REPUBBLICA ITALIANA          N.8096/04REG.DEC.

          IN NOME DEL POPOLO ITALIANO         N. 11776   REG.RIC.

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale - Quinta  Sezione       ANNO  2003

ha pronunciato la seguente

                                            DECISIONE

sul ricorso in appello n. 11776 del 2003,  proposto dal Comune di Malvito (c.f. 80003430784), in persona del legale rappresentante in carica, Dott. Fulvio Callisto, anche in proprio (c.f.CLLFLV58C05E872U), rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Federico Sorrentino, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, Lungotevere delle Navi, n. 30;

contro

la Comunità Montana “Unione delle Valli” di Malvito, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Vittorio Cavalcanti e Carmelo Salerno, con domicilio, ai fini del presente giudizio, presso la Segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, Piazza Capo di Ferro n.13;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, Sezione Seconda, n. 2492 del 29 luglio 2003, notificata il 2 ottobre 2003;

      Visto il ricorso con i relativi allegati;

      Visto l'atto di costituzione in giudizio della Comunità Montana appellata – resistente;

      Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

      Visti gli atti tutti della causa;

      Relatore, alla pubblica udienza del 19 ottobre 2004, il Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani; udito!Fine dell'espressione imprevista, altresì, l’Avv. Sorrentino per il Comune appellante!Fine dell'espressione imprevista;

      Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO   E   DIRITTO

      1. La Sezione seconda del Tribunale Amministrativo della Calabria, con sentenza n. 2492 del 29 luglio 2003, ha respinto il ricorso proposto dagli attuali appellanti per l’annullamento della deliberazione consiliare della Comunità montana “Unione delle Valli” di Malvisto, n. 18 del 1° ottobre 2001, avente ad oggetto “aggiornamento statuto Comunità Montana”.

      Con la deliberazione impugnata la Comunità montana ha portato una modifica al proprio Statuto (art. 45, comma 8), autonomamente intervenendo sul diritto di elettorato passivo dei propri dipendenti, con l’introduzione della incompatibilità tra lo stato di dipendenza dell’ente montano e la carica di amministratore di un Comune membro della Comunità medesima, indipendentemente dalla titolarità di posizioni di dirigenza e responsabilità apicali.

      Gli appellanti, rappresentato il rispettivo diretto ed immediato interesse alla rimozione della disposizione lesiva (il Comune, in quanto la norma finirebbe con l’incidere sul buon governo dell’Ente, attraverso l’incidenza sulle scelte dell’elettorato, sensibile all’aggravio di spesa che, necessariamente ne deriva a carico dell’Ente, e la parte privata, in quanto direttamente ed immediatamente lesa nelle sue facoltà costituzionalmente garantite, stante lo status di dipendente della Comunità), deducono il vizio del procedimento logico giuridico attraverso cui il giudice di primo grado è pervenuto alla decisione, sotto il profilo della violazione dei limiti della potestà statutaria e regolamentare della Comunità e della erronea qualificazione della materia su cui incide la disposizione statutaria impugnata, e ripropongono in questa sede i vizi di violazione degli artt.3 e 51 della Costituzione e del principio della riserva di legge (I motivo), violazione e falsa applicazione del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 ed eccesso di potere per difetto di motivazione ed istruttoria, illogicità e contraddittorietà, oltre che incompetenza (II motivo); ulteriore violazione e falsa applicazione di legge, ed eccesso di potere per difetto di motivazione e vari profili sintomatici (III motivo), già proposti in primo grado, subordinatamente sollevando questione di legittimità costituzionale dell’art. 89, comma 1, lett.g) del vigente testo unico sugli enti locali, per violazione degli art. 3. 51 e 97 della Costituzione, ove la fonte primaria dovesse essere interpretata nel senso di demandare all’autonomia normativa dell’ente l’individuazione delle cause di incompatibilità elettorale.

      1.2. Costituitasi la Comunità appellata per resistere all’impugnazione, la causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 19 ottobre 2004 e trattenuta in decisione.

      2.1. L’appello è fondato.

      2.2. Il vigente art. 117 della Costituzione (nel testo modificato dalla l. cost. 18 ottobre 2001 n.3) continua a riservare allo Stato la legislazione esclusiva in materia elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane (lett. p).

     Nell’ambito della materia elettorale è naturalmente ricompressa quella della ineleggibilità ed incompatibilità comunali (oltre che provinciali e delle Città metropolitane) (da ultima, Corte Cost. n. 201 del 3 giugno 2003).

     Con la sentenza citata la Corte costituzionale ha avuto modo di precisare, che in vigenza dell’attuale art. 122, primo comma, della Costituzione, la sottrazione della materia alla legislazione dello Stato e l’attribuzione  a quella delle Regioni non incide sulla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di legislazione elettorale dei Comuni (oltre che delle Province e delle Città metropolitane) prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione,  ed opera esclusivamente per ciò che concerne la disciplina “delle cause di incompatibilità (oltre che di ineleggibilità) a cariche elettive regionali derivanti da cariche elettive”.

     Di contro, la stessa Corte, occupandosi del differente aspetto dell’ampiezza e dei limiti della legislazione regionale nella specifica materia, ha anche rilevato (con la medesima sentenza) che - seppure l’attuale testo dell'art. 122, primo comma, della Costituzione ha sottratto la materia della ineleggibilità ed incompatibilità alla carica di consigliere regionale alla legislazione dello Stato e l’ha attribuita a quella delle Regioni - la competenza legislativa regionale in materia può essere esercitata, tuttavia, solo «nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica» e, sulla considerazione della mancanza, a tutt’oggi, di una legge determinativa di tali principi, ha precisato che occorre rivolgersi alle norme dell’ordinamento giuridico statale vigente per individuare, tra tutte, quelle che esprimano scelte fondamentali e operino così da limiti all’esercizio della stessa competenza legislativa regionale. La Corte, inoltre, ha individuato tale norma, per ciò che concerne la incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e quella di sindaco od assessore comunale, nell’art. 65 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, che detta anche una specifica disciplina in tema di permessi, licenze e congedi dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, componenti dei consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti (art. 79), ed in tema di aspettative (art. 81), dando attuazione all’art. 51 della Costituzione e attribuendo alla scelta del dipendente di avvelersi degli uni o dell’altra ai fini dell’espletamento del mandato.

     Sia pure analizzando il problema con riferimento a differente ed abrogata normativa (art. 1 e 2 della L. 27 dicembre 1985 n. 816) la Sezione Seconda  del Consiglio di Stato, in sede consultiva (parere n. 1717  del 7 maggio 1997, su ricorso straordinario) ha avuto modo di precisare che la scelta tra aspettativa e diritto di assentarsi dal servizio nella giornata di seduta dei Consigli, ricorrendo all'istituto del «permesso», spetta al dipendente, cui la legge attribuisce un diritto potestativo, il cui esercizio non può essere condizionato dall'Amministrazione, da cui dipende l'eletto.

     Analogo principio deve essere affermato in vigenza del testo unico sopra citato che nulla ha innovato per tale aspetto rispetto alle precedenti previsioni legislative.

     2.3. E’ dunque palesemente erroneo il procedimento logico seguito dal giudice di primo grado, da un lato nell’avere ritenuto strettamente inerente al rapporto  di impiego (e non invece alla materia elettorale) la disciplina dell’incompatibilità di cui si tratta  e, dall’altra, nell’avere rinvenuto la fonte del potere esercitato nell’art. 89, comma 2 dello stesso decreto legislativo 18 agosto 2000 267, che disciplina l’autonomia normativa di secondo grado degli enti locali con riguardo ad ambito del tutto differente dal regime delle aspettative, dei permessi e delle indennità degli amministratori degli enti locali, cui è espressamente dedicato altro capo del medesimo testo unico (Capo IV – Status degli amministratori degli enti locali) ed altro complesso di norme (artt. 77 e segg.).

     Il contestuale inserimento del differente gruppo di norme nel medesimo contesto del testo unico del 2000, dirime invero ogni dubbio (se pure potessero sussisterne alla tregua dei principi generali di ermeneutica) sulla inderogabile tutela accordata a livello costituzionale e di legislazione nazionale, allo stato di amministratore di ente locale ed alla illegittimità della ingerenza della Comunità montana, con l’atto impugnato, nei diritti e nelle facoltà inerenti all’elettorato passivo  dei propri dipendenti, con riferimento alla loro partecipazione alla amministrazione degli Enti locali.

     Invero più recenti pronunce della Corte costituzionale sulla materia, emanate in vigenza delle modifiche introdotte all’assetto istituzionale dello Stato dal Titolo V della Costituzione (n. 2 del 13 gennaio 2004 e la citata n. 201 del 3 giugno 2003), confermano il principio, più di una volta affermato dalla stessa Corte, secondo cui l'elettorato passivo assicurato in via generale dall' art. 51 Cost. va considerato come diritto inviolabile sancito dall' art. 2 Cost..La restrizione del contenuto di tale diritto è ammissibile soltanto nei limiti indispensabili alla tutela di altri interessi di rango costituzionale, in base alla regola della necessarietà e ragionevole proporzionalità della limitazione. Costituiscono corollari della regola citata, da un lato la natura eccezionale della  ineleggibilità e dall’altro il principio ulteriore in forza del quale le norme che derogano al principio della generalità dell' elettorato passivo devono essere considerate di stretta interpretazione e devono essere circoscritte entro i limiti di quanto è indispensabile a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate, perfino quando si tratti di cause di ineleggibilità che l' interessato possa rimuovere con propri comportamenti (Corte Cost., sent. 6 maggio 1996 n. 141, 19 dicembre 1991 n. 467 ( parte n. 5 delle considerazioni in diritto ), 22 dicembre 1989 n. 571, 3 marzo 1988 n. 235,  Cons. Stato, Sez. I consultiva, par. n. 427 del 9 maggio 2001, su quesito del Ministero dell’interno)

     2.4. L’interesse alla  piena e corretta esplicazione della tutela costituzionale in tema di elettorato passivo nei limiti della legislazione vigente in materia, è proprio non soltanto del cittadino elettore, ma appartiene anche direttamente ed immediatamente a Comuni, Province e Città metropolitane, come componenti essenziali della Repubblica (art.114 nel testo modificato dalla l. cost. 18 ottobre 2001 n.3) e titolari della funzione amministrativa, salvo il principio di sussidiarietà c.d. verticale, (art.118 nel testo modificato dalla citata legge costituzionale), in quanto non può disconoscersi, che nel complesso delle norme che, nella Costituzione della Repubblica, garantiscono, da un lato, la partecipazione dei cittadini all’Amministrazione di tali Enti, e dall’altro, la loro autonomia, l’immanente ed implicita tutela – anch’essa di livello costituzionale – a che  gli amministratori siano liberamente scelti, dai cittadini elettori (dei cui interessi gli enti locali sono esponenziali), sulla base dei criteri che afferiscono alla designazione di capacità e non condizionati dall’aggravamento di spesa che, a seguito della scelta, potrebbe (necessariamente) conseguire alle finanze dell’Ente e, in definitiva, degli stessi cittadini elettori, in forza nella scelta obbligata del collocamento in aspettativa.

     3. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, l’appello deve essere accolto, con consequenziale accoglimento del ricorso proposto in primo grado, in totale riforma della sentenza impugnata (n. 2492/2003 del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria), ed annullamento della deliberazione consiliare della Comunità montana Unione delle Valli di Malvisto n.18 dell’1 ottobre 2001, impugnata davanti al Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria n. 1912 del 2001 r.r.

     Le spese dei due gradi del giudizio, che si liquidano in dispositivo seguono la soccombenza e devono essere, dunque, poste a carico della Comunità montana appellata ed in favore degli appellanti in solido, in quanto collettivamente costituiti.

  1. Q.   M.

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in totale riforma della sentenza appellata (n. 2492/2003 del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria), accoglie il ricorso di primo grado (n. 1912 del 2001 r.r. del Tribunale Amministrativo della Calabria) ed annulla la deliberazione consigliare della Comunità montana Unione delle Valli di Malvisto n.18 dell’1 ottobre 2001 e la norma statutaria con la stessa introdotta;

      Le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio devono essere poste a carico della Comunità montana Unione delle Valli di Malvisto ed in favore della parte appellante in solido, e si liquidano in complessivi € 10.000,00= oltre CPA ed IVA come per legge;

      Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

      Così deciso in Roma, addì 19 ottobre 2004, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V) riunito in camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:

Raffaele IANNOTTA                                    PRESIDENTE

Raffaele CARBONI                                      CONSIGLIERE

Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI       CONSIGLIERE Est.

Paolo BUONVINO                                       CONSIGLIERE

Goffredo  ZACCARDI                                 CONSIGLIERE 

L’ESTENSORE                                    IL PRESIDENTE

F.to Chiarenza Millemaggi Cogliani F.toRaffaele Iannotta 

IL SEGRETARIO

F.to  

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16 dicembre 2004

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL  DIRIGENTE 


 

CONSIGLIO DI STATO

Sez. V GIURISIDIZIONALE

MASSIMA 

Pres. IANNOTTA  Est. MILLEMAGGI COGLIANI 
 

Parti: Comune di Malvito ed altro c. Comunità Montana Unione delle  Valli del Malvito  
 

Titoletto:  Pubblico impiego - Cariche politiche e sindacali - Aspettativa o permesso - Scelta del dipendente - Insindacabilità - Poteri della P.A. - Limiti  

Massima: I dipendenti pubblici che ricoprono cariche elettive presso gli Enti locali possono scegliere di ricorrere, per i giorni necessari allo svolgimento del mandato elettorale, all' aspettativa ovvero al diritto di assentarsi dal servizio mediante « permesso » senza che l’ Amministrazione di appartenenza possa sindacare la scelta del dipendente pubblico che ricopre cariche elettive di avvalersi dell’uno o dell’altro istituto, ai fini della esplicazione del mandato e delle attività inerenti alla carica. 


 

CONSIGLIO DI STATO

Sez. V GIURISIDIZIONALE

MASSIMA 

Pres. IANNOTTA  Est. MILLEMAGGI COGLIANI 
 

Parti: Comune di Malvito ed altro c. Comunità Montana Unione delle  Valli del Malvito  
 

Titoletto: Elezioni - Elettorato passivo - Esercizio del diritto - Deroghe - Sono di stretta interpretazione. 
 

Massima: Le norme che derogano al principio della generalità del diritto elettorale passivo (secondo cui l' eleggibilità è la regola e l' ineleggibilità è l'eccezione) sono di stretta interpretazione, dovendo contenersi nei limiti di quanto è necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate. 


 

CONSIGLIO DI STATO

Sez. V GIURISIDIZIONALE

MASSIMA 

Pres. IANNOTTA  Est. MILLEMAGGI COGLIANI 
 

Parti: Comune di Malvito ed altro c. Comunità Montana Unione delle  Valli del Malvito  
 

Titoletto: Interesse all’impugnazione – In tema di elettorato passivo – Norma interna incidente sui diritti elettorali del dipendete – Impugnazione – Amministrazione cui inerisce il mandato elettorale – Ha interesse.  
 

     Massima: L’interesse alla  piena e corretta esplicazione della tutela costituzionale in tema di elettorato passivo nei limiti della legislazione vigente in materia, è proprio non soltanto del cittadino elettore, ma appartiene anche direttamente ed immediatamente a Comuni, Province e Città metropolitane, come componenti essenziali della Repubblica (art.114) e titolari della funzione amministrativa (art.118), in quanto non può disconoscersi, che nel complesso delle norme che, nella Costituzione della Repubblica, garantiscono, da un lato, la partecipazione dei cittadini all’Amministrazione di tali Enti, e dall’altro, la loro autonomia, l’immanente ed implicita tutela – anch’essa di livello costituzionale – a che  gli amministratori siano liberamente scelti, dai cittadini elettori (dei cui interessi gli enti locali sono esponenziali), sulla base dei criteri che afferiscono alla designazione di capacità e non  condizionati dall’aggravamento di spesa che, a seguito della scelta, potrebbe (necessariamente) conseguire alle finanze dell’Ente e, in definitiva, degli stessi cittadini elettori, in forza nella scelta obbligata del collocamento in aspettativa. 

  N°. RIC 11776/2003

MGR.