REPUBBLICA ITALIANA Sent. n.1336/04

    IN NOME  DEL POPOLO ITALIANO

    LA CORTE DEI CONTI

Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio

composta dai seguenti magistrati

dott. Furio Pasqualucci                  Presidente     

dott. Gaetano Russo                       Consigliere

dott. Maria Fratocchi Quaglini     Consigliere  relatore

ha pronunciato la seguente

                                                  SENTENZA

nel giudizio di responsabilità promosso dal Procuratore regionale nei confronti del sig. Pasquale Tramutola;

Visto l’atto introduttivo del giudizio iscritto al n.  058814 del registro di segreteria;

Visti gli altri atti e documenti di causa;

Uditi alla pubblica udienza del 23 febbraio 2004 il consigliere relatore d.ssa Maria Fratocchi Quaglini,  il P.M. nella persona del Vice Procuratore Generale dr. Guido Patti.

                                                       FATTO

Con atto di citazione del 9 dicembre 2002, ritualmente notificato, la Procura Regionale ha convenuto in giudizio il sig. Pasquale Tramutola chiedendone la condanna al risarcimento del   danno all’immagine   di Euro 5.165,00 (comprensivi di rivalutazione monetaria) oltre interessi e spese di giudizio per i fatti di seguito esposti.

Con nota del 10.4.2002 il Sostituto Procuratore della Repubblica ha trasmesso alla competente Procura Regionale della Corte dei conti, ai sensi e per gli effetti degli artt. 5 - c.4 e 7 della legge n. 97/2001, copia del dispositivo della sentenza di condanna ad anni 2 e mesi 11 di reclusione  emessa a carico del sig. Pasquale Tramutola, istruttore direttivo dei VV. UU. del Comune di Roma, divenuta irrevocabile il 4.6.2001, per aver commesso il reato punito e previsto dagli artt. 81 c.p.v, 56 e 317 c.p..

Con nota in data  8 maggio 2002 il Dirigente della U.O. Personale - III Area del Corpo di Polizia Municipale di Roma, dr. Marco Giovagnorio, rendendo noto   che il dipendente sig. Tramutola Pasquale era stato collocato a riposo in data  1 luglio 1997,  si è dichiarato disponibile per eventuali informazioni in merito alla vicenda; informazioni  fornite  con successiva nota del 2.8.2002 a firma del Comandante del Corpo della Polizia Municipale - U.O. Personale dr. Aldo Zanetti.

Le notizie acquisite hanno consentito  alla Procura di accertare che la signora Infante Antonietta, esercente attività commerciale di venditrice ambulante insieme alla suocera Proietti Teresa, in data 15.12.1991 aveva denunciato ai Carabinieri di Roma - Stazione Madonna del Riposo di essere oggetto, da diversi anni, di abusi e di sottrazione di merce da parte dell’ I.P.M. Tramutola Pasquale, in servizio presso la U.O. 18^ gruppo.

La stessa aveva dichiarato, altresì, che l’agente si era spinto fino a richiederle prestazioni sessuali pena l’irrogazione di sanzioni amministrative in materia di autorizzazioni al commercio.

Esperiti i necessari accertamenti, i Carabinieri avevano inviato apposita informativa alla Procura della Repubblica per gli atti di competenza.

Dalla ulteriore attività investigativa, svolta su espressa  delega  conferita  dal P.M. penale, dr. Davide Iori, emergeva un generale malcontento nei confronti del sig. Tramutola da parte dei commercianti della zona, i quali criticavano la  condotta dello stesso spesso improntata  a minacce nei confronti degli operatori ambulanti del commercio e riferivano che questi ultimi  avevano anche presentato un esposto al comando dei Vigili senza però denunciare gli abusi alla A.G.O. per timore di ripercussioni negative sulla loro attività lavorativa.

Le indagini consentivano di  accertare anche il verificarsi di episodi intimidatori (lancio di ordigni esplodenti) nei confronti dell’agente da ricollegare, presumibilmente, all’atteggiamento ricattatorio e persecutorio dello stesso.

Dai fatti riscontrati conseguiva il rinvio a giudizio del Tramutola per i seguenti reati:

A)  delitto previsto e punito dagli artt. 81 cpv, 56 e 317 c.p. perché con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, nella sua qualità di Vigile Urbano (Istruttore direttivo) in servizio presso il 18^ Gruppo di Roma, addetto al settore Commercio ed in particolare al controllo della regolarità del commercio ambulante, abusando, in più riprese del suddetto ufficio e segnatamente utilizzando in modo non imparziale il suo potere di controllo e di applicazione di contravvenzioni, induceva la sig.ra Infante Antonietta a tollerare, senza il pagamento di corrispettivo,  reiterate sottrazioni di merci, anche da parte dei suoi parenti, dal proprio banco di vendita, nonché compiva in modo non equivoco atti diretti  ad obbligare  la predetta  a congiungersi carnalmente con lui; evento non verificatosi solo per la resistenza opposta dalla parte offesa.

Le accuse inducevano il Tribunale di Roma ad emettere, in data 16.4.1999, sentenza di condanna ad anni 4 e mesi 6 di reclusione oltre al risarcimento dei danni materiali e morali alla Infante Antonietta costituitasi parte civile  ed alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per anni cinque.

Condanna  confermata dalla II  Sezione Penale della Corte di Appello di Roma che con sentenza n. 8999/2000 riduceva tuttavia la pena ad anni 2 e mesi 11 di reclusione e fissava in Lire 15.000.000 l’ammontare del risarcimento danni alla parte civile.

Il conseguente ricorso  in Cassazione veniva  rigettato con sentenza n.13562 depositata il 5 giugno 2001.

Per la vicenda, a  carico del convenuto non risultano essere stati adottati provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio o procedimenti disciplinari.

In data 27 luglio 2002 la Procura Regionale ha notificato al convenuto atto di invito a dedurre ex art. 5 della legge n. 19/1994.

L’interessato ha depositato, il 5 agosto 2002, richiesta di audizione personale fissata, in accoglimento,  il successivo 3 ottobre.

Nella circostanza il convenuto ha negato sia di aver fatto proposte sessuali alla signora Infante sia di aver ottenuto da quest’ultima regalie di merci,  sostenendo, in sostanza, di essere oggetto  di affermazioni false messe in giro dalla commerciante.

La Procura ha ritenuto le argomentazioni esposte dal convenuto, non idonee a superare i contestati profili di responsabilità amministrativa per le considerazioni di seguito esposte.

A parere di parte attrice la responsabilità del Tramutola emerge, in primo luogo, dalla esposizione dei fatti così come riportati nella sentenza di condanna di primo grado.

Difatti, al di là di alcune imprecisioni  nella ricostruzione della vicenda, ritenute, tuttavia, dal giudice penale del tutto irrilevanti ai fini del decidere, rimane impregiudicata la circostanza, obiettivamente accertata (pag. 3 e segg. sentenza) che il convenuto da oltre 10 anni era solito passare al banco di vendita della sig.ra Infante, a volte in divisa, a volte in borghese, per appropriarsi sistematicamente di articoli di biancheria intima, da uomo o da donna, senza pagamento di alcun corrispettivo; talvolta erano gli stessi titolari del banco a portare la merce nella macchina del convenuto dietro suo invito.

Il Tramutola, inoltre, aveva invitato anche sue cognate a prelevare calze da donna, ed un’altra volta aveva persino accompagnato sua figlia al banco in questione sollecitandola a rifornirsi del necessario.

Tali episodi - prosegue la sentenza - si protraevano sino a sei-sette mesi prima della denuncia citata, per lasciare poi posto ad un altro genere di condotta: il Tramutola non si interessava più alla merce ma dirigeva la sua attenzione verso la sig.ra Infante, chiedendole più volte di avere rapporti sessuali con lui promettendole in cambio la tranquillità nel lavoro.

In seguito al rifiuto della vittima, il convenuto cominciava ad elevare svariate contravvenzioni e, appena si presentava l’occasione, rammentava all’Infante le sue proposte sessuali, fino a raggiungere un atteggiamento di vera e propria persecuzione e ritorsione, attuato nei confronti della stessa nella giornata del 15 dicembre 1991, allorché avvalendosi dell’ausilio dei Carabinieri, non solo elevava a carico della signora una contravvenzione del tutto pretestuosa (cfr. pag. 5 sentenza), ma addirittura disponeva il ritiro della licenza di commercio per 15 giorni.

Al riguardo i giudici di primo grado danno atto che le dichiarazioni rese dalla parte civile portano ad una affermazione di piena credibilità e attendibilità della teste.... Invero sotto il profilo della nitidezza del ricordo l’Infante ha ricostruito le vicende in cui è stata coinvolta in prima persona in modo puntuale, univoco, logico, circostanziato, non contraddittorio... le dichiarazioni rese hanno trovato diretto ed oggettivo riscontro nella deposizione della suocera....Non risulta invece credibile la versione dei fatti fornita dall’imputato perché egli, pur negando in linea di principio gli addebiti contestatigli, ha fornito dichiarazioni contraddittorie e prive di riscontri oggettivi nelle risultanze dell’istruttoria dibattimentale”.

I dati che emergono dai processi penali dimostrano, in tutta evidenza, il ruolo determinante avuto dal sig. Tramutola per il perseguimento di finalità criminose, nonché il nesso causale intercorrente tra tale condotta dolosa e il danno erariale cagionato.

E difatti il convenuto, strumentalizzando le funzioni inerenti al proprio ufficio, ha esercitato una indebita pressione psicologica sulla vittima, inducendola a tollerare sia l’asportazione reiterata di merce senza corrispettivo del prezzo (unitamente ai suoi congiunti), sia il ricatto sessuale.

Ciò che emerge con chiarezza è la continuazione e reiterazione nel tempo della condotta illecita imputabile all’interessato, durante lo svolgimento della sua attività di vigile urbano addetto al controllo del commercio, con evidente abuso di funzioni e di poteri.

Tutto ciò, secondo il procuratore, ha senz’altro determinato una notevole perdita di immagine per l’Amministrazione Comunale.

Pertanto, il danno erariale che da tale condotta è derivato all’Amministrazione di appartenenza del Tramutola si delinea, essenzialmente, sotto il profilo del danno all’immagine, inteso quale danno conseguente alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell’immagine e della personalità della P.A. concretatosi generalmente in un discredito della medesima enfatizzato dalla stampa, con la lesione della credibilità derivata alla struttura pubblica dalla condotta riprovevole assunta dal convenuto in violazione dei propri doveri fondamentali verso la P.A..

Tale danno  anche  se  non comporta,  in senso stretto,  una diminuzione patrimoniale diretta appare, tuttavia, suscettibile di valutazione patrimoniale con riferimento alla valutabilità economica  della suddetta lesione di immagine, di prestigio e personalità della P.A.  così come è stato riconosciuto dalla Cass.  S.U.  (cfr. sentenza n. 5668/97)  che richiamando una precedente pronuncia (sentenza n. 3970/93)  ha preso in considerazione la eventuale sopportazione,  da parte della P.A.,  dei maggiori costi  necessari  per il recupero  del prestigio  pregiudicato.

Il danno in parola attiene, quindi, alla sfera degli interessi pubblici giuridicamente protetti e dei beni pubblici meritevoli di tutela la cui lesione sia suscettibile di arrecare un pregiudizio economicamente valutabile, a prescindere, quindi, dalla materialità o meno, dalla patrimonialità o meno del bene o dell’interesse protetto.

La Procura, inoltre, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte in materia di responsabilità per danno all’immagine, ha sottolineato, altresì,  che la stessa ha esplicitamente riconosciuto  la giurisdizione di questa Corte nei confronti del pregiudizio in parola  anche in ipotesi di assenza di contestuali danni patrimoniali in senso proprio (Sez. I 28.4.1998 n. 109; Sez. Umbria 28.5.1998 n. 501) ed a prescindere dall’accertamento di fatti penalmente rilevati (Sez. Lombardia n. 554/EL del 24.3.1998; Sez. Campania n. 29 del 23.4.1998; Sez. Umbria n. 628/R del 28.5.1998; Sez. Basilicata n. 27 del 26.2.1999).

Per quanto concerne la quantificazione del danno all’immagine, la Procura ha puntualizzato che la natura dello stesso consente di prescindere sia dalla reale effettuazione di spese per il ripristino del bene immateriale leso o dalla loro programmazione (Sez. Lazio n. 1723 del 11.4.2001; n. 3945 del 5.11.2001) sia dall’analitica dimostrazione dei costi sopportati per la reintegrazione del bene leso o comunque dal criterio della suscettibilità del danno ad essere oggetto di valutazione economica, essendo sufficiente fornire anche un principio di prova (Sez. II centr. n. 338/2000) e ben potendo il prudente apprezzamento del giudice fondarsi su circostanze ed elementi disparati. (Sez. II n. 130 del 17.4.2002).

In conclusione,  il Procuratore ha ritenuto  il comportamento del convenuto gravemente pregiudizievole per l’immagine ed il prestigio dell’Amministrazione presso cui lo stesso operava.

Pregiudizio direttamente ricollegabile all’eco negativa che dal comportamento illecito derivò all’Ente per la peculiarità degli interessi violati, per il ruolo determinante assunto dal convenuto nel perseguimento di finalità criminose, per i riflessi negativi che le successive indagini penali arrecarono al buon andamento dell’Ufficio ed, infine, per il discredito che dalla vicenda è derivato alla struttura pubblica in quanto tale, oltre che ai suoi componenti sostanzialmente estranei alla vicenda stessa.

Trattandosi dunque di danno ontologicamente certo, la sua quantificazione va peraltro affidata alla valutazione equitativa del giudice ai sensi dell’art. 1226 c.c. secondo i criteri: oggettivo, soggettivo e sociale.

Sulla base dei citati criteri, la Procura ha ritenuto equo determinare in Euro 5.165,00 (compresivi di rivalutazione monetaria) il risarcimento del danno all’immagine dell’Amministrazione comunale cagionato dal sig. Tramutola Pasquale, oltre interessi legali e spese di giustizia.

In data 29 gennaio 2004 il convenuto ha prodotto memoria difensiva nella quale, in sostanza, dopo aver evidenziato la falsità di  varie dichiarazioni rese dalla sig.ra Infante e famiglia nel corso dell’interrogatorio in sede penale, ha chiesto di essere  prosciolto da ogni addebito.

All’odierna pubblica udienza il P.M. ha confermato la richiesta di condanna.

                                                DIRITTO

Il presente giudizio ha per oggetto la richiesta, formulata dalla P.R. presso questa Sezione, di risarcimento del danno all’immagine (quantificato in Euro 5.165,00) cagionato all’Amministrazione Comunale di Roma dal sig. Pasquale Tramutola per effetto di comportamenti illeciti consistenti in fatti di concussione  per i quali  è stato condannato ad anni due e mesi 11 di reclusione con sentenza divenuta irrevocabile il 4.6.2001.

In particolare nell’atto di citazione e nella successiva requisitoria orale, il P.M. ha sottolineato come  la condotta criminosa, per la lesività e la riprovevolezza dei fatti sotto il profilo morale, induce a ritenere provato pienamente l’indebito uso, da parte del convenuto, dell’ufficio e della funzione pubblica rivestita, piegata a fini privati, con conseguente produzione di danno all’immagine  dell’Amministrazione Comunale, cioè di danno correlato non ad una diminuzione patrimoniale diretta, ma conseguente alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell’immagine e della personalità pubblica dell’Ente.

Al riguardo il Collegio, come sottolineato dall’organo requirente, deve evidenziare in primo luogo che l’istruttoria dibattimentale svolta a carico del sig. Tramutola durante il processo penale - le cui risultanze, ai sensi dell’art. 651 c.p.p. hanno efficacia di giudicato nel giudizio amministrativo di danno - hanno fatto emergere chiaramente diversi profili di colpevolezza nella condotta del convenuto tali da giustificare l’affermazione della penale responsabilità dello stesso in ordine al reato ascrittogli.

La lesività e la riprovevolezza dei fatti di cui si discute (di cui  è diffusamente dato conto nella motivazione delle sentenze di primo e secondo grado) induce a ritenere provato pienamente l’indebito uso, da parte del Tramutola dell’ufficio e della funzione pubblica rivestita, reiteratamente rivolta  a fini privati.

Né, peraltro, sembra possano indurre in diversa considerazione le dichiarazioni a discolpa né, tantomeno, le affermazioni di falsità rivolte alla sig.ra Infante ed ai membri della sua famiglia contenute nella nota difensiva del gennaio c.a. puntualmente contraddette dalle conclusioni della sentenza penale.

La grave deviazione dal modello di corretto comportamento istituzionale e la rilevante violazione dei doveri primari di fedeltà e di probità  perpetrata dal sig. Tramutola, in esecuzione di un piano mirato soprattutto ad ottenere indebiti vantaggi personali, hanno determinato indubbiamente una notevole discredito  per l’Amministrazione Comunale con profondo danno all’immagine della stessa nei confronti dei cittadini e, di converso, conseguente nocumento  per l’elemento di coesione della comunità amministrata.

Infatti, costituisce dato di rilievo sociologico, prima ancora che giuridico, il fatto che in virtù di un rapporto di immedesimazione la coscienza sociale tende ad identificare l’amministratore ed il dipendente pubblico con l’Amministrazione che rappresenta e nel cui interesse agisce; cosicché il comportamento illecito da questi posto in essere viene ad essere visto e sentito come espressione di una devianza della struttura pubblica dalle regole di efficienza, buon andamento e imparzialità (art. 97 Cost.).

La rilevata autonomia del danno all’immagine rispetto a quello morale, come elaborata dalla giurisprudenza, consente di svincolarlo dai limiti derivanti dal collegamento all’illecito penale di cui all’art. 2059 c.c., il quale secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale deve intendersi riferito al solo danno morale subiettivo (Corte Costituzionale 30.6.1986, n. 184), per cui ben può sussistere tale ipotesi di danno anche se non è collegata ad alcun reato.

Il danno patrimoniale indiretto, nella cui categoria viene ricompreso quello all’immagine, presenta, rispetto al danno patrimoniale diretto, la peculiarità di una maggiore indeterminatezza della relativa quantificazione alla quale, probabilmente, non è estranea la difficoltà a superare la concezione tradizionale del danno risarcibile come lesione di un diritto patrimoniale.

 Nel caso del danno all’immagine, in sostanza, la valutazione del pregiudizio va svincolata dalla pura concezione aritmetico - contabile ma, più propriamente, va inquadrata nella rilevanza economica che la compromissione del bene riveste in sé e per sé (Corte Cost. 30.12.1987,  n. 641). Questa concezione di tutela “avanzata”  del danno risarcibile risponde a crescenti esigenze di protezione dei beni giuridici via via emergenti nella società contemporanea, ancora più rilevanti allorché il soggetto passivo sia una Amministrazione pubblica. La valorizzazione, nella legislazione degli ultimi decenni, delle varie forme di partecipazione dei cittadini all’attività amministrativa ed in generale alla vita delle istituzioni, l’esaltazione del consenso sociale come forma di legittimazione dei poteri pubblici, sono tutti elementi che vanno nella direzione di un rafforzamento della tutela dell’immagine e del prestigio della P.A.

Come posto nel debito rilievo dalle SS.UU. della Corte Suprema (sent. 744/99) è da tenere presente che poiché la nozione di danno all’immagine è sorta con riferimento alla sfera giuridica della persona fisica, l’estensione alla sfera della persona giuridica e, a maggior ragione,  a quella pubblica  deve tenere conto di tale differenza ontologica.

Sul  piano probatorio ciò comporta che i mezzi di prova offerti possano, nel concreto, differenziarsi da quelli cui fa ricorso il giudice civile in relazione al danno all’immagine sofferto dalla persona fisica, ma non esclude certamente che la prova di tale danno debba essere fornita.

Si ritiene, quindi, di non poter concordare con l’orientamento giurisprudenziale che dal comportamento illecito di un pubblico dipendente fa discendere ex se un danno all’immagine dell’Amministrazione, occorrendo, invece, prendere in considerazione la diffusione dell’illecito stesso nella comunità interna ed esterna a colui che ha commesso l’illecito.

Il più delle volte tale idoneità si coglie in relazione a fatti corruttivi e/o concussivi, inquadrabili sotto il profilo penale nell’ambito dei reati contro la P.A., ma non è da escludere che possa derivare da altri comportamenti penalmente illeciti o addirittura ad un fatto penalmente irrilevante.

Nella fattispecie all’esame, come detto, è incontestabile  che il pregiudizio recato all’immagine dell’Amministrazione Comunale si è tradotto in un vero e proprio danno sociale per effetto del discredito derivato dal comportamento illecito del convenuto; discredito emerso dapprima tra gli operatori ambulanti del commercio quotidianamente a contatto con lo stesso (culminato con il lancio di ordigni esplodenti nei confronti dell’agente ricollegabile all’atteggiamento ricattatorio e persecutorio dello stesso nei confronti dei commercianti della zona che avevano presentato anche un esposto al comando dei Vigili senza però denunciare gli abusi alla A.G.O. per timore di ripercussioni nell’attività lavorativa) e successivamente, con lo svolgimento dell’azione penale, esteso in ambito più allargato.

E’ allora evidente che fatti come quelli per cui è causa che ingenerano, e non può essere altrimenti, sentimenti di sfiducia e di avvilimento nei cittadini che non si sentono adeguatamente rappresentati e tutelati da quanti a tale compito istituzionale sono preposti, comportano necessariamente costi necessari per riaffermare la credibilità dell’Amministrazione quali campagne pubblicitarie, programmi per la riorganizzazione degli uffici, per la predisposizione di contromisure per evitarne il ripetersi, nonché  la disaffezione da parte dei cittadini .

Naturalmente tali spese, in quanto spese dell’ente pubblico non risultano il più delle volte collegate al singolo fatto lesivo, ma si inquadrano in un contesto più ampio e, quindi, per quantificare il danno all’immagine questo organo giudicante ritiene di poter far ricorso alla valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., secondo i riconosciuti criteri oggettivo, soggettivo e sociale.

Pertanto tenuto conto dei  criteri oggettivo (gravità dell’illecito commesso), soggettivo (posizione del convenuto nell’ambito dell’Amministrazione) e sociale (rilevanza dell’Ente cui il responsabile apparteneva), nella fattispecie concreta  appare equo determinare il risarcimento del danno all’immagine cagionato dal sig. Tramutola Pasquale in Euro 5.000,00 (comprensivi di rivalutazione), con interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza e fino al soddisfo, oltre alle spese di giudizio.

                                                 P.Q.M.

La Corte dei conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio - definitivamente pronunciando  condanna  il sig. Tramutola Pasquale al pagamento, a favore del Comune di Roma, della somma, comprensiva di rivalutazione monetaria, di Euro 5.000,00 (cinquemila/00) sulla quale dovranno essere conteggiati gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza fino al soddisfo, nonché alle spese di giudizio che, fino all’originale della presente sentenza, si liquidano in Euro

 

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del  23 febbraio 2004

L’ Estensore                                                                                                 Il Presidente

(Maria Fratocchi Quaglini)                                                                    (Furio Pasqualucci)

Depositato in Segreteria 30/4/2004                                   Il Direttore di Segreteria M.Freda