REPUBBLICA ITALIANA                                  Sent. n.140/2005

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA

composta dai seguenti magistrati:

Annibale RICCò                               Presidente

Enrico PASSERONI                         Consigliere

Antonio Marco CANU                      Consigliere relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul giudizio di responsabilità instaurato ad istanza del Procurato-re regionale della Corte dei conti per la Regione Sardegna nei confronti di Paolo COLLU, nato a Iglesias il 3 febbraio 1947, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni CONTU, e Aldo CAPPAI, nato a Sinnai il 20 novembre 1950, rappresentato e difeso dall'avv. Sergio CASSANELLO.

Visto l'atto di citazione del 14 settembre 2004, iscritto al n. 17591 del registro di Segreteria.

Uditi, nella pubblica udienza del 18 gennaio 2005, il relatore Consigliere Antonio Marco CANU, nonché gli avv.ti Giovanni CONTU e Sergio CASSANELLO per i rispettivi rappresentati e il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto procuratore generale Mauro MURTAS.

Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.

Ritenuto in

FATTO

Il Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Sardegna ha convenuto in giudizio i sig.ri Paolo COLLU e Aldo CAPPAI per vederli condannare al risarcimento, in favore del Comune di Iglesias, del danno di euro 15.493,71, oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giustizia.

I fatti esposti dall'attore a fondamento della pretesa azionata possono sintetizzarsi come segue.

Con decreto n. 18 del 4 giugno 2001, il Sindaco del Comune di Iglesias, Paolo COLLU, ha conferito un incarico esterno a un professionista, il prof. Vincenzo PAPADIA, avente un oggetto articolato su sette distinti punti, tra i quali la redazione del regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi e della dotazione organica conseguente.

Nelle premesse del decreto si faceva riferimento alla necessità di rivedere l'assetto organizzativo del Comune, al fine di dar seguito ai rilievi e alle valutazioni del Nucleo Interno di Valutazione. In particolare, era richiamata una relazione del Segretario Generale del Comune, Aldo CAPPAI, del 21 maggio 2001, sottoscritta in qualità di Presidente del Nucleo Tecnico di Valutazione, nella quale si poneva in luce un aspetto critico dell'organizzazione comunale, dovuto, si sosteneva, ad un eccessivo accorpamento dei momenti decisionali in capo ai dirigenti.

Per la soluzione del problema, il Segretario generale proponeva di affidare ai Dirigenti essenzialmente un ruolo di supporto agli organi politici per quanto atteneva alla programmazione e al controllo e di coordinamento e sovrintendenza sull'intero settore affidato, mentre le Posizioni Organizzative sarebbero dovute essere affidate a nuove figure professionali, dotate della massima responsabilità e autonomia.

Nel decreto in questione venivano fissati il compenso del professionista e le modalità di liquidazione e pagamento del medesimo.

Il professionista incaricato depositava, in data 20 giugno 2001, copia di tre regolamenti, attinenti ai primi tre punti del decreto sindacale di conferimento dell'incarico.

Con deliberazione n. 180 del 26 giugno 2001, la Giunta comunale di Iglesias approvava i Regolamenti redatti dal professionista. Con successivo decreto n. 20 del 3 luglio 2001, il Sindaco, in attuazione del modello organizzativo concepito dal consulente, procedeva quindi, tra l'altro, al conferimento degli incarichi di dirigenza a funzionari inquadrati nelle categorie tra D1 e D3.

Il compenso pattuito veniva interamente corrisposto al professionista esterno, con determinazioni del Segretario generale (relativamente a due acconti) e del Responsabile del Servizio VII (relativa al saldo), senza che peraltro, osserva il Procuratore regionale, venisse data attestazione dell'avvenuto espletamento dell'incarico anche con riguardo ai punti 4, 5, 6 e 7 del decreto sindacale di conferimento.

Su iniziativa di alcuni consiglieri di minoranza, la delibera della Giunta municipale n. 180 del 26 giugno 2001 e gli atti regolamentari con la stessa approvati venivano sottoposti al vaglio di legittimità del Comitato regionale di controllo.

L'organo di controllo, con ordinanza adottata nella seduta del 3 ottobre 2001, annullava la delibera di Giunta e gli atti conseguentemente approvati, ponendo in evidenza numerosi e gravi profili di illegittimità relativi, in particolare, alla violazione di basilari principi legislativamente fissati in materia di organizzazione e funzionamento degli enti locali.

Il Sindaco COLLU, dopo aver in un primo tempo confermato i Responsabili degli Uffici e Servizi nominati con il decreto sindacale n. 20 del 2001, sospendeva l'efficacia del suddetto atto e quindi, con decreto n. 34 del 20 novembre 2001, preso atto dell'annullamento disposto dal CORECO della deliberazione della G.M. n. 180/2001, riattribuiva ai Dirigenti gli incarichi dirigenziali in atto precedentemente all'approvazione dei Regolamenti predisposti dal professionista incaricato, già assegnati in base al Regolamento degli Uffici e dei Servizi approvato dalla precedente amministrazione.

La Procura regionale ha disposto accertamenti istruttori, a seguito dei quali sono emersi fatti, puntualmente indicati in citazione, i quali avrebbero evidenziato, secondo l'assunto dell'attore, l'emersione di un danno erariale pari alla somma corrisposta al consulente come compenso per l'incarico in questione.

Ritenendo inequivocabilmente comprovata, in ordine al suddetto danno erariale, la responsabilità del Sindaco Paolo COLLU e del Segretario generale Aldo CAPPAI, l'organo requirente ha formulato loro, con atto ritualmente notificato, l'invito a dedurre, ai sensi della normativa vigente.

Entrambi i presunti responsabili hanno presentato proprie deduzioni, mentre il CAPPAI ha anche chiesto e ottenuto di essere sentito personalmente.

Non ritenendo le argomentazioni difensive idonee a comprovare l'assenza di responsabilità del COLLU e del CAPPAI, il Procuratore regionale ha emesso nei loro confronti l'atto di citazione introduttivo del presente giudizio, per le ragioni di seguito esposte.

Osserva il Procuratore regionale che l'incarico conferito al consulente esterno era finalizzato a realizzare un impianto organizzativo del Comune in profondo contrasto con i principi legislativi in materia di separazione tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo, spettanti agli organi di governo, e quelle di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, attribuite ai dirigenti.

Tant'è che gli atti regolamentari conseguentemente approvati sono rimasti in vigore per pochi mesi, sino all'annullamento disposto dal CORECO, e non fu nemmeno tentato di emendarli o di impugnare la delibera dell'organo di controllo, a riprova del fatto che, secondo l'attore, anche gli amministratori erano consapevoli della vastità e gravità dei vizi di legittimità di detti atti.

Il compenso pagato al consulente costituirebbe quindi danno per l'ente locale in quanto l'incarico sarebbe stato inutilmente conferito e corrisposto a fronte di una prestazione solo parzialmente resa e comunque, anche per la parte eseguita, tecnicamente viziata.

La fonte di tale danno andrebbe rinvenuta nel comportamento antigiuridico tenuto dai due convenuti, i quali avrebbero gestito direttamente e consapevolmente tutte le fasi della vicenda con inescusabile inosservanza della legge, dei basilari canoni della buona amministrazione e della corretta gestione delle risorse.

Osserva in primo luogo l'attore che l'incarico in questione sarebbe stato conferito in violazione delle norme e dei principi relativi all'affidamento di incarichi a soggetti esterni alla p.a.

Sul punto, si rileva che l'incarico trova ragione nella asserita necessità di rivedere l'organizzazione del Comune secondo le linee tracciate nella relazione a firma del Segretario generale del Comune, nella sua qualità di Presidente del Nucleo di Valutazione.

I suggerimenti organizzativi, di fatto contrastanti con i principi legislativi di cui si è detto, peraltro non risulterebbero preceduti da corrette analisi, rilevazioni, verifiche che, ai sensi dell'art. 197 e ss. del d. l.vo 267/2000 avrebbero dovuto contrassegnare e qualificare ogni proposta proveniente dall'organo di controllo interno.

In particolare, osserva il Procuratore regionale, che, come emerso dall'audizione personale del CAPPAI, quest'ultimo non avrebbe mai consegnato agli organi dell'amministrazione comunale alcun referto relativo al mancato raggiungimento da parte dei dirigenti degli obiettivi programmati, né sulle cause e sulle possibili soluzioni, né alcuna valutazione al riguardo venne mai sottoposta ai dirigenti e/o ai responsabili dei servizi al fine di acquisire da costoro elementi di valutazione e di conoscenza utili per adottare le misure correttive.

Pertanto, osserva l'attore, le considerazioni e i suggerimenti contenuti nella relazione del CAPPAI non avrebbero potuto essere prese a fondamento della disposta riorganizzazione del Comune in quanto non preceduti dal necessario supporto di analisi, verifica e valutazione di dati ed elementi oggettivamente rilevati e valutati e correttamente veicolati.

In secondo luogo, risulterebbe insussistente uno dei fondamentali presupposti per la legittimità del conferimento di incarichi a soggetti esterni. Infatti, non sarebbe emerso che il Comune fosse privo delle risorse umane in grado di elaborare proposte e suggerimenti idonei a superare le rilevate criticità dell'organizzazione comunale. Tanto più, osserva il Procuratore regionale, che da molti anni il Comune si avvaleva, in via continuativa e con attestata proficuità, di una collaborazione esterna ad alto contenuto di professionalità, nel cui oggetto sarebbero state ricomprese anche le problematiche relative all'incarico di cui si discute.

Sul punto, appare significativo all'attore che il CAPPAI abbia affermato, nelle deduzioni all'invito da lui presentate, che non si ritenne di coinvolgere i dirigenti nella riorganizzazione del Comune in quanto coinvolti personalmente e quindi in condizione di incompatibilità, poiché ciò confermerebbe che il Comune, pur in possesso delle risorse professionali, non le utilizzò e viceversa la decisione di realizzare un assetto regolamentare illegittimo fu assunta d'imperio dal Segretario generale e dal Sindaco.

Ancora, il Procuratore regionale evidenzia che non venne attuata alcuna procedura selettiva, né vi fu alcun serio accertamento per verificare il livello di professionalità e di comprovata competenza del soggetto al quale fu affidato l'incarico.

L'attore censura peraltro anche le modalità attraverso le quali i convenuti gestirono l'incarico medesimo, in quanto conferito con decreto sindacale, mentre il T.U. n. 267/2000 consente di ricorrere a tale strumento solo se previsto dal regolamento comunale, e quindi dal Consiglio, titolare della potestà regolamentare. Inoltre, non venne stipulato alcun disciplinare sottoscritto da entrambe le parti, cosa che avrebbe consentito all'amministrazione l'identificazione puntuale della prestazione, viceversa genericamente descritta nel decreto sindacale, degli elementi essenziali della stessa, le garanzie per la corretta esecuzione della prestazione medesima, nonché le penalità per eventuali ritardi e parziali adempimenti.

Per effetto di tali circostanze, e dell'approvazione della prestazione resa dal professionista, alcuna contestazione venne mossa al consulente.

Il Procuratore regionale rileva altresì la gravità della condotta tenuta dai convenuti, i quali si sarebbero ingeriti in maniera penetrante nel lavoro affidato al professionista, talché il lavoro di quest'ultimo si sarebbe risolto nella stesura, o quanto meno nella traduzione in forma organica, di direttive, indicazioni, suggerimenti, riflessioni, proposte provenienti dal Sindaco e dal Segretario generale.

In sostanza, il Procuratore regionale sostiene che la prestazione del consulente sarebbe stata distorta, in quanto sarebbe stata volta alla costituzione di un assetto organizzativo funzionale agli intendimenti dei due convenuti, ma incompatibile con i basilari principi legislativi in materia di funzionamento degli enti locali, e finanche con i criteri generali per l'organizzazione dei servizi e degli uffici stabiliti dal Consiglio comunale con deliberazione n. 6 del 23 gennaio 1998.

In proposito, non sarebbe scusabile l'ignoranza da parte del Sindaco e del Segretario generale del modello gestionale derivante dalla vigente legislazione che, per gli enti locali, risale al 1990, imperniato sulla distinzione fra attività di indirizzo-controllo degli organi di governo, e l'attività gestionale della dirigenza.

In definitiva, secondo l'assunto dell'attore, i regolamenti predisposti dal consulente altro non furono che la concreta realizzazione di un illegittimo assetto organizzativo che i convenuti avevano avuto intenzione di realizzare fin dal principio.

La gravità del comportamento del Sindaco e del Segretario generale emergerebbe anche dal fatto che i consiglieri comunali di minoranza evidenziarono, anche prima della formalizzazione delle censure da essi mosse, l'illegittimità dell'assetto regolamentare predisposto dal consulente. Il che avrebbe dovuto indurre i convenuti a procedere a un immediato e reale approfondimento della sostenibilità, sul piano giuridico, di quell'assetto organizzativo, atteso che i vizi rilevati erano macroscopici e grossolani. Viceversa, gli atti furono portati all'approvazione della Giunta, con parere favorevole del CAPPAI sotto il profilo della regolarità tecnica.

Ancora, il CAPPAI procedette rapidamente al pagamento dell'intero compenso al professionista, nonostante che egli dovesse essere consapevole che l'incarico era stato solo parzialmente assolto e che per la parte per la quale vi era stato adempimento, la prestazione resa era da considerare inutile, per i vizi degli atti predisposti di cui si è detto. Qualora il Sindaco e il Segretario generale avessero voluto, vi sarebbe stata ampia possibilità, secondo quanto ritenuto dal Procuratore regionale, per contestare al professionista il mancato raggiungimento del risultato per cui era stato conferito l'incarico, o comunque per riapprovare i regolamenti previa introduzione di ogni necessaria correzione, modifica o adeguamento al fine di superare i profili di illegittimità riscontrati dal CORECO.

In conclusione, l'attore ritiene che sia il COLLU che il CAPPAI abbiano gestito l'intera vicenda con la piena consapevolezza dell'inutilità dell'incarico conferito al consulente e dunque della relativa spesa; che ebbero fin dal principio piena contezza del contrasto dei regolamenti predisposti dal professionista con i principi e le disposizioni inderogabili della legislazione sugli enti locali; che con piena consapevolezza corrisposero, e consentirono che venissero corrisposte, somme del Comune per una prestazione professionale solo parzialmente resa e, per tale parte, palesemente viziata sotto il profilo tecnico, dunque senza alcuna utilità per l'ente amministrato.

Per tali ragioni, il danno di cui si chiede il risarcimento viene imputato alla condotta dolosa dei due convenuti.

Il convenuto CAPPAI si è costituito a mezzo dell'av-vocato Sergio CASSANELLO, giusta mandato difensivo e di rappresentanza conferito a margine della comparsa di costituzione in giudizio, depositata in data 28 dicembre 2004.

In sintesi, la difesa del convenuto rileva quanto segue.

In primo luogo, si osserva che la relazione sottoscritta dal CAPPAI il 21 maggio 2001 era la sintesi del lavoro, durato mesi, da un lato, sul piano meramente operativo, dal Controllo di Gestione e, dall'altro, dal Nucleo Tecnico di Valutazione (NTV), di natura più squisitamente valutativa.

Il Controllo di Gestione era svolto dallo Studio professionale cui ha fatto riferimento lo stesso Procuratore regionale in citazione, con esiti assai proficui. Talché il NTV non avrebbe potuto non tenere conto della “criticità” evidenziata sul piano operativo da detto Servizio, così come delle valutazioni sul punto concordi del NTV.

Tale  criticità sarebbe stata del resto evidenziata dal Consiglio comunale nella relazione revisionale e programmatica di cui alla deliberazione n. 28 del 2001, ove, tra le finalità da conseguire, vi era quella di individuare, nella dotazione organica, già con l'attuazione del PEG dell'anno 2001, delle posizioni organizzative, dopo apposito coinvolgimento delle OO.SS. e prevedendo in loro capo il massimo di autonomia gestionale e organizzativa e connessa responsabilizzazione.

Il superamento della rilevata criticità organizzativa e gestionale richiese di individuare gli strumenti giuridici idonei nei tempi assai ristretti imposti dal C.C. (20-30 giorni, considerato che il PEG doveva essere attivato dalla fine del mese di giugno). Da ciò la giustificazione del ricorso alla consulenza esterna.

L'esigenza di disporre di un corpus normativo che rispondesse alla volontà espressa dagli amministratori in tempi ridotti sconsigliava, secondo la difesa del convenuto, l'utilizzo delle professionalità interne al Comune, per le ragioni di opportunità indicate in comparsa.

La difesa contesta anche che la scelta del consulente esterno sia stata effettuata senza un'adeguata indagine sulla affidabilità del professionista incaricato, atteso che dalla brochure allegata e dal fatto che l'incarico sia stato portato a termine in breve tempo emergerebbero elementi che confermerebbero la validità della scelta operata.

Quanto alla circostanza secondo cui non sarebbe stato redatto alcun contratto o convenzione scritta tra l'amministrazione e il consulente, si osserva che il decreto sindacale conteneva tutti gli elementi sufficienti per determinare l'oggetto della prestazione commessa al professionista. Lo stesso decreto dava atto della presenza del consulente, alla data di emissione del decreto, presso il Comune committente, circostanza questa che consentirebbe di superare il rilievo del Procuratore regionale circa la valenza sostanziale e probatoria dell'atto prodotto dal convenuto in sede di deduzioni all'invito, corredato della sottoscrizione del consulente. Ad ogni modo, la difesa produce altra copia conformizzata dal Comune.

In relazione alla censura relativa al presunto parziale adempimento della prestazione incombente sul consulente, la difesa richiama le deduzioni presentate dal convenuto in sede di invito, secondo cui l'adempimento delle prestazioni di cui ai punti 4, 5 e 7 del decreto sindacale di incarico sarebbe attestato dai provvedimenti sindacali, della Giunta e gestionali agli atti dell'ente, che sarebbero tutti conseguenti agli atti predisposti in attuazione dei punti da 1 a 3 del medesimo decreto. Peraltro, l'attività del consulente si sarebbe dispiegata anche oltre il termine contrattuale del 30 giugno 2001 e in parte non sarebbe nemmeno stata contabilizzata.

Per ciò che attiene invece al punto 6, relativo al Nucleo per la valutazione del Segretario generale, lo stesso decreto di incarico prevedeva che le relative mansioni sarebbero state svolte dal consulente in un momento successivo al 30 giugno 2001, nel momento in cui fosse stata data attuazione alla relativa funzione.

Venendo quindi alla contestazione del Procuratore regionale, secondo cui i convenuti avrebbero mirato a predisporre un assetto organizzativo in contrasto con le leggi vigenti, la difesa rileva in primo luogo che la soluzione organizzativa alla criticità individuata non richiedeva necessariamente un contraddittorio con la dirigenza dell'ente, atteso che tale criticità non era l'effetto di responsabilità dei dirigenti.

Quanto alla supposta penetrante ingerenza degli amministratori nel lavoro commissionato al professionista esterno, la stessa sarebbe da considerare fisiologica, sostanziandosi nella doverosa indicazione al consulente delle direttive di massima entro le quali il lavoro doveva essere svolto.

Nel merito delle censure proposte dall'attore sulla illegittimità della soluzione prescelta, la difesa, a sostegno della tesi secondo cui il convenuto avrebbe condotto uno studio accurato e attento della dottrina e della giurisprudenza formatasi sulle norme in materia di enti locali, richiama le deduzioni già svolte dall'interessato in sede di deduzioni all'invito. In particolare, la valenza delle norme statutarie (specialmente l'art. 47).

In secondo luogo, si osserva che il convenuto avrebbe espresso, sulla delibera di Giunta che ha approvato gli atti predisposti dal consulente, un mero parere di regolarità tecnica, come tale non direttamente concorrente alla produzione dell'effetto finale.

Con riguardo poi all'affermazione dell'attore, secondo cui gli atti predisposti dal consulente, dopo l'annullamento disposto dal CORECO, non sarebbero stati riapprovati dall'amministrazione comunale emendati dai vizi rilevati dall'organo di controllo, si obietta che tali atti, rielaborati nelle parti censurate, unitamente alle bozze di decreti e di deliberazioni relativi, sono stati sottoposti, a cura del Direttore generale del Comune, con note del 16 novembre 2001, all'attenzione dei dirigenti in carica. Il che dimostrerebbe che l'amministrazione comunale avrebbe utilizzato proficuamente il lavoro svolto dal consulente.

Per le considerazioni esposte, ritiene la difesa del convenuto che nel comportamento di questi non possa rinvenirsi l'elemento psicologico del dolo e neppure quello della colpa grave.

Peraltro, insussistente sarebbe anche l'elemento oggettivo del danno, in quanto il prodotto della consulenza sarebbe comunque divenuto patrimonio dell'ente che può utilizzarlo, una volta apportate le modifiche necessarie per renderlo conforme all'atto di controllo.

Sono state quindi formulate conclusioni, in via principale, di assoluzione del convenuto, con ristoro delle spese sostenute per la sua difesa in giudizio e, in via subordinata, perché venga applicata nei suoi confronti la riduzione dell'addebito di almeno 2/3, ovvero di altra frazione ritenuta congrua dalla Corte.

Il convenuto COLLU si è costituito in giudizio a mezzo dell'avvocato Giovanni CONTU, giusta mandato difensivo e di rappresentanza conferito a margine della comparsa di costituzione in giudizio, depositata in data 17 gennaio 2005, con la quale è stato contestato, in fatto e diritto, il fondamento della domanda e sono state formulate conclusioni, con riserva di svolgere nel prosieguo approfondite argomentazioni difensive, di reiezione di tutte le domande avanzate, con assoluzione del convenuto da ogni addebito, con ogni consequenziale pronunzia come per legge.

Nell'odierno dibattimento i difensori delle parti convenute hanno confermato le rispettive conclusioni.

Il Pubblico ministero, a precisazione e modifica della domanda introdotta con l'atto di citazione, ha chiesto, in via principale, che la Corte, affermata la responsabilità solidale di entrambi i convenuti a titolo di dolo, ripartisca l'addebito tra gli stessi nella misura di due terzi a carico del CAPPAI e di un terzo a carico del COLLU. In via subordinata, nell'ipotesi in cui la Corte affermi invece la responsabilità dei convenuti in via parziaria, ha chiesto che la condanna degli stessi sia ripartita nelle proporzioni sopra indicate.

Considerato in

DIRITTO

Il Procuratore regionale, nel contestare ai convenuti il danno conseguente al pagamento del compenso a un consulente del Comune di Iglesias, ha mosso loro una serie di addebiti in ordine all'illiceità della scelta gestionale di conferire l'incarico di consulenza.

La Sezione ritiene opportuno concentrare l'esame soltanto sugli addebiti per i quali la prospettazione dell'attore è da reputare fondata.

Si assume da parte del Pubblico ministero che l'assetto organizzativo del Comune prefigurato sin dal momento del conferimento dell'incarico al consulente fosse palesemente contrastante con le norme del Testo Unico in materia di enti locali e, più in generale, con la normativa riguardante le funzioni dei dirigenti pubblici e il principio della separazione delle competenze gestionali di questi ultimi da quelle assegnate agli organi politici. Da ciò la radicale inutilità dell'incarico, proprio per l'esistenza di un vizio di legittimità incidente su un aspetto qualificante della prestazione richiesta.

Inoltre, all'origine dell'incarico vi sarebbe stata una valutazione assolutamente inadeguata delle problematiche organizzative individuate nella cosiddetta “criticità”, che si sarebbe sostanziata in un presunto eccessivo accentramento dell'attività decisionale in capo ai dirigenti.

In ordine al primo punto, il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi comunali, predisposto dal consulente in ossequio alle indicazioni provenienti dai convenuti, si caratterizza per un dato significativo, consistente nello sostanziale svuotamento della funzione dirigenziale.

Infatti, è stata prevista la possibilità che i dirigenti, responsabili dei settori in cui si articolava l'organizzazione comunale, fossero incaricati di svolgere unicamente compiti di “supporto alla programmazione ed al controllo degli organi di governo, di programmazione e controllo dell'attività gestionale, di indirizzo, sovrintendenza e coordinamento dei servizi” (sic l'art. 4 del regolamento in questione - fgl. 109 del fascicolo del Procuratore regionale). Ciò a vantaggio dei responsabili dei servizi (unità organizzative subsettoriali), per i quali era consentita la “attribuzione di funzioni e di poteri” (art. 3 comma 1 reg. cit. - loc. ult. cit.) in ordine alla gestione e all'esternazione della volontà dell'ente.

Tali responsabili dei servizi dovevano identificarsi in funzionari della categoria D, investiti di una posizione organizzativa, secondo le disposizioni del Contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale dipendente dalle amministrazioni del Comparto Regioni e Autonomie locali, siglato il 31 marzo 1999.

Il modello organizzativo così delineato si fondava espressamente su una particolare interpretazione, definita teleologica, delle norme previste per gli enti locali sprovvisti di personale di qualifica dirigenziale, ritenute applicabili anche agli enti organizzati “in modo reticolare o per settori non retti da dirigenti” (v. art. 4, comma 11 reg. cit. - fgl. 110 del fascicolo del Procuratore regionale).

Il riferimento, pur non esplicitato nel regolamento, è all'art. 109, comma 2 del d. l.vo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), il quale stabilisce che “nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui all'art. 107, commi 2 e 3, fatta salva l'applicazione dell'art. 97, comma 4, lettera d), possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici e dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione”.

Come è noto, l'ordinamento degli enti locali, sin dalla legge di riforma n. 142 del 1990, è stato caratterizzato dal principio, poi esteso a tutto l'ambito della pubblica amministrazione, della separazione di funzioni tra la sfera di indirizzo politico e controllo, affidata agli amministratori, e quella gestionale, affidata al personale dirigenziale.

E' altrettanto noto che tale disegno riformatore si è scontrato con la resistenza manifestata dall'apparato politico a spogliarsi delle competenze gestionali, eredità del precedente sistema, in favore del personale dirigente.

Si sono resi pertanto necessari nuovi interventi del legislatore che hanno trovato definitiva sistemazione nelle norme del T.U. sopra richiamato.

Particolare rilievo riveste in proposito l'art. 107, il quale ai commi 1, 2 e 3 attribuisce in maniera univocamente intelligibile al personale dirigenziale tutte le funzioni di amministrazione attiva inerenti alla gestione amministrativa, finanziaria e tecnica del Comune, fatti salvi unicamente, nei casi previsti espressamente dalla legge o dallo statuto comunale, gli atti inerenti alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi politici e quelli rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale dell'ente locale.

A scanso di ogni residuo dubbio, peraltro, il successivo comma 5 stabilisce che “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III [cioè agli organi politici] l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'art. 50, comma 3 e dall'art. 54”.

Il comma 4, inoltre, prevede che “le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'art. 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”. Il che, per incidens, è avvenuto con la Legge finanziaria 2001 (23 dicembre 2000, n. 388), che all'art. 53, comma 23, come modificato dal comma 4 dell'art. 29, della L. 28 dicembre 2001, n. 448, ha stabilito che “gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e all'articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale” (norma peraltro non applicabile nella fattispecie, avendo il Comune di Iglesias una popolazione superiore ai 5.000 abitanti).

Il quadro normativo così delineato evidenzia chiaramente che il legislatore ha inteso affermare il principio della autonomia delle funzioni dirigenziali, salve apposite, espresse deroghe.

La salvaguardia delle funzioni in questione opera però non soltanto nei riguardi degli organi politici, come ritenuto dalla difesa del convenuto CAPPAI, ma anche nei confronti del personale delle qualifiche non dirigenziali.

La conferma di tale assunto si trae per l'appunto dalla norma di cui all'art. 109 cit. Tale norma costituisce all'evidenza deroga alla norma generale che impone di attribuire le funzioni di cui all'art. 107 al personale dirigenziale, e come tale non può essere applicata se non nel caso in essa espressamente contemplato, cioè quello dei “comuni privi di personale di qualifica dirigenziale”, senza che possa invocarsi in contrario una cosiddetta “interpretazione teleologica”. A suo tempo, il Ministero dell'interno, con circolare opportunamente richiamata dal Procuratore regionale, ha chiarito che la norma in questione costituiva conferma della inderogabilità regolamentare delle attribuzioni gestionali dei dirigenti.

Va sottolineato che il Comune di Iglesias non si trovava nella situazione prevista dalla norma testé citata, in quanto non era sprovvisto di personale dirigenziale.

L'impossibilità di procedere al conferimento di incarichi di responsabile di uffici o servizi a rilevanza esterna a personale non dirigenziale, salvo il caso eccezionale previsto dalla norma di deroga, si giustifica peraltro non solo per l'esigenza di affidare poteri di amministrazione attiva a personale particolarmente qualificato, ma anche perché il personale dirigenziale appare più in grado di garantire una maggiore autonomia, sul piano sostanziale e non solo formale, nei confronti dei vertici politici di quella che potrebbe essere assicurata da personale meno qualificato e dotato di guarentigie meno forti. Sotto tale profilo, trovano giustificazione le censure rivolte dal Procuratore regionale al regolamento predisposto dal consulente che riguardano più specificamente la lesione del principio di separazione tra la sfera politica e quella amministrativa.

Censure che peraltro colgono nel segno anche con riguardo a ipotesi disciplinate dal regolamento contestato che più direttamente infrangono il suddetto principio. Ci si riferisce ai poteri attribuiti al Sindaco di avocazione di determinati atti (v. art. 6 commi 3 e 4 - fgl. 111 del fascicolo del Procuratore regionale) o di gestione del personale (v. ad es. artt. 8 e 13 comma 6 - rispettivamente fgl. 112 e 115 del fascicolo del Procuratore regionale) che avrebbero finito per far rifluire in capo al primo cittadino poteri gestionali non più spettantigli.

Vi è ancora da sottolineare che l'assetto organizzativo disciplinato con il regolamento contestato non si limitava a prevedere la possibilità di affidare incarichi di natura dirigenziale a funzionari della categoria D in relazione a eventuali vacanze di organico, ma, come detto, ipotizzava anche la possibilità che, pur in presenza di settori retti da un dirigente, le competenze di amministrazione attiva fossero comunque attribuite ai responsabili dei servizi.

Alla luce delle considerazioni svolte, non può darsi alcuna rilevanza all'argomento difensivo proposto dal CAPPAI, secondo cui lo statuto comunale prevedeva (art. 47, comma 4 - v. fgl. 494 del fascicolo del Procuratore regionale) che la disciplina delle funzioni dirigenziali fosse dettata in conformità alle sole norme di principio contenute nel titolo IV capo II del T.U. Le norme del regolamento censurate dal Procuratore regionale derogano infatti proprio ai principi posti dal T.U. e pertanto confliggono anche con la richiamata norma statutaria.

Vi è da soggiungere, come puntualmente sottolineato dal Procuratore regionale (v. pag. 30 della citazione), che l'assetto organizzativo concepito dai convenuti si poneva persino in contrasto con i criteri generali per l'organizzazione dei servizi e degli uffici, dettati dal Consiglio comunale ai sensi dell'art. 48, 3° comma del T.U.E.L., con deliberazione n. 6 del 23 gennaio 1998 (v. fgl. 415 del fascicolo del Procuratore regionale), i quali espressamente stabilivano, al punto 5, che “ai dirigenti competono tutte le attribuzioni di natura gestionale, nessuna esclusa” (v. fgl. 422).

Né l'introduzione delle posizioni organizzative consente di ritenere superato il quadro normativo sopra delineato.

La difesa del CAPPAI ha sostenuto la tesi che il Consiglio comunale avrebbe sollecitato la revisione dell'assetto organizzativo comunale proprio a seguito della ravvisata necessità di prevedere l'introduzione di tali posizioni già a decorrere dall'esercizio 2001.

In proposito, è stato richiamata la deliberazione del Consiglio comunale di approvazione del bilancio di previsione per l'esercizio 2001 n. 28 del 29 marzo 2001. Nella relazione revisionale e programmatica contestualmente approvata, era contenuto il progetto n. 0201 “Gestione delle risorse umane”, in cui, tra le finalità da conseguire, era indicata “l'individuazione nella dotazione organica, già con l'attuazione del P.E.G. DELL'ANNO 2001, delle POSIZIONI ORGANIZZATIVE, dopo apposito coinvolgimento delle OO.SS. e prevedendo in loro capo il massimo di autonomia gestionale e organizzativa e connessa responsabilizzazione” (v. allegato 3 alla memoria difensiva del convenuto CAPPAI e fgl. 70 del fascicolo del Procuratore regionale).

Il brano richiamato non appare però interpretabile nel senso ritenuto dalla difesa del convenuto.

L'introduzione delle posizioni organizzative (l'affidamento cioè a funzionari della categoria D di compiti caratterizzati, in estrema sintesi, da particolare complessità e con riconoscimento di un elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa), pur certamente significativa, non comportava affatto le conseguenze ipotizzate dalla difesa in ordine all'affidamento a detti funzionari di poteri di manifestazione della volontà dell'ente all'esterno, con conseguente assegnazione di risorse e personale in base al piano esecutivo di gestione (P.E.G.) previsto dall'art. 169 del T.U.E.L.

In conclusione, può fondatamente ritenersi che il regolamento predisposto dal consulente fosse fondato su un criterio organizzativo palesemente incompatibile con le norme e i principi inderogabilmente fissati dalla normativa vigente in tema di attribuzioni del personale dirigenziale.

Ma altrettanto fondata appare la censura mossa dall'organo requirente di aver proceduto alla revisione del regolamento di organizzazione e degli atti collegati senza aver svolto (o dimostrato di aver svolto) un'adeguata attività istruttoria sulla necessità in concreto di prevedere l'assetto organizzativo in questione.

Per quanto è stato dato di appurare dalle produzioni documentali sia della parte attrice che della difesa dei convenuti, l'atto da cui ha preso l'avvio il procedimento che è poi sfociato nell'adozione del regolamento annullato dall'organo di controllo, consiste in una nota del 21 maggio 2001, a firma del CAPPAI nella sua veste di Presidente del Nucleo tecnico di valutazione, nel quale si fa un riferimento a una presunta “criticità” organizzativa data da un “eccessivo accorpamento dei momenti decisionali ed operativi in capo ai dirigenti”. Criticità che sarebbe stata superabile per l'appunto con una ridefinizione dei compiti dei dirigenti in termini di solo “supporto alla programmazione ed al controllo agli organi politici e di coordinamento e sovrintendenza sull'intero settore affidato”, e al contempo con l'attribuzione ai funzionari investiti delle posizioni organizzative di compiti gestionali, nell'ambito di un'attività di coordinamento svolta dal Direttore generale e/o dal Segretario generale o, in alternativa, dal dirigente preposto al settore (v. in particolare pag. 2, punti 2 e 3 - fgl. 66 del fascicolo del Procuratore regionale).

Secondo quanto riferito nella nota suddetta, la problematica in questione e le prospettate soluzioni organizzative sarebbero sorte da “analisi e riflessioni, scaturite nel corso dei numerosi incontri svolti dal mese di novembre 2000 ad oggi” tra il Nucleo tecnico di valutazione e il Controllo di gestione. Ma di tale lavoro preparatorio non risulta alcuna traccia documentale, nemmeno a livello di verbali di riunione o appunti informali.

In ogni caso, è certo che i dirigenti del Comune di Iglesias non furono coinvolti in questa fase né successivamente, come riconosciuto dallo stesso CAPPAI, con la motivazione che non fosse opportuno renderli partecipi del processo di riorganizzazione in quanto “parte interessata” (v. controdeduzioni all'invito - fgl. 1047 del fascicolo del Procuratore regionale).

Tale motivazione appare invero assai singolare. E' illogico pensare che un disegno organizzativo così rilevante per la vita dell'ente sia elaborato a prescindere da qualsiasi apporto proprio del vertice burocratico, tanto più quando si assume che una disfunzione operativa sia individuabile proprio a livello di uffici dirigenziali (il presunto “eccessivo accorpamento dei momenti decisionali ed operativi in capo ai dirigenti”).

Può darsi per acclarato che tale disfunzione, se pure esistente, non fosse addebitabile ai dirigenti comunali, non risultando che siano stati promossi nei loro confronti procedimenti sanzionatori e/o di revoca degli incarichi; ciò non toglie però che sarebbe stato comunque logico e utile consultarli in ordine a tale problematica.

Al riguardo, è bene sottolineare che la stessa deliberazione con cui venne istituito il Nucleo tecnico di valutazione (deliberazione del Commissario Straordinario n. 436 del 22 novembre 1999, fgl. 722-726 del fascicolo del Procuratore regionale) prevedeva, al punto 1.d), che  il Nucleo riferisse periodicamente sui risultati della sua attività, con reporting gestionali, anche ai dirigenti. Ciò evidentemente nell'ottica, del tutto condivisibile, di coinvolgere anche i vertici della struttura burocratica nello studio e nella risoluzione dei problemi organizzativi che avessero determinato il mancato raggiungimento dei risultati prefissati.

Pertanto, da quanto risulta, la scelta di rivedere l'organizzazione degli uffici comunali non fu soltanto erroneamente indirizzata sotto l'aspetto giuridico, ma in fatto si basava su una premessa non adeguatamente accertata.

Il compenso corrisposto al consulente costituisce quindi danno per l'amministrazione comunale, atteso che gli atti predisposti in coerenza con le indicazioni provenienti dai convenuti si sono rivelati inutilizzabili in quanto affetti da un vizio di origine non emendabile.

In proposito, la difesa del convenuto CAPPAI ha cercato di sostenere che gli atti in questione potrebbero essere ancora produttivi di utilità per l'ente se opportunamente modificati.

E' però significativo che a sostegno di detta tesi la difesa non sia stata in grado di produrre che degli atti preparatori, consistenti in richieste di pareri ai dirigenti comunali sulle bozze degli atti di organizzazione revisionati, che tuttavia risalgono al novembre 2001, mentre nulla risulta medio tempore in ordine all'eventuale approvazione degli stessi. Ne consegue che l'utilità degli atti in questione è da ritenere del tutto ipotetica, a fronte invece del pregiudizio certo e attuale derivante dall'inutile esborso di denaro pubblico.

Quanto al ruolo svolto dai convenuti nella vicenda descritta, la Sezione non ritiene condivisibile l'assunto del Procuratore regionale secondo cui gli stessi avrebbero agito con dolo.

Non è infatti dimostrato con sufficiente grado di probabilità che i convenuti fossero consapevoli dell'illiceità del loro comportamento.

Viceversa, può ritenersi provata la sussistenza dell'elemento psicologico della colpa grave, pur se si impone una differenziazione della posizione del Segretario generale CAPPAI rispetto a quella del Sindaco COLLU.

Per quanto riguarda la condotta del primo convenuto, essa appare censurabile con riguardo a entrambi i profili di responsabilità sopra esaminati.

Per quanto attiene all'aspetto strettamente giuridico, si è già sottolineato come la soluzione organizzativa prospettata dal CAPPAI nella nota indirizzata al Sindaco e poi sostanzialmente trasfusa nell'articolato regolamentare predisposto dal consulente, fosse palesemente in contrasto con la normativa di legge in tema di competenze dei dirigenti degli enti locali.

La distanza dal dato normativo è oggettivamente rilevante e riguarda un aspetto essenziale del modello organizzatorio prefigurato dal convenuto. La gravità del vizio appare quindi sintomo certo dell'esistenza di uno scostamento notevole dalla misura della diligenza o, per meglio dire, della perizia esigibile dal CAPPAI nella sua qualità di funzionario amministrativo di elevato grado nell'ambito dell'ente di appartenenza.

Il convenuto ha cercato di sostenere che la soluzione da lui suggerita rientrasse quanto meno nell'area dell'opinabilità, adducendo a sostegno una tesi dottrinaria favorevole alla invocata interpretazione “teleologica” della norma di cui al cit. art. 109, 2° comma del T.U.E.L.

Si è già illustrata la ragione per la quale, secondo la Sezione, tale tesi non appare condivisibile: la norma invocata, in quanto derogatoria di una norma generale, non è suscettibile di estensione analogica. Ma, al di là di tale rilievo, che in ipotesi potrebbe non essere sufficiente a fondare un'affermazione di colpa grave, vi è una considerazione, cui si è già fatto cenno, che consente di ritenere superabile l'argomentazione difensiva.

 Se si esamina la tesi dottrinaria richiamata dal convenuto (v. fotocopia allegata alle controdeduzioni all'invito - fgl. 1056-1057 del fascicolo del Procuratore regionale), si evince chiaramente che l'Autore di essa muove dall'intento di dare una risposta alle difficoltà operative di enti locali provvisti di personale dirigenziale, ma in numero insufficiente a ricoprire tutti i settori di attività degli enti medesimi. Tant'è che la proposta di lettura della norma in questione andava nella direzione di consentire un'attribuzione delle funzioni dirigenziali a personale delle qualifiche inferiori non solo nei Comuni privi in assoluto di personale dirigenziale, bensì anche nei settori privi di personale di qualifica dirigenziale in quei Comuni che si trovassero nella situazione prima descritta.

Il modello ipotizzato dal CAPPAI andava invece ben oltre questa già discutibile, ma comunque limitata estensione della norma di deroga, in quanto prevedeva la possibilità di sottrarre ai dirigenti le funzioni di amministrazione attiva anche per i settori ricoperti da personale di detta qualifica. Non altrimenti può essere intesa la possibilità, prevista nel regolamento, ma già ipotizzata nella nota del CAPPAI più volte richiamata, di affidare le competenze di amministrazione attiva ai titolari delle posizioni organizzative, mantenendo al dirigente preposto al relativo settore unicamente compiti di coordinamento e controllo.

In sostanza, il disegno organizzatorio prefigurato non mirava a consentire un'attribuzione di mansioni dirigenziali a funzionari direttivi in relazione a eventuali e contingenti carenze di organico, ma era chiaramente orientato a determinare, come già detto, uno sostanziale svuotamento della dirigenza.

Coerente a tale disegno appare anche l'attribuzione al Sindaco di poteri di amministrazione attiva, in evidente violazione della sfera di competenza della dirigenza.

In questo contesto, il tentativo di giustificare il proprio operato con riferimento alla tesi interpretativa “teleologica” appare in realtà puramente strumentale.

Altrettanto fondato appare il rimprovero di grave violazione dei propri doveri mosso al convenuto in ordine all'insufficiente approfondimento delle cause della asserita difficoltà operativa (cd. criticità) che è stata portata a fondamento della necessità di rivedere l'assetto organizzatorio comunale.

Particolarmente grave, in quanto manifestamente illogica, appare in proposito la scelta del CAPPAI di non richiedere l'apporto conoscitivo e propositivo della dirigenza comunale e la motivazione con cui tale scelta è stata giustificata.

Non è azzardato ritenere che ove tale coinvolgimento vi fosse stato, anche le soluzioni che ne sarebbero scaturite sarebbero state più rispettose del dettato normativo.

Per quanto riguarda la posizione del Sindaco COLLU, il suo difensore, in dibattimento, pur sostanzialmente riconoscendo la fondatezza delle tesi accusatorie in ordine alla temerarietà, sul piano giuridico, delle soluzioni regolamentari adottate, ha però sostenuto che la condotta del convenuto non sia stata negligente, in quanto egli si sarebbe limitato a seguire le indicazioni del Segretario generale del Comune, senza che fosse peraltro in grado, per un verso, di sindacarne la legittimità o, per altro verso, fosse comunque tenuto a richiedere in proposito un parere ad altri funzionari o, eventualmente, a esperti esterni.

La Sezione ritiene sostanzialmente condivisibile la tesi del difensore, considerato che non rientra tra i comportamenti esigibili dal Sindaco quello di verificare la legittimità di atti amministrativi per profili che eccedano la soglia della immediata percezione da parte di un soggetto non dotato di una specifica preparazione professionale nella materia giuridica. Mentre peraltro, se pure possa ritenersi che l'acquisizione di un parere sul punto sarebbe stata opportuna, non può però affermarsi che tale omissione abbia determinato lo sconfinamento nella colpa anche solo semplice, considerato che il ruolo che il Segretario generale svolge all'interno dell'amministrazione comunale di garante della legittimità dell'azione amministrativa (v. ora l'art. 97, comma 2 del T.U.E.L.) poteva ingenerare nel COLLU la ragionevole convinzione che ogni ulteriore approfondimento della questione sotto l'aspetto giuridico fosse superfluo.

Assai meno giustificabile è invece il comportamento del convenuto con riguardo all'accertamento, che in pratica non è avvenuto, della effettiva necessità, in fatto, di provvedere a una revisione dell'organizzazione degli uffici comunali nei termini poi realizzati.

Si è già rilevato che del lavoro di analisi condotto dal Nucleo tecnico di valutazione e dal Controllo di gestione, cui si fa cenno nella nota del CAPPAI, non si è stati in grado, da parte dei convenuti, di produrre alcuna documentazione e che i dirigenti del Comune non sono stati minimamente interpellati sul merito sia delle presunte difficoltà operative, sia delle prospettate soluzioni.

La decisione di procedere nella direzione del disegno organizzatorio propugnato dal CAPPAI risulta quindi presa partendo da basi istruttorie estremamente fragili, circostanza questa che non sarebbe dovuta sfuggire alla consapevolezza del COLLU, anche in ragione della estrema importanza degli atti che ne sarebbero conseguiti.

Va infatti messo in evidenza che il grado di diligenza e parallelamente, la misura dell'eventuale scostamento non possono, ad avviso della Sezione, prescindere da una considerazione della rilevanza dell'affare trattato. Se può infatti ammettersi una minore attenzione da parte dell'agente quando sia impegnato da questioni che non rivestano particolare importanza nell'ambito della complessiva attività di sua competenza, un deficit di cura nella trattazione dell'affare deve essere valutato con maggiore severità quando invece si tratti di questione di sicuro rilievo.

Nel caso di specie, non può ritenersi certo che la revisione dell'organizzazione degli uffici comunali, oltre tutto condotta in termini così radicali, potesse essere trattata con superficialità da chicchessia.

E pertanto, non si comprende come il COLLU abbia potuto dar corso a tale operazione senza praticamente verificare che ve ne fossero i presupposti.

Anche volendo ammettere, come si è detto, che il Sindaco non fosse in grado di valutare l'illegittimità della previsione di un così rilevante spostamento di competenze dal personale dirigenziale a quello direttivo, non poteva però certamente sfuggirgli la significatività, per così dire oggettiva, di una tale misura organizzativa.

Sarebbe stato quindi accorgimento di elementare evidenza quello di appurare innanzi tutto che la disfunzione operativa che costituiva la ragione prima, o per meglio dire l'unica, della progettata riorganizzazione fosse realmente sussistente. Se tale esigenza fosse stata presente alla sua attenzione, non avrebbe potuto mancare di notare la necessità, al riguardo, di sentire i diretti interessati, tanto più in quanto situati ai vertici dell'apparato burocratico.

Va pertanto riconosciuto che anche nel comportamento del Sindaco COLLU sono ravvisabili gli estremi della colpa grave. Peraltro, poiché appare maggiore l'incidenza causale della condotta tenuta dal Segretario comunale CAPPAI, a quest'ultimo appare equo addebitare una quota maggiore del danno sopportato dal Comune di Iglesias.

Conseguentemente, egli va condannato a risarcire all'amministrazione comunale di Iglesias la somma di euro 10.329,14, pari ai due terzi del danno contestato. La residua somma di euro 5.164,57 è da porre invece a carico del sindaco COLLU.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza, in proporzione all'entità delle rispettive condanne.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, definitivamente pronunciando, condanna Paolo COLLU e Aldo CAPPAI al pagamento, in favore del Comune di Iglesias, rispettivamente della somma di Euro 5.164,57 (diconsi Euro cinquemilacentosessantaquattro e cinquantasette centesimi) ed Euro 10.329,14, (diconsi Euro diecimilatrecentoventinove e quattordici centesimi) pari alla complessiva somma di Euro 15.493,71 (diconsi Euro quindicimilaquattrocentonovantatre e settantuno centesimi), oltre a rivalutazione monetaria, da calcolarsi, secondo gli indici ISTAT, a decorrere da ciascun indebito pagamento e sino alla data della presente sentenza, e agli interessi legali sulla somma rivalutata, a decorrere dalla data della presente sentenza e sino al pagamento.

Condanna altresì i predetti al pagamento delle spese del giudizio, in proporzione all'entità delle rispettive condanne, che sino alla presente sentenza si liquidano in Euro 766,15

(diconsi eurosettecentosessantasei/15).

Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio del 18 gennaio 2005.

           L'ESTENSORE                              IL PRESIDENTE

f.to Antonio Marco CANU                        f.toAnnibale RICCò

 

Depositata in Segreteria il 07/04/2005

                                                           IL DIRIGENTE

                                               f.to Paolo Carrus