REPUBBLICA
ITALIANA sent. 141/2004
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE TERZA
GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
composta dai seguenti
Magistrati:
Dott. Angelo DE MARCO PRESIDENTE
Dott. Luciano
CALAMARO CONSIGLIERE
rel.
Dott. Amedeo ROZERA CONSIGLIERE
Dott. Salvatore
NICOLELLA CONSIGLIERE
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al n.17052 del
registro di segreteria proposto da G. Eugenio, T. Giuliano, O. Franco, M.
Sergio, B. Giorgio, I. Andrea, M. Romano, V. Giovanni, G. Gian Luigi, B.
Roberto, T. Giorgio, N. N.o, P. Paolo e V. Luciano rappresentati e difesi in
giudizio dall’avv. Mauro P. e dall’avv. Emanuela Pastore Stocchi ed
elettivamente domiciliati presso e nello studio della seconda in Roma, Via
Lucio Afranio n.23,
CONTRO
- - il Comune di Bologna, in persona del
Sindaco in carica, con sede in Bologna Piazza Maggiore n.6;
- - l’Istituto Nazionale di Previdenza
per i dipendenti dell’Am-ministrazione Pubblica (INPDAP), in persona del legale
rappresentante in carica, con sede in Roma, Piazza S.Croce in Gerusalemme n.55;
- - il Ministero del Tesoro, in persona
del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello
Stato presso i cui uffici in Roma via dei Portoghesi n.12 è altresì
elettivamente domiciliato.
AVVERSO
la sentenza
n.1690/02/C del 5 giugno 2002 pronunciata dal giudice unico per le pensioni
presso la Sezione giurisdizionale per la regione Emilia-Romagna;
Visto l’atto d’appello;
Esaminati tutti gli altri
documenti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del
giorno 21 novembre 2003, con l’assistenza del segretario Sig.na Gerarda
Calabrese, il relatore Cons.Luciano Calamaro, l’avv.Emanuela Pastore Stocchi
per gli appellanti e la dr.ssa Laura Carcascio per l’INPDAP.
Ritenuto in
F A T T O
Con l’impugnata
sentenza la Sezione giurisdizionale Emilia Romagna ha respinto il ricorso
proposto dagli odierni appellanti, già Vigili urbani presso il Comune di
Bologna, avverso il provvedimento con cui l’INPDAP (ex gestione CPDEL) aveva
loro liquidato la pensione senza computare l’indennità di vestiario percepita
in costanza di rapporto d’impiego; ha, inoltre, dichiarato inammissibile, per
difetto di giurisdizione, la domanda volta ad ottenere la restituzione dei
contributi previdenziali versati.
Avverso la predetta
sentenza hanno proposto appello, rappresentati e difesi dagli Avvocati Mauro P.
ed Emanuela Pastore Stocchi, i suindicati ricorrenti eccependo l’errata
applicazione dell’art.15 della l.1077/1959 e sostenendo che l’intervenuto
principio dell’omnicomprensività delle retribuzioni non si applica
all’indennità in questione; l’atto d’appello conclude, quindi, chiedendo che
venga accertato e dichiarato il diritto dei ricorrenti a vedersi computata
l’indennità di vestiario, con conseguente riliquidazione delle pensione; in
subordine, che venga dichiarato il diritto dei medesimi alla restituzione dei
contributi regolarmente versati per la suddetta indennità, con interessi e
rivalutazione monetaria.
L’INPDAP si è
costituita in giudizio con nota depositata il 31 ottobre 2003 con la quale,
ribadito che l’indennità vestiario manca del requisito della corrispettività,
oltre ad essere erogata in deroga al principio dell’omnicomprensività, ha
chiesto il rigetto dell’appello.
All’odierna pubblica
udienza l’Avv.Pastore Stocchi e la dr.ssa Carcascio hanno concluso riportandosi
agli atti scritti.
Considerato in
DIRITTO
L’appello è
infondato.
La controversia si
incentra sulla natura, pensionabile o meno, della indennità di vestiario.
Correttamente il giudice
di primo grado, nel respinge la domanda dell’odierno appellante, ha ritenuto
che l’emolumento in parola sia riferibile alla previsione contenuta nel comma
terzo dell’art.16 della legge 5 dicembre 1959, n.1077 e, come tale, non
annoverabile tra le componenti della retribuzione annua contributiva.
Al tal fine assume
rilievo fondamentale, ed assorbente di ogni altra questione, la circostanza che
la pensionabilità dell’indennità di vestiario non è prevista da una fonte di
legge primaria ovvero dalla contrattazione collettiva.
Quest’ultima, anzi,
ha introdotto il principio dell’onnicomprensività della retribuzione, con la
sola esclusione degli emolumenti ed indennità previste per legge o dagli
accordi collettivi di lavoro.
Orbene, come
precisato, già l’accordo ANCI del 5 marzo 1974 aveva stabilito la soppressione
di tutte le indennità comunque denominate, fatta eccezione per quelle di cui è
stata disposta la conservazione o di quelle previste per legge.
Tale principio è
stato poi confermato nei successivi accordi di lavoro (vedasi ad esempio
l’art.9 del dPR 1 giugno 1979, n.191 e, in particolare dal dPR 25 giugno 1983,
n.345).
Il contesto normativo
sopra citato induce ad escludere la possibilità di ritenere annoverabile
l’indennità di vestiario nell’ambito delle componenti della retribuzione annua
contributiva utile a pensione.
Del resto
all’anzidetta indennità va riconosciuta, come rilevato dal giudice di primo
grado, natura di un vero e proprio rimborso delle spese sostenute dal
dipendente (vigile urbano) per l’acquisto della divisa, necessaria per
l’espletamento delle proprie mansioni. (In termini Sezione III Centrale 6
ottobre 1997, n.282/97).
Il rimborso da parte
dell’Amministrazione di un costo sopportato dal dipendente per il disimpegno
della propria attività, quindi, non può assurgere al rango di elemento della
retribuzione.
A ciò si aggiunga che
la indennità di vestiario non costituisce remunerazione per l’attività
lavorativa posta in essere ed appare del tutto svincolata dal carattere della
corrispettività, tipico di ogni emolumento retributivo aggiuntivo.
In tale contesto, ed
ai fini della soluzione della presente controversia, va precisato che non viene
in rilievo in questa sede la problematica relativa alla legittimità o meno
dell’erogazione di cui si tratta, ma solo la natura, quiescibile o meno, dell’erogazione
medesima.
In estrema sintesi la
circostanza che l’indennità in parola non sia prevista dalla legge o dagli
Accordi Nazionali di lavoro, viene in rilievo unicamente ai fini di escluderla
dal computo della base pensionabile, ma non anche per dedurne l’illegittima
corresponsione attuata, in fattispecie, in forza di atti deliberativi dell’Ente
locale, insindacabili in questa sede.
Destituito di ogni
fondamento, infine, è l’argomento addotto degli appellanti secondo cui, essendo
stata l’indennità corrisposta assoggettata a contribuzione, se ne dovrebbe
affermare la conseguente quiescibilità.
Ove si aderisse alla
suddetta impostazione verrebbe meno il principio in forza del quale le componenti
utili a pensione sono disciplinate dall’ordinamento pensionistico.
Pur essendo
insindacabili gli atti amministrativi relativi allo status giuridico ed
economico del rapporto di impiego, l’ente erogatore della pensione deve
verificare se la retribuzione indicata dall’Am-ministrazione sia quella da
porre legittimamente a fondamento del computo della pensione.
Né le conclusioni
sopra estese restano scalfite dal fatto, che nella sostanza, così opinando si
verrebbe a legittimare un’arricchimento senza causa per l’Erario con
riferimento alla percezione di una contribuzione in sostanza non dovuta.
Ove, infatti, si
verificasse siffatta situazione, resta sempre nella disponibilità degli
interessati far valere la propria pretesa a vedersi rimborsata la contribuzione
versata indebitamente.
La domanda, a tal
fine proposta in primo grado, peraltro, esula dalla giurisdizione della Corte
dei conti, concernendo profili estranei
alla spettanza e/o alla misura del trattamento di pensione.
L’appello va quindi
respinto.
Sussistono, peraltro,
giustificati motivi per compensare le spese di giudizio:
P.Q.M.
La Corte dei conti – Sezione Terza giurisdizionale centrale di appello, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.
Spese compensate.
Così deciso in Roma
nella Camera di Consiglio del 21 novembre 2003.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Luciano CALAMARO
f.to Angelo DE MARCO
Depositata in
Segreteria il 20 febbraio 2004
IL DIRIGENTE
f.to Dr. Rossana
Bernardini