REPUBBLICA ITALIANA               273/2004

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA

Composta dai seguenti Magistrati:

dott. Domenico Oriani                                Presidente

dott.Angelo Buscema                                Consigliere relatore

dott.Mauro Oliviero                                            Referendario

Ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Nel giudizio di responsabilità amministrativa promosso dal Procuratore regionale nei confronti di Antonia Manghisi e di Aldo Corea, rispettivamente, direttore generale e direttore amministrativo dell’Azienda Ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro, rappresentati e difesi, rispettivamente, dagli avvocati Ernesto Sticchi Damiani e Alfredo Gualtieri con domiciliazione presso lo studio di quest’ultimo in Catanzaro vi Nuova Bellavista n.9, e Sandro Nisticò con domiciliazione nel suo studio di Catanzaro via M. Greco 174.

Visto l’atto introduttivo del giudizio iscritto al n.10363 del registro di segreteria;

Uditi alla pubblica udienza del 15 gennaio 2004 il relatore Consigliere dott. Angelo Buscema, l’avvocato Alfredo Gualtieri per la convenuta Manghisi, l’avvocato Sandro Nisticò per il convenuto Corea ed il procuratore regionale dott.ssa Cristina Astraldi.

Ritenuto in

FATTO

Con atto di citazione del 23 settembre 2003 il Procuratore regionale presso questa Sezione ha chiamato in giudizio i signori Antonia Manghisi e di Aldo Corea, rispettivamente, direttore generale e direttore amministrativo dell’Azienda Ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro per ivi sentirli condannare al pagamento in favore dell’erario della somma di euro 48.358,82, da ripartirsi nella misura del 75% a carico della Manghisi e del 25% a carico del Corea, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal momento dell’effettivo depauperamento del patrimonio dell’ente e fino al soddisfo.

Assume l’atto di citazione che con nota n.6248 dell’8 marzo 2002 il Nucleo regionale di polizia tributaria presso la Regione Calabria ha trasmesso alla Procura regionale notizie in merito all’affidamento, all’interno dell’Azienda Ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro, dell’incarico di consulente legale all’avv. Francesco Pullano, nonostante l’ufficio legale di detta Azienda avesse n.5 avvocati in pianta organica.

Da successiva relazione di verifica effettuata dall’Ispettorato della Ragioneria Generale dello Stato nei confronti della medesima Azienda risultava affidato incarico di consulenza all’avvocato Fancesco Pullano, pur disponendo l’Azienda di un ufficio legale il cui organico era costituito da due avvocati dipendenti e dal direttore amministrativo, anch’egli abilitato alla professione forense.

In particolare, dalle informazioni acquisite in via istruttoria è risultato che, nel periodo luglio 2001- ottobre 2002, risultavano in servizio presso l’Ufficio legale dell’Azienda Ospedaliera l’avvocato Nania, dirigente responsabile, l’avvocato Canino, dirigente amministrativo, l’avvocato Mamone, dirigente professionale; alle predette unità si aggiungeva la dottoressa Luciana Condemi, in servizio fino al 31 dicembre 2001.

Nella medesima relazione di verifica l’ispettore redigente osservava come il ricorso a legali esterni avrebbe dovuto essere giustificato da situazioni straordinarie e temporanee, utilizzando risorse di provata esperienza, non disponibili nel proprio organico, così come previsto dall’art.7, comma 6, del decreto legislativo n.29 del 1993.

Nel caso di specie, rilevava l’ispettore incaricato, tali requisiti non sussistevano, sia perché il professionista ha avuto incarico su base fiduciaria, per un anno e con clausola di rinnovo alla scadenza, sia perché lo stesso incarico si riferiva ad ipotetiche necessità di intervento per fatti che dovessero manifestarsi nel corso della vigenza della convenzione stipulata e quindi da ritenersi illegittimo per essere, appunto, in contrasto con la citata normativa.

Tuttavia, l’Azienda con deliberazione del direttore generale n.850 del 24 luglio 2001, acquisiti i pareri favorevoli del direttore amministrativo, dott. Corea e del direttore sanitario, dott. Valentini, affidava l’incarico al professionista fissando un compenso mensile di lire 2.500.00, pari ad euro 1.291,15, oltre CPA e IVA, come per legge.

Successivamente, lo stesso direttore generale, sempre previa acquisizione dei pareri del direttore amministrativo e del direttore sanitario, integrava la prima delibera con deliberazione n.1175 del 20 novembre 2001, elevando il compenso mensile a lire 8.000.000, pari ad euro 4.131.65, oltre IVA, giustificandolo con la estrema professionalità del Pullano, il quale ha garantito e garantisce la propria presenza quotidiana in Azienda, per un notevole numero di ore coincidenti con le attività della direzione aziendale.

A seguito delle osservazioni mosse dal Collegio dei revisori dei conti, circa la necessità di meglio delineare i compiti affidati al professionista, con nuova deliberazione n.21 del 22 gennaio 2002 del direttore generale, acquisiti sempre i pareri favorevoli dei direttori amministrativo e sanitario, veniva confermato l’incarico al professionista a tutto il 10 agosto 2002, integrando le precedenti deliberazioni con la specifica dettagliata dei compiti affidatigli.

Per i fatti esposti la Procura regionale ha notificato invito a dedurre ai signori dott.ssa Antonia Manghisi, dott. Aldo Corea e dott. Ettore Valentini.

Avverso tale invito sono pervenute alla Procura regionale deduzioni scritte di tutti e tre gli invitati che contestano l’addebito.

La dott.ssa Manghisi ha sottolineato le carenze di organico e le carenze organizzativo- gestionali dell’Azienda, anche dovute all’avvicendamento di ben quattro direttori generali nel periodo maggio 1999- maggio 2001, data quest’ultima del suo insediamento.

A parere della Manghisi le difficoltà gestionali risultavano aggravate dalla mancata adozione dell’atto aziendale, pur previsto, ai sensi dell’art.3, comma 1 bis, del decreto legislativo 19 giugno 1999 n.229.

Secondo la Manghisi, in assenza dell’atto aziendale, non potevano essere individuate adeguatamente quelle strutture operative, nell’ambito dell’azienda, dotate di autonomia gestionale che, laddove presenti, avrebbero permesso una gestione decisamente più snella ed elastica dell’attività amministrativa e non “sclerotizzata” ed ancorata ad un rigido ed anelastico rapporto tra i vari servizi e la dirigenza aziendale.

Compito del professionista era, pertanto, quello di realizzare un‘attività di raccordo tra i vari settori e la direzione generale.

Il predetto consulente doveva essere inserito nello staff del direttore generale per collaborare alla verifica dei provvedimenti in materia di attività negoziali e contrattuali dell’Azienda ospedaliera e per verificare la rispondenza degli stessi alla vigente normativa.

La Manghisi attestava inoltre che il medesimo professionista nello svolgimento di tali attività profondeva un notevole e quotidiano impegno presso l’Azienda profuso dal professionista il quale quotidianamente risultava, fornendo oltre all’assistenza legale una fattiva collaborazione nella riorganizzazione aziendale, ed assistendo la corretta attività amministrativa della medesima Azienda.

Il dott. Corea, direttore amministrativo, contesta la valenza dei pareri positivi espressi per l’adozione delle delibere ai fini dell’attribuzione di responsabilità amministrativa per danno erariale.

Rileva l’assoluta insussistenza di ogni o qualsivoglia responsabilità ….essendo il parere ….espresso “inesistente” sotto il profilo giuridico ed improduttivo di ogni e qualsiasi effetto, ai fini della legittimità dell’atto, della sua efficacia e delle sue conseguenze.

Ritiene il dott. Corea che, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 19 giugno 1999 n.229, l’emissione di pareri espressi in materie di competenza del direttore generale non rientrava più tra i compiti dei dirigenti, in particolare del direttore amministrativo.

Secondo tale logica, il legislatore avendo abrogato le parole “fornisce parere obbligatorio al direttore generale sugli atti relativi alle materie di competenza” di cui all’art.3, comma 7, ottavo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n.502, ha inteso escludere poteri e responsabilità conseguenti del dirigente per l’emanazione dei pareri stessi.

Ciò posto, per il Corea i pareri espressi nelle delibere in contestazione sono da condiderarsi tamquam non esset.

Ritiene il deducente che neppure l’esplicito richiamo normativo alla formulazione di proposte e pareri, contenuto nel medesimo art.3, comma 1- quinquies ed introdotto dal citato decreto legislativo n.229 del 1999, abbia valore al riguardo in quanto la norma ha inteso riferirsi alle sole decisioni strategiche del direttore generale nella conduzione dell’Azienda, alle quali, tuttavia, per sua stessa ammissione, i dirigenti concorrono.

Conclude il dott. Corea che solo il direttore sanitario è onerato della formulazione di pareri obbligatori per gli atti deliberativi.

Seguono nell’atto difensivo considerazioni circa la sostanziale legittimità dell’attribuzione dell’incarico di consulenza alla luce delle carenze organiche ed organizzative che nella sostanza non divergono dalle affermazioni avanzate dalla dottoressa Manghisi.

Il dott. Valentini, direttore sanitario, contesta ogni addebito, ritenendo le sue competenze nella struttura limitate alle problematiche squisitamente sanitarie.

In ogni caso, il Valentini ripercorre il medesimo excursus difensivo della dott.ssa Manghisi circa le ragioni che, a suo parere, hanno indotto all’attribuzione dell’incarico da ritenersi pertanto legittimo.

La Procura regionale sostiene che nei fatti sopra descritti si sia verificato un danno patrimoniale, pari a euro 48.358,92, all’Azienda Ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro, con responsabilità amministrativa a carico della dott.ssa Manghisi, direttore generale, e del dott. Corea, direttore amministrativo della medesima Azienda.

Il danno patrimoniale all’Azienda sarebbe derivato dalla spesa sostenuta per il pagamento di compensi a professionista esterno a fronte di prestazioni certamente acquisibili con il corretto utilizzo delle professionalità interne all’Azienda stessa, trattandosi di compiti di istituto, quali valutazioni di opportunità, convenienza, legittimità nell’adozione di atti e decisioni di competenza del direttore generale ovvero dei settori operativi dell’Azienda.

Il danno erariale è stato quantificato sommando gli importi dei mandati di pagamento, al lordo degli oneri e ritenute di imposta a carico dell’Azienda a favore del consulente e da questi riscossi.

Rileva la Procura regionale che al professionista sono state liquidate, oltre le competenze mensili per l’incarico attribuitogli, anche le somme per il pagamento di specifico onorario per costituzione e difesa nel ricorso proposto dalla società Datel s.p.a.

Inoltre, il medesimo professionista avrebbe ottenuto il recupero delle prestazioni rese nel marzo 2002, la cui liquidazione era stata sospesa con deliberazione n.125 del 25 febbraio 2002, fatturandole nel successivo  mese di agosto.

Le predette somme costituiscono, secondo la Procura regionale, danno erariale da addebitare alla dottoressa Manghisi nella sua qualità di direttore generale, in percentuale del 75% dell’intero esborso indebitamente erogato e per il restante 25% al dott. Corea, in qualità di direttore amministrativo, che ha espresso improvvidamente parere favorevole all’adozione degli atti deliberativi che hanno dato luogo al pregiudizio in danno dell’Azienda.

Secondo la Procura regionale, dall’esame dei documenti istruttori si rileverebbe l’assoluta mancanza di criteri e valutazioni oggettivamente sostenibili in punto di razionalità volte a giustificare i motivi per l’attribuzione dell’incarico di consulenza a professionista esterno, sicchè gli oneri relativi ai compensi corrisposti all’avvocato Pullano, essendo privi di ogni giustificazione e di utilità, configurano un’ipotesi di danno erariale da attribuire al comportamento, quanto meno gravemente colposo, dei soggetti responsabili dell’amministrazione, il direttore generale ed il direttore amministrativo, per violazione di ogni regola di correttezza e di buon andamento nella gestione del denaro pubblico e per illegittimità derivante da violazione di legge.

Secondo la Procura regionale, l’affidamento dell’incarico di consulenza a professionista esterno non sarebbe giustificabile alla luce delle particolari condizioni in cui versava la gestione dell’Azienda ospedaliera; in particolare, dalla relazione sullo stato dell’Azienda del 17 luglio 2002 non emergerebbero problemi operativi e carenze di organico in Uffici amministrativi, quali quello del personale, affari generali, patrimonio, servizio di controllo interno, i cui responsabili erano i referenti naturali del direttore generale per la definizione delle politiche gestionali e per la risoluzione delle problematiche connesse alla normale attività di istituto.

Secondo la Procura regionale il consulente redigeva anche note riassuntive con le quali informava il direttore generale sullo stato di trattazione delle pratiche da parte dei vari uffici competenti, assumendo le informazioni presso le stesse strutture responsabili e le sue attività non possono inquadrarsi tra le prestazioni eccezionali e temporanee che consentono il ricorso a professionalità esterne all’amministrazione pubblica.

Circa l’assunto difensivo della deresponsabilizzazione dei dirigenti della struttura in mancanza dell’atto aziendale, osserva la Procura che la medesima disciplina di settore dispone, a prescindere dalla sua adozione, precisi obblighi organizzativi ed operativi, attribuendo ai dirigenti poteri e relative responsabilità.

Circa la posizione del dott. Corea, osserva la Procura regionale che la novella di cui al decreto legislativo n.229 del 1999 non consente di espungere dalle funzioni del direttore amministrativo l’obbligo di esprimere pareri a supporto delle determinazioni che competono al direttore generale, secondo elementari regole di buon senso e razionalità, nelle materie giuridiche e di organizzazione amministrativa.

La Procura regionale ha condiviso le argomentazioni espresse dal direttore sanitario dott. Valentini circa le sue competenze riferibili esclusivamente alle problematiche squisitamente sanitarie.

La Procura regionale, a supporto dell’atto di citazione, ha richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale l’Amministrazione nell’assolvimento dei compiti istituzionali deve prioritariamente avvalersi del proprio apparato organizzativo e del personale ad esso preposto, residuando la possibilità di ricorrere a consulenti esterni solo per eventi straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica dell’ente (C.d.C- Sez. Puglia, sent. n.18 del 10 gennaio 2003, anche C.d.C – Sez. Toscana n.436 del 2002).

Nel comportamento dei due convenuti la parte attrice ravvisa l’elemento psicologico della colpa grave in quanto, ciascuno per le rispettive competenze, non hanno usato quella diligenza minima volta ad una preventiva ed elementare valutazione dei presupposti giuridici alla base del conferimento della consulenza, ponendo in essere un comportamento difforme dai corretti e sani parametri gestionali delle risorse pubbliche.

I compiti affidati al professionista esterno sono riconducibili a professionalità tutte presenti all’interno della struttura amministrativa, senza giustificazione del ricorso all’affidamento esterno per prestazioni che non sono state dirette alla risoluzione di particolari e specifiche problematiche concretamente manifestatesi nel corso della gestione.

Il convenuto Aldo Corea si è costituito in giudizio con il patrocinio dell’avvocato Sandro Nisticò il quale ha depositato in data 24 dicembre 2003 presso la Segreteria della Sezione una memoria con la quale chiede di respingere le richieste di parte attrice per assoluta mancanza di colpa grave e, in via di estremo subordine, l’esercizio del potere riduttivo e considerare le utilità che l’attività del professionista incaricato hanno apportato all’Azienda medesima.

Gli assunti difensivi contenuti nella memoria si sostanziano:

a)    nel difetto di legittimazione passiva in quanto il parere espresso sarebbe stato inesistente sotto il profilo giuridico ed improduttivo di ogni e qualsiasi effetto ai fini della legittimità, della sua efficacia e delle sue conseguenze; ciò in quanto a decorrere dall’entrata in vigore del decreto legislativo 19 giugno 1999 n.229 il direttore amministrativo non fornisce più alcun parere sugli atti deliberativi del Direttore Generale, stante l’espressa abrogazione delle disposizioni che lo prevedevano. Il direttore amministrativo sarebbe tenuto a formulare i pareri e le proposte sulle decisioni generali e strategiche della Direzione Generale e nessun parere invece sugli atti deliberativi. L’apposizione sull’atto deliberativo del Direttore Generale costituirebbe soltanto una svista, irrilevante e senza conseguenze sul piano del nesso di causalità tra il parere espresso e l’asserito danno subito dell’Azienda stessa.

b)    vi sarebbe una contraddizione nel comportamento della Procura regionale con riferimento alla posizione del dott. Valentini, direttore sanitario, laddove afferma (l’atto di citazione) che il parere positivo espresso non può costituire fonte di responsabilità proprio in quanto (asseritamente) non dovuto, mentre diversamente viene valutata la posizione del convenuto Corea.

c)    nel merito, si sostiene l’infondatezza della domanda ed erroneità dell’impostazione e dei presupposti da cui muove il Procuratore regionale alla luce del quadro normativo vigente in materia sanitaria, l’assoluta legittimità della nomina di un professionista esterno quale componente dello staff della Direzione generale, nonché l’assenza di danno e di nesso causale.

d)    in particolare, l’avvocato Pullano, con le tre delibere, era stato assegnato allo staff del Direttore Generale per la redazione di pareri su questioni di particolare complessità da cui dipendevano decisioni strategiche della Direzione Generale, nonché la collaborazione per la “riorganizzazione degli uffici e delle attività aziendali, in vista della approvazione del definitivo atto aziendale”. Era stato, pertanto, utilizzato per compiti di diretto supporto delle attività del Direttore Generale, come previsto dai modelli organizzativi delle aziende sanitarie elaborati alla luce delle norme vigenti e delle tecniche aziendali operanti nel settore.

e)    la diffusione di organi di staff, caratterizzate da flessibilità ed orientamento ai risultati, ha riguardato il sistema organizzativo delle aziende sanitarie locali nella sua evoluzione, alla luce delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n.502 del 1992 e successive modificazioni. L’azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio, pur in assenza di un “atto aziendale di diritto privato”, si era dotata di un modello organizzativo, già prima della direzione generale della dott.ssa Manghisi, con il regolamento dello staff dell’azienda, approvato con delibera n.711 del 13 giugno 2000, nel quale era previsto il sistema di staff a supportare al massimo livello di qualità l’elaborazione e l’attuazione della strategia aziendale e l’erogazione dei servizi sanitari.

f)     l’affidamento dell’incarico al dottor Pullano era dettato dall’esigenza di procedere all’elaborazione dell’atto aziendale ed all’adozione di una miriade di atti diretti a mettere in pratica l’assetto organizzativo previsto nel medesimo atto aziendale.

g)    vi era stato un rapido avvicendamento di nomine ai vertici dell’Azienda: a seguito delle dimissioni del prof. Serafino Marsico era stato nominato nel maggio 1999 Commissario straordinario per la gestione provvisoria il dott. Giuseppe Bova; in data 31 agosto 2000 veniva nominato Commissario straordinario il dott. Gaetano Princi; in data 15 dicembre 2000 veniva nominato Direttore Generale dell’Azienda il dott. Alfredo De Lorenzo; con decreto del 26 aprile 2001 veniva nominata Direttore Generale dell’Azienda la dott.ssa Manghisi.

h)    i compiti affidati al predetto professionista dott. Pullano non potevano essere attribuiti ed assolti, nelle more dell’adozione dell’atto aziendale, dall’ufficio legale perché già oberato di lavoro, privo delle necessarie qualità professionali richieste, ed insufficiente sul piano numerico, nonché per la omessa attribuzione a tale Ufficio dell’attività di consulenza a favore degli organi dell’Azienda, potendo essa avvenire solo nei confronti delle strutture organizzative dell’Azienda, e cioè dei vari uffici.

i)      nel particolare momento transitorio il provvisorio incarico all’avv. Pullano era una misura opportuna per assicurare il compiuto esperimento delle attività connesse al governo aziendale e rimesse al Direttore generale e rispettosa dei principi affermati dalla giurisprudenza della Corte dei conti in materia di incarichi esterni.

j)      vi era una particolare situazione di precarietà nell’organico dell’Ufficio legale dell’Azienda, come evidenziato nella relazione sullo stato dell’Azienda, redatta nel luglio 2002, con una copertura di due dirigenti del ruolo professionale ed uno del ruolo amministrativo, pur in possesso del titolo di abilitazione rispetto ad una dotazione organica di 5 posti. L’Ufficio, inoltre, secondo la stessa relazione era oberato da numerosissime vertenze giudiziarie ed extragiudiziarie che coinvolgevano l’Azienda.

k)    in via subordinata, viene eccepita l’assenza di colpa grave.

l)      in via ancora più subordinata viene chiesto l’esercizio del potere riduttivo, tenuto conto dell’entità effettiva del danno e dell’utilità conseguita dall’Amministrazione.

In data 30 dicembre 2003 è pervenuta presso la Segreteria della Sezione la memoria di costituzione in giudizio della dottoressa Antonia Manghisi con il patrocinio degli avvocati Ernesto Sticchi Damiani e Alfredo Gualtieri.

Nella memoria i predetti avvocati hanno chiesto l’assoluzione della dottoressa Manghisi e, in via subordinata, la condanna in via solidale e ripartita, previa integrazione del contraddittorio e riduzione dell’addebito.

Le argomentazioni difensive possono così riassumersi:

1)    vengono contestate le conclusioni a cui è pervenuta la verifica ispettiva che avrebbe totalmente obliterato le puntuali ed articolate argomentazioni espresse dall’Amministrazione sanitaria e che giustificano pienamente l’attribuzione dell’incarico nei confronti di un professionista qualificato. In particolare, nella deliberazione n.850/01 per la nomina di un consulente esterno si fa riferimento alla “necessità di prevenire ed evitare contestazioni e vertenze giudiziarie scaturenti da atti deliberativi redatti in modo non conforme alle vigente normativa con particolare riferimento alla legge n.241 del 1990” e alla molteplicità ed alla peculiarità delle attività da sviluppare ed estrinsecare con un adeguato profilo professionale, da inserire nello staff del Direttore generale, per collaborare alla verifica dei provvedimenti in materia di attività negoziali e contrattuali dell’Azienda Ospedaliera e per verificare la rispondenza degli stessi alla vigente normativa.

2)    la necessità di individuare un consulente esterno era quella di permettere un incremento di alcune specifiche mansioni sino ad allora giammai compiutamente effettuate, nonché quella di realizzare un miglior raccordo tra l’attività sino ad allora svolta dagli Uffici e dallo staff dirigenziale  e che non poteva essere aliunde potenziato, in mancanza di una specifica figura professionale nell’ambito della medesima Azienda.

3)    più puntuali precisazioni sui contenuti dell’incarico di consulente sono riportati nelle successive delibere n.1175/01 e n.21/02, che non sono riportabili alle funzioni svolte dall’ufficio legale, dal Direttore Generale, ovvero da altri servizi o uffici dell’Azienda Ospedaliera, sostanziandosi in una poliedrica e polifunzionale attività professionale che fungeva da “trait d’union” tra le funzioni direzionali e verticistiche della Direzione generale e le rispettive unità operative dell’Azienda.

4)    all’epoca dei fatti l’Azienda Ospedaliera necessitava di una figura professionale, non prevista nelle proprie dotazioni organiche, ma comunque necessaria al fine di permettere un raccordo tra l’attività apicale dello staff dirigenziale e le singole unità operative; la mancanza di tale figura professionale era ricollegabile alla mancanza di un atto aziendale che precludeva una compiuta razionalizzazione della struttura organizzativa dell’Azienda per renderla meglio rispondente ai principi ispiratori della riforma del sistema sanitario nazionale, volta a superare una eccessiva settorializzazione e parcellizzazione delle responsabilità dei compiuti delle singole unità operative.

5)    la dottoressa Manghisi solo dopo due mesi dal conferimento dell’incarico di Dirigente generale, in data 21 giugno 2001, aveva affidato alla società Ernst e Young di Roma l’incarico di assistenza e consulenza per la revisione organizzativa e per la predisposizione dei regolamenti attuativi dell’atto aziendale.

6)    occorre tenere conto dei vantaggi comunque conseguiti dalla stessa Azienda Ospedaliera a seguito della nomina del professionista esterno.

7)    le modifiche normative apportate  con il decreto legislativo n.229 del 1999 ai compiti dei dirigenti amministrativi, con la previsione della partecipazione alla formazione delle decisioni della direzione generale, hanno accresciuto l’apporto partecipativo da essi dato, direttamente ed inscindibilmente confluente nella deliberazione dell’Azienda. Di qui la richiesta di ripartizione in via solidale ed equamente ripartita della responsabilità tra tutti i dirigenti dell’Azienda Ospedaliera Pugliese Ciaccio che, di concerto, hanno contribuito all’adozione dei provvedimenti attributivi dell’incarico all’avvocato Pullano, con integrazione del contraddittorio nei confronti del Dirigente sanitario.

8)    circa il danno erariale, va detratta la somma di € 1.580,36 per l’incarico professionale dell’avvocato Pullano in ragione dell’attività per la costituzione in giudizio e difesa nel ricorso proposto dalla DATEL s.p.a, in quanto non si tratta di attività rientrante tra quelle previste nella delibera n.850/2001 (atto deliberativo n.1172 del 20 novembre 2001).

9)    vanno altresì detratti € 5.057,14 in quanto riferibili a prestazioni rese nel mese di agosto 2002, cioè in un periodo successivo a quello regolamentato dalla convenzione stipulata in data 1 agosto 2001; si è trattato di prestazione autorizzata esclusivamente dal Commissario straordinario succeduto alla dottoressa Manghisi nella direzione dell’Azienda.

10) la dottoressa Manghisi aveva cessato la sua attività di direttore generale in data 22 aprile 2002, con la conseguenza che le prestazioni professionali dell’avvocato Pullano nei mesi di maggio, giugno e luglio 2002 sono state rese nei confronti del Commissario straordinario succeduto nella direzione dell’Azienda Ospedaliera.

11) va detratto l’importo relativo all’IVA pagata per il predetto incarico (€ 4.424,87) in quanto si tratta di somme versate da una pubblica amministrazione e che vengono successivamente riversate nelle casse dell’erario dello Stato da parte del medesimo professionista, non comportando, quindi, un effettivo depauperamento di risorse pubbliche, non concretizzandosi alcun reale pregiudizio economico alla Pubblica Amministrazione intesa nella sua globalità.

12) consequenzialmente il danno verrebbe a ridursi a € 22.124,33.

Alla memoria difensiva sono allegati:

1)    copia del contratto di lavoro sottoscritto in data 23 maggio 2001 e relativo all’incarico di Direttore generale conferito alla dottoressa Manghisi;

2)    copia del decreto del Presidente della Giunta regionale della Calabria n.80/02 con cui viene sospesa la dottoressa Manghisi dall’incarico di Direttore Generale in data 29 aprile 2002;

3)    copia della delibera dell’Azienda Ospedaliera n.850 del 24 luglio 2001 e relativa convenzione allegata;

4)    copia della delibera dell’Azienda Ospedaliera n.1175 del 20 novembre 2001 e relativa convenzione allegata;

5)    copia della delibera dell’Azienda Ospedaliera n.21 del 22 gennaio 2002 e relativa convenzione allegata;

6)    copia della nota n.1921 del 14 maggio 2003 a firma dell’Area Personale dell’Azienda Ospedaliera;

7)    copia curriculum professionale dell’avvocato Pullano;

8)    n.35 schede relative a solo alcune delle pratiche curate dall’avv. Pullano nel marzo 2002;

9)    copia delibera dell’Azienda Ospedaliera n.667 del 21 giugno 2001 e relativa attribuzione alla società Ernst e Young di Roma dal compito di contribuire a redigere l’atto aziendale;

10) copia della nota n.205/02 a firma della dottoressa Manghisi;

11) copia bozza atto aziendale adottato e relativo organigramma delle aree di staff.

Alla pubblica udienza l’avvocato Gualtieri ha esposto le argomentazioni riportate nella memoria difensiva ponendo l’attenzione sulla breve durata dell’incarico in questione (meno di un anno), sulla confusionaria situazione gestionale dell’azienda, sulle carenze presenti nei ruoli professionali, sull’oggetto della consulenza riconducibile a profili giuridico amministrativi, sul notevole carico di contenzioso aziendale, sul fatto che il successivo atto aziendale ha espressamente previsto la figura professionale comprendente i compiti svolti dall’avvocato Pullano, alla rimodulazione della ripartizione delle responsabilità in ragione dell’apporto dato dal direttore amministrativo e da quello sanitario nella conduzione della gestione dell’azienda, alla riduzione della misura del danno per le motivazioni contenute nella memoria difensiva.

L’avvocato Nisticò ha riproposto ed argomentato l’eccezione difensiva concernente l’irrilevanza del parere del direttore amministrativo a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n.229 del 1999, in quanto a seguito di tale decreto legislativo non sarebbe stata possibile alcuna violazione di obblighi di ufficio.

Nel merito ha sottolineato che la figura esterna all’azienda non poteva essere considerata come anomala in quanto sopperiva ad una esigenza preesistente all’emanazione dell’atto aziendale nel quale era, appunto, prevista tale figura. Rimarca, inoltre, la situazione di confusione organizzativa esistente nella medesima azienda, che pure aveva grandi dimensioni, facendo presente che l’attività del consulente sopperiva ad esigenze effettivamente presenti e reali. Sottolinea la carente situazione esistente nell’ufficio legale. Eccepisce la mancanza di nesso di causalità del comportamento del Corea nel verificarsi del presunto danno. Osserva infine che occorre tenere in debita considerazione la posizione del successivo Commissario straordinario. Conclude chiedendo l’assoluzione del Corea per carenza di responsabilità, in via subordinata, viene eccepita l’assenza di colpa grave ed in via ancora più subordinata, chiede l’esercizio del potere riduttivo, tenuto conto dell’entità effettiva del danno, della mancata citazione in giudizio del direttore sanitario Valentini e dell’utilità conseguita dall’Amministrazione.

Il rappresentante del Pubblico Ministero ha precisato l’oggetto dell’addebito riguardante l’affidamento di una consulenza per esigenze non aventi carattere eccezionale, limitate nel tempo e necessarie per specifiche carenze professionali, rimarcando che, invece, la consulenza ha riguardato lo svolgimento di compiti di carattere istituzionale, pur non sussistendo le particolari condizioni di carenze di organico e di professionalità interne. Ha sottolineato, inoltre, che la situazione di confusione organizzativa non giustificava, tuttavia, l’affidamento della consulenza che riguardava compiti propri degli uffici dell’azienda. Rimarca che nella prima determinazione di affidamento dell’incarico di consulenza non era definito con esattezza l’oggetto delle prestazioni. Per quanto riguarda il Corea, ha osservato che il parere da lui reso si è concretizzato in una opinione che ha concorso alla formazione di un atto concreto e che, se emesso, determina conseguentemente l’assunzione di responsabilità e che, se invece, non era previsto determina allora la violazione di un obbligo di non rendere il parere. Fa presente che il direttore amministrativo con la formulazione di pareri partecipa alla conduzione della gestione aziendale. Circa la graduazione del danno si rimette alla valutazione del Collegio. Sottolinea che all’epoca di svolgimento dei fatti il consulente non era comunque previsto e che ad esso non potevano essere affidati compiti che erano propri del Direttore Generale. Osserva che dal curriculum non emerge nell’avvocato Pullano la figura di un professionista di spicco in materie sanitarie specialistiche affidate all’azienda stessa. Conclude confermando la richiesta di condanna contenuta nell’atto di citazione, con esclusione dell’esercizio del potere riduttivo e contrarietà all’integrazione del contraddittorio con il direttore sanitario.

L’avvocato Gualtieri, in una breve replica, ha puntualizzato che la misura  dello stipendio di un dirigente avvocato del ruolo professionale è comunque superiore a quella del compenso erogato con l’incarico professionale e rimarca che le carenze di organico erano comunque esistenti.

L’avvocato Nisticò ha precisato che l’attività di gestione spettava al Direttore Generale e che non erano più previsti i pareri del direttore amministrativo sui singoli atti, rimarcando che anche dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n.229 del 1999 la prassi adottata nell’azienda era quella di rendere comunque i pareri ancorchè non previsti.

Il rappresentante del Pubblico Ministero ha concluso confermando le richieste di condanna dei convenuti secondo quanto indicato nell’atto di citazione.

Considerato in

DIRITTO

La Pubblica Accusa, come ricordato nelle premesse in fatto, ha citato in giudizio l’ex direttore generale  e l’ex direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro per l’affidamento di una consulenza al dottor Francesco Pullano dal luglio 2001 fino all’agosto 2002 per esigenze non aventi carattere eccezionale, limitate nel tempo e necessarie per specifiche carenze professionali, e riguardante, invece, compiti di carattere istituzionale, per le quali era possibile l’utilizzazione di professionalità interne.

La fattispecie va riguardata, secondo i consolidati canoni interpretativi concernenti l'individuazione della sussistenza, o meno, nella fattispecie degli elementi caratterizzanti la responsabilità amministrativa patrimoniale che, secondo la più volte richiamata sentenza delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione in data 15 marzo 1993, n. 3061, consistono: nell'addebitabilità di un comportamento commissivo od omissivo posto in essere da un pubblico funzionario o dipendente in violazione dei doveri di ufficio; nell'antidoverosità della condotta ascritta perché affetta da dolo o colpa grave; nella produzione di un nocumento patrimoniale - effettivo e valutabile in termini economici - subito dalla pubblica amministrazione; nel collegamento causale tra condotta antidoverosa ed evento dannoso.

Tali elementi costitutivi debbono, ovviamente, essere tutti coesistenti in ciascuna fattispecie considerata, talché la mancanza anche di solo uno di essi non consente di qualificare la condotta del soggetto chiamato in giudizio affetta da responsabilità amministrativa patrimoniale.

In particolare, secondo la Pubblica Accusa, il danno patrimoniale all’Azienda sarebbe derivato dalla spesa sostenuta per il pagamento di compensi a professionista esterno a fronte di prestazioni certamente acquisibili con il corretto utilizzo delle professionalità interne all’Azienda stessa, trattandosi di compiti di istituto, quali valutazioni di opportunità, convenienza, legittimità nell’adozione di atti e decisioni di competenza del direttore generale ovvero dei settori operativi dell’Azienda.

Al riguardo, il Collegio non può che ribadire quelli che, ormai, costituiscono principi consolidati in materia di conferimento di incarichi e consulenze esterne, intesi ad evitare, soprattutto, che attraverso il ricorso non giustificato ad essi vengano instaurati surrettiziamente veri e propri rapporti di lavoro subordinato.

In tale ottica è stato ripetutamente affermato che, in base ai principi costituzionali, la Pubblica Amministrazione deve costantemente uniformare i propri comportamenti a criteri di legalità, economicità, efficienza ed imparzialità, dei quali è corollario, per jus receptum , il principio per cui essa, per l'assolvimento dei  compiti istituzionali, deve prioritariamente avvalersi delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto (per tutte, Sez. III^, n. 53/1998): il che comporta, in linea di principio, la preclusione dell'affidamento ad estranei dell'esecuzione di compiti istituzionalmente attribuiti al personale dipendente.

La stessa, costante giurisprudenza di questa Corte, peraltro, ha ammesso, in presenza di casi particolari e contingenti, la legittimazione della Pubblica Amministrazione ad affidare il perseguimento di determinate finalità all'opera di estranei, dotati di provata capacità professionale e di specifica conoscenza tecnica della materia di cui vengono chiamati ad occuparsi, ogni qualvolta si verifichino: a) la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare; b) la mancanza di strutture e di apparati preordinati al loro soddisfacimento, ovvero, pur in presenza di detta organizzazione, la carenza, in relazione all'eccezionalità delle finalità, del personale addetto, sia sotto l'aspetto quantitativo che qualitativo (Sez. III n. 322/1998): le esposte considerazioni, in definitiva, se, da un lato attestano che nell'ordinamento vigente non sussiste un generale divieto per la Pubblica Amministrazione di ricorrere alla forma negoziale della locatio operis per l'assolvimento di determinati compiti, dall'altro, tuttavia, confermano che la utilizzazione di detto modulo contrattuale non può concretizzarsi se non nel rispetto delle condizioni e dei limiti sopra specificati.

Va esaminata, preliminarmente, l’eccezione difensiva circa l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, prevista dall’art.1 della legge n.20 del 1994, come modificato dalla legge n.639 del 1996; sul punto osserva il Collegio che tale disposizione implica che il Giudice non possa sostituire le proprie valutazioni alle scelte di merito degli organi della pubblica amministrazione, ma non impedisce allo stesso (in forza del principio di legalità) di verificare se l’esercizio del potere discrezionale sia avvenuto nel rispetto dei limiti posti dall’ordinamento.

Pertanto la discrezionalità è sindacabile sotto il profilo dell’eccesso di potere, ad esempio in relazione alla razionalità e logicità della scelta, oppure considerando il risultato sotto il profilo dell’economicità e della buona amministrazione.

Ed è sotto questo profilo che il comportamento dei convenuti viene valutato da questo Collegio.

In linea generale va osservato, per quanto attiene all’affidamento di consulenze a terzi da parte dell’Amministrazione, che se é da un lato principio indiscusso, ed ovvio, che l’ente pubblico debba attendere alle proprie funzioni utilizzando le risorse organizzative di cui è dotato - cosicché il ricorso a consulenze esterne è da ritenersi misura eccezionale - è altresì vero che la carenza di professionalità specifica all’interno dell’ente e la necessità di operare secondo criteri di efficienza possono indurre l’Amministrazione a cercare temporaneamente competenze esterne.

Venendo ad esaminare la fattispecie, secondo quanto sostenuto dalla Procura regionale, e supportato dalla documentazione in atti, il consulente è stato nominato dal Direttore Generale Manghisi in tempi immediatamente successivi al suo insediamento presso l’Azienda ed il suo incarico si esplicava essenzialmente nella redazione per il medesimo Direttore Generale di note riassuntive con le quali informava sullo stato di trattazione delle pratiche da parte dei vari uffici competenti, assumendo le informazioni presso le stesse strutture responsabili.

Per meglio comprendere la natura della predetta consulenza occorre fare riferimento alla figura del Direttore Generale nelle aziende sanitarie, secondo la previsione della vigente normativa.

Il Direttore Generale, secondo l’art.3, comma 1-quater, del decreto legislativo n.229 del 1999, è responsabile della gestione complessiva dell’azienda, nomina i responsabili delle strutture operative dell’azienda ed è coadiuvato dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario. Il successivo comma 6 del medesimo articolo prevede che “tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza dell’unità sanitaria locale, sono riservati al direttore generale. Al direttore compete, in particolare, anche attraverso l’istituzione dell’apposito servizio di controllo interno di cui all’art.20 del d.lgs 3 febbraio 1993 n.29 e successive modificazioni ed integrazioni, verificare, mediante valutazioni comparative dei costi, dei rendimenti e dei risultati, la corretta ed economica gestione delle risorse attribuite ed introitate nonché l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa”.

Inoltre, “i provvedimenti di nomina dei direttori generali delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere sono adottati esclusivamente con riferimento ai requisiti di cui all’articolo 1 del d.l. 27 agosto 1994 n.512 convertito dalla legge 17 ottobre 1994 n.590, senza necessità di valutazioni comparative”.

Circa i requisiti per la nomina di cui alla citata ultima legge nell’art.1 è previsto che i candidati (aspiranti alla nomina di direttore generale), oltre ad essere in possesso di un diploma di laurea, devono possedere specifici e documentati requisiti coerenti rispetto alle funzioni da svolgere ed attestanti qualificata formazione ed attività professionale di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture pubbliche o private, con esperienza dirigenziale acquisita per almeno cinque anni.

Da ciò appare evidente desumere che, in base alla richiamata normativa, il Dirigente Generale delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere deve possedere particolari e specifiche competenze professionali ed aver maturato qualificate esperienze nella direzione tecnica o amministrativa in strutture pubbliche o private, equiparabile alla figura del c.d “manager”.

Tali requisiti, ai quali si accompagna un trattamento economico adeguato, non escludono il ricorso a professionalità esterne alla Pubblica Amministrazione ma devono indurre  a valutare con maggiore rigore ed in modo puntuale la sussistenza delle condizioni che, secondo la richiamata giurisprudenza della Corte, giustificano gli apporti esterni quali la straordinarietà ed eccezionalità delle esigenze da soddisfare, la mancanza di apparati idonei al loro soddisfacimento, ovvero, pur in presenza di detta organizzazione, carenze di personale sotto l'aspetto quantitativo e/o qualitativo.

Non sono invece compatibili con i predetti principi giurisprudenziali prestazioni che si concretizzano nello svolgimento di ordinaria attività istituzionale.

L’esame del Collegio verte quindi sui compiti concretamente svolti dal dott. Pullano.

Secondo la tesi difensiva i compiti del professionista si esplicavano nella redazione di pareri su questioni di particolare complessità da cui dipendevano decisioni strategiche della Direzione Generale, stante anche la carenza di organico dell’Ufficio legale dell’Azienda e nella collaborazione per la riorganizzazione degli uffici e delle attività aziendali in vista dell’approvazione del definitivo atto aziendale.

Eccepisce la Procura regionale che non si trattava di prestazioni specialistiche nelle materie di competenza dell’Azienda ospedaliera e che non sussistevano significative carenze di organico nel predetto Ufficio legale.

Esaminando i pareri resi dal dott. Pullano, allegati in atti, si rileva che il loro contenuto ha riguardato profili ed aspetti diversi della gestione, alcuni dei quali rientranti nella ordinaria amministrazione, come l’allegazione di documentazione per la successiva trasmissione di note che si sostanziano in compiti di segreteria del Direttore Generale, la comunicazione dell’esito di attività istruttorie presso gli uffici della medesima Azienda, l’indicazione della sussistenza delle condizioni per il rilascio della documentazione richiesta ai sensi della legge n.241 del 1990 ed altri di qualche significativa rilevanza  come l’espressione di pareri legali su questioni complesse.

Da tale esame risulta evidente che solo per questi ultimi può essere ammessa la rilevanza della indicata carenza nell’organico dell’ufficio legale dell’Azienda, mentre per gli altri sembrano condivisibili le osservazioni mosse dalla Procura regionale circa la loro riconducibilità a professionalità tutte presenti all’interno della struttura amministrativa.

Difatti, la maggior parte dei compiti svolti dal dott. Pullano, secondo le risultanze dei pareri resi al Direttore Generale, hanno avuto ad oggetto una generalizzata gamma di contenuti di mera amministrazione che hanno realizzato i presupposti per l'instaurazione di un non consentito rapporto di lavoro subordinato.

L’attività di consulenza nel suo concreto esplicarsi ha avuto ad oggetto compiti di segreteria o di mera amministrazione, in antitesi con i ricordati principi posti dalla consolidata giurisprudenza e con quelli recepiti dal legislatore nella richiamata norma ex art. 7, comma sesto, del d.lgs 29/93, e successive modificazioni ed integrazioni, tutti basati sulla necessaria specialità ed eccezionalità, in presenza di ben determinati presupposti, dell'incarico da conferire.

Proprio l'osservanza di tali presupposti, che costituiscono dei precisi paletti entro cui deve restare circoscritto il potere dell'Amministrazione di far ricorso a professionalità esterne, risulta nella specie disattesa, considerato che nella determinazione dell'oggetto specifico della consulenza e nella sua concreta esplicazione si fa riferimento a generiche problematiche dell'Azienda ed a profili di “opportunità” e di “necessità” espressi nei pareri, che mal si concilia, ed anzi confligge apertamente, con quello di straordinarietà dell'incarico.

In effetti, per il loro contenuto i pareri resi possono farsi rientrare nei compiti attinenti, appunto, ai settori di attività gestionale ed operativa.

In tale contesto, quindi, parlare di necessità, urgenza, impossibilità di far fronte a quelle che sono risultate, in definitiva, ordinarie attività dell'Amministrazione ampiamente riconducibili alle mansioni dei vari dirigenti preposti ai diversi servizi, appare assolutamente insostenibile: in altri termini, l'asserita necessità di provvedere al conferimento dell'incarico è smentita proprio dai dati emergenti dalla documentazione in atti e che denotano la genericità della consulenza, non conforme ai ricordati principi giurisprudenziali, recepiti dal legislatore nell'art. 7 del d.lgs n.29/1993 e successive modificazioni ed integrazioni.

Fanno eccezione e possono essere ritenuti giustificabili i pareri resi su una minoranza di atti, di particolare complessità, per i quali possono valere le indicate carenze di organico nell’Ufficio legale dell’Azienda.

Venendo al profilo delle singole responsabilità nella fattispecie in esame, va distinta la posizione del Direttore Generale rispetto a quella del Direttore Amministrativo.

Difatti, dagli atti risulta evidente che il Direttore Generale, al momento del suo insediamento nell’Azienda, ha ritenuto di doversi avvalere di un consulente per lo svolgimento dei compiti di sua specifica attribuzione ed in tal senso ha provveduto con tre successivi atti deliberativi, tutti diretti alla finalità di rendergli informazioni ed indicazioni sull’andamento delle pratiche di ufficio, delle decisioni da assumere, della legittimità dei singoli atti gestionali.

Non appare ammissibile che il Direttore Generale di una Azienda ospedaliera, che deve essere dotato di una specifica elevata esperienza e professionalità in compiti direzionali, per lo svolgimento degli ordinari compiti al medesimo attribuiti possa nominare, a spese della medesima Azienda, un consulente cui “delegare” il suo lavoro e non utilizzi in modo completo le professionalità esistenti negli Uffici della medesima Azienda, in dispregio delle regole di efficienza, efficacia ed economicità dell’attività amministrativa.

Diversa è la posizione del Direttore Amministrativo in quanto non appare determinante sul piano causale del verificarsi del fatto della nomina del consulente.

Difatti, la nomina del consulente rientrava nell’esclusiva competenza e responsabilità del Direttore Generale, compresa la scelta sul base fiduciaria, ed il parere reso dal Direttore amministrativo non era determinante per l’efficacia della sua determinazione ed anzi il Direttore Generale ben sapeva che la sua decisione di nominare un consulente di fiducia per lo svolgimento di attività a suo supporto, sia pure correlata da pareri dei Direttori (amministrativo e sanitario) rientrava comunque nella sua esclusiva competenza e responsabilità.

L’esclusiva responsabilità del Direttore Generale nell’affidamento del predetto incarico di consulenza ad un soggetto dal medesimo prescelto per lo svolgimento di un incarico di natura fiduciaria e nella gestione del predetto incarico in termini di ordinaria amministrazione escludono la diretta riferibilità della fattispecie al parere reso sia dal Direttore amministrativo che del Direttore Sanitario, peraltro non chiamato in giudizio.

Va quindi esclusa la responsabilità del Direttore amministrativo Corea per carenza del nesso di causalità tra il suo comportamento ed il verificarsi del fatto in contestazione.

Venendo all’elemento psicologico della colpa grave del Direttore Manghisi non v'è dubbio che, nel caso si specie, sussista atteso che il medesimo non ha usato quella diligenza minima volta ad una preventiva ed elementare valutazione dei presupposti giuridici alla base del conferimento della consulenza di cui trattasi, ponendo in essere un comportamento difforme dai corretti e sani parametri gestionali delle risorse pubbliche.

La chiarezza del dato normativo di riferimento, nonché gli orientamenti giurisprudenziali consolidatisi da diverso tempo, avrebbero dovuto indurre la Manghisi, mediante una minima cura ed attenzione nelle sue scelte, ad assumere decisioni affatto diverse da quelle adottate con le tre ricordate delibere, privilegiando la scelta dell'utilizzazione del personale interno per lo svolgimento dei compiti, invece, affidati ai professionisti esterni.

Circa il danno erariale, va condivisa l’eccezione difensiva circa la detrazione della somma di € 1.580,36 per l’incarico professionale dell’avvocato Pullano in ragione dell’attività per la costituzione in giudizio e difesa nel ricorso proposto dalla DATEL s.p.a, trattandosi di attività non rientrante tra quelle previste nella delibera n.850/2001 (atto deliberativo n.1172 del 20 novembre 2001).

Vanno altresì detratti € 5.057,14 in quanto riferibili a prestazioni rese nel mese di agosto 2002, cioè in un periodo successivo a quello regolamentato dalla convenzione stipulata in data 1 agosto 2001 e di prestazione autorizzata esclusivamente dal Commissario straordinario succeduto al Direttore Manghisi nella direzione dell’Azienda.

Difatti, la dottoressa Manghisi ha cessato la sua attività di Direttore generale in data 22 aprile 2002, con la conseguenza che le prestazioni professionali dell’avvocato Pullano nei mesi di maggio, giugno e luglio 2002 sono state rese nei confronti del Commissario straordinario succeduto nella direzione dell’Azienda Ospedaliera. Per tali prestazioni ogni valutazione circa l’eventuale esperimento di autonome iniziative dirette al loro risarcimento è ovviamente nella disponibilità dell’Ufficio della Procura regionale.

Va invece disattesa l’ulteriore eccezione difensiva circa la detrazione dell’importo relativo all’IVA pagata per il predetto incarico (€ 4.424,87) in quanto, pur trattandosi di somme versate ad una pubblica amministrazione, vengono a diminuire la situazione finanziaria di un ente con personalità giuridica dotato di autonomia finanziaria e contabile.

Va esclusa inoltre la detrazione in ordine all’avvenuto conseguimento da parte dell'Amministrazione di vantaggi correlati alle attività del dott. Pullano.

L'eccezione è infondata, in quanto il principio della valutabilità dei vantaggi conseguiti dall'Amministrazione (art. 3, p.1, lett. a della L. 20 dicembre 1996 n. 639) perché possa trovare pratica attuazione presuppone che il giudice contabile, cui la conseguenziale valutazione compete, possa giudicare sulla base di prove certe o, quanto meno, di un principio di prova il cui relativo onere incombe sulle parti che li adducono.

Ricorda in proposito il Collegio che i criteri cui il giudice deve attenersi per l'applicazione della norma sui “vantaggi” sono sostanzialmente - pur nella diversità dei due istituti - i medesimi che presiedono alla più generale regola della “compensatio lucri cum damno” : accertamento dell'effettività dell'utilitas conseguita; medesimo fatto generatore determinante sia il danno che il vantaggio in relazione ai comportamenti tenuti; appropriazione dei risultati stessi da parte della Pubblica Amministrazione che li riconosce; rispondenza della stessa utilitas ai fini istituzionali dell'Amministrazione che li riceve (Sez. giur. Campania 11 dicembre 2001 n. 129 e Sez. III^ centrale 10 luglio 2002 n. 244).

Orbene, nella specie, non si rinviene alcun supporto probatorio all'effettività della ritenuta utilitas, tale da consentirne la valutazione definitiva da parte di questo giudice al cui prudente apprezzamento la stessa dev' essere rimessa .

Infatti, nessun elemento concreto e rilevante emerge dagli atti processuali, che consenta di configurare almeno quel principio di prova necessario ed assolutamente ineliminabile ai fini del riconoscimento degli addotti vantaggi non risultando che l'asserita utilitas sia stata prefigurata come valutazione preventiva né che sia derivata all'Ente come esclusiva conseguenza dell'atto di conferimento dell'incarico e non avuto riguardo al complesso dell'azione amministrativa: ciò in quanto nel giudizio di responsabilità non possono essere invocati a titolo di esimenti elementi e circostanze che attengono alla gestione globale dell'ente.

Si osserva che durante il periodo di svolgimento dell’incarico l'Amministrazione ha dovuto retribuire comunque anche i propri dipendenti istituzionalmente preposti allo svolgimento dei compiti attribuiti invece al dott. Pullano.

L'erroneità della dedotta eccezione si fonda proprio sulla circostanza di aver identificato gli asseriti vantaggi conseguiti all'Amministrazione con quelli che, invece, si configurano quali effetti dell'attività istituzionale dell'ente: in altri termini, gli esiti dello svolgimento dell'incarico conferito al dott. Pullano non costituiscono altro che i naturali risultati cui l'attività stessa era preordinata.

Quanto all'asserita violazione del principio che vieta il sindacato sul merito delle scelte operate dall'Amministrazione, ricorda il Collegio che detta preclusione - espressamente posta dall'art. 3, comma primo del d.l. 23 ottobre 1996 n. 543 convertito nella l. 20 dicembre 1996 n. 639 - si sostanzia nel divieto per il giudice di sostituirsi agli organi di amministrazione attiva per l'individuazione degli scopi da perseguire e degli interessi da realizzare, ma non può giungere all'esclusione della verifica della sussistenza dei presupposti obiettivi per l'adozione del provvedimento riconducibile alla competenza dell'organo agente.

Orbene, nella specie, non si discute dell'opportunità della soluzione adottata dall'Ente, bensì della sua compatibilità con i principi e le norme giuridiche che disciplinano l'affidamento di convenzioni e, quindi, della legittimità di quella in contestazione: ed infatti, nel momento in cui la pronuncia resa espressamente chiarisce che non si intende censurare “la maggiore o minore idoneità e liceità di uno strumento o di un altro nel soddisfacimento degli obiettivi dell'Ente”, ma l'intervenuto affidamento di “un incarico di consulenza in presenza di una cospicua struttura burocratica”, non fa altro che evidenziare l'insussistenza del presupposto che la legge (art. 7 del d.lgs 29/93 e successive modificazioni ed integrazioni) ha fissato per il conferimento di incarichi professionali a terzi; ciò in perfetta coerenza, quindi, con i ricordati principi che regolano i poteri del giudice contabile in materia e che si concretano nella valutabilità, mediante il riscontro della conformità a criteri di ragionevolezza ed economicità, dei modi di attuazione delle scelte discrezionali (SS.RR. 1 marzo 1999, n. 4/A) e non, si ribadisce, della scelta di apprestare gli strumenti più idonei al soddisfacimento degli obiettivi dell'Ente.

Circa la richiesta avanzata di una riduzione dell'addebito, osserva il Collegio che le circostanze fattuali che hanno caratterizzato le vicende di causa e la detrazione di quella parte di danno relativa ai pareri attinenti ad una assistenza legale per problemi di particolare complessità nell’attività amministrativa possono indurre ad una riduzione del danno, determinando il danno nella misura di € 18.000, con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data di deposito e fino al soddisfo.

Le spese seguono la soccombenza.

                                                     P.Q.M.

Assolve il convenuto Aldo Corea per carenza del nesso di causalità.

Condanna la dottoressa Antonia Manghisi al pagamento in favore dell’Azienda Ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro della somma di € 18.000 con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data di deposito e fino al soddisfo.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate a carico della dottoressa Manghisi in € * 319,83 * *trecentodiciannove/83 *

Così deciso in Catanzaro nella Camera di consiglio del 15 gennaio 2004.

IL RELATORE                         IL PRESIDENTE

 f.to Angelo Buscema               f.to Domenico Oriani

 

depositato in segreteria il 08/04/2004

                                                             IL DIRIGENTE

                                           Maurizio Arlacchi

                                                f.to Coll. Amm.vo Stefania Vasapollo