REPUBBLICA ITALIANA  N. 879/04

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO

composta dai seguenti magistrati:

Dr. Sergio Zambardi                           Presidente

Dr.ssa Irene Thomaseth                      Primo Referendario

Dr.ssa Rosalba Di Giulio                      Referendario relatore

visti l'atto di citazione della Procura, le memorie difensive dei convenuti e tutti gli atti ed i documenti del giudizio;

uditi nella pubblica udienza del giorno 24 marzo 2004 il relatore, dott.ssa Rosalba Di Giulio, il rappresentante del Pubblico Ministero nella persona del Vice Proc. Gen. dott. Giancarlo Di Maio, l'Avv. Prof. Mario Bertolissi in difesa del convenuto Lessio Ugo e l'Avv. Prof.ssa Carola Pagliarin per gli altri due convenuti, ha emanato la seguente:      

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 22618 del registro di Segreteria, promosso ad i­stanza del Procuratore regionale della Corte dei conti per il Veneto nei confronti di:

1) Lessio Ugo, residente in Padova, in via Delfinato n.10 ed elettivamente domiciliato in Venezia, S. Marco 3829, presso lo studio dell'Avv. G. Chemello che lo rappresenta e difende anche disgiuntamente con l'Avv. Prof. M. Bertolissi del foro di Padova, giusta procura a margine della comparsa di costituzione depositata il 3 marzo 2004;

2) Bernardini Ruggero, residente a Padova in via Sonnino n.13 rappresentato e difeso, anche in via disgiunta, come da mandato a margine della memoria di costituzione, dagli Avv.ti Prof. C. Pagliarin di Padova e G. Chemello di Venezia, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultima in Venezia San Marco, 3829;

3) Caobianco Luciano, residente in Padova, in via Natisone n.27, rappresentato e difeso, anche in via disgiunta, come da mandato a margine della memoria di costituzione, dagli Avv.ti Prof. C. Pagliarin di Padova e G. Chemello di Venezia, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultima in Venezia San Marco, 3829.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 24 novembre 2003, depositato nella Segreteria della Sezione in data 26 novembre 2003 e ritualmente notificato tra il 17 ed il 19 dicembre 2003, venivano convenuti, dinanzi a questa Sezione della Corte dei conti i Signori Lessio Ugo, nella veste di Direttore amministrativo-Segretario generale dell'"Istituto di Riposo per Anziani" di Padova (I.R.A.), Bernardini Ruggero, in qualità di Presidente del medesimo istituto e Caobianco Luciano, quale Consigliere membro del consiglio di amministrazione delegato ad attività di vigilanza sul patrimonio della menzionata IPAB, per avere gli stessi - secondo la prospettazione effettuata dall'organo requirente - cagionato, con condotte gravemente colpose, poste in essere in violazione di obblighi di servizio e di prescrizioni di legge, un ingiusto danno patrimoniale alle finanze del predetto ente, pari alla somma complessiva di euro 163.884,2 corrispondente a £. 317.324.122, in seguito ad un illegittimo investimento di capitali. La Procura li citava per ivi sentirli condannare, previa comparizione alla pubblica udienza, al pagamento, in favore delle finanze dell'IPAB di Padova danneggiata, della suddetta somma, con imputazione pro parte, in ragione del diverso apporto causale nella determinazione del danno, in misura del 50% a Lessio Ugo per euro 81.942,1, in misura del 30% a Bernardini Ruggero per euro 49.165,2 ed in misura del 20% a Caobianco Luciano per euro 32.776,8 o comunque al pagamento di quelle somme maggiori o minori che sarebbero risultate dovute a parere del Collegio, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, interessi legali e spese di giudizio. A sostegno della pretesa risarcitoria erariale, l'or-gano requirente esponeva che:

- con delibera n. 52 del 6 giugno 2000, il Consiglio di Amministrazione della IPAB di Padova denominata “I.R.A.”, vista la liquidità di cassa dell'Istituto, aveva incaricato il Direttore Amministrativo - Segretario Generale, Rag. Lessio Ugo, di investire il denaro tenendo conto della complessiva convenienza economica dell'operazione e purché quest'ulti-ma avesse una durata limitata nel tempo, in modo da evitare ogni rischio patrimoniale per l'ente;

- il convenuto Lessio Ugo, nella sua veste di Direttore Amministrativo aveva eseguito l'incarico, autorizzando con determinazione n.165 del 12 luglio 2000, l'investimento dell'importo di £. 5.000.000.000 nel fondo "Gestione Patrimoniale in fondi F3", attraverso società della S. Paolo IMI spa ed aveva persistito nella determinazione adottata, ritardando lo smobilizzo del danaro (da lui richiesto all'IMI soltanto con nota in data 22.3.2001) nonostante che il Collegio dei revisori, rilevata la natura rischiosa dell'investimento, in quanto non effettuato in titoli di Stato o garantiti dallo Stato ai sensi dell'art. 28 L. 17.7.1890 n. 6972, lo avesse invitato a procedere al disinvestimento del capitale, prima nell'atto del 4 ottobre 2000 e poi nel verbale della riunione dell'8 novembre 2000;

-ciò aveva in definitiva comportato non soltanto una perdita secca del capitale investito (che era dapprima sceso a £. 4.945.388.249 già alla data del 31.1.2001, secondo i dati riferiti dalla S. Paolo IMI nella nota del 7.2.2001 e poi in definitiva, all'esito della vendita dei titoli nell'aprile 2001, a £. 4.787.734.606), ma anche la necessità per la IPAB di richiedere alla Tesoreria un'anticipazione di cassa pari a £. 3.000.000.000 onde poter fronteggiare le spese correnti, come da ordinanza n. 3 del 19.1.2001 a firma del  Presidente dell'I.R.A. di Padova, Bernardini Ruggero.

Fatte queste debite premesse, la Procura evidenziava come le conseguenze dannose subite dall'I.R.A. a causa della violazione, perpetrata con colpa grave, degli obblighi inerenti a quel rapporto di servizio in cui  tutti i convenuti si trovavano rispetto all'ente pubblico, fossero ammontanti in totale ad euro 163.884,2 pari a £. 317.324.122, quale som-ma delle seguenti voci di danno:

-perdita di una parte del capitale investito (quantificato in £. 212.265.394, risultanti dalla differenza tra il capitale investito: £. 5.000.000.000 e quello rientrato in cassa: £. 4.787.734.606),

-mancato rendimento per l'indisponibilità del danaro (pari a £. 103.641.052, quale guadagno che si sarebbe avuto, secondo il saggio di interesse corrente, se la somma di £. 5.000.000.000 fosse rimasta giacente in Tesoreria),

-interessi passivi pagati sull'anticipazione di cassa resa necessaria dalla momentanea carenza di liquidità (pari a £. 1.417.676 per interessi passivi maturati sul conto di tesoreria da gennaio 2001 al 5 aprile 2001).

La Procura regionale della Corte dei conti presso questa Sezione, ritenendo che, in relazione ai fatti esposti, fosse configurabile un'ipotesi di danno erariale alle finanze della IPAB “I.R.A.”, invitava in data 14 luglio 2003 gli odierni convenuti, ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 19, a fornire le proprie controdeduzioni ed even-tuali documenti in ordine ai fatti contestati, avvertendoli altresì della facoltà di essere sentiti personalmente e contestava, in particolare:

- al Direttore Amministrativo- Segretario Lessio Ugo di aver operato, nel disporre l'investimento, violando le prescrizioni dettate dall'art. 28 della L. 6972 del 17.7.1890 ed i criteri fissati dal Consiglio d'Amministrazione con la delibera n.52/2000;

-al Presidente Bernardini di aver concorso a cagionare il danno, in quanto avrebbe potuto e dovuto, in base ai poteri conferitigli dall'art.14 dello Statuto dell'ente e dall'art.5 del Regolamento n.258 del 22.12.98, intervenire impartendo direttive al Segretario finalizzate al pronto smobilizzo dell'investimento, ovvero convocare il Consiglio di Amministrazione per adottare le iniziative del caso;

-al Consigliere Caobianco, di aver omesso di vigilare sull'operazione finanziaria posta in essere dal Segretario e di pretendere il rispetto delle prescrizioni dettate dalla legge e dall'istituto, come avrebbe potuto e dovuto in ragione della delega conferitagli dal Presidente il 29 giugno 1996 avente ad oggetto, fra l'altro, il servizio Ragioneria, nonché la gestione economico-finanziaria ed i rapporti con i Revisori.

Per l'aspetto attinente all'elemento soggettivo, l'organo requirente evidenziava che la sussistenza della colpa grave doveva ritenersi insita nel carattere evidente della violazione di legge posta in essere dai convenuti con la loro condotta, rispettivamente attiva per il Lessio ed omissiva per gli altri due, in quanto l'investimento era stato operato non in titoli di stato o equipollenti, come prescritto dal citato art.28 della L. n.6972 del 1890, ma nel fondo “Profilo F3”, che era per sua stessa natura caratterizzato da una “propensione al rischio elevata” -anche considerato che era sorto nel 2000 e che non si potevano perciò valutare i pregressi andamenti di gestione- e da una lunga durata (considerato che nella scheda illustrativa l'orizzonte temporale indicato come minimo significativo per iniziare ad avere un rendimento era quello di 3-5 anni), in palese frustrazione anche delle impellenti esigenze di cassa correlate al fabbisogno corrente dell'ente che sarebbero venute a sorgere, com'era facilmente prevedibile, nel breve periodo successivo all'autorizzato investimento della liquidità momentaneamente in eccesso.

In assenza di ogni controdeduzione degli incolpati alle contestazioni e agli addebiti loro mossi, la Procura regionale della Corte dei conti per il Veneto, con l'atto di citazione di cui sopra, visti gli articoli 58 del D.L 8 giugno 1990 n. 142  ed 1, del D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito in legge del 14 gennaio 1994 n. 19, nonché 43 del R.D. 13 agosto 1933 n. 1038, li conveniva in giudizio innanzi a questa Sezione, facendo istanza al relativo Presidente per la fissazione dell'udienza di discussione, per ivi sentirli condannare in conclusione al pagamento, a favore dell'IPAB di Padova (IRA), delle seguenti somme, con imputazione parametrata al diverso apporto causale nella determinazione del danno: Lessio Ugo euro 81.942,1; Bernardini Ruggero euro 49.165,2; Caobianco Luciano euro 32.776,8; o comunque al pagamento delle maggiori o minori somme dovute, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, interessi legali e spese giudiziali.

Il convenuto Lessio Ugo si costituiva in giudizio con l'assistenza e il patrocinio dell'Avv. Bertolissi del foro di Padova e l'Avv. G. Chemello del foro di Venezia i quali, in data 3 marzo 2004, depositavano in atti una comparsa di costituzione recante mandato a margine, nella quale, dopo aver respinto tutti gli addebiti di responsabilità mossi dalla Procura attrice nei confronti del loro assistito, evidenziavano come l'investimento operato avrebbe dovuto dare, verosimilmente, un rendimento pari all'8,33% e dunque superiore al 3,65 dei pronti contro termine e proprio in ragione di ciò avrebbe potuto consentire l'acquisto di un pulmino per disabili onde chiedevano in conclusione, in via principale, il rigetto della domanda della Procura attrice e, in via subordinata, una riduzione della somma richiesta a titolo di addebito in applicazione del potere di riduzione spettante al giudice contabile.

I convenuti Berardini Ruggero e Caobianco Luciano si costituivano in giudizio con l'assistenza ed il patrocinio degli Avv.ti Prof.sse C. Pagliarin del foro di Padova e G. Chemello del foro di Venezia, le quali, in data 3 marzo 2004, depositavano per ciascuno un atto di costituzione, recante mandato a margine, in cui, nel respingere ogni addebito di responsabilità mosso dalla Procura attrice nei confronti dei propri assistiti in ordine ai fatti contestati, evidenziavano come, almeno in un primo momento, ai consiglieri ed al Presidente non fosse stato riferito nulla in merito all'inve-stimento operato, nella convinzione che si trattasse di attività gestionale propria del Segretario in applicazione dell'incarico ricevuto, e che del resto quest'ultimo aveva espressamente rivendicato la propria autonomia al riguardo nella riunione del Consiglio di Amministrazione dell'8.3.01.

Concludevano chiedendo in via principale, il rigetto della domanda attrice e, in estremo gradato subordine, che la Corte adita facesse uso del potere di riduzione dell'addebito nella misura massima consentita.

All'udienza pubblica odierna, il rappresentante del pubblico ministero, nel corso della requisitoria orale, ha diffusamente illustrato i presupposti fattuali e giuridici posti a fondamento della pretesa risarcitoria.

In difesa del convenuto Lessio Ugo è intervenuto il Prof. Avv. Bertolissi, il quale, nel richiamarsi agli atti di costituzione e alle memorie difensive già versati in atti, ha illustrato le argomentazioni difensive sia in punto di fatto che in punto di diritto già in essi prospettate, ribadendo le conclusioni già formulate per iscritto. In particolare, il predetto difensore, dopo aver evidenziato la carenza, in capo al suo assistito, del necessario requisito della colpa grave, da ritenersi comunque elisa dalla meritevolezza dei fini perseguiti dal Lessio, che si era prefisso di acquistare un pulmino per disabili con i rendimenti dell'investimento, ha concluso insistendo, in via principale, per il rigetto della domanda attrice, e, in estremo gradato subordine, per la riduzione dell'addebito nella misura massima consentita.

Nella medesima sede, l'Avv. Prof.ssa Pagliarin, intervenuta in difesa degli altri due convenuti Bernardini e Caobianco, nel richiamarsi agli atti di costituzione ed alle memorie difensive versati in atti, ha illustrato le argomentazioni difensive in punto sia di fatto sia di diritto in essi rappresentate, ribadendo le conclusioni già formulate per iscritto.

Il pubblico ministero contabile è quindi intervenuto nuo-vamente per controdedurre alle argomentazioni prospettate dai difensori dei convenuti, ed ha concluso chiedendone la reiezione ed insistendo per l'accoglimento della domanda.

Al termine degli interventi delle parti e delle loro repliche, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

La Sezione, nel merito, è chiamata a pronunciarsi in ordine ad una fattispecie di responsabilità amministrativa che la Procura regionale della Corte dei conti per il Veneto ha ipotizzato come sussistente nei confronti dei Signori Lessio Ugo, Bernardini Ruggero e Caobianco Luciano, come in epigrafe generalizzati, nella loro qualità, rispettivamente, di Direttore amministrativo-Segretario generale, di Presidente e di Consigliere delegato ad attività di vigilanza sul patrimonio della IPAB denominata "Istituto di Riposo per Anziani" di Padova (I.R.A.), per avere gli stessi cagionato un ingiusto danno patrimoniale alle finanze dell'ente di appartenenza, di importo ammontante a complessivi euro 163.884,2 pari a £. 317.324.122, a causa delle illegittimità commesse nell'ef-fettuare un investimento di danaro pubblico in titoli ed obbli-gazioni azionarie anziché in titoli di stato o comunque in altre equipollenti forme prive di apprezzabile rischio economico e di comprovata maggiore utilità.

Sulla base di tale ipotesi di responsabilità, il Procuratore regionale della Corte dei conti per il Veneto li ha convenuti innanzi a questa Sezione per sentirli condannare al pagamento, in favore delle finanze della IPAB I.R.A. di Padova della suddetta somma complessiva con imputazione ripartita, in ragione del diverso apporto causale nella determinazione del danno, nei seguenti importi: euro 81.942,1 a carico di Lessio Ugo, euro 49.165,2 a carico di Bernardini Ruggero ed euro 32.776,8, a carico di Caobianco Luciano, oltre, per tutti, alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali e alle spese del giudizio.

Così definiti i termini della domanda del Pubblico Ministero ed i confini del thema decidendum e richiamati brevemente i fatti di causa posti alla base della pretesa risarcitoria avanzata dalla Procura, prima di scendere alla concreta verifica della sussistenza, nel caso di specie, degli elementi integranti la responsabilità amministrativa dei convenuti, giova ricordare che, in punto di diritto, secondo il T.U. n.1214 del 1934, la L. n.2440 del 1923 ed il T.U. n.3 del 1957, affinché possa configurarsi responsabilità amministrativa, è necessario che ricorrano determinati elementi tipici.

Anzitutto un danno patrimoniale, economicamente valutabile, attuale e concreto, erariale in quanto patito da un'amministrazione pubblica, poi un nesso di causalità inteso quanto meno quale occasionalità necessaria, fra l'evento dannoso e la condotta del convenuto, quindi l'addebitabilità del comportamento omissivo o commissivo, imputabile all'a-gente, a titolo di dolo o quanto meno di colpa grave ed ovviamente la presenza di un rapporto di impiego o di servizio, almeno di fatto, tra il convenuto e l'ente pubblico dan-neggiato, quand'anche quest'ultimo non sia direttamente l'ente di appartenenza dell'incolpato (per l'insorgenza di un rapporto di servizio persino in seguito alla stipula di una convenzione di carattere privatistico, che consenta comunque un'ingerenza “in modo continuativo nella conservazione e gestione di risorse pubbliche” da parte del soggetto: Cass. S.U. sent. n.400/00 ed ancora, per la sufficienza, tra il soggetto incolpato e l'ente, di una stabile “relazione funzionale caratterizzata dall'inserimento del soggetto nell'iter procedimentale o nell'apparato organico dell'ente, tale da rendere il primo compartecipe dell'attività amministrativa del secondo”: Cass. S.U. sent. n.9693/02).

Nel solco del delineato orientamento di legittimità si sono anche poste le Sezioni Riunite della Corte dei conti che,  con sentenza n.284/2003 del 14.11.03, hanno ribadito la sufficienza, in capo al soggetto agente, di “una relazione funzionale caratterizzata dal suo inserimento nell'iter procedimentale di atti di competenza dell'amministrazione pubblica a lui formalmente estranea”.

D'altro canto, in prospettiva più generale, appare invero oramai superabile l'orientamento giurisprudenziale secondo cui la responsabilità amministrativa avrebbe natura contrattuale, essendo fondata sul mancato adempimento di uno specifico obbligo derivante dal rapporto giuridico intercor-rente tra l'impiegato e l'Amministrazione (così, in passato: C. conti, Sez. I, sentenze 17.4.1989, n.148; 1°.2.1989, n. 34; 13.5.1987, n. 77; 14.2.1986, n. 98; 26.5.1982, n. 67), per cui l'obbligazione pecuniaria da essa sorgente in caso di condanna si connoterebbe in chiave risarcitoria e non sanzionatoria (C. conti, Sez.I, 23.2.1989, n.76;9.2.1989 n. 60).

Recenti pronunzie della Corte Costituzionale risalenti al 1998, hanno infatti propeso, anche sulla scia delle riforme legislative operate nel 1994 e nel 1996, per la natura sanzionatoria, e non più meramente risarcitoria, della responsabilità amministrativa. In particolare, l'innovazione legislativa attuata con la L. 14 gennaio 1994 n. 20 ha ampliato gli spazi e le caratteristiche dell'azione di responsabilità amministrativa, connotandola in chiave di stretta personalità ed estendendola anche alle fattispecie concernenti danni arrecati ad altra amministrazione, in modo da introdurre un principio di extra-contrattualità (nel senso che si tratti di una responsabilità patrimoniale da atto illecito anche Cass. S.U. n.123 del 2001, che la ritiene peraltro connotata da elementi ibridi tali da renderla sostanzialmente un tertium genus).

Quanto al requisito soggettivo richiesto dall'art. 1, com-ma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dall'art. 3, comma 1, della legge 20 dicembre 1996, n. 639, perché sia configurabile responsabilità amministrativa del soggetto danneggiante, occorre che la violazione dei doveri di ufficio sia stata perpetrata quanto meno con colpa grave, la cui valutazione va operata ex ante ed in concreto (cfr. Corte dei conti, Sez. III giurisdizionale centrale d'appello, n.442/03 del 28.10.03).  

Deve anche precisarsi che, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte dei Conti, il concetto di colpa grave va inteso non già come inosservanza della normale diligenza che può pretendersi dal “bonus pater familias”, ossia dall'uomo medio, bensì di quella particolare diligenza e di quel particolare grado di perizia occorrente riguardo alla natura ed alle caratteristiche di una specifica attività esercitata, secondo i paramentri delineati, con riferimento alla nozione di colpa professionale, dall'art. 1176, 2° co., c.c.. La colpa, che può consistere anche in una generica negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle comuni norme di diligenza e prudenza, si connota in termini di gra-vità ove la condotta trasgressiva risulti collegata all'evento lesivo in modo tale che la realizzazione di quest'ultimo si presenti come una conseguenza altamente prevedibile della stessa. Ai fini della quantificazione del risarcimento da porre a carico di ciascun responsabile, nelle ipotesi in cui il danno sia stato cagionato da più persone, il principio fondamentale è quello della parametrazione della responsabilità in proporzione al rispettivo apporto ed al grado della colpa, anche in applicazione del potere riduttivo, quale consacrato nell'art. 52 del t.u. delle leggi sulla Corte dei conti e dall'art. 83 della legge di contabilità generale dello Stato, secondo cui la “Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”.

Ciò premesso, passando a delibare la sussistenza, nel caso specifico, dei requisiti oggettivi e soggettivi astrattamente illustrati, e cominciando dall'accertamento del danno, indefettibile e prioritario presupposto di ogni responsabilità amministrativa, la Sezione rileva che esso sussiste sub specie di danno patrimoniale complessivamente quantificabile, in relazione ai fatti esposti, in euro 110.358,1 pari a lire 213.683.070, determinato dalla somma di due poste di danno così identificate:

a) perdita di una parte del capitale investito (quantificato in £. 212.265.394, risultanti dalla differenza tra il capitale investito: £.5.000.000.000 e quello rientrato in cassa: £. 4.787.734.606),

b) interessi passivi pagati sull'anticipazione di cassa resa necessaria dalla momentanea carenza di liquidità (pari a £. 1.417.676 maturati sul conto di tesoreria da gennaio 2001 al 5 aprile 2001).

La prova delle due voci di danno così individuate emerge con evidenza dalle risultanze documentali (cfr. in particolare il rendiconto presentato dal Ragioniere Capo al Presidente n. prot.755/S.E.F. del 23 aprile 2001) attestanti, da un canto, l'oggettivo saldo negativo tra il capitale inizialmente investito dalla IPAB (£.5.000.000.000) e quello minore recuperato al termine dell'investimento (£.4.787.734.606) e, dall'altro, l'entità degli interessi passivi pagati dall'I.R.A. di Padova per il necessitato ricorso effettuato alle anticipazioni di tesoreria proprio nel periodo (gennaio- 5 aprile 2001) in cui vi era carenza di liquidità dovuta al mancato disinvestimento delle somme in questione (£.1.417.676).

Con riferimento, invece, alla terza voce di danno individuata dalla Procura e riguardante il lucro che sarebbe derivato dalla somma capitale ove questa, piuttosto che essere investita fosse rimasta giacente in cassa, fruttando degli interessi attivi al tasso legale (quantificati in £. 103.641.052 in base all'applicazione del saggio di interesse corrente alla somma di £. 5.000.000.000), preme evidenziare come essa non possa essere riconosciuta, poiché non è stato dimostrato dalla parte attrice, la quale deve comunque fornire la prova del danno posto a fondamento della pretesa risarcitoria (onus probandi incumbit ei qui dicit), se ed entro che limiti detta somma sarebbe potuta ivi restare giacente invece di essere consumata per le spese correnti. Spese la cui impellenza, del resto, risulta dal dimostrato ricorso alle anticipazioni di tesoreria, delle quali tuttavia, anche in base alle risultanze annotate nel verbale del 19 marzo 2001 del Collegio dei Revisori, nonché agli altri atti di causa, non è possibile quantificare l'effettivo utilizzo nel periodo tra il gennaio e l'aprile 2001, essendo molto oscillanti e non tutti noti, allo stato, i movimenti di cassa.

Valga ad abundantiam la considerazione che, diversamente opinando, si giungerebbe nella sostanza ad un'inam-missibile duplicazione dell'addebito da porsi a carico dei convenuti, in quanto è evidente che la stessa scelta di investire che è stata foriera di danno si prospetta come logicamente incompatibile con la possibilità, ipotizzata dalla Procura, di lasciare giacenti in Tesoreria quelle stesse somme, in modo che potessero produrre interessi attivi al saggio legale.

Acclarato, quindi, che nel caso di specie le uniche poste di danno di cui sono stati forniti sufficienti elementi probatori -atteso che le relative circostanze risultano inconfutabilmente, come si è detto, per tabulas- possono essere individuate nelle voci di cui alle precedenti lettere a) e b), la Sezione opina che, ai fini della esatta determinazione del quantum in sede di condanna, non sia da considerare tutta la somma imputata a titolo di danno ai convenuti dalla Procura attrice, ma soltanto il minor importo totale di euro 110.358,1, arrotondabile per difetto ad euro 110.358,00.

Alla luce delle evidenziate considerazioni, il Collegio ritiene, quindi, che il danno subito dalla IPAB I.R.A. di Padova per effetto dell'illegittimo investimento, quantificabile in euro 110.358,00, costituisca sicuramente danno patrimoniale per le finanze dell'ente, che si connota in termini di ingiustizia in quanto cagionato in diretta violazione del disposto dell'art. 28 della L. n.6972 del 1890, secondo il quale: “Le somme da investirsi debbono essere impiegate in titoli del debito pubblico dello Stato, o in altri titoli emessi o garantiti dallo Stato. Ove i titoli non siano nominativi debbono essere depositati, se e come verrà determinato caso per caso dalla Giunta provinciale amministrativa. Le somme suddette possono tuttavia, con l'autorizzazione della Giunta provinciale amministrativa, essere impiegate nel miglioramento del patrimonio esistente, nei casi nei quali sia evidente la maggiore utilità di tale impiego”.

Vero è che la disciplina relativa alle IPAB prevista dalla citata legge non è più allo stato vigente, in quanto secondo l'art. 30 della L. 8 novembre 2000, n. 328, “alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui all'articolo 10 è abrogata la disciplina relativa alle IPAB prevista dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972”. Detta abrogazione è stata peraltro ribadita dall'art. 21 del D.Lgs. 4 maggio 2001, n. 207, emanato proprio in attuazione della delega conferita dall'art.10 della L. 328/00, secondo cui “Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante una nuova disciplina delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972 e successive modificazioni, sulla base dei seguenti princìpi e cri-teri direttivi…”.

Il citato decreto veniva pubblicato il 1° giugno 2001 nella G. U. n. 126 e da tale data iniziava a decorrere la vacatio legis richiesta ai fini della relativa entrata in vigore, che è dunque sicuramente successiva alla commissione dei fatti di causa, avvenuti nel periodo tra la fine del 2000 e l'aprile 2001, ossia sotto la perdurante vigenza della vecchia disciplina, la cui violazione comunque rileva in questa sede, non potendo nel campo della responsabilità amministrativa operare un principio similare a quello penalistico della retroattività dell'abolitio criminis.

È in conclusione ingiusto, ossia arrecato non iure, il danno che oltre ad essere prodotto con palese violazione dei doveri inerenti all'ufficio, sia addirittura, come nella specie, generato attraverso la violazione di una disciplina legale, quale l'art. 28 della L. n.6972 del 1890, vigente al momento dei fatti e ciò vale senz'altro ad integrare, sotto il profilo dell'elemento oggettivo, il perfezionamento della fattispecie di responsabilità amministrativa.

E la suddetta violazione, nella sua dimensione più piena, è indubbiamente riscontrabile nel caso di specie, poiché la natura palesemente rischiosa dell'investimento operato con il danaro della IPAB I.R.A di Padova, quale risultante dal foglio illustrativo predisposto dall'Istituto Bancario S. Paolo IMI, nonché dall'Allegato A costituente parte integrante del contratto (il fondo era composto da una quota azionaria del 30% ed obbligazionaria del 70% e connotato da una “propensione al rischio elevata”), non può certo essere bilanciata e neutralizzata dalla maggiore redditività presunta del fondo rispetto ai titoli di stato, richiedendo la norma violata - e prima ancora i doveri di prudenza connaturati all'esercizio dell'ufficio- prodotti finanziari di sicuro affidamento.

Deve indi procedersi alla verifica del nesso di causalità tra danno e condotta dei convenuti, da intendersi nella duplice accezione di comportamento attivo od omissivo imputabile al soggetto agente.

A tale riguardo, sulla base di quanto emerge con chiarezza dagli atti, la Sezione ritiene che il danno sia stato causato anzitutto dalla condotta commissiva posta in essere dal Rag. Lessio Ugo nella sua qualità di Direttore amministrativo - Segretario Generale dell'ente danneggiato e nell'esercizio delle correlate funzioni di responsabile della gestione finanziaria ed amministrativa dell'ente.

È al menzionato convenuto che risultano, infatti, direttamente riconducibili sia la disposizione dell'investimento in questione (con determinazione n.165 del 12 luglio 2000 versata in copia in atti) sia il suo mantenimento oltre i limiti di tempo originariamente previsti, nonostante gli altri organi dell'ente lo avessero in diverse e successive occasioni richiamato al rispetto delle prescrizioni di legge e di istituto.

Risultano agli atti, infatti i verbali del Collegio dei revisori del 4 ottobre 2000 e dell'8 novembre 2000, in cui si pone ben in luce la rischiosità dell'investimento operato e si sollecita lo smobilizzo del fondo, nonché la nota del 7 novembre 2000 con cui il Lessio, ribadita la correttezza e la proficuità delle scelte operate si impegnava a disinvestire entro la fine del 2000, impegno poi disatteso e seguito dalla nota del 19 febbraio 2001 in cui il medesimo, visto l'anda-mento negativo della gestione patrimoniale, riteneva opportuno mantenere ancora fermo l'investimento per attendere l'eventuale ed auspicata ripresa della quotazione del fondo.

Quanto, in particolare, al danno concretatosi negli interessi passivi pagati per il necessitato ricorso alle anticipazioni di tesoreria, emerge evidente, dalla stessa memoria di costituzione del convenuto Lessio, che l'investimento operato era ad “un orizzonte temporale lungo”, ovvero tale da non consentire un rapido recupero delle somme onde impiegarle per l'effettuazione delle spese correnti dell'ente (cfr pag.7 e 10 della memoria).

Già con lettera n.921 del 5.3.01 della Dr.ssa Sandra Nicoletto, Ragioniere Capo, indirizzata tra gli altri, a tutti e tre i convenuti, era stato comunicato che in data 19.1.01 si era dovuta richiedere, per fronteggiare le ordinarie necessità dell'istituto, un'anticipazione di £.3.000.000.000, per cui si sollecitava il rientro delle somme investite, onde evitare il pagamento di gravosi interessi passivi di tesoreria.

Il Lessio, chiamato dal Consiglio di amministrazione a rendere chiarimenti, nella nota in allegato al verbale della seduta consiliare dell'8.3.01 e poi nella lettera del 15.3.01 indirizzata al Presidente Berardini ed al Presidente del Collegio dei Revisori, aveva ribadito la propria autonomia gestionale, preoccupandosi più di lamentare un'indebita ingerenza della Dr.ssa Nicoletto ai danni della sua sfera di competenza che di giustificare la correttezza del suo operato in merito all'investimento effettuato.

Né di certo può giovare, in questa sede, al convenuto Lessio invocare la meritevolezza degli interessi perseguiti (acquisto del pulmino per disabili), che sarebbe stata a suo dire tale da far apparire l'investimento operato come esecutivo del terzo comma dell'art.28 della L.6972 del 1890.

Appare invero facile osservare che il menzionato com-ma, nella parte in cui dispone che: “Le somme suddette pos-sono tuttavia, con l'autorizzazione della Giunta provinciale amministrativa, essere impiegate nel miglioramento del patrimonio esistente, nei casi nei quali sia evidente la maggiore utilità di tale impiego”, si riferisce ai casi in cui il danaro in eccesso, invece di essere investito all'esterno dell'ente, viene impiegato direttamente all'interno di esso per potenziarne il patrimonio, cosa che sarebbe certo avvenuta soltanto se il Lessio, invece di investire la somma in titoli,  avesse acquistato subito, con una parte di essa, il pulmino.

Il nesso di causalità sussiste anche tra le due voci di danno ed il comportamento omissivo tenuto dal convenuto Bernardini, considerato che l'art.14 dello Statuto, come modificato con deliberazione del Consiglio di Amministrazione n.90 del 21 maggio 1998, pone a carico del Presidente il compito di sovrintendere al buon andamento dell'istituto.

L'art. 5 del regolamento approvato con deliberazione del Consiglio di amministrazione del 22 dicembre 1998 n.235, stabilisce inoltre che il Presidente, quale organo di governo, è “responsabile della amministrazione dell'ente” e titolare del potere di “impartire direttive al segretario generale..” nonché di “verificare lo stato di attuazione.. dei piani e programmi approvati dal Consiglio”.

L'art. 8 del medesimo regolamento, conferma che al Segretario Generale “spettano tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dagli organi di governo, secondo le direttive impartite dal Presidente”.

Gli evidenziati danni appaiono parimenti imputabili pure alla condotta omissiva del Consigliere Caobianco Luciano, il quale avrebbe potuto e dovuto impedire il verificarsi del danno, essendo titolare, rispetto al servizio di ragioneria ed alla gestione economico-finanziaria, di specifici poteri di vigilanza in virtù della delega conferitagli con deliberazione del Consiglio di Amministrazione n.278 del 1996 in applicazione dell'art.20, 2° comma, dello Statuto.

Lo stesso Consiglio di Amministrazione di cui il Caobianco era componente si era invece limitato, nell'allegato al verbale della seduta dell'8 marzo 2001, a prendere atto, riservandosi di “adottare eventuali provvedimenti”, della nota della Dr.ssa Nicoletto del 5.3.01, pur riconoscendo che ad esso spettava “la verifica dell'osservanza delle disposizioni sopradette da parte del Dirigente Segretario Generale”, che era stato semplicemente invitato a fornire delucidazioni sull'andamento dell'investimento, nonostante a quella data il danno fosse già conclamato.

Quanto all'elemento soggettivo richiesto dall'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dall'art. 3, comma 1, della legge 20 dicembre 1996, n. 639, nella specie la sussistenza della colpa grave in capo a Lessio Ugo può ritenersi insita nella stessa natura incauta dell'investimento, che è tale da sfiorare i limiti dell'avventa-tezza, prima ancora che nella palese violazione dei parametri legali delineati con estrema chiarezza dal citato art. 28.

In relazione agli altri due convenuti, appare altresì evidente la sussistenza di una loro inerzia, del pari gravemente colposa dinanzi all'operato, contrario ai principi di buona amministrazione e buon andamento, imputabile al Lessio, laddove avrebbero invece potuto e dovuto intervenire più efficacemente e tempestivamente per arginare i danni dell'o-perazione finanziaria in questione. 

Il comportamento del Beradini, in particolare, non appare nel complesso contrassegnato da quel livello minimo di diligenza che la delicatezza del suo ruolo di Presidente avrebbe richiesto, come poi fatto dal nuovo Presidente dell'Istituto che si attivava, immediatamente dopo essere stato nominato, per dar corso allo smobilizzo delle somme illegittimamente investite.

Né possono considerarsi convincenti in senso contrario i rilievi sollevati dal Presidente Bernardini a sua discolpa nella memoria di costituzione, laddove rappresenta che: “i verbali del Collegio dei Revisori non venivano trasmessi al Presidente”, né gli era giunta la corrispondenza tra l'I.R.A. e la S. Paolo IMI concernente l'investimento.

Egli era infatti ben a conoscenza della reale situazione finanziaria dell'ente, tant'è vero che risulta agli atti l'ordi-nanza da lui stesso firmata, in data 19 gennaio 2001, per richiedere alla Tesoreria un'anticipazione di cassa da utilizzare per sopperire alle temporanee deficienze di liquidità e del resto anche il Lessio gli aveva direttamente comunicato l'an-damento negativo dell'investimento, con nota del 19 febbraio 2001.

Il Bernardini, tuttavia, invece di sollecitare in modo efficace, all'interno della struttura dell'ente, il recupero delle somme investite prima che le perdite raggiungessero un livello elevato, si era limitato, il 20 febbraio 2001, a scrivere al Direttore dell'Agenzia S. Paolo una generica lettera “come obbligo d'ufficio, con invito a fornire quella ulteriore assistenza per il sicuro positivo esito dell'investimento” e, nel verbale della successiva seduta del Collegio dei Revisori del 28 febbraio 2001, aveva invitato ancora una volta il medesimo Direttore presente “ad attivarsi presso il suo Istituto Bancario per provvedere ad ottenere idonea garanzia al fine di evitare il danno de quo”.

È lo stesso convenuto Bernardini, infine, ad ammettere, di essersi attivato troppo tardi per impedire che si producesse un danno a scapito del patrimonio dell'ente laddove, a pag.13 della memoria di costituzione, si legge testualmente che “Quando il Presidente dell'I.R.A. ha cercato, sempre in collaborazione col Collegio dei revisori, di acquisire informazioni sull'operato del Segretario-direttore amministrativo la situazione era ormai pregiudicata”.

Quanto al convenuto Caobianco non giova a quest'ul-timo rilevare, per esimersi da responsabilità per colpa grave, come, almeno in un primo momento, ai consiglieri non fosse stato riferito nulla in merito all'investimento operato, nella convinzione che si trattasse di attività gestionale propria del Segretario-Direttore amministrativo in applicazione dell'incarico ricevuto e che quest'ultimo avesse espressamente rivendicato la propria autonomia al riguardo nella riunione del Consiglio di Amministrazione dell'8.3.01, o ancora che “Della decisione di investire nei fondi e dei rischi per il patrimonio dell'ente il consigliere Caobianco ha avuto informazione solo quando ormai la situazione era pregiudicata, attraverso il fax del 17 novembre 2000 inviato dalla ragioniera capo su suo sollecito. Egli non aveva avuto comunicazione alcuna dei verbali dei revisori dei conti ed era perciò all'oscuro di tutto …e non è stato coinvolto nemmeno in nessuna delle riunioni successive in considerazione del mancato disinvestimento a cui hanno partecipato revisori dei conti e Presidente dell'Istituto, unitamente al Segretario e, a volte, al consulente dell'Imi”. È agevole infatti osservare che proprio dal quel Consiglio di Amministrazione di cui era componente il Caobianco, ed oltretutto su sua stessa proposta, il Lessio era stato investito dell'incarico in questione e che il menzionato convenuto fu tempestivamente informato dei rischi rilevati dal Collegio dei Revisori, nei verbali del 4.10.00 e dell'8.11.00, in merito all'investimento effettuato dal Segretario Generale (come risulta dal fax inviatogli già in data 17 novembre 2000 dal Ragioniere Capo dell'istituto), ma omise di adottare tutte le possibili cautele per evitare che l'operazione posta in essere dal Segretario si rivelasse lesiva.

Così accertata la sussistenza di tutti gli elementi necessari ad affermare la responsabilità amministrativa dei convenuti, la Sezione ritiene che, per parametrare la misura della responsabilità al diverso apporto causale fornito da ciascuno dei condannati nella dinamica del fatto, in cui è palese il ruolo di primaria importanza svolto dal Lessio, e conseguentemente per operare una esatta suddivisione della misura del risarcimento tra gli stessi, la complessiva somma di euro 110.358,00, debba essere ripartita a loro carico nelle seguenti percentuali: 70% per Lessio Ugo (corrispondente ad euro 77.250,6), 15% ciascuno per Caobianco e Bernardini (corrispondente ad euro 16.553,7).

In merito alla domanda spiegata in via subordinata da tutti e tre i convenuti,  si osserva che il livello di colpa rilevato in capo ad essi è tale da non consentire, ad avviso del Collegio, il richiesto esercizio del potere riduttivo di cui all'art. 52, 2° co., t. u. n. 1214 del 1934 ed all'art.83, 1° co., R.D. 1923 n.2440.

Sugli importi predetti sono dovuti la rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo l'andamento dell'indice ISTAT, dal momento della causazione del danno (ossia dal 13 aprile 2001, data in cui il pregiudizio si è concretizzato in seguito all'integrale e definitivo smobilizzo dell'investimento) alla data di deposito della presente sentenza, ed interessi legali sulle somme così rivalutate, da computarsi dalla data di pubblicazione della pronuncia giudiziale a quella dell'effettivo pagamento. Quanto alle modalità di riscossione, le somme così determinate verranno recuperate dall'Ente creditore ai sensi e con le modalità di cui al DPR 24 giugno 1998, n. 260, recante il Regolamento per la semplificazione dei procedimenti di esecuzione delle decisioni di condanna e risarcimento di danno erariale (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 180 del 4 agosto 1998).

I convenuti sono anche condannati, in proporzione alla rispettiva percentuale di responsabilità, al pagamento delle spese giudiziali, come per ciascuno quantificate in dispositivo, secondo il generale principio processuale della soccombenza consacrato dall'art. 91 c.p.c. ed operante anche nel processo contabile in virtù del rinvio operato in chiave dinamica dall'art. 26 del R.D. n.1038/33 .

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO,

definitivamente pronunciando nel giudizio di responsabilità iscritto al n.22618 del registro di Segreteria, respinta ogni contra­ria istanza, deduzione ed eccezione, accoglie parzialmente la domanda attrice, e per l'effetto:

a) condanna Lessio Ugo, come in epigrafe generalizzato, al pagamento in favore delle finanze della IPAB I.R.A. di Padova della somma di euro 77.250,6, da rivalutarsi come in parte motiva ed alla corresponsione degli interessi legali sulla somma così determinata, dalla data di deposito della sentenza fino all'effettivo saldo, nonché al pagamento del 70% delle spese processuali;

b) condanna Berardini Ruggero, come in epigrafe generalizzato, al pagamento in favore delle finanze della IPAB I.R.A. di Padova, della somma di euro 16.553,7, da rivalutarsi come in parte motiva ed alla corresponsione degli interessi legali sulla somma così determinata, dalla data di deposito della sentenza fino all'effettivo saldo, nonché al pagamento del 15% delle spese processuali;

c) condanna Caobianco Luciano, come in epigrafe generalizzato, al pagamento in favore delle finanze della IPAB I.R.A. di Padova, della somma di euro 16.553,7, da rivalutarsi come in parte motiva ed alla corresponsione degli interessi legali sulla somma così determinata, dalla data di deposito della sentenza fino all'effettivo saldo, nonché al pagamento del 15% delle spese processuali;

d) liquida le spese di giustizia in  Euro 338,87 (euro trecentotrentotto/87 centesimi).

Manda alla Segreteria per gli ulteriori adempimenti.

Così deciso in Venezia, nella camera di con­siglio del 24.3.04.

              L'estensore                                 Il Presidente

         (F.to Rosalba Di Giulio)           (F.to Sergio Zambardi)

 

 

Depositata in Segreteria 29/06/04

Il Direttore della Segreteria

                                                                                                                                                                      F.to Guarino