REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE
Composta
dai seguenti Magistrati:
Tommaso
De Pascalis Presidente
Gabriele
De Sanctis Consigliere
Mario
Casaccia Consigliere
Relatore
Antonio
D'Aversa Consigliere
Angelo
Antonio Parente Consigliere
ha
pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sull'appello,
iscritto al n.16433 del Registro di Segreteria, proposto dai Sigg.Franco
Mercone, Prisco Zibella e Maddalena Rossetti; sull'appello, iscritto al n.
16656 del Registro di Segreteria, proposto dal Sig. Pasquale Rienzo;
sull'appello, iscritto al n.16659 del Registro di Segreteria, proposto dal Sig.
Emilio Carosi; sull'appello, iscritto al n. 16742 del Registro di Segreteria,
proposto dal Sig. Antonio D'Agostino; sull'appello, iscritto al n. 16775 del
Registro di Segreteria, proposto dal Sig. Vincenzo Mirra; sull'appello,
iscritto al n.16778 del Registro di Segreteria, proposto
dai Sigg. Alberto Grauso, Francesco Campochiaro, Lino
Palombi, Vincenzo Calabritto, Antonio Menna, Giovanni De Rosa, Giuseppe Di
Monaco, Salvatore Raucci, Angelo Cavaiuolo, Giuseppe Russo; sull'appello,
iscritto al n. 16780 del Registro di Segreteria, proposto dal Sig. Antonio
Russo, nonché da Luigi Mercorio; sull'appello, iscritto al n. 16782 del
Registro di Segreteria, proposto dal Sig. Gerardo Di Vilio; sull'appello, iscritto
al n. 16794 del Registro di Segreteria, proposto dal Sig. Pompeo Russo; appelli
tutti avverso la sentenza n. 67/2002 emessa dalla Sezione Giurisdizionale della
Corte dei Conti per la regione Campania in data 7.2.2002 e depositata il
7.6.2002.
Visti gli
atti e i documenti di causa; uditi nella P.U. del 7 dicembre 2004 il
Consigliere Relatore Mario Casaccia; l'Avv. Celestino Biagini, in difesa e
rappresentanza degli appellanti di cui al gravame 16433; l'Avv. Antonio Russo, in difesa e rappresentanza degli appellanti
di cui al gravame 16778; l'Avv. Antonio Russo, in difesa e
rappresentanza degli appellanti di cui
al gravame 16780; l'Avv. Antonio Russo,
in difesa e rappresentanza dell'appellante di cui al gravame 16782 e su delega dell'Avv.ti Antonio Rossi e
Raffaele Ricci in rappresentanza e difesa anche degli appellanti di cui al
gravame 16656, 16659 e 16742; nonché il P.M. nella persona del V.P.G. Dott.
Angelo Canale.
F A T T O
Il P.M.
di prime cure ha convenuto in giudizio ventitre amministratori, nella loro
qualità di consiglieri del Comune di Santa Maria Capua Vetere, nonché il vice
segretario generale ed il segretario generale dello stesso Comune, per aver
approvato una delibera (la n. 14 del 31.1.1992), chiedendo la condanna al
pagamento in favore del Comune stesso della somma di L. 430.000.000, oltre gli
interessi legali e le spese di giustizia; in particolare, il Comune di Santa
Maria Capua Vetere aveva deliberato di affidare all'Associazione Nazionale
Reduci della prigionia la gestione della scuola magistrale e della scuola
materna dall'anno scolastico 1991/92; lo stesso Ente, poi, aveva approvato una
convenzione nel 1992 della durata di nove anni che prevedeva la messa a disposizione gratuita dei locali, delle relative suppellettili, nonché le spese a carico del Comune per
la manutenzione ordinaria e straordinaria e l'impegno, sempre del Comune, a
versare un contributo all'Associazione di L. 270.000.000 da liquidarsi in tre
rate quadrimestrali anticipate a decorrere dal 21.9.1991. In virtù di tali
atti, il Comune aveva corrisposto, in un periodo in cui non si era verificata
alcuna contestazione della convenzione, l'importo di L. 360.000.000.
Successivamente,
a causa di un complesso contenzioso la convenzione venne revocata da parte del
Commissario straordinario, contenzioso che aveva avuto anche un seguito penale
con la richiesta di rinvio a giudizio del Sindaco che aveva firmato la
convenzione e del Sig. Meneleo Leonardo, rappresentante dell'Associazione
Reduci della prigionia; intanto era accaduto che il Comune con delibere del
luglio/novembre 1991 e del gennaio 1992 aveva riconosciuto debiti fuori
bilancio per L. 33.786.628.000, per cui poi, e sempre nel 1992 - ed esattamente
il 3.12.1992 - veniva dichiarato lo stato di dissesto del Comune con delibera
n. 55 del 3.12.1992.
Il P.M.
nell'atto di citazione ha ritenuto come base della sua domanda il fatto che il
Comune non poteva assumere impegni di spesa ai sensi e per gli effetti
dell'art. 23, primo comma della legge n. 144 del 1989. L'art. 23, secondo il
requirente, era precettivo, applicabile al caso di specie, sicché lo stesso,
dopo aver ricordato di non aver chiamato in giudizio i consiglieri Angelucci e
Bovenzi in quanto deceduti, e rettificato con un atto correttivo della
citazione la data di nascita del convenuto Giuseppe Di Monaco, nonché precisata
la responsabilità anche del segretario generale Russo, chiedeva la condanna al
pagamento della somma sopra citata, dopo aver dedotto dalla stessa una somma
pari al 40% per il vantaggio derivato al Comune dal funzionamento della scuola.
La
Sezione di prime cure,\ dopo avere accolto l'eccezione di prescrizione
formulata dai convenuti Monaco e Di Muro, ha ritenuto che la spesa di L.
360.000.000 erogata dal Comune era da considerare in netto contrasto con l'art.
23 sopra menzionato, e quindi danno ingiusto per le finanze del Comune di Santa
Maria Capua Vetere; ha condannato complessivamente alla somma di Euro
111.554,69, ripartendola in parti uguali a carico di ciascun appellante senza
vincolo di solidarietà ed esattamente al pagamento di Euro 5.070,67 oltre alla
rivalutazione monetaria ed alle spese di giudizio.
Avverso
tale sentenza hanno proposto gravame i Signori appellanti interessati,
esponendo i vari motivi d'appello, avverso i quali il Procuratore Generale, con
le conclusioni del 22.7.2003, dopo aver chiesto la riunione degli stessi
appelli ai sensi dell'art. 335 del c.p.c. ha partitamente controdedotto. In
particolare con i vari motivi appelli e con le correlate controdeduzioni è
stato rappresentato quanto segue.
Con
riferimento all'eccezione di inammissibilità dell'atto di citazione per mancata
notifica dell'invito a dedurre proposta dall'appellante Antonio Russo, il P.M.
ritiene che trattasi di eccezione nuova non proposta in primo grado e quindi
inammissibile ai sensi dell'art. 345 del c.p.c..
L'eccezione
di tardività dell'atto di citazione rispetto al termine di 120 giorni di cui
all'art. 5, comma primo, del D.L. n. 453 del 1993, convertito con la legge n.
639 del 1996, proposta dagli appellanti Di Vilio, Grauso, Calabritto, Mercorio,
Antonio Russo ed altri, è parimenti infondata per il P.M. in quanto
l'espressione “il Procuratore emette l'atto di citazione” va intesa come
deposito dell'atto presso la Segreteria della Sezione. In questi termini anche
la giurisprudenza delle Sezioni Riunite di questa Corte.
La
domanda, pertanto, è tempestiva perché l'atto di citazione venne depositato il
18.7.2001, mentre gli inviti a dedurre furono notificati nel marzo 2001.
Ritengono
invalida la costituzione del rapporto processuale gli appellanti Rienzo e
Carosi, con riferimento al fatto che il convenuto Zito Pasquale non partecipò
alla delibera, sicché mancando la legittimazione passiva, bisognava prendere
atto che vi era un difetto di integrazione del contraddittorio da colmare;
invece la Sezione ha pronunciato il proscioglimento dello stesso Zito; di qui,
secondo gli appellanti, la nullità della sentenza. Ma per il P.M. questa tesi è
infondata perché se ha ritenuto di non convenire in giudizio il Sig. Zito evidentemente
ha valutato che mancavano gli elementi per la relativa responsabilità
amministrativa, con la conseguenza che non si poteva parlare di un
litisconsorzio necessario sia in ragione della diversità delle posizioni che
dei poteri del giudice contabile, stante il carattere personale della
responsabilità amministrativa.
E' stata
sollevata poi l'eccezione di prescrizione da parte di vari appellanti, come
anche l'irritualità dell'atto di costituzione in mora per l'incertezza assoluta
sull'an e sul quantum della pretesa dedotta in giudizio
(appellanti Rienzo e Carosi), per la genericità del contenuto (appellanti Di
Livio e Russo) e per la mancata ricezione dell'atto di costituzione in mora del
Sig. D'Agostino.
Il P.M.
fa rilevare che la prescrizione decorre dal momento dell'effettiva erogazione
della spesa che ha costituito il danno contabile, cioè dai mandati di pagamento
o dai pagamenti delle utenze o quanto meno dalla data della convenzione, per
cui, essendo l'atto di costituzione in mora avvenuto nel novembre 1996, l'atto
di citazione era perfettamente tempestivo. Peraltro la contestazione contenuta
nell'atto di costituzione in mora è stata del tutto puntuale con riferimento
agli estremi della delibera censurata nonché all'importo richiesto.
Inammissibile
ed infondata, sempre a giudizio della Procura, è l'eccezione relativa alla
mancata ricezione dell'atto di costituzione in mora del Sig. D'Agostino, attesa
la sua posizione di contumace in primo grado. Vari appellanti (Mercone ed
altri, nonché Carosi, come anche l'appellante Rienzo) hanno ribadito che nella
fattispecie non si applica l'art. 23 precitato stante il principio non
irrilevante della sopravvenienza legislativa favorevole che se violato
comporterebbe la lesione dello stesso principio di uguaglianza
costituzionalmente tutelato.
La
Procura Generale, invece, ribadisce sostanzialmente che il divieto di assumere
carichi di spese a fronte di uno stato di dissesto del Comune è cogente, tant'è
vero che lo stesso divieto viene sostanzialmente trasfuso nel comma 5 dell'art.
35 del D. L.go n. 77 del 1995 per cui diventa irrilevante l'abrogazione
dell'art. 23 della legge n. 144 del 1989, disposta con l'art. 123 dello stesso
D. L.vo e peraltro è ancora vigente la stessa disposizione con riferimento alle
leggi sull'ordinamento degli enti locali (art. 191, comma 5 del T.U. approvato
con D. L.vo 18.8.2000, n. 267).
La
contestazione, quindi, dei presupposti per l'applicazione del divieto di nuove
spese di cui all'art. 23 sopra citato è priva di fondamento perché il Consiglio
nella stessa seduta del 15.7.91, dopo aver approvato il conto consuntivo del
1990, passava ad approvare la delibera n. 50 con cui vennero riconosciuti i
debiti fuori bilancio. Pertanto, vi erano tutti i presupposti per l'operatività
dell'art. 23, mentre è irrilevante la soppressione della distinzione tra spese
obbligatorie e spese facoltative nella gestione dei comuni e delle provincie
disposta dall'art. 7 del D.L. 10.11.1978, n. 702, convertito in legge 8.1.79,
n. 3.
Gli
appellanti censurano anche l'esistenza di un danno erariale e della sua
quantificazione ed espongono altresì che ci sarebbe stato un illegittimo
sindacato su scelte discrezionali.
A
proposito il P.M. fa presente che trattandosi di una violazione di una norma
cogente il danno era in re ipsa e per quanto concerne i vantaggi che
possono essere derivati dal Comune, correttamente la Sezione Campana ha
valutato la utilitas correlata al funzionamento della scuola per un
numero di anni e nello stesso tempo ha valutato anche i costi elevati derivanti
dal contributo di rilevante importo.
Con
riferimento poi all'elemento psicologico, dopo la riforma della legge 142 del
1990, il consiglio comunale è titolare di specifiche competenze, per cui non è
applicabile ai suoi membri la scriminante cosiddetta politica perché,
trattandosi di una materia riservata all'organo stesso, quest'ultimo ha
esercitato un'attribuzione di amministrazione attiva e non già un'attività di
scelta politica e/o discrezionale; sicché sono da considerare irrilevanti i tre
pareri tecnici addotti per affermare la sussistenza della buona fede.
Conclusivamente
il P.M. ritiene quindi che tutti i motivi d'appello siano infondati, che la
sentenza vada confermata con la condanna alle spese anche del secondo grado di
giudizio.
Con note depositate
il 15.11.2004 l'Avv. Celestino Biagini, a tutela dei suoi rappresentati, ha
fatto presente che l'art. 23 della legge 144 del 1989 è stato abrogato
dall'art. 123 del D. L.vo 25.2.95, n. 77, per cui tale abrogazione non può
essere irrilevante, mentre la ricostruzione cronologica delle delibere,
effettuata dal P.G. non può essere condivisa perché l'ultimo conto consuntivo è
quello del 1991, come ribadito nell'atto d'appello. Peraltro, sostiene l'Avv. Biagini che il P.G. avrebbe
dovuto sollevare con appello autonomo o incidentale il fatto che il giudice di
primo grado erroneamente ha considerato
il conto consuntivo del 1991 approvato nel 1992, anziché quello del 1990
approvato nel 1991. Lo stesso Avvocato censura il fatto che siano stati negati
i vantaggi conseguiti dall'Amministrazione, quanto meno sino alla completa
esclusione del pregiudizio economico e considera la misura del 40% soltanto
come una benevola elargizione.
Infine, i
tre pareri favorevoli alla delibera incriminata vengono considerati irrilevanti,
con una valutazione che il difensore ritiene non condivisibile.
Sono
state depositate anche note integrative in favore del Dott. Antonio D'Agostino
a proposito dell'inammissibilità dell'eccezione di prescrizione per mancata
ricezione dell'atto di costituzione in mora. Il D'Agostino, a suo giudizio, non
ha mai ricevuto notizie del giudizio di primo grado perché la relata notificata
venne fatta a tal Piccinola o Picciuola Maria Cristina, che non appartiene al
nucleo familiare del D'Agostino, né risulta dai certificati di stato di
famiglia, né è persona addetta alla casa o all'ufficio; l'unica persona addetta
alla casa ed all'ufficio del D'Agostino alla data del 12.9.2001 era Piccirillo
Marisa. La notifica deve ritenersi inesistente perché effettuata in modo non
previsto dalla legge; di qui la nullità di tutto il procedimento di primo grado
e della sentenza impugnata oltre l'ammissibilità e tempestività dell'eccezione
di prescrizione per mancata ricezione dell'atto di costituzione in mora a causa
della posizione di contumacia, posizione che fu erroneamente dichiarata.
Nella
pubblica udienza odierna è intervenuto l'Avv. Celestino Biagini, il quale ha
ribadito innanzitutto quanto ha rassegnato per iscritto, aggiungendo in
particolare che l'art. 23 della legge n. 144 del 1989 è stato abrogato
dall'art. 123 della D. Leg.vo del 25.2.1995, n. 77 e che la cosiddetta
“trasfusione” dell'art. 23 sopracitato nell'art. 35 dello stesso D. L.vo n.
77/1995 non può essere condivisa per il semplice fatto che una volta abrogata
la norma, questa non ha più alcun rapporto con la norma successiva anche se per
avventura dovesse essere dello stesso tenore.
Spiega lo
stesso Avvocato che l'ultimo conto consuntivo deliberato a cui fa riferimento
l'art. 23 è quello del 1991, per cui la ricostruzione delle delibere, così come
effettuata dal Procuratore Generale, non può essere condivisa ed in ogni caso
doveva essere sollevata con appello incidentale.
Lo stesso
Avvocato, peraltro, ha rappresentato che per la sussistenza della responsabilità
amministrativa non è sufficiente una violazione “tout court” di una norma, ma è
necessario altresì che sussistano tutti gli altri elementi previsti
dall'ordinamento e che, com'è ben noto, sono il dolo e la colpa grave sotto il
profilo soggettivo, il rapporto di causalità ed il danno.
Con
riferimento al danno, sostiene l'Avvocato, che i vantaggi conseguiti dall'Ente
locale a seguito del funzionamento della scuola sono più che sufficienti ai
sensi dell'art. 1 della legge 20/94, così come modificata dal D. Leg.vo n.
543/96, convertito in legge 639 del 1996, a compensare i danni connessi
all'erogazione dei contributi, così come risulterebbe, a suo giudizio, dalla
gestione pubblica della stessa scuola, gestione i cui costi erano superiori a
quelli che sono stati dedotti ad oggetto della presente causa.
Infine,
sotto il profilo soggettivo, l'Avvocato ha ribadito che in considerazione anche
dei pareri favorevoli risultanti agli atti con riferimento alla delibera n. 14
del 31.1.1992, non è possibile ravvedere nella condotta dei suoi assistiti la
sussistenza della colpa grave. Conclude quindi l'Avv. Biagini per
l'accoglimento dell'appello e l'assoluzione del suo assistito.
E'
intervenuto anche l'Avv. Antonio Russo, il quale nel rimettersi agli atti
scritti ha ribadito l'insussistenza del danno sulle finanze del Comune in
considerazione del fatto che nella passata gestione pubblica della scuola le
spese ed i costi erano di gran lunga superiori a quelli della gestione avvenuta
sulla base della convenzione del 1992 con l'Associazione Nazionale Reduci della
prigionia.
Dal canto
suo il P.M., parimenti, si è rimesso alle conclusioni scritte ribadendo che
l'art. 23 della legge 144 del 1989 nella sostanza imponeva il divieto di
effettuare spese non previste dalla legge a fronte di debiti fuori bilancio e
di disavanzo dell'Amministrazione, con la conseguenza che tale norma è stata
trasfusa nel comma 5 dell'art. 35 del D. L.vo n. 77 del 1995, norma che secondo
il P.M. è attualmente vigente con riferimento anche agli artt. 191, comma 5,
del T.U. delle leggi sullo ordinamento degli enti locali approvato con D. L.vo
18.8.2000. Precisa ancora che nella stessa seduta del 15.7.91 il Comune aveva
approvato il conto consuntivo del 1990 e con la delibera n. 50, sempre nella
stessa seduta, vennero riconosciuti debiti fuori bilancio per una somma di L.
36.093.737.203. Conclude, quindi, che alla data di approvazione della delibera
n. 14 del 1992 esistevano tutti i presupposti per l'operatività del divieto di
nuove spese in quanto nella sostanza il piano di riequilibrio finanziario non
venne portato ad attuazione mentre i profili eccepiti dalle parti al riguardo
rivestono un valore esclusivamente formale.
D I R I T T O
Vanno
esaminate dapprima le eccezioni preliminari di rito.
L'eccezione
di inammissibilità proposta dall'appellante Antonio Russo per mancata notifica
dell'invito a dedurre deve ritenersi eccezione nuova non proposta in primo
grado e pertanto inammissibile ai sensi dell'art. 345 del c.p.c..
L'eccezione
di tardività dell'atto di citazione con riguardo al termine di 120 giorni di
cui all'art. 5, comma 1, del D.L. n. 453 del 1993, convertito con la legge n.
639 del 1996, sollevata dagli appellanti Di Livio, Grauso ed altri, Antonio
Russo, Mercorio e Calabritto, è da ritenere infondata e pertanto va rigettata.
Infatti, al riguardo, l'espressione adottata dal legislatore “il Procuratore
emette l'atto di citazione” va intesa per costante giurisprudenza di questa
Corte come deposito dell'atto presso la Segreteria della Sezione Giurisdizionale
competente, deposito che nella fattispecie è avvenuto il 18.7.2001, mentre gli
inviti a dedurre furono notificati nel marzo 2001.
L'eccezione
sollevata dagli appellanti Rienzo e Carosi relativa ad una supposta invalidità
della costituzione del rapporto processuale perché il convenuto Zito Pasquale
non partecipò alla delibera n. 14 sopra citata con la conseguenza che a
giudizio degli appellanti vi sarebbe stato un difetto di integrazione del
contraddittorio da colmare, è parimenti infondata e va rigettata. Spetta al
P.M. valutare se evocare in giudizio o
meno un presunto responsabile e non già al giudice anche a fronte di un
presunto litisconsorzio necessario che in realtà nella specie declina a
litisconsorzio facoltativo, e ciò in considerazione del carattere personale
della responsabilità amministrativa.
Con
riferimento poi all'eccezione di prescrizione ed ad una costituzione in mora
non rituale perché coinvolgente una incertezza sull'an e sul quantum
della pretesa dedotta in giudizio, così come rappresentato dagli appellanti
Rienzo e Carosi e dagli appellanti Di Livio e Russo soprattutto in relazione ad
un contenuto generico, il Collegio rileva che la prescrizione per consolidato
orientamento della giurisprudenza di questa Corte decorre dall'effettiva
erogazione della spesa, e cioè dai mandati di pagamento e dai pagamenti delle
utenze o quantomeno dalla data della convenzione per cui essendo intervenuto
l'atto di costituzione in mora nel 1996 e l'atto di citazione nel 2001, la
pretesa è del tutto corretta e tempestiva. Ciò anche con riferimento al
contenuto della stessa in quanto gli atti di costituzione in mora ai vari
amministratori hanno indicato esattamente la delibera consiliare n. 14 del
31.1.1992 con cui si è approvato lo schema di convenzione con la A.N.R.P. con
le somme ivi precisate e con il riferimento agli artt. 2943 e 1219 del c.c..
Infine, è
da considerare parimenti infondata oltre che inammissibile l'eccezione relativa
ad una mancata ricezione dell'atto di costituzione in mora del Sig. D'Agostino
in quanto è risultato contumace nel giudizio di primo grado e, pertanto, in
appello per la prima volta non può far valere supposte o eventuali irregolarità
dell'atto di costituzione in mora.
Passando
all'esame del merito, l'art. 23 della legge n. 144/89 stabilisce per tutte le
Amministrazioni provinciali, comunali e comunità montane che presentino
nell'ultimo conto consuntivo deliberato disavanzo di amministrazione o debiti
fuori bilancio, il divieto di assumere impegni per pagare spese per servizi non
espressamente previsti per legge. Questa norma è stata sostanzialmente
riportata al V° comma dell'art. 35 del D. L.vo n. 77 del 1995, mentre, sempre
dello stesso decreto, l'art. 123 al secondo comma prevede l'abrogazione della
legge n. 144 del 1989.
E' del
tutto evidente che l'art. 23, ripetuto nella sostanza dall'art. 35, esprime
tutta la sua vigenza con riguardo alla fattispecie in giudizio; e ciò perché la
norma fa riferimento all'ultimo conto consuntivo deliberato, conto consuntivo
che è quello del 1990, approvato con delibera n. 49 del 15.7.91. Inoltre nella
stessa data sono stati riconosciuti debiti fuori bilancio con la delibera n. 50
addirittura per una somma di L. 36.093.737.203 e predisposto un apposito piano
per il riequilibrio della gestione ai sensi dell'art. 1bis del D.L. n. 318 del
1986. Ma vi è di più: sussistono anche altre delibere del 28.9.90 il cui
oggetto è il riconoscimento del debiti fuori bilancio e la n. 7 del 31.1.1992
con l'ulteriore riconoscimento dei debiti fuori bilancio. Insomma, nella
sostanza vi era una situazione grave di disavanzo di amministrazione rispetto
al quale non poteva il Comune assumere spese e carichi non previsti
espressamente dalla legge. Ed è chiaro allora che a fronte di una difesa che al
riguardo ha sollevato profili soltanto formali, in pratica si è avuto, come
risulta dalla stessa delibera n. 55 del 3.12.92 con cui è stato dichiarato lo
stato di dissesto, che il piano di riequilibrio finanziario non venne portato
all'attuazione, ma al contrario vennero assunte nuove spese con violazione
dell'art. 23 della legge 144 del 1989 e del successivo art. 35 del D. L.vo n.
77 del 25.2.1995.
Quanto
poi alla rappresentazione difensiva relativa all'interpretazione dell'art. 1
della legge 20.12.96, n. 639, ossia della valutazione dei vantaggi che devono
essere presi in considerazione ai fini
della determinazione del danno, è fuori dubbio che tali vantaggi possono
completamente compensare il pregiudizio economico verificatosi. Tale
valutazione però non può essere spinta al punto tale da pervenire comunque e
sempre ad un computo matematico o compensativo, come sostenuto dalla difesa; e
ciò perché quando trattasi di una norma che protegge interessi primari
finanziari, occorre tener conto dei vantaggi di carattere generale che
il legislatore ha voluto tener presente a favore dell'ente o della comunità e
che non trova il suo esatto contrapposto nei vantaggi di natura settoriale
della P.A. o comunque della comunità
amministrata. Nel caso di
specie, il vantaggio che è derivato al Comune è fuori discussione, perché la
scuola ha funzionato ed aveva un certo numero di sezioni e perché anche nella
precedente gestione da parte del Comune della scuola vi furono costi elevati.
Tuttavia,
come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure, proprio in
considerazione del grave dissesto e degli ingenti debiti fuori bilancio, si è venuto a creare un danno che non può
essere coperto dal vantaggio derivato al Comune ed al servizio scolastico
proprio in considerazione del fatto che le erogazioni effettuate hanno
contribuito a determinare quel grave dissesto di cui dianzi ed hanno avuto
riflessi dannosi diversi da quelli
settoriali e riferibili all'intera comunità amministrata. Conseguentemente la
valutazione effettuata dal
giudice di primo grado pari ad un vantaggio
compensativo del 40% della somma contestata può ritenersi corretta.
Quanto
all'elemento soggettivo, a fronte di una grave lesione di una precisa norma di
legge e del grave dissesto finanziario, soccorre proprio la violazione di
quella minima diligenza cui corrisponde la sussistenza dell'elemento grave
della colpa richiesto dalla normativa per il riconoscimento della
responsabilità amministrativa.
In
conclusione soccorrono tutti i presupposti di rito e di merito per la conferma
della sentenza impugnata.
P. Q. M.
definitivamente
pronunciando, riuniti gli appelli ai sensi dell'art. 335 del c.p.c., rigetta
gli stessi gravami e per l'effetto conferma la sentenza impugnata e con la
condanna degli interessati appellanti anche alle spese del presente giudizio che sino al deposito dell'originale della presente sentenza vengono liquidati in
Euro 3.442,79 (tremilaquattrocentoquarantadue/79).
Così
deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 7 dicembre 2004.
Il Consigliere
Relatore Il
Presidente
F.to
Mario Casaccia F.to
Tommaso De Pascalis
Depositato
nella Segreteria il 10 GEN. 2005
Il
Direttore della Segreteria
F.to
Mario Francioni