REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo regionale per il Lazio Sez.I Quater |
N. Reg
Anno N. Reg Anno |
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sui ricorsi nn. 13126/03, 700/04 e 3784/04, proposti dalla S.p.A. ERICSSON TELECOMUNICAZIONI in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti G. Contardi e F. Alesi, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Tuscolana 1020;
contro
IL COMUNE DI RIPI, in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio limitatamente ai ricorsi nn. 13126/03 e 700/04, rappresentato e difeso dall’Avvocato P. Frattarelli ed selettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, via degli Scipioni, 268/A;
per l’annullamento
quanto al ricorso n. 13126/2003:
a) del provvedimento n. prot. 7781 del 6.10.2003, notificato il 9.10.2003, con cui il responsabile del settore urbanistica del Comune di Ripi invita la ricorrente all’osservanza del regolamento comunale per l’installazione e l’esercizio di impianti di radiotelecomunicazioni, approvato con delibera consiliare n. 25 del 25.6.2002, nonché all’osservanza del piano di localizzazione dei siti per l’installazione di stazioni radio per la rete di telefonia cellulare, approvato con delibera di G.M. 10.7.2003, n. 102 ed alla redazione di apposito studio per la Valutazione di Impatto Ambientale, ovvero all’adeguamento del proprio impianto alle normative e regolamenti comunali vigenti, entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento, a pena di annullamento degli atti relativi all’installazione della stazione radio base, di cui alla Denuncia di Inizio Attività (D.I.A.), presentata dalla medesima ricorrente il 16.12.2002, nonché per l’annullamento di tutti gli atti preparatori, preordinati e presupposti, fra cui specificamente le citate delibere di C.C. n. 25/2002 e di G.M. n. 102/2003;
b) quanto il ricorso n. 700/2004:
dell’ordinanza di demolizione n. prot. 8944 del 10.11.2003, notificata il 17.11.2003, concernente la stazione radio base per rete radiomobile, denominata “Ripi FR 046 G”, installata a Ripi, via Casilina Km. 95 + 400, nonché di tutti gli atti preparatori, preordinati e presupposti, fra cui il regolamento comunale, approvato con delibera consiliare n. 25/2002, la delibera di G.M. n. 102/2003 e la delibera consiliare n. 32/2003;
c) quanto al ricorso n. 3784/2004:
del provvedimento in data 16.6.2003, successivamente conosciuto, con cui si invita la ricorrente a rinunciare alla installazione della stazione radio base per telefonia mobile di via Casilina, Km. 92+400 ed a spostare la stazione stessa in un sito diverso, in base alla “mappatura” predisposta dall’Ufficio, nonché del provvedimento privo di data – anch’esso successivamente conosciuto – di annullamento della forma autorizzativa, conseguente alla Denuncia di Inizio Attività del 16.12.2002 e di tutti gli atti preordinati, preparatori, presupposti e consequenziali;
e per la condanna
del Comune di Ripi al risarcimento del danno;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 26 aprile 2004, il Consigliere G. De Michele e uditi, altresì, gli Avvocati delle parti, come da verbale di udienza in data odierna;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
La vicenda sottoposta all’esame del Collegio concerne l’installazione di una stazione radio base per rete radiomobile, installazione effettuata dalla S.p.A. Ericsson Telecomunicazioni nel Comune di Ripi, via Casilina Km. 95+400, a seguito di una Denuncia di Inizio Attività (D.I.A.), presentata il 16.12.2002 a norma del D.Lgs. 4.9.2002, n. 198.
Successivamente – ritenendo formato il silenzio assenso in data 16.3.2003 – la medesima società Ericsson iniziava il 10.6.2003 e completava il 30.6.2003 i lavori di cui trattasi, dandone apposita comunicazione, rispettivamente, lo stesso giorno 10.6.2003 ed il 16.10.2003.
Già in data 9.10.2003, tuttavia, era stato notificato a detta società il provvedimento n. prot. 7781 del 6.10.2003 (oggetto del ricorso n. 13126/03, notificato il 10.12.2003), con il quale il responsabile del settore urbanistica del Comune di Ripi invitava all’osservanza del regolamento comunale per l’installazione e l’esercizio di impianti di radiotelecomunicazioni, approvato con delibera consiliare n. 25 del 25.6.2002, nonché all’osservanza del piano di localizzazione dei siti per l’installazione di stazioni radio per la rete di telefonia cellulare, approvato con delibera di G.M. 10.7.2003, n. 102 ed alla redazione di apposito studio per la Valutazione di Impatto Ambientale, ovvero all’adeguamento dell’impianto alle normative e regolamenti comunali vigenti, entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento, a pena di annullamento degli atti relativi all’installazione della stazione radio base di cui trattasi.
Come rilevato in corso di causa, peraltro, il provvedimento sopra ricordato era stato preceduto da un ordine di sospensione dei lavori (n. prot. 4097 in data 11.6.2003) e dall’annullamento della “forma autorizzativa”, conseguente alla D.I.A. (atto n. prot. 4765 del 30.6.2003): provvedimenti, entrambi, non tempestivamente comunicati e conosciuti solo in via successiva dall’attuale ricorrente, che avverso gli stessi ha proposto impugnativa, notificata il 31.3.2004 (ricorso n. 3784).
In precedenza, ovvero il 17.11.2003, era stato poi notificato l’ordine di demolizione dell’impianto (atto n. prot. 8944 del 10.11.2003, oggetto del ricorso n. 700/04, notificato il 16.1.2004).
Avverso gli atti sopra indicati, nelle impugnative vengono prospettati i seguenti motivi di gravame:
A - con ricorso 13126/2003 (riferito al provvedimento n. 7781 del 6.10.2003 ed agli atti presupposti specificati in epigrafe):
B – con ricorso n. 700/2004 (riferito all’ingiunzione di demolizione n. 8944 del 10.11.2003 ed ai relativi atti presupposti):
C - con ricorso n. 3784/2004 (riferito all’ordine di sospensione dei lavori n. 4097 in data 11.6.2003 ed all’annullamento dell’autorizzazione tacita n. prot. 4765 del 30.6.2003):
Il Comune di Ripi, costituitosi in giudizio limitatamente ai ricorsi nn. 13126/03 e 700/04, chiede gli stessi siano dichiarati inammissibili o infondati, in base alle controdeduzioni di seguito sintetizzate:
DIRITTO
Il Collegio ritiene opportuno disporre, in via preliminare, la riunione dei ricorsi nn. 13126/2003, 700/2004 e 3784/2004, specificati in epigrafe, in quanto legati da connessione sia soggettiva che oggettiva ed inerenti questioni consequenziali.
Nel merito, la questione sottoposta all’esame del Collegio postula in via prioritaria una eccezione di incostituzionalità, riferita agli articoli 87 e 88 del D.Lgs. 1.8.2003, n. 259 (Codice delle Comunicazioni Elettroniche); la valutazione da effettuare, circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza di tale eccezione – in rapporto alla complessa vicenda, riportata nella parte in fatto della presente ordinanza – presuppone una sommaria disamina delle argomentazioni difensive prospettate, nonché alcuni chiarimenti preliminari sul quadro normativo di riferimento.
Sotto il primo profilo, il “tema sostanziale” del contendere finisce per ridursi, come più avanti meglio specificato, all’applicabilità o meno del predetto Codice delle Comunicazioni Elettroniche, in forma assorbente e sostitutiva della disciplina dettata – per gli impianti di telecomunicazione – dal Testo Unico dell’Edilizia, approvato con D.P.R. n. 380/2001: deve essere chiarito, infatti, se in mancanza di un provvedimento abilitativo esplicito sia ammissibile, nella fattispecie, la configurazione di un tacito assenso, anziché di un tacito diniego, quest’ultimo autonomamente impugnabile, al pari della misura sanzionatoria oggetto del ricorso n. 700/04.
Sotto il secondo profilo, l’intera materia deve essere rapportata a due recenti pronunce della Corte Costituzionale: in una – n. 307 del 7.10.2003 – vengono ribaditi i parametri del riparto di competenze, operanti nella disciplina del settore; nell’altra – n. 303 in data 1.10.2003 – si dichiara l’incostituzionalità, per eccesso di delega in rapporto alla legge n. 443/2002, del decreto legislativo 4.9.2002, n. 198, che nell’art. 3, comma 2, sanciva la compatibilità “con qualsiasi destinazione urbanistica “ e la realizzabilità “in ogni parte del territorio comunale” delle infrastrutture in questione, “anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento”, con eccezione prevista solo per alcuni manufatti di particolare consistenza, quali torri e tralicci, relativi alle reti di televisione digitale terrestre.
Nelle motivazioni della citata sentenza n. 303/03 si richiama specificamente proprio l’art. 3, comma 2, del D.lgs. n. 198, che – nel consentire l’insediamento generalizzato sul territorio degli impianti di cui si discute – sarebbe stato lesivo della potestà pianificatoria della Regione: una potestà da esercitarsi anche a livello di legislazione concorrente, in base al nuovo articolo 117, comma 3, della Costituzione, che tra le materie oggetto di tale attribuzione cita il “governo del territorio”, la “tutela della salute” e l’”ordinamento della comunicazione”.
Si deve quindi rilevare, in primo luogo, che la disciplina degli impianti di telecomunicazione e radiotelevisivi coinvolge profili sia di tutela dell’ambiente che di governo del territorio, in quanto impone standards di protezione dalle onde elettromagnetiche – uniformi su tutto il territorio nazionale – a garanzia del diritto alla salute, ma anche modalità di localizzazione degli impianti stessi, tali da consentire il rispetto sia dei parametri urbanistici che di corrette regole di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, nonché di ottimale diffusione delle reti di comunicazione, secondo un ben preciso riparto di competenze.
Come ribadito dalla predetta Corte nella sentenza n. 307/03 – in armonia peraltro con l’indirizzo giurisprudenziale, già formatosi sulla legge quadro n. 36/01 – la determinazione degli standards di protezione dall’inquinamento elettromagnetico è competenza dello Stato (sotto il profilo di valori-soglia, non derogabili dalle Regioni), mentre è materia di legislazione concorrente (ovvero, rientrante anche nella potestà legislativa regionale, ma nel rispetto di principi fondamentali, fissati da leggi dello Stato) il trasporto dell’energia e l’ordinamento della comunicazione; è infine rimessa alle Regioni e agli enti territoriali minori la localizzazione degli impianti, come questione attinente alla disciplina d’uso del territorio, purchè la pianificazione, a quest’ultimo riguardo dettata, non sia tale “da impedire o da ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli impianti stessi”.
L’interprete è quindi chiamato ad affrontare problematiche, che attengono sia allo sviluppo del territorio, sia a fattori di inquinamento ambientale, questi ultimi solo in parte superabili attraverso il verificato rispetto dei parametri, fissati dallo Stato come “limiti di esposizione” ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, mentre - sul piano dell’edificazione - gli impianti tecnologici di cui trattasi trovano parametri di riferimento anche nelle norme urbanistico-edilizie, come recepite nel D.P.R. 6.6.2001, n. 380.
Queste ultime prevedono una disciplina differenziata, in caso di rapporto di strumentalità necessaria degli impianti rispetto a edifici preesistenti (situazione rapportabile a caldaie, condizionatori, pannelli solari e simili), ovvero di autonomia funzionale dei medesimi quali nuove costruzioni (come nel caso, appunto, di tralicci ed impianti, destinati ad essere parte di una rete di infrastrutture).
Solo per i primi, fra gli impianti sopra indicati, risulta applicabile - in base al citato T.U. - la disciplina dettata per gli interventi edilizi ritenuti minori, soggetti a mera denuncia di inizio attività (cosiddetta D.I.A.) a norma dell’art. 4 del D.L. 5.10.1993, n. 398, convertito con modificazioni dalla legge 4.12.1993, n. 493, come modificato dall’art. 2, comma 60, della legge 23.12.1996, n. 662 ed integrato dall’art. 1, comma 6, della legge 21.12.2001, n. 443, fino all’entrata in vigore – il 30.6.2003 – del D.P.R. 6.6.2001, n. 380 - testo unico delle disposizioni legislative in materia edilizia - che raccoglie le disposizioni legislative e regolamentari contenute nel D.Lgs. n. 378/01 e nel DPR n. 379/01. Per gli impianti come quelli di cui si discute (stazione radio base per telefonia cellulare), il citato D.Lgs. n. 378/01 prescrive - nel combinato disposto degli articoli 10 e 3, comma 1, lettere e.2, e.3 ed e.4, - il permesso di costruire, introdotto dalla medesima normativa come nuova qualificazione formale della concessione edilizia.
In relazione alle norme in questione, tuttavia, si deve tenere conto oggi delle sopravvenute procedure autorizzatorie, previste per le infrastrutture di cui trattasi dagli articoli 86, 87 e 88 del codice delle comunicazioni elettroniche, approvato con D.Lgs. 1.8.2003, n. 259: una disciplina, quest’ultima, che affronta i molteplici profili di interesse pubblico coinvolti e prevede al riguardo lo svolgimento di apposite conferenze di servizi, circoscrivendo una peculiare fattispecie, soggetta a denuncia di inizio attività (“installazione di impianti, con tecnologia UMTS o altre, con potenza in singola antenna uguale o inferiore ai 20 watt”), mentre per le altre installazioni prevede il rilascio - in forma espressa o tacita - di un titolo abilitativo, qualificato come autorizzazione.
In rapporto al quadro normativo sopra sintetizzato, la dichiarata incostituzionalità del D.Lgs. n. 198/2002, fa cadere le argomentazioni difensive, che nei tre ricorsi in esame vengono rapportate all’ampia liberalizzazione - sotto il profilo urbanistico/edilizio - degli insediamenti di cui all’art. 3, comma 2 del citato D.Lgs, mentre deve riconoscersi la competenza pianificatoria aggiuntiva del Comune, a norma dell’art. 8, comma 6, della legge quadro n. 36/2001, che affida appunto agli enti locali minori criteri di localizzazione ottimale degli impianti di cui trattasi, con finalità di massima restrizione dell’inquinamento elettromagnetico, ma anche di “corretto insediamento urbanistico e territoriale” degli impianti stessi.
Non possono, quindi, risultare conformi ad un quadro normativo, da cui venga espunto il citato D.Lgs. n. 198/2002, anche le prospettazioni difensive finalizzate a negare la potestà di localizzazione del Comune, o a contestarne il contenuto (con argomentazioni, a quest’ultimo riguardo, generiche, o che avrebbero potuto essere utilmente rappresentate – per un compiuto apprezzamento tecnico – nella conferenza di servizi in data 4.8.2003, a cui la ricorrente non ha ritenuto di partecipare, benché invitata dal 16.7.2003).
Quando il Comune resistente, d’altra parte, rivendica la sfera di tutela rimessa alla propria regolamentazione, non può che richiamarsi agli obiettivi enunciati nell’articolo 1 della più volte citata legge n. 36/2001, obiettivi che partono dalla salvaguardia dell’integrità fisica e si raccordano con le esigenze connesse alla pianificazione urbanistica, ques’ultima affidata – a livello di P.R.G. – alla predisposizione di un atto complesso, emanato dai Comuni con l’approvazione della Regione; ad entrambi i profili si riallaccia, poi, l’ulteriore regolamentazione di cui al più volte citato art. 8 L. n. 36/01, rapportata, in via evolutiva, alla promozione della ricerca, per la valutazione degli effetti a lungo termine dell’inquinamento stesso, ma anche alle esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio, da preservare con modalità che tengano conto delle innovazioni tecnologiche, in grado di ridurre l’impatto delle strutture di cui trattasi sui valori tutelati.
Nella predetta dimensione evolutiva, il successivo articolo 3 della medesima legge n. 36/2001 richiama non solo i già ricordati limiti insuperabili di esposizione (imposti dallo Stato e definiti come valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico), ma anche i “valori di attenzione” e gli “obiettivi di qualità”: i primi intesi come valori di campo da non superare, a titolo di cautela rispetto ai possibili effetti a lungo termine (in ambienti abitativi, scolastici o comunque adibiti a permanenze prolungate); i secondi individuati sia come ulteriori misure e prescrizioni, ai fini della progressiva riduzione dell’esposizione, sia come criteri localizzativi ottimali, sulla base delle tecnologie disponibili.
E’ dunque ammesso che i Comuni adottino misure programmatorie integrative per la localizzazione degli impianti di cui si discute, in modo tale da minimizzare l’esposizione dei cittadini residenti ai campi elettromagnetici, ma anche in un’ottica di ottimale disciplina d’uso del territorio (cfr. Cons. St., sez. VI, 3.6.2002, n. 3095; 20.12.2002, n. 7274; 10.2.2003, n. 673; 26.8.2003, n. 4841).
Nella situazione in esame, risulta effettuata l’installazione di una stazione radio base per telefonia mobile, sulla base del più volte citato D.Lgs. n. 198/02, con avvenuto decorso dei termini, al di là dei quali detta normativa consentiva di avviare e concludere i lavori, come nella situazione in esame avvenuto.
Il Comune, tuttavia, ha esercitato la propria potestà di autotutela, annullando – prima della citata sentenza della Corte Costituzionale n. 303/2003 – la “forma autorizzativa”, cui le opere in questione sarebbero state riconducibili, ma proseguendo comunque l’iter della procedura in questione, sulla base delle disposizioni normative ritenute applicabili (disposizioni regolamentari dettate dal Comune stesso per una migliore localizzazione dell’impianto, nonché art. 2 bis della legge 1.7.1997, n. 189, circa la necessità di acquisire apposita valutazione di impatto ambientale e T.U. dell’Edilizia, prescrittivo del permesso di costruire).
In tale situazione, il Collegio ritiene superate le censure, basate sulla prospettata sussistenza di una situazione già consolidata per intervenuto silenzio assenso, alla data (1.10.2003) della declaratoria di incostituzionalità del più volte ricordato D.Lgs n. 198/2002.
Non può dirsi infatti, come vorrebbe l’attuale parte ricorrente, che il mero decorso dei termini - al di là dei quali si ammette l’esecuzione delle opere, dopo una Denuncia di Inizio Attività o un’istanza di autorizzazione non evasa entro il termine, cui la legge ricolleghi formazione del silenzio assenso - determini quell’esaurimento del rapporto, che si oppone alla retroattività degli effetti delle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionale (cfr., per il principio,Cons. St., sez. VI. 14.11.1992, n. 898; TAR Lazio, Roma, sez. I, 19.7.1989, n. 1049; TAR Sicilia, Palermo, 12.2.1993, n. 77 e 12.1.1989, n. 5; TAR Campania, Salerno, 29.3.1990, n. 127).
Quanto sopra, in base ai principi pacificamente riconosciuti in materia di potestà di autotutela, non soggetta a termini decadenziali in ordine a vizi genetici degli atti amministrativi, nonché in presenza, come nel caso di specie, di precise manifestazioni di volontà dell’Amministrazione stessa, preclusive della consolidazione del rapporto di cui trattasi (ordine di sospensione lavori in data 11.6.2003 e annullamento della “forma autorizzativa” tacita, riconducibile alla relativa istanza, in data 30.6.2003; quanto sopra, indipendentemente dalla tempestiva – ed in effetti non documentata – notifica dei provvedimenti in questione, la cui impugnazione con ricorso n. 3784/2004 non può, quindi, essere ritenuta tardiva, come eccepito dal Comune resistente).
Ugualmente infondate, tuttavia, risultano le ulteriori controdeduzioni comunali, riferite ad inapplicabilità – per intervenuta conclusione del procedimento – del D.L. n. 315 del 14.11.2003, convertito in legge 16.1.2004, n. 5, nella parte in cui (art. 4) assoggetta alla disciplina del D.Lgs. n. 259/2003 (Codice delle Comunicazioni Elettroniche) le procedure di rilascio di autorizzazioni alla installazione di infrastrutture di comunicazioni elettroniche, iniziate ai sensi del D.Lgs. n. 198/2002 e non ancora concluse (come risulterebbe, nel caso di specie, a seguito dell’atto di autotutela del 30.6.2003) alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale 1.10.2003, n. 303.
La medesima Amministrazione, infatti, ancora in data 6.10.2003 emetteva il provvedimento n. 7781 del 6.10.2003, oggetto del ricorso n. 13126/2003, con cui il responsabile del settore urbanistica del Comune di Ripi invitava la ricorrente all’osservanza del regolamento comunale per l’installazione e l’esercizio di impianti di radiotelecomunicazioni, approvato con delibera consiliare n. 25 del 25.6.2002, nonché all’osservanza del piano di localizzazione dei siti per l’installazione di stazioni radio per la rete di telefonia cellulare, approvato con delibera di G.M. 10.7.2003, n. 102 ed alla redazione di apposito studio per la Valutazione di Impatto Ambientale ex art. 2 bis L. n. 189/97 (norma, quest’ultima, abrogata ex art. 12, comma 4, D.Lgs. 198/02 cit., con decorrenza 14.9.2002), ovvero all’adeguamento del proprio impianto alle normative e regolamenti comunali vigenti, entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento, a pena di annullamento degli atti relativi all’installazione della stazione radio base, di cui alla originaria Denuncia di Inizio Attività (D.I.A.).
I presupposti normativi recepiti dall’Amministrazione, in effetti, potevano apparire contraddetti, nei punti già in precedenza indicati, dal D.Lgs. n. 198/2002, ancora in vigore alla data di emanazione dei primi atti impugnati, ma già fondatamente sottoposto al vaglio della Suprema Corte e dichiarato incostituzionale prima che il procedimento di cui trattasi fosse concluso.
Nell’ottica sopra indicata, pertanto, dopo la dichiarata incostituzionalità del D.Lgs. n. 198/2002 non poteva non trovare applicazione l’art. 4 del D.L. 14.11.2003, n. 315, convertito in legge 16.1.2004, n. 5, che espressamente sottopone la procedura stessa – ove, come nella fattispecie, iniziata ai sensi del D.Lgs. n. 198/2002 ed in corso alla data di pubblicazione della già citata sentenza della Corte Costituzionale n. 303/2003 – allo ius superveniens, contenuto nel Codice delle Comunicazioni Elettroniche, approvato con D.Lgs. n. 259/2003.
La normativa in questione, a sua volta, negli articoli 87 e 88 disciplina puntualmente la procedura autorizzativa di cui trattasi, con modalità procedurali che appaiono in larga parte reiterative delle disposizioni, contenute negli articoli 5 e 6 del ricordato D.Lgs. n. 198/2002, peraltro non ancora dichiarato incostituzionale alla data di emanazione del predetto Codice; tali modalità in particolare, proponendosi il raccordo fra tutte le Amministrazioni interessate tramite conferenza di servizi, dovrebbero ritenersi esaustive – anche in conformità agli intenti di semplificazione attuativi della delega – per la regolare installazione degli impianti in questione, con conseguente assorbimento della sub-procedura di valutazione di impatto ambientale, di cui all’abrogato art. 2 bis della legge 1.7.1997, n. 189 (circa la non riviviscenza di norme, abrogate da una legge dichiarata incostituzionale – quanto meno quando, come nella situazione in esame, l’invalidità della norma non sia direttamente riferibile all’abrogazione stessa – cfr. Cass. Civ., sez. I, 14.11.1989, n. 4854 e 30.5.1989, n. 2647).
Non può ritenersi assorbita, invece, la problematica inerente il permesso di costruire, pure ritenuto necessario dal Comune resistente (cfr., in particolare, l’impugnata delibera n. 8944/03) e previsto per tutte le installazioni in questione dal più volte citato T.U. dell’Edilizia, con inutile decorso di un dato termine equiparato a silenzio rifiuto, come tale suscettibile di impugnazione; a tale permesso il Codice delle Comunicazioni Elettroniche contrappone istanza di autorizzazione o denuncia di inizio attività, in entrambi i casi con possibilità di effettuare l’intervento, in caso di mancata risposta espressa dell’Amministrazione entro un certo termine.
In considerazione delle finalità della delega, in effetti, nonché in base alla formulazione del testo normativo in esame (che non esclude profili di disciplina urbanistica, in quanto circoscrive una fattispecie di D.I.A.) appare ragionevole ritenere che alla nuova procedura, da ultimo indicata, non possa sommarsi il titolo abilitativo, di cui ai citati articoli 10 e 3 del D.Lgs. n. 378/01 ed in tal senso si è orientata la giurisprudenza, che ravvisa una disciplina esaustiva, per gli interventi di cui trattasi, nei citati articoli 87 e 88 del D.Lgs. n. 259/03.
Non risulta intervenuta, tuttavia, quella “espressa abrogazione di tutte le norme incompatibili”, che l’art. 41, comma 2, lettera d) della legge delega n. 166/2002 impone formalmente.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’eccezione di incostituzionalità, riferita ai citati articoli 87 e 88 del D.Lgs. n. 259/2003 sia rilevante e non manifestamente infondata, in rapporto agli articoli 3, 76, 97 e 117 della Costituzione.
La prima questione che si pone è, nei termini già accennati, quella della corretta e razionale attuazione della delega, contenuta nell’art. 41 della legge 1.8.2002, n. 166, in conformità alle intenzioni del legislatore nonchè alle esigenze del settore, sottoposto a regolamentazione.
Quanto sopra, con riferimento alla già ricordata, duplice valenza delle installazioni in questione: come infrastrutture edilizie, considerate opere di urbanizzazione primaria e soggette a permesso di costruire, in base al T.U. dell’edilizia, approvato con D.P.R. 6.6.2001, n. 380 e come parti di una rete di servizi di comunicazione elettronica, oggetto di una complessa disciplina per consentire sia l’efficienza del servizio stesso, considerato di rilevante interesse pubblico, sia la tutela della salute dei cittadini, in relazione agli effetti - non ancora del tutto noti - dell’emissione di onde elettromagnetiche.
Per quanto riguarda il profilo urbanistico-edilizio, il Codice delle Comunicazioni Elettroniche (D.Lgs. n. 259/2003) sembra introdurre rilevanti deroghe alla disciplina – sia previgente che successiva alla dichiarata incostituzionalità del D.Lgs. n. 198/02 – degli impianti di cui trattasi, ad avviso del Collegio senza adeguato supporto nella ricordata legge delega e senza opportuno coordinamento, né deroga espressa, rispetto al Testo Unico (D.Lgs. n. 380/2001), predisposto con specifico riferimento a detta disciplina urbanistica.
Un fondamentale contenuto del citato T.U. dell’Edilizia, infatti, è quello della individuazione di due soli titoli abilitativi per l’edificazione: permesso di costruire e D.I.A., quest’ultima configurata come mera denuncia legittimante, per interventi edilizi minori puntualmente identificati.
Eliminato dall’ordinamento dovrebbe risultare il binomio concessione/ autorizzazione edilizia, concettualmente improprio in rapporto alla natura comunque autorizzatoria del titolo abilitativo in questione (da intendere come mera rimozione di un limite all’esercizio di un diritto e non – secondo lo schema concessorio – come conferimento del diritto stesso); quanto sopra, dopo la nota sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 25.1.1980, che ha ricondotto lo ius aedificandi tra le facoltà, insite nel diritto di proprietà.
L’introduzione del termine “permesso di costruire” dovrebbe, dunque, considerarsi ormai corrispondente ad un principio fondamentale della legislazione statale, in quanto sottolinea la non rintracciabilità di alcun fenomeno concessorio nel rilascio di un titolo abilitativo per costruire, nei limiti riconosciuti dalla Costituzione e dalla legge.
Ugualmente fondamentale appare la configurazione del silenzio dell’Amministrazione come silenzio rifiuto, immediatamente impugnabile davanti al Giudice Amministrativo (art. 21, comma 9, D.Lgs. n. 380 cit.), con ulteriore possibilità di attivare gli interventi sostitutivi della Regione (art, 21, u.c., D.Lgs. cit.): si accordano al cittadino, infatti, rimedi più rapidi ed efficaci in caso di ostacolato, legittimo esercizio dello ius aedificandi in termini congrui, ma si richiede che l’interesse pubblico per un corretto sviluppo edificatorio dei suoli sia tutelato attraverso un atto di verifica, il cui esito deve trovare formalizzazione esplicita, circa la regolarità dell’intervento progettato; solo per gli interventi edilizi ritenuti minori, in quanto per lo più modificativi di trasformazioni già intervenute nell’assetto dei luoghi, si ammette una sorta di autocertificazione di legittimità (cosiddetta D.I.A.), che consente l’edificazione con schemi comparabili a quelli del silenzio assenso.
In base al già citato combinato disposto degli articoli 1 e 10 del D.Lgs. 6.6.2001, n. 378, “l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione” viene espressamente catalogata come intervento di nuova costruzione, da cui discende una trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, richiedente permesso di costruire.
Negli articoli 87 e 88 del D.Lgs. n. 259/2003 – parzialmente reiterativo dell’art. 3 D.Lgs. n. 198/02 – viene invece riproposta la nozione di autorizzazione, in precedenza riservata agli interventi edilizi minori (manutentivi, di risanamento conservativo o a carattere pertinenziale), successivamente assoggettati a D.I.A., con mantenimento dell’istituto del silenzio assenso, pure mutuato dal D.Lgs. n. 198/02.
La nuova normativa, in effetti, non contiene anche la generalizzata facoltà di localizzare le opere di cui trattasi “in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento”, ma – al di là del “nomen iuris” (che anche nel permesso di costruire, come già ricordato, sottintende un fatto autorizzativo e non concessorio) – costruisce con diversa struttura e diverse garanzie la disciplina del titolo abilitativo, richiesto per gli impianti di telecomunicazione, rispetto a quanto previsto per ogni altra modalità di trasformazione del territorio.
Quanto sopra mentre la delega, contenuta nell’art. 41 della legge 1.8.2002, n. 166 non affida al legislatore delegato una revisione della disciplina urbanistico-edilizia (già operata con il relativo Testo Unico) e – là dove dovesse ritenersi permissiva di revisione dello schema autorizzatorio, relativo al permesso di costruire (nell’ottica di “previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti”, nonché di “regolazione uniforme dei..procedimenti...relativi al rilascio di autorizzazioni per la installazione delle infrastrutture di reti mobili”, di cui al medesimo art. 41, comma 2, lettera a), nn. 3 e 4) – impone comunque l’abrogazione espressa (nella fattispecie non effettuata) delle disposizioni incompatibili.
Quando sopra, senza considerare che la competenza a ridurre o ampliare l’ambito degli interventi edilizi ritenuti minori, effettuabili previa mera Denuncia di Inizio Attività, non può che essere attribuita alla Regione, in base al ruolo alla medesima riconosciuto in tema di governo del territorio, secondo l’art. 117 della Costituzione ed i principi recepiti nella legge costituzionale 18.10.2001, n. 3; non diversamente, del resto, dispone l’art. 1, comma 12, della legge 21.12.2001, n. 443, con riferimento alle opere soggette a D.I.A.
Non sembra senza rilievo, inoltre, il differente regime sanzionatorio che – in tema di reati di abusivismo edilizio – l’art. 44 del più volte citato T.U. dell’Edilizia ricollega ad opere eseguite senza permesso di costruire: sanzioni che dovrebbero riferirsi anche agli impianti ricetrasmittenti posizionati senza il titolo in questione, in base al medesimo T.U. e che non sarebbero, invece, applicabili ove si considerino i medesimi impianti anche tacitamente assentiti, previa istanza di autorizzazione o D.I.A., ovvero soggetti a sanzioni minori, in base al Codice delle Comunicazioni Elettroniche, con conseguente incidenza di quest’ultimo anche in materia penale, al di là dei limiti della delega, che restringe l’intervento in tale materia all’ipotesi, di cui all’art. 41, comma 2, lettera c) della legge . 166/02, con riferimento alle fattispecie disciplinate dall’art. 195 del D.Lgs. 29.3.1973, n. 156.
Ove peraltro, per superare le argomentazioni sopra esposte, si volesse ritenere ancora necessario il permesso di costruire, ugualmente i menzionati articoli 87 e 88 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche risulterebbero non conformi alla delega, prescrivendo quest’ultima la formazione di una disciplina “uniforme” per il rilascio delle autorizzazioni, relative alle installazioni in questione, con coinvolgimento di tutte le Amministrazioni interessate, affinché possano confluire in un unico, più agile procedimento tutti gli interessi pubblici tutelati, da quelli ambientali in senso lato a quelli strettamente urbanistici.
Anche a quest’ultimo riguardo alcune ulteriori considerazioni possono formularsi, infine, con riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione.
Quanto sopra, in considerazione del recente indirizzo, che individua maggiori spazi di sindacabilità della norma sul piano della conformità ai precetti costituzionali, con riferimento non solo a vere e proprie forme di contraddittorietà logica, ma anche alla discrasia fra mezzi e fini perseguiti. Detta sindacabilità, dunque, si evolve dalla individuazione di fattispecie di incostituzionalità, tradizionalmente ravvisate nella violazione del principio di razionalità desunto dall’art. 3, primo comma, della Costituzione, verso il riconoscimento di un più penetrante riscontro della Suprema Corte in rapporto al principio ragionevolezza: un principio, quello appena indicato, che è riconducibile agli articoli 3 e 97 della Costituzione stessa, dovendo coniugarsi in base al combinato disposto di tali articoli imparzialità e non arbitrarietà della disciplina adottata.
La “ratio legis”, assunta come parametro di riscontro della norma, apre indubbiamente nuove prospettive di verifica della regolarità della produzione normativa, su una linea che induce a configurare un vero e proprio vizio di eccesso di potere legislativo, rapportato a quei parametri di corretto esercizio del potere che – pur trovando più ampia applicazione nell’ambito dell’attività amministrativa – risultano in qualche misura estensibili alla produzione normativa di rango primario (là dove, appunto, sia possibile individuare uno sviamento dal fine perseguito, inteso come limite costituzionale della discrezionalità del legislatore sotto il profilo funzionale). I parametri di costituzionalità sopra indicati trovano, indubbiamente, ampi margini di applicazione in rapporto al settore – in continua espansione – della normativa delegata, attraverso cui il Governo è chiamato a dare concreta applicazione a determinate linee-guida, dettate dal Parlamento, di modo che il rispetto della ratio della legge delega implica un immediato concreto riscontro dell’indicato criterio di ragionevolezza.
Tenuto conto delle argomentazioni esposte, appare difficile negare che la normativa, attualmente sottoposta all’esame del Collegio, non sia satisfattiva delle finalità indicate nella legge delega, con specifico riferimento allo snellimento procedurale, ma anche alla certezza ed alla trasparenza degli adempimenti, richiesti per la realizzazione di impianti di telecomunicazione. Gli operatori del settore, infatti, sono stati lasciati nell’incertezza, circa i titoli abilitativi richiesti, nonché sulla effettiva estensione della potestà di controllo dell’ente locale, per la collocazione sul proprio territorio di opere di rilevante interesse pubblico, ma anche di sicuro impatto ambientale, come le reti ricetrasmittenti, in rapporto alle quali, peraltro, la disciplina delle emissioni sembra avere, in qualche modo, oscurato i pur delicati profili di trasformazione d’uso del territorio in senso puramente urbanistico.
In tale situazione, è sempre più frequente che, come nel caso di specie, sorga un contrasto fra detti operatori e l’Amministrazione, poiché i primi installano gli impianti di cui si discute, considerandoli tacitamente assentiti (come consente di ritenere il Codice delle Comunicazioni Elettroniche), mentre la seconda emette misure sanzionatorie, ritenendo i medesimi impianti oggetto di tacito diniego (come vorrebbe il Testo Unico dell’Edilizia, che però dovrebbe ritenersi superato dalla nuova normativa).
Ad avviso del Collegio, la complessità della disciplina di riferimento rende più che giustificato il previsto rilascio del permesso di costruire, con i conseguenti, già illustrati dubbi di costituzionalità circa la disciplina, dettata negli articoli 87 e 88 del D.Lgs. 1.8.2003, n. 259, nella parte in cui equipara gli impianti di telecomunicazione ad interventi edilizi minori, anche tacitamente assentibili, ovvero oggetto di autocertificazione di legittimità; per tale ragione il Collegio ritiene di dover attendere – per la soluzione della controversia in esame – il giudizio della Suprema Corte, cui vengono rimesse le descritte questioni di costituzionalità, in ordine ai citati articoli 87 e 88 del D.Lgs. 1.8.2003, n. 259, con riferimento agli articoli 3, 76, 97 e 117 della Costituzione.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, (Sez. I Quater), ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sopra illustrate, sospende il giudizio sui ricorsi nn. 13126/03, 700/04 e 3784/04, specificati in epigrafe e – riservata al definitivo ogni ulteriore pronuncia in rito, nel merito e sulle spese - ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Dispone che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio in data 12 luglio 2004, con l'intervento dei Magistrati:
Presidente Pio Guerrieri
Consigliere est. Gabriella De Michele
Referendario Antonella Mangia