SENT. 61/04

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE PIEMONTE

Composta dai seguenti magistrati:

Dott. Francesco De Filippis                             Presidente

Dott.sa Luisa Motolese                        Consigliere

Dott. Giancarlo Astegiano                                Referendario relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità, iscritto al 402/EL del registro di Segreteria promosso ad istanza del Procuratore Regionale nei confronti di:

Ballatore Dario, Monge Roccaglia Secondo, Durbano Roberto, Brizio Giovanni e Borodako Alessandro, tutti elettivamente domiciliati in Torino, alla via Botero n. 17 presso lo studio dell’avv. Carlo Cotto, che li rappresenta e difende, giusta procura speciale 4 novembre 2003, in calce alla memoria di costituzione, in pari data;

Visti gli atti di causa;

Uditi nella pubblica udienza del 27 novembre 2003, il relatore referendario dott. Giancarlo Astegiano, il Pubblico Ministero nella persona del Procuratore Regionale dott. Mario Pischedda e l’avvocato Carlo Cotto per i convenuti Ballatore, Monge Roccaglia, Durbano, Brizio e Borodako.

Ritenuto in

FATTO

Con atto di citazione in data 9 maggio 2003, depositato il successivo 29 maggio, la Procura regionale presso questa Sezione ha convenuto in giudizio i signori Ballatore Dario, Monge Roccaglia Secondo, Durbano Roberto, Brizio Giovanni e Borodako Alessandro chiedendone la condanna al pagamento della somma complessiva di Euro 6579,08, aumentata della rivalutazione monetaria e degli interessi.

I signori Ballatore, Monge Roccaglia, Durbano e Brizio sono stati citati nella loro qualità di componenti la Giunta comunale di Venasca e il signor Borodako quale Segretario comunale della stessa Amministrazione.

La Procura ha esposto che la Giunta Comunale di Venasca con deliberazione n. 46 del 15 marzo 2002 aveva provveduto ad autorizzare l’erogazione dell’importo di € 6.579,08 per il pagamento della parcella dell’avv. Giampiero Boschero per spese legali di difesa sostenute dal signor Bruno Nicolino, già Sindaco del Comune di Venasca, il quale nel 1992 era stato denunciato dinanzi all’Autorità penale dal capogruppo della minoranza che aveva ritenuto offensive e lesive del suo onore alcune espressioni utilizzate dal Sindaco nel corso di una discussione in Consiglio comunale.

A seguito dell’assoluzione, in grado di appello, dal reato di cui all’art. 594 cod. pen. con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, il signor Nicolino aveva chiesto all’ente locale la liquidazione della parcella del suo difensore ritenendo che le spese legali fossero state sostenute a causa del servizio prestato nella qualità di Sindaco del Comune di Venasca e la Giunta Comunale, accogliendo la richiesta, aveva provveduto in merito, con la citata deliberazione. 

In relazione ai fatti sopra specificati, la Procura Regionale, ravvisata l’esistenza di profili di responsabilità amministrativo-contabile per danni all’Ente pubblico a carico sia dei componenti la Giunta Comunale (signori Ballatore, Monge Roccaglia, Durbano e Brizio) che del Segretario Comunale (sig. Borodako), in data 30 dicembre 2002 – 27 gennaio 2003, aveva notificato a costoro l’invito previsto dall’art. 5 del D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito con modificazioni nella legge 14 gennaio 1994, n. 19.

A seguito della notifica dell’invito a dedurre, i presunti responsabili avevano fatto pervenire alla Procura deduzioni scritte e il signor Borodako, in seguito a sua richiesta, era anche stato sentito in audizione personale dalla Procura Regionale alla quale, peraltro, le giustificazioni fornite non sono state sufficienti per superare i motivi di addebito.

In diritto, sostiene la Procura Regionale che dai fatti sopra descritti è derivato un danno alla finanza del Comune di Venasca atteso che il pagamento delle spese legali in favore del signor Nicolino ha determinato un danno ingiusto quantificabile in misura pari a quanto corrisposto all’avvocato del signor Nicolino (Euro 6579,08).

A giudizio della Procura Regionale, del danno patrimoniale in questione devono essere chiamati a rispondere i componenti della Giunta e il Segretario comunale sussistendo colpa grave dei medesimi poiché avrebbero erroneamente ritenuto applicabile l’art. 67 del d.p.r. 13 maggio 1987, n. 268; al contrario, quanto previsto in tale norma, riferibile ai dipendenti degli enti locali e, con  qualche dubbio agli amministratori, non prevederebbe un automatico accollo delle spese legali all’Ente ma la sua applicazione sarebbe subordinata alla sussistenza di condizioni quali: uno specifico accordo tra le parti anteriore alla lite, l’inesistenza di conflitti di interessi fra l’Ente e l’interessato e la necessità che le spese siano affrontate per fatti direttamente attinenti e connessi all’espletamento dei compiti d’ufficio. Nessuna di tali condizioni, cumulative, sarebbe presente nel caso di specie.

La Procura ritiene, inoltre, che le spese legali non potevano neppure essere liquidate richiamando il disposto dell’art. 1720 cod. civ., inapplicabile al caso di specie non vertendosi, nel caso di amministratori di enti locali, in un’ipotesi di mandato.

In ogni caso, sostiene l’inapplicabilità di ogni altra norma che preveda il rimborso poiché gli enti locali possono stipulare assicurazioni a tutela dei rischi legati alle funzioni degli amministratori (così come previsto dall’art. 23, l. 27 dicembre 1986, n. 816 ed, ora, dall’art. 86, co. 5, d. lgs. n. 276 del 2000).

In conclusione, la Procura Regionale ritiene che nei confronti degli Amministratori e del Segretario del Comune di Venasca emerga un complesso di atti e comportamenti che vanno qualificati come gravemente colposi, atteso che non sarebbero stati finalizzati alla tutela degli interessi patrimoniali del Comune.

I convenuti, ai quali in data 3 – 11 luglio 2003 era stato notificato l’atto di citazione ed il pedissequo decreto del Presidente di questa Sezione di fissazione dell’udienza di prima comparizione, si sono costituiti in giudizio, mediante deposito di memoria in data 4 novembre 2003.

Sostengono i signori Ballatore, Monge Roccaglia, Durbano, Brizio e Borodako che nella vicenda sopra descritta non è rinvenibile alcuna colpa degli amministratori e del Segretario poiché lecitamente avrebbero provveduto a liquidare le spese legali in favore del difensore del signor Nicolino.

Asseriscono, inoltre, che la normativa vigente consente l’assunzione degli oneri di difesa degli amministratori di enti locali a carico del bilancio comunale, sia sulla base di quanto previsto dall’art. 1720 cod. civ. in tema di mandato che, in applicazione analogica, dagli artt. 22 del d.p.r. 25 giugno 1983, n. 347 e 67 del d.p.r. 13 maggio 1987, n. 268 (in materia di rimborso delle spese legali sostenute dai dipendenti degli enti locali).

In ogni caso, specificano che nell’operazione di liquidazione in questione non sarebbe ravvisabile colpa grave dei convenuti sia perché la delibera della Giunta era stata preceduta da una delibera del Consiglio comunale di accertamento del debito fuori bilancio sia perché l’incertezza normativa avrebbe comunque giustificato il comportamento tenuto.  

Conclusivamente chiedono il rigetto della domanda.

Alla pubblica udienza le parti hanno illustrato le relative posizioni.

Il Pubblico Ministero, in particolare, ha richiamato il contenuto dell’atto di citazione ed ha dichiarato di non opporsi ad un eventuale utilizzo del potere riduttivo da parte della Corte.

L’avv. Cotto ha ribadito le argomentazioni svolte nella memoria di costituzione ed ha insistito affinché venisse respinta la domanda di condanna della Procura Regionale.

Considerato in

DIRITTO

1)       La pretesa della Procura Regionale non risulta fondata e la domanda di condanna dei convenuti deve essere respinta per le ragioni di seguito esposte.

2)       La Procura Regionale ritiene che:

a)                                esista un danno ingiusto causato alle finanze del Comune di Venasca (€ 6.579,08 necessari per liquidare la parcella del difensore del sig. Nicolino);

b)                               sussista il rapporto di servizio fra Segretario, amministratori e Comune danneggiato;

c)                                sia ravvisabile il nesso di causalità fra l’approvazione della delibera di liquidazione delle spese e il danno subito dalla finanza locale;

d)                               sussista l’elemento soggettivo della colpa grave, considerato che gli Amministratori e il Segretario avrebbero applicato in via analogica l’art. 67 del d.p.r. 13 maggio 1987, n. 267 erroneamente, dato che la chiarezza del testo oltre all’interpretazione giurisprudenziale consolidata ne avrebbero escluso l’applicazione al caso di specie.

Sussisterebbe, inoltre, la colpa grave perché il contenzioso che aveva originato il processo penale a carico del signor Nicolino era sorto, secondo la Procura Regionale, “in occasione del servizio e non già a causa del servizio” e, oltretutto, l’Amministrazione non era stata coinvolta nella scelta del legale (o nel componimento della lite) sin dall’inizio, come impone la norma di cui al citato art. 67.

Specificava, infine parte attrice, che la deliberazione della Giunta comunale non era neppure giustificabile in forza delle norme sul mandato, poiché l’amministratore dell’Ente locale è organo dell’ente e non mandatario dello stesso.

3)       A loro difesa i convenuti osservano che:

a)                                la delibera della Giunta comunale n. 46 del 15 marzo 2002 era attuativa di una precedente delibera del Consiglio comunale (la n. 5 del 28 febbraio 2002) che aveva riconosciuto il debito relativo alle spese legali di cui aveva chiesto il rimborso il signor Nicolino quale debito fuori bilancio. Delibera (quella del Consiglio comunale), peraltro, inviata alla Corte dei conti, senza che risultasse sollevato alcun rilievo da parte di quest’ultima;

b)                               le spese sostenute per la difesa in un giudizio penale da parte di un amministratore sono rimborsabili dall’amministrazione di appartenenza, trattandosi di un principio consolidato nell’ordinamento che trova il suo fondamento sia nelle norme sul mandato che nell’applicazione delle disposizioni che regolano l’assunzione delle spese relative a procedimenti penali a carico dei dipendenti, applicabili analogicamente stante il carattere di pubblici funzionari, sia pure onorari, degli amministratori locali.

4)       La valutazione della legittimità del comportamento tenuto dai componenti della Giunta del Comune di Venasca e dal Segretario comunale presuppone una compiuta ed articolata disamina in merito all’esistenza, o meno, nel nostro ordinamento di un diritto degli amministratori degli enti locali ad ottenere il rimborso delle spese legali che abbiano dovuto sostenere a causa del loro mandato.

L’esistenza o meno di detto diritto incide sulla valutazione della legittimità dell’operato dei convenuti e conseguentemente sulla sussistenza di un danno alla finanza pubblica, qualora vengano, come nel caso di specie, liquidate somme a rimborso di spese legali sostenute da un amministratore.

5)      Il nostro ordinamento ha preso in considerazione la possibilità che i dipendenti pubblici possano essere coinvolti in un giudizio (civile, penale, amministrativo, contabile) in conseguenza di atti e fatti connessi all’espletamento del servizio o “all’adempimento dei compiti d’ufficio” ed ha previsto che “l’ente assicuri l’assistenza in sede processuale ai dipendenti purchè non ci sia conflitto di interessi con l’Ente” (art. 16 d.p.r. 1° giugno 1979, n. 191; art. 22 d.p.r. 25 giugno 1983, n. 347; art. 67 d.p.r. 13 maggio 1987, n. 268, entrambi per il personale degli enti locali; art. 18 d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito in l. 23 maggio 1997, n. 135, per il personale delle amministrazioni statali).

6)       Non vi è un’analoga disposizione in favore degli amministratori degli enti locali.

Il riconoscimento del diritto al rimborso delle spese legali sostenute a causa e nell’occasione dello svolgimento di attività inerenti il mandato elettivo pur non essendo previsto da alcuna norma legislativa di carattere generale è comunque da ritenere espressione di un principio di civiltà giuridica che trova fondamento nell’art. 51 della Costituzione che riconosce il diritto di tutti i cittadini di “accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza”, con l’ulteriore specificazione che “chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro”.

La previsione costituzionale garantisce il diritto di ogni cittadino ad assumere uffici pubblici, indipendentemente dalle sue condizioni economiche poiché specifica chiaramente che l’assunzione della carica non può comportare la perdita del lavoro; analogamente, deve ritenersi che eventuali costi e spese non possano gravare sul cittadino che, in caso contrario, magari a causa delle sue condizioni economiche, non potrebbe assumere l’incarico, temendo di non essere in grado di sopportare eventuali spese.

7)      Ma anche a voler prescindere dal disposto dell’art. 51 della Costituzione occorre tenere a mente che chi è titolare di una carica pubblica agisce per un interesse che non è proprio ma di altri centri  di imputazione che lo hanno nominato od eletto, con la conseguenza che è ragionevole ritenere che gli amministratori pubblici non debbano sopportare gli effetti svantaggiosi o dannosi dell’attività da essi legittimamente svolta in favore di altri soggetti (la collettività).

Si tratta, infatti, di un principio e valore basilare dell’ordinamento che chi agisce, sia nei rapporti privati che in quelli pubblici, per il conseguimento di un interesse non proprio, purchè legittimamente investito del compito di realizzare interessi estranei alla sua sfera individuale, non debba sopportare gli effetti svantaggiosi di quest’attività, ma debba essere tenuto indenne dalle spese sopportate e dai danni subiti.

Espressione di tale principio sono le regole dettate a proposito del mandato dall’art. 1720 cod. civ. secondo il quale il mandante è tenuto a “risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico”, della tutela, della curatela dell’eredità giacente, della curatela fallimentare, dell’amministrazione delle società, associazioni e fondazioni.

Risulta, quindi, che ogni volta che il soggetto agente è legittimamente investito della cura di interessi appartenenti ad un altro soggetto opera detto principio generale che trasferisce giuridicamente nella sfera di quest’ultimo anche gli effetti dannosi che l’agente abbia, di fatto, subito nello svolgimento della sua attività.

Le predette conclusioni sono state fatte proprie dalla più autorevole giurisprudenza contabile che ha evidenziato come non vi siano ragioni che impediscano l’applicazione di detto principio generale  “anche nel caso di preposizione di persone fisiche ad un ente pubblico, in forza di un’investitura ad una carica cosiddetta onoraria, in base cioè ad un rapporto che, benché volontariamente accettato, non abbia il carattere dell’esercizio di un’attività professionale”, con la conseguenza “che anche i componenti degli organi statutari degli enti pubblici hanno, in linea di principio, titolo a ricevere il rimborso delle spese ed il risarcimento dei danni sofferti per adempiere fedelmente il proprio mandato” (Corte dei conti, sez. riun., 5 aprile 1991, n. 707/A).

8)      Le conclusioni cui sono giunte le sezioni riunite della Corte nella sentenza n. 707 del 1991 risultano ulteriormente rafforzate se solo si considera che l’art. 11 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, recante “Testo unico della legge comunale e provinciale” stabiliva, con riferimento agli amministratori degli enti locali, che “la gratuità dell’ufficio non esclude il rimborso delle spese che l’investito dell’ufficio stesso sia obbligato a sostenere per l’esercizio delle sue funzioni”.

La norma, ora abrogata, era molto chiara e riconosceva esplicitamente l’applicazione alla sfera pubblica del principio, sopra enunciato, secondo il quale chi porta a compimento un incarico legittimamente assunto non deve sopportare gli eventuali costi e spese inerenti il mandato che devono far carico al soggetto in favore del quale è svolta l’attività, come risulta anche dal noto brocardo “cuius commoda et eius incommoda”.  

Un principio analogo, anche se non così chiaro, è ricavabile, peraltro, dal vigente art. 77 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” che nel disciplinare lo status degli amministratori locali precisa che “La Repubblica tutela il diritto di ogni cittadino chiamato a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali ad espletare il mandato, disponendo del tempo, dei servizi e delle risorse necessarie”.

9)      Le considerazioni svolte sopra evidenziano l’esistenza nel nostro ordinamento di un diritto soggettivo dell’amministratore locale coinvolto in un procedimento giudiziale per fatti inerenti la carica ricoperta ad ottenere il rimborso delle spese legali che abbia dovuto sopportare, purchè il giudizio si concluda con il riconoscimento dell’assenza di responsabilità del funzionario onorario (al riguardo, oltre alla citata pronuncia n. 707/A del 1991 delle sezioni riunite della Corte: Corte dei conti, sez. giurisd. Piemonte, 27 gennaio 2003, n. 229/EL; Corte dei conti, sez. II, 18 dicembre 1986, n. 275; Cons. St., III, 13 febbraio 1996, n. 69/96; Tar Veneto, 17 febbraio 2000, n. 835).

La giurisprudenza contabile, civile e amministrativa che negli ultimi anni è stata in numerose occasioni investita della questione ha riconosciuto l’esistenza di tale diritto anche se, a seconda dei casi, lo ha ancorato a differenti previsioni normative.

Così, una parte della giurisprudenza ha ritenuto necessaria l’applicazione analogica dei principi generali in tema di mandato dettati dall’art. 1720, co. 2, cod. civ. (Corte dei conti, sez. riun., 18 giugno 1986, n. 501/A; Cons. St., V, 14 aprile 2000, n. 2242), prestando il fianco a numerose critiche, riecheggiate, anche nel presente giudizio, poiché “l’investitura, per elezione o nomina, ad una carica pubblica onoraria non può essere riportata al concetto di rappresentanza giuridica (propria del mandato, ndr), in quanto il rapporto pubblico rilevante all’esterno è quello che, più propriamente, si qualifica come rapporto organico, o di immedesimazione organica, in forza del quale l’ente pubblico vive ed agisce attraverso le persone fisiche preposte ai suoi organi statutari” (Corte dei conti, sez. riun., 5 aprile 1991, n. 707/A).

Altra giurisprudenza ha fatto specifico riferimento alla disciplina dettata dalle norme citate sopra sub 5) relative ai dipendenti pubblici (art. 16 d.p.r. n. 191 del 1979, art. 22 d.p.r. n. 347 del 1983 e art. 67 d.p.r. n. 268 del 1987), ritenendo la loro applicabilità  agli amministratori di enti locali in via analogica, considerata la natura di pubblici funzionari loro riconosciuta ormai da tempo dalla giurisprudenza (Corte dei conti, I, 30 aprile 1993, n. 59; Cass. civ., I, 13 dicembre 2000, n. 15724; Cons. St., V, 17 luglio 2001, n. 3946; Tar Abruzzo, 7 marzo 1997, n. 108).

Anche questa soluzione presenta molteplici problemi applicativi, considerate le condizioni richieste dalle predette norme per l’applicazione, fra le quali deve essere segnalata la necessità che le parti concordino, prima dell’inizio della controversia, l’assunzione della difesa in capo all’ente, rendendo, quindi, problematico il rimborso delle spese sostenute qualora non vi sia stato il preliminare accordo (come, peraltro, è avvenuto nel caso di specie, secondo quanto eccepito dalla Procura Regionale).

10)  L’autonomia del diritto soggettivo degli amministratori locali al rimborso delle spese ed al risarcimento dei danni subiti nel corso dell’espletamento del mandato, ricavabile dai principi generali dell’ordinamento sopra richiamati e dall’art. 51 della Costituzione, ha, peraltro, trovato negli anni scorsi un primo solido aggancio normativo che occorre evidenziare.

Stabilisce, infatti, l’art. 3 co. 2 bis del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito in l. 23 ottobre 1996, n. 249, recante “Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti” che “in caso di definitivo proscioglimento … le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza”.

La disposizione citata è estremamente significativa poiché non distingue fra dipendenti ed amministratori ma si riferisce a tutti i “soggetti sottoposti al giudizio” e, quindi, non può che essere espressione del principio generale, più volte richiamato.

A tale conclusione sembra anche essere giunta la Suprema Corte di Cassazione che, riferendosi a tale norma, ha asserito che “l’effetto perseguito dalla legge non è quello di porsi come disposizione speciale rispetto alla disciplina generale del fenomeno come si presenta nei giudizi ordinari, ma quello di stabilire una disciplina surrogatoria di quello” (Cass. civ. S.U., 12 novembre 2003, n. 17014).  

11)  Accertata l’esistenza del diritto dell’amministratore locale al rimborso delle spese legali sostenute a causa del suo mandato, occorre ancora precisare che l’assunzione non può essere incondizionata ma, caso per caso, deve essere conseguente ad alcune valutazioni che l’Ente è tenuto a fare al fine di assicurare una buona, ragionevole ed imparziale amministrazione delle risorse pubbliche.

Ogni ente locale, prima di assumere a proprio carico le spese sostenute da un amministratore per la difesa legale in un procedimento contabile, civile, penale o amministrativo deve valutare, in relazione ai principi citati sopra ed alle disposizioni normative richiamate, la sussistenza delle seguenti condizioni:

a)        necessità che il funzionario onorario abbia agito al fine di tutelare i propri diritti ed interessi, senza porsi in contrasto e conflitto con quelli dell’Ente che rappresenta;

b)       esistenza di una diretta connessione tra contenzioso processuale e carica dell’amministratore;

c)        conclusione del procedimento con una sentenza che, con specifico riferimento al processo penale, abbia assolto l’amministratore.

12)  Al fine di valutare la liceità del comportamento tenuto dagli amministratori e dal Segretario comunale di Venasca occorre, quindi, appurare se il rimborso delle spese legali al signor Nicolino sia stato disposto rispettando i criteri sopraindicati.

Al riguardo è appena il caso di precisare che la denuncia che ha originato il procedimento penale a seguito della conclusione del quale è stato chiesto il rimborso delle spese legali è stata presentata a seguito di un episodio accaduto nel periodo in cui il signor Bruno Nicolino è stato Sindaco del Comune di Venasca.

12.1) Con riferimento al primo requisito richiesto ai fini della legittimità del rimborso (interesse del signor Nicolino ed interesse del Comune di Venasca) risulta dagli atti prodotti dalla stessa Procura Regionale che il signor Nicolino è stato costretto a difendersi in un processo penale nel quale era stato denunciato da un consigliere comunale di minoranza che si riteneva diffamato da alcune espressioni utilizzate dal Sindaco nel corso di un Consiglio comunale.

E’ evidente che il signor Nicolino ha agito a tutela di un proprio diritto (ha incaricato un legale per difendersi in un processo penale) al fine di evitare il nocumento conseguente ad una condanna penale.

Il suo comportamento non si è posto in contrasto con l’ente poiché, come risulta dalla sentenza penale resa in data 5 – 11 aprile 2001 dalla Corte d’Appello di Torino, le espressioni profferite nel corso di un consiglio comunale erano dirette a salvaguardare la vita amministrativa del Comune di Venasca poiché stigmatizzavano l’invio di lettere anonime, invitando chiunque volesse avanzare critiche alla gestione amministrativa a  formularle in modo adeguato.

12.2) Anche il secondo requisito sussiste poiché vi è, come risulta dagli atti, e in particolare dalla citata sentenza della Corte d’Appello di Torino, indubbia connessione tra la carica di Sindaco del signor Nicolino e la denuncia che ha originato il processo penale.

Il Signor Nicolino è stato denunciato perché nell’esercizio del suo mandato, in luogo istituzionale, ha utilizzato delle espressioni che un consigliere comunale ha ritenuto diffamatorie.

Al riguardo è bene precisare che la distinzione fra contenzioso che trova la sua origine “in occasione del servizio” e quello “dipendente direttamente dal servizio” prospettata dalla Procura regionale che asserisce che solo il secondo possa giustificare il rimborso delle spese (ritenendo, in relazione al caso di specie che il contenzioso sia solo occasionato dal servizio e non dipenda da esso) non si attaglia al caso di specie.

Infatti al di la della difficoltà di distinguere tra le due situazioni, non può essere trascurato che il signor Nicolino non ha promosso un autonomo giudizio per tutelare la sua onorabilità, ma è stato denunciato e, quindi, non aveva altra possibilità che quella di difendersi.

Può, quindi, ritenersi che la distinzione operata dalla Procura se può valere qualora si tratti di una causa promossa dall’amministratore che chiede il rimborso delle spese non può valere nel caso in cui lo stesso sia denunciato poiché, in caso contrario, il generale principio di tutela dell’amministratore pubblico, richiamato ai numeri precedenti risulterebbe vanificato.

12.3) Il procedimento penale si è concluso con la completa assoluzione del signor Nicolino, come risulta dalla citata sentenza della Corte d’appello di Torino, che ha statuito che il fatto ascritto al signor Nicolino non costituisce reato.

Risulta, quindi, sussistente anche il terzo dei requisiti, come sopra delineati.

13)  Da ultimo deve ancora essere rilevata l’inconferenza del richiamo, contenuto nell’atto di citazione, alla possibile stipula di una polizza assicurativa a copertura delle spese legali, ora prevista dall’art. 86, co. 5 del d. lgs. N. 267 del 2000, poiché si tratta di una mera facoltà e non di un obbligo posto a carico degli amministratori.

14)  La legittimità dell’operato degli amministratori e del Segretario comunale di Venasca che hanno rimborsato al signor Nicolino l’ammontare di 6579,08 Euro, pari alle spese legali sostenute per difendersi in un processo penale dipendente dall’attività svolta quale Sindaco di Venasca, impone il rigetto della domanda proposta dalla Procura regionale perché i convenuti non hanno arrecato alcun danno alla finanza dell’ente locale.

PQM

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte

Assolve i convenuti Dario Ballatore, Secondo Monge Roccaglia, Roberto Durbano, Giovanni Brizio e Alessandro Borodako dalla domanda attrice.

Così deciso in Torino, nella camera di consiglio del 27 novembre 2003.

 

       L’Estensore                                                           Il Presidente

( F.to Dott. Giancarlo Astegiano)                           ( F.to Dott. Francesco De Filippis )

 

Depositata in Segreteria in data  4 Febbraio  2004

 

                                                                           Il Direttore della Segreteria

                                                                                               ( F.to A. Cinque )