REPUBBLICA ITALIANA   N. 576/05

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

 SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO

IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI

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All'udienza del  8 febbraio 2005, assistito dal dott. Stefano Mizgur,  ha pronunciato la seguente

                                       SENTENZA

Nel giudizio iscritto al n. 23449 del registro di segreteria presentato da:

Storelli Sergio nato a Risceglie (BA) il 22.6.1920

Nei confronti di:

INPDAP - in persona del presidente pro-tempore - e per esso della  sede di Venezia

Letti gli atti e viste le conclusioni dell'Amministrazione resistente

IN FATTO

Con il ricorso in epigrafe l'interessato, Segretario comunale collocato a riposo nel 1978, richiamati i principi costituzionalmente riconosciuti in ultimo con sentenza della corte costituzionale n. n. 30 del 13.1.2004,  in ordine alla natura di retribuzione differita della pensione e la necessità che la stessa assicurasse al lavoratore una esistenza libera e dignitosa,  avanzava istanza di riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento in relazione al trattamento retributivo assicurato agli appartenenti alla categoria dei segretari comunali di pari qualifica in attività di servizio.

Si è costituito l'Istituto convenuto chiedendo il rigetto del ricorso.

All'odierna udienza, presenti l'Amministrazione e l'avvocato del ricorrente, costituitosi con memoria depositata in segreteria successivamente al ricorso e riproduttiva del medesimo, la causa è stata posta in decisione.

                     MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non è fondato e va conseguentemente respinto.

Va osservato, infatti,  che l'attuale quadro normativo non consente di determinare, perequare o riliquidare, in via amministrativa,   il trattamento di quiescenza del dipendente collocato a riposo sulla base di un "aggancio automatico" al trattamento stipendiale corrisposto al personale con pari qualifica e anzianità di servizio, ostandovi le vigenti norme in tema di determinazione della base pensionabile e di perequazione dei trattamenti pensionistici (art. 43 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 e norme collegate; vedansi altresì: Corte dei Conti, Sezione III, 22 maggio 1991, n. 65799/ord; Sezione Sardegna, 13 novembre 1991, n. 0633 m/91/ord., nonché la completa elencazione delle norme in tema di perequazione e riliquidazione, succedutesi nel tempo, contenuta nella decisione della Corte dei Conti, Sez. III, 18 luglio 1991, n. 66677).

Peraltro le Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, dubitando della costituzionalità del predetto quadro normativo, hanno più volte sollevato al riguardo questioni di incostituzionalità, rappresentando - fra le altre - anche le argomentazioni sostanzialmente contenute nel ricorso in discussione, specie con riferimento al trattamento di quiescenza oggi previsto per magistrati, dirigenti dello Stato e categorie assimilate (tra le quali rientrano gli ufficiali superiori delle forze armate).

Ex multis, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 30 del 2004  hanno riaffrontato la questione,  così nel merito motivando:

“ La riproposizione da parte dello stesso giudice rimettente - sia pure nell'ambito di un diverso giudizio - di una questione già esaminata e le interpretazioni della precedente giurisprudenza costituzionale in materia alla base dell'ordinanza di rimessione, rendono opportuno riesaminare la questione alla luce delle più recenti evoluzioni normative, al tempo stesso ripercorrendo - a fini chiarificatori - le soluzioni cui è pervenuta questa Corte in tema di perdurante adeguatezza dei trattamenti pensionistici nel settore del pubblico impiego.

Riconoscendo alla pensione natura di retribuzione differita, la Corte costituzionale ha sempre affermato che essa deve essere proporzionata alla qualità e quantità di lavoro prestato e deve comunque essere idonea ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa, nel pieno rispetto dell'art. 36 Cost.

L'art. 38, secondo e quarto comma, della Costituzione, inoltre, riconosce il diritto dei lavoratori a “che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” anche tramite “organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”.

L'azione di integrazione anche economica tramite interventi a carico della finanza pubblica appare tanto più necessaria in presenza di un significativo allungamento della vita dei cittadini, e del conseguente prolungamento del periodo nel quale è anzitutto il trattamento pensionistico ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa al pensionato e ai suoi familiari (pur senza escludere la necessità di forme di assistenza sociale e sanitaria pienamente adeguate).

In questo contesto, è particolarmente importante che siano individuate le modalità per garantire effettivamente che il trattamento pensionistico sia adeguato non solo al momento del collocamento a riposo, ma anche successivamente, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta (si vedano, in particolare, le sentenze n. 409 del 1995 <http://www.giurcost.org/decisioni/1995/0409s-95.htm>; n. 96 del 1991 <http://www.giurcost.org/decisioni/1991/0096s-91.html>; n. 501 del 1988 <http://www.giurcost.org/decisioni/1988/0501s-88.html>).

Mentre non esiste un principio costituzionale che possa garantire l'adeguamento costante delle pensioni al successivo trattamento economico dell'attività di servizio corrispondente, l'individuazione di meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni è riservata alla valutazione discrezionale del legislatore, operata sulla base di un “ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti (…), compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa” (sentenza n. 119 del 1991 <http://www.giurcost.org/decisioni/1991/0119s-91.html>; nello stesso senso, cfr. ordinanza n . 531 del 2002 <http://www.giurcost.org/decisioni/2002/0531o-02.html>; sentenze n. 457 del 1998 <http://www.giurcost.org/decisioni/1998/0457s-98.html> e n. 226 del 1993 <http://www.giurcost.org/decisioni/1993/0226s-93.html>), ma con il limite, comunque, di assicurare “la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona” (sentenza n. 457 del 1998 <http://www.giurcost.org/decisioni/1998/0457s-98.html>).

Questa Corte ha peraltro affermato che l'eventuale verificarsi di un irragionevole scostamento tra i due trattamenti - ove siano comparabili i relativi profili professionali - può costituire un indice della non idoneità del meccanismo scelto dal legislatore ad assicurare la sufficienza della pensione in relazione alle esigenze del lavoratore e della sua famiglia (sentenza n. 409 del 1995 <http://www.giurcost.org/decisioni/1995/0409s-95.htm>; n. 226 del 1993 <http://www.giurcost.org/decisioni/1993/0226s-93.html>).

3. - Per un lungo periodo, in realtà, il legislatore nazionale ha cercato di garantire un collegamento delle pensioni relative al settore del pubblico impiego alla successiva dinamica retributiva, ma a questa scelta sembra aver da tempo  ormai rinunciato, sia per evidenti problemi relativi alla finanza pubblica, sia anche per profonde trasformazioni che sono intervenute nella disciplina del pubblico impiego. Al di là di singole leggi per specifiche categorie, con le quali nel passato si era provveduto ad adeguare le pensioni al successivo andamento dei livelli retributivi, con la legge 29 aprile 1976, n. 177 (Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescenza del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza) è stato configurato un meccanismo di perequazione automatica che avrebbe consentito l'adeguamento periodico delle pensioni di tutte le diverse categorie del pubblico impiego agli incrementi stipendiali intervenuti, secondo un indice che avrebbe dovuto essere concordato tra il Governo e le parti sindacali. Rimasta inapplicata questa legge, il medesimo intento successivamente è stato ancora perseguito, ma sempre più raramente, con alcune leggi ad hoc.

Nell'ambito di questo tipo di legislazione, quando la riliquidazione appariva affetta da irragionevoli disparità di trattamento, questa Corte è stata chiamata a sindacarne la legittimità costituzionale: ad esempio, ciò è avvenuto con la sentenza n. 1 del 1991 <http://www.giurcost.org/decisioni/1991/0001s-91.html> (richiamata impropriamente dalla Corte dei conti e dalla parte privata), concernente la riliquidazione per legge delle pensioni dei dirigenti, civili e militari, dello Stato, effettuata sulla base di incrementi stipendiali successivi al collocamento a riposo, ma irragionevolmente limitata ai soli lavoratori collocati in quiescenza a partire da una certa data e dalla quale erano invece esclusi  coloro che erano andati in pensione anteriormente.

Peraltro il legislatore, già in periodo alquanto risalente, al fine di garantire il mantenimento del potere di acquisto delle pensioni in generale, aveva disposto l'adeguamento dei trattamenti pensionistici agli indici reali di svalutazione (art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1984” e art. 24 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1986”); su questa linea, soprattutto in epoca più recente, il legislatore per fronteggiare gravi esigenze di contenimento della spesa pubblica ed allo scopo - enunciato nell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) - di stabilizzare il rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno lordo, ha consapevolmente svincolato i trattamenti pensionistici dall'andamento delle successive retribuzioni e cercato di salvaguardarne nel tempo il potere d'acquisto e l'adeguatezza attraverso il solo meccanismo della perequazione automatica dell'importo alle variazioni del costo della vita.

In attuazione di tale delega, il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), ha disposto -  all'art. 11 - che gli aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni si applicano sulla base del solo adeguamento al costo della vita con cadenza annuale e con effetto dal 1° gennaio di ogni anno, stabilendo che tali aumenti vengano calcolati “applicando all'importo della pensione spettante alla fine di ciascun periodo la percentuale di variazione che si determina rapportando il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, relativo all'anno precedente il mese di decorrenza dell'aumento, all'analogo valore medio relativo all'anno precedente”. La stessa norma, peraltro, rinviava ad ulteriori aumenti eventualmente stabiliti con la legge finanziaria, in relazione all'andamento dell'economia nazionale.

Successivamente, la legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure di stabilizzazione della finanza pubblica), all'art. 59, comma 4, ha disposto che la perequazione automatica delle pensioni, prevista dal citato articolo 11, costituisca, a decorrere dal 1998, l'unica forma di adeguamento delle prestazioni pensionistiche, “con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento anche collegate all'evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio”.

Le modalità di applicazione del meccanismo di rivalutazione delle pensioni sono state definite dall'art. 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), mentre l'art. 69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001) ha fissato la misura entro la quale si applica l'indice di rivalutazione automatica a decorrere dal 1° gennaio 2001 (limitandola al 90%, per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici compresi tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS, e al 75% per le fasce di importo superiori a cinque volte il predetto trattamento minimo).

In attuazione delle disposizioni sopra richiamate, annualmente, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, adottato di concerto con il Ministro del lavoro, viene determinata la percentuale di variazione sulla cui base devono essere calcolati gli aumenti di perequazione automatica delle pensioni.

Se questa recente evoluzione legislativa è chiaramente orientata nel senso di salvaguardare nel tempo il potere d'acquisto e l'adeguatezza dei trattamenti pensionistici unicamente attraverso il meccanismo della perequazione automatica dell'importo alle variazioni del costo della vita, essa risulta sostanzialmente anche coerente sia con il prevalente carattere contributivo assunto dal sistema pensionistico a seguito della riforma introdotta dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sia anche con la profonda riforma che ha interessato il pubblico impiego ed in particolare la dirigenza pubblica, il cui trattamento economico è, per la parte accessoria, correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità ed ai risultati conseguiti (art. 24 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”).

Mentre tutto ciò rende sempre più difficile riferirsi allo scostamento tra le pensioni e le successive modificazioni dei diversi trattamenti stipendiali, il perdurante necessario rispetto dei principi di sufficienza ed adeguatezza delle pensioni impone al legislatore, pur nell'esercizio del suo potere discrezionale di bilanciamento tra le varie esigenze di politica economica e le disponibilità finanziarie, di individuare un meccanismo in grado di assicurare un reale ed effettivo adeguamento dei trattamenti di quiescenza alle variazioni del costo della vita (ordinanza n. 241 del 2002 <http://www.giurcost.org/decisioni/2002/0241o-02.html>; ordinanza n. 439 del 2001 <http://www.giurcost.org/decisioni/2001/0439o-01.html>; ordinanza n. 254 del 2001 <http://www.giurcost.org/decisioni/2001/0254o-01.html>). Con la conseguenza che il verificarsi di irragionevoli scostamenti dell'entità delle pensioni rispetto alle effettive variazioni del potere d'acquisto della moneta, sarebbe indicativo della inidoneità del meccanismo in concreto prescelto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli artt. 36 e 38 della Costituzione.

4. - Sulla base delle considerazioni svolte, è possibile esaminare le censure mosse dalla rimettente.

Infondata è la questione sollevata con riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Le norme impugnate si limitano a disporre aumenti stipendiali per il personale in servizio alla data della loro entrata in vigore, mentre non contengono alcuna disposizione relativamente al trattamento economico del personale già in quiescenza.

Alla luce del costante orientamento di questa Corte, la circostanza che il legislatore, nel prevedere un incremento delle retribuzioni del personale in servizio, non lo abbia esteso anche alle pensioni già liquidate, non costituisce violazione di alcun canone costituzionale.

Indubbiamente tale mancata estensione produce uno scostamento tra trattamenti pensionistici maturati in tempi diversi, ma, a differenza di quanto sostiene la rimettente, tale conseguenza non contrasta di per sé con l'art. 3 della Costituzione, essendo giustificata dal diverso trattamento economico di cui i lavoratori hanno goduto durante il rapporto di servizio e che era vigente nei diversi momenti in cui i relativi trattamenti pensionistici sono maturati (ordinanza n. 162 del 2003 <http://www.giurcost.org/decisioni/2003/0162o-03.html>; sentenza n. 180 del 2001 <http://www.giurcost.org/decisioni/2001/0180s-01.html>).

5. - Anche la questione prospettata con riferimento agli artt. 36 e 38 della Costituzione, è infondata.

Il rispetto dell'art. 36 Cost., in origine assicurato da un trattamento proporzionato alla qualità e quantità di lavoro prestato, è stato successivamente perseguito con un meccanismo di adeguamento al costo della vita (previsto dal d.lgs. n. 503 del 1992 e dalla legge n. 448 del 1998 sopra richiamati), che il giudice rimettente non ha preso in considerazione in rapporto alla permanente necessità che il trattamento pensionistico rimanga adeguato ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa.”

Alla luce delle esposte argomentazioni la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità sollevata con riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione.

Il ricorrente con l'esposizione ragionata delle diversità oggettive esistenti non solo in termini di importi tra il proprio trattamento pensionistico e lo stipendio di un Segretario comunale che oggi riveste e svolge gli stessi compiti da lui svolti oltre 25 anni fa, intende dimostrare che si è superata la soglia della “irragionevolezza” della diversità tra i  trattamenti economici  di cui parla la giurisprudenza costituzionale richiamata, sollevando in sostanza le stesse censure di incostituzionalità per violazione degli artt. 36 e 38 Cost. appena esaminate dal Giudice delle leggi. 

Questo Giudice tuttavia non ravvisa, alla luce della motivata decisione sopra integralmente riportata nella sua parte essenziale, motivi nuovi o diversi di censura da riproporre alla Corte Costituzionale, né appare possibile, contrariamente a quanto affermato di recente dalla Sezione Puglia della Corte dei Conti con le sentenze n. 70 e  71 del 2005 (est. Raeli), riconoscere e dichiarare un principio di automatico collegamento della misura delle pensioni al trattamento retributivo del personale in servizio, che, come lo stesso estensore riconosce in linea preliminare alla sua motivazione “….non è, in effetti, contenuto in alcuna espressa disposizione legislativa che lo sancisca in termini generali,…”.

Così facendo, infatti, il Giudice finisce con il sostituirsi o al legislatore, o al giudice delle leggi, in ogni caso invadendo attribuzioni costituzionalmente non proprie.

A nulla rileva, peraltro la “bontà” della argomentazioni ricavabili dalle citate sentenze, che, laddove come nella specie,  adeguatamente esposte, ad altro non potevano portare se non alla riproposizione delle questioni di costituzionalità già ampiamente esaminata dalla Corte Costituzionale, nella speranza di un esito diverso.

La complessità della questione sollevata esime dalla pronunzia sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per il Veneto, il Giudice unico delle pensioni, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Venezia il 20.11.2003

                                            IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI                                   

                                                      f.to Dott. Giovanni Di Leo

Depositata in Segreteria il 11.03.2005

f.to Guarino