gran parte dei Consiglieri e dei loro parenti e affini,
sono proprietari dei terreni su cui le previsioni urbanistiche producono i
loro effetti ed in virtù dell'art. 78 del D.Lgs. 18 agosto n. 267, è
legittima, ragionevole e realistica la variante generale al piano
regolatore adottata con votazione separata e frazionata su singole
componenti del piano, in assenza di quei consiglieri che di volta in volta
potevano essere in astratto interessati" (T.A.R. Veneto, sez. I, 6
agosto 2003, n.4159).
Da questo emerge sicet simpliciter che "la votazione e l'approvazione
di un piano urbanistico comunale, vista l'unitarietà del suo contenuto,
deve necessariamente comprendere una votazione conclusiva con la
partecipazione di tutti i Consiglieri Comunali (e anche di coloro che non
si siano espressi sui singoli punti del disegno pianificatorio, a causa di
interessi specifici rispetto alle stesse), che avviene in base alle regole
generali in materia di deliberazioni degli organi collegiali, che
comprende un esame, una discussione, una votazione ed una approvazione
dell'intero documento pianificatorio. Non è, pertanto, sufficiente
l'esame e la successiva approvazione analitica dei singoli punti"
(T.A.R. Veneto, sez. I, 6 agosto 2003, n.4159).
Peraltro, come affermato dal T.A.R. del Veneto che "ha ritenuto
corretta la votazione separata del documento pianificatorio (suddiviso in
due segmenti, riferiti a due zone del territorio comunale), ma ha reputato
necessaria una deliberazione conclusiva ed unitaria della variante (in
considerazione del suo carattere generale), ha escluso che tale
adempimento fosse precluso dal disposto dell'art.78 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, (relativo alle incompatibilità dei
consiglieri interessati)", si può affermare legittimamente che
"come già rilevato, i primi giudici hanno riconosciuto la
correttezza della votazione frazionata di diversi segmenti dello strumento
pianificatorio, ma hanno ritenuto necessaria una votazione complessiva ed
unitaria del documento, escludendo che quest'ultima fosse impedita
dall'obbligo di astensione dei consiglieri interessati ad alcuni aspetti
della variante (giudicato, in quella fase, inconfigurabile)" (Cons.
Stato, n.4429/2004).
Nella decisione del Consiglio di Stato n. 4429 del 2004 si giunge a
definire di tre distinte statuizioni: "la circostanza che alcuni
consiglieri avrebbero dovuto o meno astenersi dal voto finale del
documento, oltre a non essere apprezzabile in concreto, si rivela del
tutto inidonea sia a confermare sia ad escludere la necessità della
votazione conclusiva: se quest'ultima era doverosa, l'impossibilità di
costituire il quorum non vale certamente ad escludere l'obbligo del
relativo adempimento procedimentale, se non lo era, la configurabilità
dell'obbligo di astensione risulta del tutto irrilevante. Occorre solo
avvertire, a quest'ultimo riguardo, che l'obbligo di astensione postula la
ricorrenza delle stringenti condizioni stabilite dall'art.78, comma 2, d.
lgs. n.267/2000 e che la relativa incompatibilità va verificata con
riferimento al contenuto specifico della deliberazione da votare, sicché
se quest'ultima fosse limitata all'approvazione dei criteri tecnico -
urbanistici, dei principi informatori delle scelte urbanistiche compiute e
degli obiettivi generali della disciplina adottata, con riserva alla sola
votazione frazionata dell'esame analitico e della conseguente, puntuale
deliberazione delle previsioni pianificatorie, non dovrebbero ravvisarsi
gli estremi del conflitto di interessi precisati dalla disposizione
citata" (Cons. Stato, n.4429/2004).
Dall'analisi delle sentenze della giudice amministrativo si può ricavare
il principio, sotto un profilo sostanziale e rispettoso della voluntas
legis, che in presenza di situazione di conflitto di interessi l'atto
deliberativo di pianificazione deve essere composto da separate votazioni
(frazionate), consentendo al consigliere comunale di non partecipare né
alla discussione né alla votazione quando vi siano interessi propri (aree
territoriali), mentre al termine delle diverse votazioni a carattere
"particolare", quando si provvede alla votazione finale
dell'intero provvedimento, non vi è modo di compromettere l'esito del
deliberato (non vi è parzialità) con la partecipazione di tutti i
consiglieri comunali, non ravvisandosi conflitti di interessi in questa
fase conclusiva dell'iter procedurale non essendo presente l'incipit della
norma (le condizioni stabilite dall'art.78, comma 2, del T.U.E.L.). |