REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE
Composta dai seguenti
Magistrati:
dr. Sergio Maria Pisana Presidente
dr. Gabriele De Sanctis Consigliere
dr. Camillo Longoni Consigliere
relatore
dr. Antonio D'Aversa Consigliere
dr. Giovanni Piscitelli Consigliere
ha pronunciato la seguente
nel giudizio di responsabilità
amministrativa iscritto ai nn. 4265 e 4266 del registro di Segreteria, e
promosso con atti d'appello, depositati il 17.3.1995 e il 28.3.1995,
rispettivamente dai sigg. MASCELLONI Giovanni, patrocinato dall'avv. Manlio
Marcella, e DRAGONI Silvano, patrocinato dall'avv. Massimo Lotti, avverso la
sentenza n. 116/EL/94 del 20.10/20.12.1994 della Sezione giurisdizionale per
l'Umbria;
Visto i predetti atti
d'appello;
Vista la sentenza
impugnata;
Vista l'istanza di
riassunzione del giudizio, depositata dalla Procura Generale il 22.3.2004, a
seguito dell'ordinanza di sospensione n. 15/97 di questa Sezione, che ha, tra
l'altro, disposto la riunione degli appelli ai sensi dell'art. 335 c.p.c.;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza
del 26.10 2004, il consigliere relatore Camillo Longoni, e il Pubblico
Ministero nella persona del V. Procuratore Generale dr.ssa Maria Letizia De
Lieto Vollaro; assenti i difensori delle parti appellanti;
Ritenuto in
Con sentenza n. 116/E.L./94
del 20.10/20.12.1994 la Sezione giurisdizionale per l'Umbria condannava l'arch.
Dragoni Silvano e, con lui in solido fino alla concorrenza del 50%, il sig.
Mascelloni Giovanni al pagamento in favore del Comune di Fabro della somma di £
44.574.843.
Il Dragoni era riconosciuto
colpevole per avere egli, in qualità di direttore dei lavori - esorbitando dai
compiti d'ufficio e in violazione delle disposizioni di legge in materia -
consentito la mancata effettuazione di opere appaltate ed autorizzato l'esecuzione
di lavori estranei al progetto approvato senza formale assenso dei competenti
organi deliberativi del Comune. Il Mascelloni era coinvolto nella condanna per
aver tenuto, in qualità di Sindaco, un comportamento gravemente negligente,
sottoscrivendo il certificato di regolare esecuzione (sostitutivo di quello di
collaudo) e di conformità dei lavori eseguiti alle prescrizioni contrattuali
sulla scorta della perizia e degli atti contabili risultanti poi incompleti o
inesistenti.
La stessa sentenza mandava esenti da responsabilità i
componenti la giunta comunale in quanto ad essi, “in assenza di delega nella
materia, non poteva essere richiesto un comportamento che andasse al di là dei
compiti istituzionali”.
Avverso la menzionata sentenza hanno proposto appello
entrambi i soccombenti: il Dragoni, rappresentato e difeso dall'avv. Massimo
Lotti con atto depositato il 28.3.1995; il Mascelloni, patrocinato dall'avv.
Manlio Morcella, con atto depositato il 17.3.1995.
I motivi delle impugnative possono così riassumersi:
Appello Dragoni
A - inattendibilità della consulenza tecnica d'ufficio
dell'ing. Cutini in ordine alla valutazione della misura del danno e difetto di
motivazione della sentenza circa le controdeduzioni mosse alla stessa
consulenza (anche in sede penale);
B - omessa valutazione compensativa tra il valore delle
opere, ineseguite ( ma contabilizzate) e delle maggiori opere eseguite ( ma non
rimborsate).
Il valore dei lavori non eseguiti troverebbe ampia
compensazione in quello dei lavori eseguiti, ancorché non previsti nel
contratto di appalto.
Il valore dei lavori non eseguiti non corrisponde a quello indicato dai
primi giudici, mutuato dalla perizia del C.T.U. ing. Cutini, che
immotivatamente - secondo l'appellante - la Sezione umbra avrebbe recepito come
veritiera ed incontestabile, ancorché fosse stata redatta nel procedimento
penale in parziale violazione del contraddittorio.
Il riconoscimento di utilità pubblica delle maggiori opere,
effettuato dallo stesso Comune di Fabro, introduce la possibilità, ed in
termini di giustizia la necessità, di quantificare il vantaggio dallo stesso
conseguito in comparazione all'eventuale danno che l'ente locale sostiene di
aver subito.
Appello Mascelloni
C - violazione di legge ( artt. 1241 c.c. e segg.) per non
aver operato il giudice di I° grado la compensazione tra l'importo dei lavori
non eseguiti e quelli realizzati in eccedenza.
Le argomentazioni svolte sono in buona sostanza le stesse di
quelle di cui sub B.
In particolare, si fa osservare che il Comune si è ritrovato
delle opere realizzate fuori appalto, per le quali l'impresa non ha richiesto
il corrispettivo. Tali opere devono, pertanto, considerarsi di esclusivo
godimento della P.A.
D - insussistenza della responsabilità del Sindaco, che è
carica “eminente politica”, essendo affidate agli assessori responsabilità più
penetranti e specifiche che comprendono anche quelle amministrativo-contabili,
per cui paradossalmente la sentenza ha assolto da ogni addebito proprio i
componenti la giunta comunale.
Non è stato per nulla considerato l'atteggiamento tenuto dal
Mascelloni, che, appena venuto a conoscenza della mancata effettuazione degli
impianti tecnologici relativi all'opera appaltata, ha disposto l'immediata
sospensione dei pagamenti concernenti parte dei lavori controversi.
Si prospetta, infine, la censura che non sia stato mosso
alcun addebito al Segretario Comunale.
Entrambi gli appellanti hanno chiesto in riforma
dell'appellata sentenza il rigetto della domanda risarcitoria.
Il Procuratore Generale ha rassegnato le proprie conclusioni
con atto depositato il 9.5.1996.
Si pone in evidenza, anzitutto, che, in caso di opera
realizzata in difformità dal progetto (come nella specie), spetta alla
Amministrazione decidere circa la conformità della modifica dell'opera pubblica
al pubblico interesse. In carenza di una tale declaratoria, il giudice
contabile non ha il potere di stabilire che l'opera, pur difforme, sia utile.
Egli, pertanto, può valutare l'esistenza e l'ammontare del danno, discendente
da tale difformità non alla luce della utilità economica dell'opera, bensì solo
alla luce della sua utilità giuridica che soltanto la P.A. può attribuire.
Discende, in particolare, da tale impostazione
l'infondatezza di pretese creditorie basate su un “asserito” indebito
arricchimento della P.A., atteso che l'incremento patrimoniale di cui questa
potrebbe godere è derivato esclusivamente da un comportamento colpevole
dell'esecutore dei lavori. Ne deriva, inoltre, l'inammissibilità e l'inutilità della
richiesta di strumenti istruttori ( perizie) tendenti ad accertare l'esatto
valore delle maggiori opere eseguite.
Va ribadito che non può l'appaltatore di sua iniziativa
eseguire addizioni o variazioni al progetto dell'opera e non sorge, quindi, il diritto
dell'appaltatore al relativo compenso.
Alla luce di tali considerazioni, nessuna censura - afferma
il Requirente - può essere mossa all'individuazione dell'illecito operata dal
giudice di primo grado.
La tesi della compensazione prospettata dagli appellanti è
stata correttamente respinta dai giudici di primo grado. Il ricorso a tale
istituto non è, infatti, invocabile; e ciò non tanto perché i convenuti
(sindaco e direttore dei lavori) non sono titolari della posizione creditoria,
derivante dal presunto arricchimento dell'Amministrazione, ma per la mancanza
di uno degli elementi necessari perché possa valere la compensazione e cioè la
esistenza di una regolare pretesa di uno dei due soggetti, nella specie
dell'appaltatore.
Peraltro, nessun titolo creditorio può essere opposto in
compensazione in quanto nessuna richiesta di ristoro è mai pervenuta dall'unico
soggetto a ciò legittimato (l'appaltatore).
Anche la censura, mossa al modo con cui i giudici umbri si
sono determinati nell'individuazione del danno erariale, non appare
giuridicamente apprezzabile. Giova ricordare, al riguardo, che il giudice
contabile, nello svolgimento della sua ampia autonomia di cognizione, può ben
operare l'acquisizione di mezzi di prova svolti nel processo penale ammettendo
ad essi un autonomo rilievo probatorio per porli a base del proprio
convincimento. La sentenza impugnata dà ampia e motivata giustificazione
dell'attendibilità della perizia dell'ing. Cutini, posta a base del proprio convincimento.
La sentenza impugnata merita, pertanto, piena conferma,
anche sul piano della ripartizione della responsabilità dei singoli soggetti
rimasti coinvolti. Il Requirente conclude chiedendo il rigetto degli appelli.
All'udienza del 13.11.1996 il giudizio con ordinanza n.
15/97 è stato sospeso, in attesa della definizione in sede d'appello del
procedimento penale che nella vicenda era stato avviato e concluso in primo
grado con la condanna del Dragoni
Acquisita la sentenza penale della Corte d'appello di
Perugia del 2.12/17.12.2003 confermativa della sentenza di condanna di I° grado
del Tribunale di Orvieto n.3/1994, il giudizio è stato riassunto dalla Procura
Generale con atto depositato il 22.3.2004.
All'udienza pubblica dibattimentale, assenti le parti
private, è intervenuto il P.M., il quale ha insistito nelle conclusioni assunte
nell'atto scritto e ha chiesto il rigetto degli appelli.
Considerato in
Gli appelli, che ne occupano, sono essenzialmente
incentrati, in buona sostanza, su due motivi.
A - Il danno erariale nella fattispecie de qua, ravvisato
nei lavori non eseguiti, sarebbe stato inopinatamente quantificato sulla base
della perizia del C.T.U. redatta nel procedimento penale (conclusosi con la
condanna del convenuto, ora appellante, sig. Dragoni), in parziale violazione
del contraddittorio.
B - I primi giudici avrebbero immotivatamente omesso una
valutazione compensativa tra il valore delle opere contrattualmente previste e
il valore dei lavori eseguiti nonostante non fossero previsti dalla normativa
negoziale d'appalto.
E' appena il caso di
osservare, anzitutto , che appare indubitabile, nella specie, la natura di
ingiusta “deminutio” patrimoniale conseguente al pagamento di lavori, che pur
contemplati in contratto non sono stati però realizzati. Si è in presenza,
infatti, di una “datio” di denaro pubblico “sine titulo”, senza cioè alcuna
“causa” giuridica di giustificazione.
La responsabilità che ne consegue è grave e non consente
l'invocazione di attenuanti da parte degli autori del danno.
La responsabilità primaria è certamente, del sig. Dragoni
che, in qualità di direttore dei lavori, ebbe ad attestare “come eseguiti”
lavori appaltati ma non esistenti o comunque, non conformi a quelli richiesti
in appalto. A tale responsabilità si aggiunge quella del sig. Mascelloni che,
in qualità di Sindaco del Comune, non si curò - pur in presenza di un quadro
fattuale (il disordine delle contabilità obbligatorie e la contemporaneità
della emissione di numerosi atti, quali il quadro di raffronto, il certificato
di pagamento, lo stato finale e il certificato di regolare esecuzione) che
imponeva una verifica più attenta da affidare eventualmente a persona
competente nel settore - di esigere una verifica dei fatti che nel certificato
di regolare esecuzione venivano attestati.
La sentenza impugnata è pertanto, sotto lo stretto profilo
della responsabilità, pienamente da confermare.
Né può invocarsi per escludere la responsabilità del
Mascelloni la normativa di cui agli art. 51 e 58 della legge n. 140 del 1990,
secondo la quale il Sindaco quale organo “politico” non risponde degli atti di
competenza dei dirigenti e dei funzionari dipendenti.
Nella specie, infatti, ciò che si rimprovera al Mascelloni è
- come si è detto - la circostanza di aver avvallato una situazione che, usando
dell'ordinaria diligenza del buon amministratore, non poteva non apparirgli,
come sospetta di irregolarità lesiva delle finanze pubbliche. Si tratta, cioè
di una responsabilità insorgente non tanto perché collegata all'illegale
comportamento altrui quanto per fatto direttamente “proprio”, cioè per
violazione del dovere di porre particolare attenzione sugli atti sottoposti
alla sua firma.
Ciò posto, il Collegio passa ad esaminare i motivi
d'appello, come sopra evidenziati.
Sub A - Ritiene il Collegio che non possono ragionevolmente
revocarsi in dubbio le conclusioni cui perviene la relazione del consulente
tecnico del Tribunale di Orvieto, ing. Cutini. Essa, infatti è stata redatta
sulle base di risultanze e sulla scorta di argomentazioni tecniche riconosciute
ineccepibili e inconfutabili dal giudice penale. Appare, pertanto,
defatigatoria la richiesta di una ulteriore consulenza volta alla
quantificazione del danno, atteso peraltro che la predetta relazione peritale
dell'ing. Cutini ha trovato concordi anche i periti di parte nel processo
penale.
Al riguardo giova ricordare che è giurisprudenza ormai
consolidata che il giudice della responsabilità tragga dal procedimento penale
tutti gli elementi di fatto che siano stati accertati in quella sede; e ciò
nonostante l'autonomia dei due procedimenti, quello penale e quello di
responsabilità amministrativo-contabile.
Il danno rimane, quindi, fissato in £ 32.300.611, oltre gli
interessi di £ 12.274.232 maturati sino al deposito della sentenza impugnata in
questa sede.
Sub B - La censura relativa alla mancata valutazione
compensativa dei lavori eseguiti fuori contratto appare, invece, meritevole di
considerazione. Il giudice di I° grado ha ritenuto di non accedere all'invocata
compensazione; e ciò nella assorbente considerazione che l'eccezione relativa
alla “ compensatio lucri cum damno” sarebbe inammissibile ove non sia
dimostrata, a fonte di un danno certo ed attuale, la sussistenza di un
vantaggio parimenti certo ed attuale. Mancherebbe comunque, nella specie, la
possibilità di valutare l'arricchimento dell'Amministrazione sulla base di una
pariteticità di interressi a causa della preminenza dell'interesse pubblico di
corrispondenza della spesa sia alla programmazione sia agli interessi delle
comunità locali e sia del rispetto delle norme procedimentali e sostanziali.
La Procura Generale ha, anch'essa, contestato l'invocabilità
della compensazione, precisando, però, rispetto alla tesi svolta dai giudici
umbri, che l'istituto delle “conpensatio lucri cum damno” non sarebbe
applicabile a causa della mancanza di uno degli elementi necessari perché possa
farsi valere la compensazione e cioè la esistenza di una regolare pretesa di
uno dei due soggetti, nella specie dell'appaltatore.
Osserva, per contro, il Collegio che l'istituto della
compensazione, nel caso che ne occupa, è invocato a sproposito e che la
polemica processuale che ne è seguita non ha quindi ragion d'essere.
Invero, la questione dell'invocata compensazione va vista
alla luce dell'art. 3, comma 1 bis, del testo del DL 23..10.1996 ,n. 546
coordinato con la legge di conversione n. 640/1996, il quale così recita: “ Nel
giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi
conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione o dalla comunità
amministrativa in relazione al comportamento degli amministratori o dei
dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”. Attesa la
chiarissima latitudine terminologica della norma che impone di tener conto dei
vantaggi comunque conseguiti dalla P.A. o dalla comunità amministrata in
relazione al comportamento che ha dato luogo al danno, non par dubbio - ad
avviso del Collegio - che si sia in presenza di un principio che trascende
l'istituto della “ compensatio lucri cum damno “ nei suoi termini ontologici.
Sicché non è necessario, nella specie, ricercare la sussistenza degli estremi
del rapporto di debito e credito tra le parti del rapporto d'appalto.
Le riflessioni che precedono inducono a ritenere che non ci
si poteva sottrarre alla necessità, normativamente prevista, di tener conto dei
lavori eseguiti al di fuori del contratto d'appalto.
Le opere realizzate, non previste e non contabilizzate, sono
state - come risulta dagli atti - almeno di fatto riconosciute utili ed
accettate dall'Amministrazione.
Tale circostanza impone, quindi, che esse siano valutate.
Certo, non è possibile arrivare ad un annullamento del danno, che i
responsabili sono chiamati a risarcire, invocando il valore delle opere
eseguite fuori contratto. Infatti, nella valutazione della incidenza di tali
opere sul danno risarcibile occorre, in ogni caso, tenersi in preminente
considerazione il violato interesse pubblico della corrispondenza della spesa
alle deliberazioni adottate secondo i canoni previsti dalla legge e la
programmazione fissata dagli organi istituzionalmente a ciò deputati.
Altrimenti opinando, verrebbe meno la certezza del rispetto della “ regolarità
“ della spesa pubblica.
Pertanto, è sufficiente procedere, nel caso che ne occupa,
ad una valutazione equitativa delle opere in questione che porti soltanto ad un
alleggerimento della inevitabile condanna degli autori del danno discendente
direttamente dalla inesatta esecuzione delle clausole negoziali.
Nell'ottica di tale impostazione il Collegio ritiene che il
Dragoni e il Mascelloni debbano rispondere delle seguenti somme, senza
rivalutazione: £ 25 milioni il primo e £ 10milioni il secondo, oltre per
entrambi l'obbligo di corresponsione degli interessi legali decorrenti dal
deposito della sentenza impugnata.
Occorre precisare, al riguardo, che la condanna del Dragoni
e del Mascelloni deve intendersi a titolo parziario, senza vincolo di
solidarietà, non essendo emerso tra loro alcun collegamento di carattere doloso
(cfr. art. 1 quater dell'art. 1 della legge 14.01.1994, n. 20, come
successivamente modificato).
Le spese
seguono la soccombenza, anche per questo grado di giudizio.
La Corte dei Conti, Sez II giurisdizionale centrale, ogni
contraria istanza eccezione e difesa reietta, accoglie parzialmente gli appelli
proposti dai sigg. DRAGONI Silvano e MASCELLONI Giovanni avverso la sentenza n.
116/EL/94 del 20.10/20.12.1994 della Sezione giurisdizionale per l'Umbria e per
l'effetto, in parziale riforma della predetta sentenza, condanna, senza vincolo
di solidarietà, il sig. DRAGONI Silvano e il sig. MASCELLONI Giovanni al
pagamento, in favore del Comune di Fabro, rispettivamente della somma di £
25.000.000, pari ad euro 12.914.22 (dodicimilanovecentoquattordici/22), e della somma di £ 10.000.000,
pari ad euro 5.164.56 (cinquemilacentosessantaquattro/56), oltre agli interessi
legali sulle predette somme dalla data di deposito della sentenza di I° grado e
senza rivalutazione monetaria.
Entrambi i summenzionati sono tenuti al pagamento, in
proporzione dell'ammontare della condanna, da ciascuno di essi riportata, delle spese processuali del 1° e 2° grado di giudizio, che sino al deposito di questa
sentenza vengono complessivamente liquidate in Euro1.271,73
(milleduecentosettantuno/73).
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 26
ottobre e 16 novembre 2004.
L'ESTENSORE IL
PRESIDENTE
F.to Camillo Longoni F.to Sergio Maria Pisana
Depositata in Segreteria il
26 MAG. 2005
Il Direttore della
Segreteria
F.to Mario Francioni