REPUBBLICA  ITALIANA  Sent. n. 147/2005/E.L.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA BASILICATA

composta dai seguenti magistrati:

dr. Salvatore NOTTOLA                               Presidente

dr. Vincenzo Maria PERGOLA                   Consigliere

dr. Giuseppe TAGLIAMONTE                Primo referendario rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità n.6292/E.L. promosso ad istanza del Procuratore Regionale nei confronti di

Pietro LAMORTE; Salvatore TAMBURRINO; Eligio Mario FEZZUOGLIO; Gerardo Raffaele CROCETTO; Luigi DESANTIS, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Enzo FAGGELLA  ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo sito in Potenza alla Piazza Vittorio Emanuele, n.14.

Avente ad oggetto: richiesta di risarcimento danni per un importo di         €. 110.166,66 oltre accessori di legge a favore del Comune di Muro Lucano;

Visto l'atto introduttivo del presente giudizio e  gli atti di causa;

Uditi, alla pubblica udienza del 12 aprile 2005, il Primo Referendario relatore dr. Giuseppe TAGLIAMONTE  nonchè il P.M. d'udienza          dr. Michele ORICCHIO che concludeva come da relativo verbale d'udienza;

Con l'assistenza del segretario sig.ra Maria Anna CATUOGNO;

PREMESSO IN FATTO

Con atto di citazione depositato presso la segreteria di questa Sezione giurisdizionale in data 12.11.2004, e preceduto da rituale invito a dedurre ex art.5 L.1994 il Procuratore Regionale   conveniva in giudizio innanzi a questa Sezione giurisdizionale della  Corte dei conti i sigg.ri Pietro LAMORTE; Salvatore TAMBURRINO; Eligio Mario FEZZUOGLIO; Gerardo Raffaele CROCETTO; Luigi DESANTIS per quivi sentirli condannare al pagamento della somma di €. 110.166,66 oltre accessori di legge in favore del Comune di Muro Lucano (PZ) per il danno dagli stessi arrecato al predetto ente locale nella loro qualità di Tecnici progettisti rivestenti anche il ruolo di Direttori dei lavori per la progettazione e realizzazione di una strada c.d. “di penetrazione nel centro storico”, a causa della condotta dagli stessi tenuta e giudicata  inescusabilmente superficiale e gravemente contraria ai doveri dell'ufficio pubblico loro conferito. 

I fatti posti a base dell'editto accusatorio possono così sinteticamente riassumersi:

Il presente giudizio di responsabilità amministrativa partiva da un'ipotesi di danno subito dal Comune di Muro Lucano di €.330.500, pari alla somma che detto ente locale aveva  dovuto pagare nell'anno 2003 alla società di costruzioni “ Crocetto Feliceantonio”, risultata vincitrice della gara d'appalto per la realizzazione della predetta  strada di penetrazione e corrisposta per effetto della  transazione intercorsa tra le parti diretta a risolvere la controversia insorta ed originata dalle richieste risarcitorie avanzate dalla predetta società appaltatrice per i danni da questa subiti dall'abnorme prolungamento della durata dei lavori, conseguente a varie sospensioni degli stessi, resesi necessarie per l'indisponibilità delle aree interessate.

La vicenda aveva avuto il suo epilogo nella surrichiamata transazione con cui era stata determinava la somma da corrispondersi alla società appaltatrice a tacitazione delle richieste avanzate dalla stessa e riferite ai danni subiti, come detto sopra, a causa dei ritardi realizzativi dell'opera derivanti dalla materiale indisponibilità dei suoli coinvolti nel progetto: tanto veniva consacrato nella relazione della Commissione di Collaudo che aveva riconosciuto come dovute le somme vantate dall'impresa. L'importo di cui sopra era stato successivamente liquidato quale “debito fuori bilancio” con deliberazione giuntale n.13 del 22.1.2003.

L'istruttoria espletata dalla Procura, giovatasi anche delle acquisizioni probatorie presenti nel giudizio a carico del sindaco pro-tempore sfociato nella assoluzione dello stesso, giusta  sentenza n.219/99/EL emessa da questa stessa Sezione Giurisdizionale, aveva,  ad avviso del P.M., individuato le cause della produzione del contestato danno nel concorso delle condotte ascrivibili agli odierni convenuti, tutte caratterizzate quanto meno dal requisito della colpa.

Come sopra anticipato, già  con sentenza n.219/1999, questa Sezione, chiamata a pronunciarsi sull'accertamento della responsabilità per i danni derivanti dall'aggravio di spese  conseguenti alle disposte  ripetute sospensioni dei lavori, ebbe modo di escludere la responsabilità del sindaco, inquadrando la stessa, dopo attento esame, nell'ipotesi di condotta connotata da colpa lieve e comunque concorrente con quella di altri soggetti  non convenuti in quella sede.

La definitiva determinazione del danno e l'acquisizione di ulteriore documentazione amministrativa, nonchè delle relazioni redatte dai collaudatori nel giugno del 2001, avevano convinto la parte attrice del fatto che potessero essere chiamati a rispondere del predetto danno soltanto i tecnici progettisti rivestenti anche il ruolo di direttori dei lavori in quanto solo per essi si riteneva raggiunta la prova della gravità della colpa che aveva connotato il loro operato.

Storicizzando l'accaduto che qui ci occupa, continuava la Procura nel delineare la propria tesi accusatoria, esso appariva un chiaro esempio di quella cattiva amministrazione che aveva caratterizzato in particolare gli anni ottanta e i primi anni novanta e che era stata la causa di tanti dissesti finanziari degli enti locali: in questo caso si aveva innanzitutto un susseguirsi di sindaci ed amministratori che, nonostante la brevità del mandato, avevano posto in essere atti determinanti per l'incantieramento di un lavoro pubblico, nonostante non vi fossero ancora tutti i presupposti di fatto necessari per la sua realizzazione (disponibilità delle aree interessate ai lavori); inoltre si era provveduto a nominare l'ingegnere capo nella persona  dell'arch. Anna Abate solo con delibera di Giunta n.173 del 15.4.1991.

Si era al cospetto, poi, di una  struttura tecnica comunale che  non aveva fornito l'adeguato supporto tecnico alle decisioni da prendersi  e di una commissione di aggiudicazione che non aveva rilevato prontamente (nonostante la presenza in essa di esperti ingegneri) la mancanza del piano particellare d'esproprio, ritenendo che ciò non rientrasse nei propri compiti, e che il piano contenuto  nel progetto di recupero fosse comunque sufficiente per consentire la realizzazione del lavoro ideato; vi erano stati, ancora, professionisti esterni all'Amministrazione che avevano redatto il progetto venendo poi nominati direttori dei relativi lavori, i quali stessi avevano provveduto alla consegna di quei lavori: tutto ciò nonostante la notoria mancanza della disponibilità dei suoli interessati alla realizzazione dell'opera, giusta riserva inserita nel verbale di consegna dalla società appaltatrice.

Si trattava, dunque, ad avviso di parte attrice, di una pluralità di condotte tutte concorrenti alla causazione del danno e che tuttavia si ritenevano perseguibili solo per la parte relativa al contributo causale fornito da quelle dei tecnici progettisti - direttori dei lavori, in quanto uniche connotate dalla colpa grave.

Come, infatti, desumibile dalla richiamata sentenza assolutoria n.219/99 (passata in giudicato) nonché dall'autonomo provvedimento di archiviazione della posizione dei componenti della Commissione aggiudicatrice, nei confronti degli appartenenti ai primi due gruppi di soggetti interessati non era stato possibile ravvisare la sussistenza della colpa grave nelle rispettive condotte. In particolare i progetti esaminati, ove recanti varianti rispetto a quello originario,  non dovevano essere corredati dal relativo piano, giusta previsione del bando di gara.

Per quanto atteneva alla quantificazione del danno, nel rispetto del criterio della “causalità adeguata” generalmente adottato dalla giurisprudenza di questa Corte, valutato il concorso di una pluralità di condotte alla causazione del danno stesso in €.330.500,00 verso le finanze del comune di Muro Lucano, riteneva il P.M. che il concorso di ciascuna delle predette condotte potesse così individuarsi: la condotta degli amministratori; quella dell'Ufficio tecnico dell' ente e della commissione aggiudicatrice; ed infine quella  dei progettisti-direttori dei lavori: ciascuna delle distinte condotte, si precisava, si rivelava idonea a produrre un terzo del danno innanzi richiamato: tuttavia, l'unica attività perseguibile - perché connotata da colpa grave - era quella tenuta dai progettisti-direttori dei lavori, ai quali, pertanto, andava  ascritto un terzo del danno complessivamente patito dall'ente, pari ad € 110.166,66, somma da suddividersi in misura paritaria fra tutti gli odierni convenuti componenti il collegio di Direzione dei Lavori, ed oggi qui evocati proprio in ragione della predetta qualifica rivestita.

Parte attrice, nel libello introduttivo,  riteneva violate le seguenti previsioni normative indicative del notevole disvalore dell'attività dagli stessi tenuta:

A) l'art. 5 del R.D. 350/1895 (“operazioni precedenti la consegna”) in base al quale l'Amministrazione è tenuta a verificare attraverso la Direzione lavori, “prima che si bandiscano gli esperimenti di gara” l'esistenza di circostanze, condizioni, ostacoli che possano nuocere in qualche modo alla consegna dei lavori ovvero impedire che gli stessi subiscano intralci tali da compromettere il regolare avanzamento e, quindi, rendere oneroso il contratto. In presenza di tali circostanze il II° comma della norma in esame inibisce l'indizione della gara fino a quando non vengano rimossi gli elementi ostativi , ivi compresi quelli di cui al successivo art.8 relativi alla piena disponibilità delle aree su cui i lavori insistono.

B) Art.1176 - II° comma del codice civile in base al quale “nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”.

Apparivano, pertanto, sempre ad avviso di parte attrice, evidenti gli scostamenti comportamentali  addebitabili agli odierni convenuti: i numerosi tecnici-progettisti  e direttori dei lavori, giusta delibera di G.M. n.359/1985, avevano provveduto a redigere  un progetto di strada di penetrazione nel centro abitato di Muro Lucano prevista nel piano di recupero adottato ai sensi della L.219/1981 che poteva definirsi  chiaramente  lacunoso in quanto privo del completo piano particellare di esproprio, giusta nota del sindaco p.t. del 12.9.1987.

A seguito della stessa i predetti tecnici avevano trasmesso un piano particellare d'esproprio ( nota del 3.10.1987), anche questo incompleto: il Dipartimento “assetto del Territorio” della Regione Basilicata con nota del 24.2.1988 testualmente aveva prescritto al punto 8 che “relativamente agli espropri non previsti nel piano di recupero, si provveda a definirne entità ed importo con apposito piano particellare e descrittivo”.

Il Comune, con delibera di G.M.n.59 del 1.2.1989, aveva approvato il predetto progetto dando atto che i progettisti, con nota del 19.1.1989, avevano comunicato di avere provveduto a tale incombenza.

Tale  circostanza   veniva,   però,  contraddetta  dal  fatto  che il  “piano

particellare descrittivo e grafico“ era stato depositato in Comune dai progettisti-direttori dei lavori solo in epoca prossima alla sua approvazione avvenuta con delibera di G.M.n.589 del 7.11.1990.

Nelle more, tuttavia, con la deliberazione di Giunta n.324 in data 19 giugno 1990 era stata approvata la graduatoria finale di merito, redatta dalla Commissione appositamente costituita per l'aggiudicazione della gara d'appalto dei lavori di realizzazione della strada che era stata bandita con il sistema dell'offerta migliorativa di cui all'art.24, I° comma lett.B) della L.584/1987 ed era risultata vincitrice la impresa di costruzioni dell' ing. Feliceantonio Crocetto che effettivamente aveva presentato alcune modifiche altimetriche e planimetriche delle quali i progettisti-direttori dei lavori non tennero conto, sicchè anche il piano particellare presentato non risultò utilizzabile, tant'è che quello definitivo si era avuto solo nel 1996 (giusta delibera di approvazione di G.M. n.34 del 1996).

Nel frattempo i lavori erano stati consegnati (senza previa nomina dell'Ingegnere Capo) ed erano andati avanti di fatto, in base a 2 distinti e sovrapposti progetti che, invece, andavano previamente unificati ed adeguati alle citate prescrizioni del C.T.A. del 1987.

Di tanto dovevano farsi carico indubbiamente i tecnici progettisti e direttori dei lavori e non lo fecero almeno fino all'approvazione della variante definitiva  del 1996: con ciò essi avevano violato il dovere di accertare l'inesistenza di ostacoli all'esecuzione dell'opera prima della consegna dei lavori ed anche quello di diligenza professionale: risultava, anzi, che  essi avevano insistito per la consegna dei cantieri  evidenziando che i ritardi potevano essere posti a base di richieste risarcitorie, senza peritarsi di valutare - come avrebbero dovuto fare - che le “fughe in avanti” avrebbero comportato danni ben più gravi.

Da tali “peccati originali”, secondo la locale Procura, erano certamente derivate tutte le vicissitudini emerse durante l'esecuzione dei lavori e che avevano anche provocato la lunga sospensione degli stessi (1992/1996), sospensione posta a fondamento delle richieste risarcitorie sfociate nel richiamato accordo transattivo del 2003.

Illuminanti, sul punto, erano le relazioni tecniche acquisite presso l'U.T.C. di Muro Lucano e la relazione riservata di collaudo; ma anche il successivo atteggiamento tenuto dalla Direzione Lavori non risultava essere esente da censure in quanto sostanzialmente incoerente: da un lato essa aveva intimato all'impresa di procedere nell'esecuzione degli stessi, dall'altro aveva relazionato all'ingegnere capo sulla fondatezza delle riserve avanzate dall'impresa appaltatrice.

Non poteva, quindi affermarsi che la Direzione dei Lavori avesse fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per assicurare la prosecuzione degli stessi nelle aree già disponibili in modo da evitare le prevedibili richieste risarcitorie della società appaltatrice (giusta riserve reiteratamente apposte al registro di contabilità dei lavori).

La parte attrice concludeva, infine, evidenziando come da tale quadro

di insieme emergesse una condotta  inescusabilmente superficiale tenuta nel caso di specie dagli odierni convenuti, condotta altresì gravemente contraria ai doveri dell'ufficio pubblico loro conferito e rivelatasi idonea, senza ragionevole dubbio, a causare il danno oggi loro imputato.

Tale medesima condotta - attiva ed omissiva- si connotava come gravemente colposa e direttamente causativa di un terzo del danno complessivamente subito dal Comune di Muro Lucano in conseguenza degli anzidetti lavori pari ad €.330.500,00 giusta richiamata transazione: tale danno addebitabile agli odierni convenuti, pari dunque ad €.110.116,66 oltre accessori di legge andava fra gli stessi ripartito in parti uguali, avendo tutti in eguale misura concorso alla verificazione dello stesso.

Instauratosi il contraddittorio con la notifica della citazione e del pedissequo decreto presidenziale di fissazione, gli odierni convenuti si costituivano in giudizio attraverso il proprio rappresentante e difensore - avv. Enzo FAGGELLA - che depositava  memoria di costituzione e difesa  presso la Segreteria di questa Sezione Giurisdizionale in data 19.3.2005.

Il patrono di parte convenuta, nella precitata memoria,  giudicava infondata la tesi accusatoria e contestava l'assunto di danno arrecato al Comune di Muro Lucano: in primis riteneva che fosse evidente che i Direttori dei Lavori, prima dell'aggiudicazione della gara d'appalto fossero nella materiale impossibilità di segnalare  gli ostacoli di cui parla la norma citata dalla parte attrice nell'atto di citazione, in quanto non potevano conoscere il nuovo progetto ed il nuovo tracciato della strada; nel caso di specie, considerava l'impianto accusatorio inficiato della confusione tra il concetto di “esproprio” da un lato ed il concetto di “materiale occupazione degli immobili da espropriare” dall'altro.

Inoltre, l'intera fase di esecuzione degli espropri non era demandata o demandabile alla Direzione dei Lavori: quindi i ritardi verificatisi per effetto della predetta attività, ed individuati come unica causa della lentezza dei lavori, non erano in alcuna maniera addebitabili ai propri assistiti; del resto la sola delibera della Giunta comunale n.236 del 10.6.1992 di sospensione dei lavori si rivelava idonea, ad avviso del difensore costituito a demolire l'intero impianto accusatorio, laddove si dava atto “dell'esistenza del piano particellare di esproprio; che solo l'Ente è soggetto a richiedere e ad adoperare la forza pubblica per le operazioni di immissioni in possesso e che il problema degli sgomberi è l'unico ostacolo alla prosecuzione dei lavori sì da essere costretti a sospenderli”.

La tesi difensiva del patrono di parte convenuta continuava nell'analitica e meticolosa critica ai contenuti accusatori dell'atto di citazione per poi evidenziare come, a proprio giudizio, il comune di Muro Lucano avesse indennizzato “due volte” l'impresa Crocetto per il ritardo nell'esecuzione dei lavori, ritardo quest'ultimo, sicuramente  imputabile alla stessa Amministrazione; al contrario, dalla documentazione allegata, si evinceva  come la Direzione dei Lavori si fosse prontamente attivata per consentire alla predetta impresa di eseguire i lavori nelle aree già disponibili.

L'unica causa del ritardo era così da attribuire unicamente alla tardiva comunicazione del responsabile dell'UTC avvenuta soltanto dopo quattro anni (2.5.1996) dalla data di sospensione dei lavori deliberata dallo stesso Comune in data 10.6.1992, nonostante il parere contrario della Direzione dei Lavori che ne evidenziava la non necessità ed il rischio, paventato per l'Amministrazione, di dover corrispondere all'Impresa importi aggiuntivi.

Dall'individuazione della suesposta unica causa del ritardo, ad avviso del difensore costituito,  derivava che nessun addebito poteva essere mosso ai convenuti odierni proprio perché la materiale attività di occupazione e presa di possesso degli immobili non era di loro competenza ma dell'UTC.

L'assunto difensivo si concludeva, quindi, rimarcando ancora una volta in maniera estremamente chiara  la correttezza dei Direttori dei lavori e l'assenza di qualsiasi responsabilità ravvisabile nel loro operato, neanche nella forma della colpa lieve per la causazione del danno contestato loro.

Chiedeva, quindi, il rigetto della domanda della Procura attrice ritenendo la stessa del tutto infondata.

Nel corso dell'odierna udienza di discussione, tanto  il Pubblico Ministero quanto il difensore costituito, richiamando il contenuto dei rispettivi atti scritti, ne confermavano le conclusioni ivi formulate.

La causa veniva, dunque, trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Il  danno  patito  dal  Comune  di  Muro  Lucano, e  di  cui  la Procura

Regionale con l'atto in esame chiede il ristoro agli odierni convenuti, viene definito nella somma, pari ad € 330.500,00 corrisposta dall'Amministrazione Comunale di Muro Lucano all'Impresa “CROCETTO Feliceantonio”, a seguito e per effetto della transazione formata allo scopo di soddisfare, in via stragiudiziale, le pretese creditorie dall'impresa stessa vantate a causa della verificazione di ritardi dannosi nella esecuzione dei lavori a questa appaltati per la realizzazione di una “strada di penetrazione” nel centro storico dell'abitato.

La verificazione di tali ritardi, dall'impresa addebitabili all'Amministrazione appaltante ed integranti il contenuto di specifiche riserve inserite nel registro di contabilità, puntualmente esaminate dai Collaudatori e da questi ultimi tradotte in ragioni di credito per l'impresa stessa, aveva di fatto dilatato i tempi di realizzazione dell'opera, generando verso l'impresa l'insorgenza di un danno economicamente rilevante, successivamente ristorato attraverso la ricordata conclusione dell'accordo transattivo.

La premessa definitoria dell'oggetto di causa ora svolta appare importante al Collegio per precisare la diversa natura ed origine della somma di € 330.500,00 di cui la Procura Regionale invoca il risarcimento oggi, rispetto alla richiesta contenuta nel precedente atto di citazione, riferito alla medesima fattispecie “storico-amministrativa” e produttivo della vicenda processuale definita con la sentenza n.219/99/EL pure richiamata nell'atto introduttivo dell'odierno giudizio, e che prendeva le mosse dall'importo versato dall'Amministrazione Comunale all'Impresa a titolo di revisione prezzi.

E se lo svolgimento dei fatti nelle due vicende appare identico, ed immutato nella registrazione storica, nonché nella prospettata individuazione del momento genetico del danno, diversa si atteggia tanto la determinazione del nocumento patrimoniale subito dal Comune di Muro Lucano, oggi chiaramente identificato con la somma corrisposta per fronteggiare ed esaudire le riserve avanzate dall'impresa, quanto l'indicazione dei presunti responsabili del danno stesso, nell'atto in esame individuati nei componenti - in numero di cinque - dell'Organo di Direzione dei Lavori, alla cui superficiale, negligente ed imperita condotta omissiva la Procura Regionale imputa i ritardi nella esecuzione dei lavori discendenti dalla mancata tempestiva realizzazione del programma di espropriazioni che avrebbe dovuto consentire la piena disponibilità delle aree sulle quali portare a compimento il progettato intervento nei tempi prestabiliti.

La Direzione dei Lavori avrebbe in particolare omesso, secondo la tesi accusatoria, di predisporre, in origine, “il piano di esproprio grafico e descrittivo” ritenuto prodromico alla regolare attivazione delle procedure ablatorie degli immobili la cui demolizione era necessaria per lo sviluppo del progettato intervento viario.

La descritta condotta omissiva, sempre secondo l'editto accusatorio in esame, avrebbe altresì integrato in pieno la violazione della fattispecie normativa contemplata nell'art. 5 del R.D. 350 del 1895 che impone all'Amministrazione appaltante, attraverso la Direzione dei Lavori, l'obbligo di verificare, prima del bando degli esperimenti di gara, l'esistenza di impedimenti ostativi alla regolare esecuzione dei lavori, e ciò al fine di consentire che gli stessi si sviluppino nella programmata volontà progettuale ed amministrativa.

In ordine alla descritta pretesa violazione della suddetta norma, evidentemente indicativa - se accertata come tale - di una sintomatica gravità dell' ”animus” sotteso alla complessiva condotta serbata nel caso di specie dagli odierni convenuti, il Collegio osserva come le particolari modalità di aggiudicazione dei lavori in argomento, segnate dalla necessità di effettuare valutazioni sui miglioramenti progettuali apportati  e proposti dalle ditte concorrenti al “progetto base” inizialmente redatto dalla Direzione dei Lavori, decolorino sensibilmente la portata del sillogismo interpretativo formulato dalla Procura regionale sulla riconducibilità della vicenda storica effettivamente realizzatasi (fattispecie concreta) alla regola di condotta generalmente derivata dal legislatore regolamentare del 1895 (fattispecie astratta), sì da non consentire alcuna agevole sovrapposizione dei due termini coinvolti nel procedimento logico interpretativo proposto. Essendo mutate, in altre parole, le condizioni di aggiudicazione rispetto a quelle contemplate dalla norma di riferimento, ne consegue che anche gli obblighi intestati dalla stessa norma ai soggetti attori di quel procedimento subiscano una mutazione, non potendo gli stessi essere chiamati a svolgere una puntuale ed approfondita verifica su una proposta progettuale diversa da quella adottata “prima che si bandiscano gli esperimenti di gara”.

La considerazione svolta, pur assumendo un ruolo rilevante nel percorso decisionale del Collegio, non assorbe tuttavia “ex se” l'intero impianto valutativo che occorre esplicitare per definire motivatamente la soluzione assolutoria assunta da questo Giudice.

E tanto per la conosciuta ragione che vede la Corte dei conti, nella verifica della responsabilità amministrativa, chiamata a svolgere un accertamento non sulla regolarità o legittimità dell'atto amministrativo che si afferma essere lesivo delle ragioni erariali, bensì (un accertamento) sulla complessiva condotta degli amministratori e dei dipendenti pubblici, la quale va riguardata ed esaminata dal momento del compimento degli atti e fino alla produzione degli effetti.

Pertanto, l'adozione - o l'omissione - di un atto amministrativo, nel contesto proprio del giudizio di responsabilità amministrativa, non potrà mai rilevare come tale, vale a dire come espressione della volontà amministrativa ovvero come esercizio del potere funzionalmente demandato all'Amministrazione, bensì come fatto giuridico, idoneo a modificare la realtà giuridica ed a produrre quegli effetti che si affermano produttivi di un danno verso le ragioni dell'Erario.

L'accertamento del Giudice amministrativo contabile è così concentrato sulla illiceità  di un comportamento manifestatosi in fatti giuridici - condotte attive od omissive - “contra ius”, modificativi della realtà giuridica e perciò produttivi di un danno ingiusto.

D'altro canto, non può ignorarsi che la difformità di un provvedimento dalla legalità, o l'omissione di un provvedimento in patente dispregio della normativa, non può non riverberare i suoi effetti in sede di accertamento dell'illecito amministrativo, poiché, in questi casi, l'antigiuridicità della condotta appare nel modo più evidente ed immediato: così, la lettura e la qualificazione della contestata omissione, agli odierni convenuti, in chiave integrante la violazione della norma di cui all'art. 5 del richiamato Regolamento avrebbe certamente conferito a quell'errato o incompleto provvedimento un valore “sintomatico” per valutare l'antigiuridicità della complessiva condotta posta in essere dai convenuti odierni nel caso che occupa oggi il Collegio.

Ribadita, così, l'essenzialità dell'esame sull'attività serbata dai componenti della Direzione dei Lavori, è necessario procedere alla valutazione della idoneità della stessa alla produzione del contestato danno e, in maniera anche congiunta, alla qualificazione della stessa come sorretta dall'elemento psicologico della colpa grave; elementi, entrambi, indefettibili per la corretta affermazione della responsabilità amministrativa.

Nella descritta operazione valutativa e qualificatoria, questo Giudice evidenzia come già nella relazione istruttoria trasmessa dall'arch. CRISTIANO, in data 12.5.2004, al Segretario Comunale di Muro Lucano, al punto 3) veniva rilevato che “la verifica della completezza degli atti progettuali” relativi alla corretta definizione delle procedure di gara, e dunque la stessa esistenza o rilevanza del piano particellare di esproprio la cui mancata o inesatta adozione viene contestata agli odierni convenuti come geneticamente idonea alla verificazione del danno per cui è causa, “non poteva che essere della commissione giudicatrice”. Invero, la Procura Regionale, nel corso delle proprie indagini istruttorie aveva coinvolto i componenti della Commissione giudicatrice, valutando l'operato dagli stessi tenuto immune da censure gravi.

L'episodio processuale ed istruttorio si presta, tuttavia, da un lato, a segnalare un disagio di individuazione di precise responsabilità in ordine all'obbligo di verificazione della completezza dell'intera e variegata documentazione progettuale, e, dall'altro, induce l'interprete a non concentrare la ricerca della responsabilità per i ritardi nella esecuzione dei lavori nella piena ed isolata mancanza di un atto importante, sì, ma pur sempre programmatorio e dotato, nei fatti, di scarsa incidenza sul profilo operativo.

Il Collegio intende evidenziare, in altre parole, che, da quanto emerge dagli atti di causa, la Direzione dei Lavori aveva ben chiare le difficoltà sottese e connesse alla effettiva disponibilità dei suoli sui quali i lavori avrebbero dovuto eseguirsi. Lo spessore di tali difficoltà non riducibile, anche sotto un profilo procedimentale o amministrativo, alla più o meno corposa o tempestiva redazione del piano particellare di esproprio, era stato oggetto di numerosissime comunicazioni, tutte presenti in fascicolo, tra l'Impresa, la Direzione dei Lavori e l'Amministrazione.

In esse emergeva che l'ostacolo insormontabile al celere dispiegamento dei programmati lavori non era costituito dalla inesatta o incompleta individuazione degli immobili da espropriare, bensì dalla materiale indisponibilità  degli stessi, discendente dalla pervicace volontà degli abitanti di Muro Lucano che quegli immobili occupavano, di non liberarli, e dunque di non renderli disponibili alle esigenze dell'Amministrazione.

Si rileva, dalla richiamata corrispondenza, il continuo riferimento  “all'imminente immissione in possesso” più volte invocato dalla stessa Direzione dei Lavori come necessario per conferire un segnale di effettività alla prosecuzione dei lavori; anche frequente è la prospettazione dell'utilizzazione delle Forze dell'ordine per assicurare la liberazione degli immobili coinvolti nel piano di esproprio, e di fatto divenuti intoccabili a causa delle resistenze ricordate degli occupanti.

Traspare, in altre parole, dalla successione dei fatti formalizzati nella complessa sequenza procedimentale culminata con la sospensione dei lavori, e tradottasi nel ritardo generatore di danno per l'Impresa, la chiara consapevolezza, nutrita da tutti i soggetti attori della vicenda in esame, della esistenza di elementi impeditivi della regolare esecuzione dei lavori,  la cui eliminazione non era riconducibile al dominio di alcuna delle autorità o degli organismi fisiologicamente coinvolti nel procedimento, prospettandosi come inevitabile, rispetto alle resistenze opposte, il ricorso alla Forza pubblica per liberare “de facto” gli immobili occupati, molti dei quali, peraltro, “colpiti” da ordinanza di sgombero per ragioni di incolumità e salvaguardia.

La lettura della vicenda privilegiata dal Collegio depotenzia, così, notevolmente la supposta idoneità della condotta serbata dalla Direzione dei Lavori nella meccanica procedimentale e fattuale generatrice del contestato danno.

L'adottato approccio interpretativo non attribuisce alla contestata mancata adozione del piano particellare di esproprio, pure di incerta collocazione procedimentale come si è visto, né il requisito della colpa grave, né, per quanto maggiormente rilevante, la idoneità causale nella produzione dell'evento dannoso, ritenendosi che gli innegabili e dannosi ritardi verificatisi non siano riconducibili a lacune progettuali, programmatorie o geneticamente amministrative, bensì a “forzosi” arresti e “necessitati” momenti di stasi derivanti dalla materiale impossibilità di disposizione degli immobili da occupare, i quali erano individuabili, ed individuati; indisponibili, ma non liberati.

In tale contraddizione operativa è la sintesi dell'insuccesso dell'opera.

I convenuti odierni sono da mandare, pertanto, assolti da ogni addebito agli stessi mosso dall'atto di citazione.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte, assolve i sigg.ri Pietro LAMORTE; Salvatore TAMBURRINO; Eligio Mario FEZZUOGLIO; Gerardo Raffaele CROCETTO; Luigi DESANTIS  dalla richiesta risarcitoria contenuta nella domanda attrice per mancato riscontro del requisito della colpa grave.

Non luogo a provvedere sulle spese.                   

Così deciso in Potenza, nella Camera di Consiglio del 12 aprile 2005.

                  Il Relatore                                             Il Presidente

Dott. Giuseppe TAGLIAMONTE               Dott. Salvatore NOTTOLA

F.to Giuseppe Tagliamonte                           F.to Salvatore Nottola

 

Depositata in segreteria il 14.06.2005

Per Il Dirigente

Il Direttore Amministrativo

(Canio MECCA)

F.to Canio Mecca