REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE
Composta dai seguenti
Magistrati:
dr.Tommaso De Pascalis Presidente
dr.Gabriele De Sanctis Consigliere
dr. Mario Casaccia Consigliere
dr.Camillo Longoni Consigliere
Relatore
dr.Angelo Antonio Parente Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità amministrativa iscritto al n. 16261 del
registro di Segreteria, con atto d'appello depositato il 30 luglio 2002 dal
Procuratore Generale per la Campania avverso la sentenza n. 35/2002
dell'8.11.2001/5.4.2002 della Sezione giurisdizionale di quella Regione e
contro il sigg.ri DE STEFANO Bruno, D'APICE Giuseppe, IOVINO Gennaro,
PAPPALARDO Luigi, MORMONE Vittorio e SOLLO Carmine;
Visto il predetto atto d'appello;
Vista la sentenza impugnata,
Viste le controdeduzioni degli appellati D'Apice, Pappalardo e Sollo,
costituitisi in giudizio con memoria depositata il 31.12.2004; non costituiti
gli altri appellati;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
; Uditi alla pubblica
udienza del 25 gennaio 2005, il relatore cons. Camillo Longoni e il P.M. dr.ssa
Maria Letizia De Lieto Vollaro; assente la difesa degli appellati
Ritenuto
in
A seguito di procedura esecutiva, il Comune di Castellammare
di Stabia aveva corrisposto agli eredi di Tropeano F.Paolo la somma di
£184.333.438, come da ordinativo di pagamento n. 382 del 29.01.1999.
Tale procedura esecutiva era conseguita al mancato
aggiornamento e pagamento da parte del Comune dei canoni dovuti per
l'utilizzazione di un immobile di proprietà Tropeano, preso in locazione per la
durata di anni sei, a decorrere dall'1.7.1979 per il prezzo annuo di
£60.000.000, da corrispondere in rate trimestrali anticipate.
L'art. 5 del contratto stabiliva che detto canone doveva
essere adeguato ogni biennio in relazione agli indici ISTAT nazionali dei
prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.
Dopo due aggiornamenti del canone nel 1981 e 1983, un
ulteriore aggiornamento fu chiesto dai proprietari nel giugno 1989,
significando che, in dipendenza degli aumenti ISTAT verificatisi nel frattempo,
il canone andava incrementato, a decorrere dal 1° luglio 1989, sino a £.
173.835.334 annue, con corrispondenti rate trimestrali di £. 43.456.834.
Non avendo il Comune provveduto ad aggiornare il canone e
vantando i proprietari alla data dal 2 ottobre 1989 un credito di £67.481.534,
essi chiesero ed ottennero in data 6.11.1989 dal Presidente del Tribunale di
Napoli decreto ingiuntivo, che non opposto dal Comune passò in cosa giudicata.
Malgrado detto giudicato, Il Comune continuò a
corrispondere, per l'intero anno 1990, la rata trimestrale nell'importo ridotto
di £29.154.200; nell'anno 1991 il Comune aveva versato £38.871.900 per i mesi
da gennaio ad aprile, mentre non aveva versato alcuna somma per i mesi di
maggio e giugno, epoca in cui la locazione era definitivamente scaduta. Sicché,
con ricorso del 17.1.2.1991, i Tropeano chiedevano l'ingiunzione giudiziale
della somma di £ 105.263.934, riferita al periodo gennaio 1990 - giugno 1991,
oltre interessi, rivalutazione e spese processuali.
Il decreto ingiuntivo, nei termini richiesti, fu accordato
dal Presidente del Tribunale di Napoli in data 14.01.1992 e notificato al
Comune in data 5 febbraio 1992.
Avverso detto decreto la Giunta Comunale decise di proporre
opposizione con deliberazione n. 655 del 30.3.1992, su pareri apparentemente
favorevoli dell'Ufficio Legale, del Ragioniere Capo e del Segretariato
Generale.
L'opposizione proposta dal Comune fu dichiarata
inammissibile dal Tribunale di Torre Annunziata con sentenza n. 558/97, con la
motivazione che la deliberazione giuntale di autorizzazione al giudizio era
stata prodotta oltre il termine stabilito dall'art. 190 c.p.c..
A conclusione della procedura esecutiva, i Tropeano
riscossero la somma complessiva di £184.333.438. Posto che il debito del Comune
ammontava a £105.263.934, come reclamato dalla controparte, l'esborso di
£184.588.630 evidenziava che il Comune aveva patito un danno finanziario di
£79.069.504, cui doveva aggiungersi la somma di £7.153.104, corrisposta dal
Comune al proprio difensore nel giudizio di opposizione.
Del predetto esborso, considerato danno erariale, venivano
chiamati a rispondere gli attuali appellati, quali componenti protempore della
Giunta Comunale che aveva adottato la delibera autorizzatoria, oltre la rag.
Raffaella Mascolo e il dr. Umberto Gallotti, rispettivamente all'epoca dei
fatti, dirigente del servizio economico - finanziario e Segretario Generale del
Comune.
Con sentenza n. 35/2002, la Sezione giurisdizionale per la
Campania assolveva tutti i convenuti, pur con differenti motivazioni. In
particolare, assolveva i componenti della Giunta Municipale per difetto di
colpa grave osservando che, in presenza dei pareri favorevoli del Segretario
Generale e dell'Ufficio Legale era “ragionevole dedurre che sul punto si
fosse formato una sorta di incolpevole affidamento dell'organo giuntale”.
Avverso la menzionata sentenza ha proposto appello il
Procuratore Regionale della Campania, con atto depositato il 30.7.2002, nei
confronti di tutti gli amministratori assolti; nulla ha, invece, eccepito
contro l'assoluzione della Mascolo e del Gallotti.
Il Requirente rileva, anzitutto, che la pronuncia
assolutoria risulta essenzialmente motivata con la considerazione che, in
presenza del parere dell'Ufficio Legale, “è ragionevole dedurre che sul
punto si fosse formata una sorta di incolpevole affidamento dell'organo
giuntale”.
Per altro verso - prosegue l'appellante- non appare
conferente la considerazione, esplicitata in sentenza, secondo la quale la tesi
accusatoria della temerarietà della lite poggerebbe su una valutazione di tipo
probabilistico, posto che la sentenza di rigetto dell'opposizione non è entrata
nel merito, ma si è risolta in una pronuncia di rito.
L'appello si conclude invocando la riforma della sentenza
impugnata e, per l'effetto, la condanna dei sunnominati appellati, ciascuno per
la parte che vi ha preso, al pagamento in favore del Comune della somma di
£71.631.150 (pari ad euro 36.994,40) oltre agli interessi legali e alle spese
di giudizio.
Con memoria depositata il 31.12.2004 si sono costituiti in
giudizio i sigg. D'Apice, Pappalardo e Sollo, rappresentati e difesi dall'avv.
Antonio Somma.
Essi chiedono il rigetto dell'appello per i seguenti motivi:
1 - assenza di colpa grave. Per la mole e la complessità dei
provvedimenti sottoposti all'attenzione della Giunta, in pratica ogni suo
componente conosce e approfondisce soltanto le deliberazioni inerenti al
proprio carico settoriale.
2 - mancanza di temerarietà dell'opposizione al decreto
ingiuntivo. Per ragioni di scadenza di termini la proposizione dell'opposizione
avvenne prima che fosse deliberata la resistenza al decreto ingiuntivo. Il che
denota l'assoluta buone fede degli amministratori non addetti al settore del
contenzioso.
3 - rigetto dell'opposizione non per motivi di merito, ma
per ragioni di “rito”: intempestività della delibera autorizzatoria.
Gli appellati chiedono, pertanto, il rigetto dell'appello e
la conseguente conferma della sentenza impugnata.
All'udienza dibattimentale, assente la difesa degli
appellati, è intervenuto il Pubblico Ministero che ha insistito nelle
conclusioni dell'atto scritto.
Considerato in
L'impugnata sentenza assolutoria non convince. Osserva,
infatti, il Collegio che la vicenda, dalla quale è scaturita la chiamata in ius
degli attuali appellati, appariva, in buona sostanza, semplice e lineare.
Si trattava, cioè, del mancato tempestivo adeguamento del
canone di locazione di un'immobile, utilizzato dal Comune di Castellammare di
Stabia per oltre un decennio.
Nessun problema di particolare significato impediva di
procedere all'invocato aggiornamento del canone secondo gli indici Istat, tanto
più che detto corrispettivo era già stato adeguato con decorrenza dal 1.7.1981
e dal 1.7.1983. Non si vede, pertanto, il motivo per cui il Comune non solo
ritenne di obliare la legittima richiesta della ditta proprietaria di un
ulteriore adeguamento dal 1° luglio 1989, ma addirittura preferì continuare a
corrispondere - nonostante l'intervenuto decreto ingiuntivo del 16.11.1989 - un
canone di importo inadeguato astenendosi inoltre dal pagare alcuna somma per i
mesi di maggio e giugno 1991.
Era evidente, pertanto, che, allorquando la ditta
proprietaria dell'immobile locato ottenne per la seconda volta il decreto
ingiuntivo per conseguire il pagamento di quanto dovutole, ogni ulteriore
tergiversazione sull'esecuzione puntuale di detto decreto sarebbe apparsa
pretestuosa e defatigarorio, in una parola al limite della temerarietà. Si
cercò, invece, di fronteggiare la situazione, proponendo opposizione al decreto
ingiuntivo con il ben prevedibile risultato di procurare un danno alle finanze
comunali per gli inevitabili oneri riflessi delle spese legali, degli interessi
e dalla rivalutazione.
Illuminante e decisivo è, al riguardo il parere espresso in
data 19.2.1991 dall'avv. Roberto Gava, legale del Comune, secondo cui non
poteva dubitarsi che, sulla base del giudicato contenuto nel primo decreto
ingiuntivo del novembre 1989 “il canone trimestrale di locazione
dell'immobile fosse di lire 43.458.834,” con la conseguenza che risultavano
“dovute tutte le differenze tra detto canone e gli importi versati dal
Comune” Si specificava inoltre nel suddetto parere che erano dovuti gli interessi
per ritardato pagamento; di tale parere, del quale erano a conoscenza i
competenti uffici del Contenzioso, della Ragioneria, dei contratti e del
patrimonio, non si tenne, invece, inspiegabilmente alcun conto.
A fronte del quadro sudelineato, la decisone di proporre
opposizione, anziché far luogo al tempestivo pagamento delle somme ingiunte,
appare - senza ombra di ragionevole dubbio - del tutto sconsiderata ed
evidenzia negli amministratori un comportamento superficiale, sbrigativo e
dimentico della salvaguardia degli interessi finanziari del Comune.
Nessuna giustificazione può essere addotta invocando una
carenza di cassa o il parere espresso in data 13.2.1992 dal dr. Umberto
Gallotti, Segretario generale: non la prima circostanza, poiché non risulta
che la sig.ra Raffaella Mascolo, capo dell'Ufficio di Ragioneria avesse mai
avanzato riserve sulla possibilità di fronteggiare la spesa conseguente al
decreto ingiuntivo; né la seconda circostanza, atteso che tale parere -
ammesso che esso sia attribuibile al dr. Gallotti - era favorevole alla
delibera di proposizione dell'opposizione solo sul piano della “regolarità
tecnica” e, quindi, si risolveva, in buona sostanza, in un “non parere”
ossia nell'astensione dall'obbligo di fornire il parere sancito dall'art. 53
della legge 142/90.
Giova osservare a tale riguardo - come correttamente ha
rilevato la Procura Generale appellante- che il richiamato “parere
dell'Ufficio legale era del tutto anomalo e non evidenziava alcun elemento di
contestazione, neppure parziale, delle pretese azionate dai Tropeano”,
sicché tale parere non induceva, a lume di ragione, ad alcun affidamento.
L'inaffidabilità del parere dell'Ufficio legale diveniva
solare ove si fosse considerato che nel ricorso per decreto ingiuntivo erano
circostanziatamente esposte le ragioni dei crediti azionati, anche con richiamo
al precedente procedimento monitorio; sicché sarebbe stato doveroso che la
Giunta avesse avviato, prima di decidere, una rapida indagine presso tutti i
competenti uffici amministrativi per acquisire approfonditi elementi, specie
alla luce del menzionato parere dell'avv. Gava.
Non ritiene il Collegio che le difese svolte dagli
appellati, D'Apice, Pappalardo e Sollo, abbiano apportato elementi sufficienti
a dissentire dai motivi d'appello e a confermare la sentenza assolutoria. Gli
argomenti prospettati dagli appellati si possono condensare nei termini di cui
appresso:
1- mancanza della gravità della colpa, in quanto gli appellati, quali
assessori preposti a rami diversi dal contenzioso, non potevano conoscere i
fatti dedotti in causa;
2- assenza del carattere di temerarietà dell'opposizione a
decreto ingiuntivo, atteso che l'opposizione era stata già proposta quando
venne adottata la relativa delibera;
3- rigetto dell'opposizione per mancata tempestiva
esibizione della delibera di resistenza in giudizio; sicché giammai si potrebbe
addossare ai componenti della giunta la responsabilità dei danni cagionati
all'ente dal mancato accoglimento dell'opposizione.
Con riferimento agli argomenti suddlineati è sufficiente -
per affermarne l'inconferenza - osservare quanto segue.
Sub.1- la valutazione della problematica di resistere o meno
in giudizio appartiene alla giunta nel suo complesso e non è dato fare
distinzione in base all'assessorato ricoperto (cfr. sul punto la giurisprudenza
della Sez. VI Cassazione pen.-sent. n. 8194 del 1999- richiamata dal
Requirente).
La diligenza del buon “pater familiae” avrebbe consigliato
di procedere, invece, a doverose preventive indagini conoscitive, peraltro di
facile e pronto espletamento, presso gli uffici competenti;
sub.2- il fatto che l'opposizione abbia preceduto la
relativa delibera non esimeva la giunta dal decidere “cognita causa”;
Sub.3- il fatto che il giudizio di opposizione si sia concluso
“in rito” e non “nel merito” non autorizza ad escludere la temerarietà della
lite, la quale è, invece, resa
manifesta dalla palese inesistenza di elementi che giustificassero la
resistenza alle ragioni della ditta proprietaria.
Le riflessioni soprasvolte inducono il Collegio nel
convincimento che l'appello della Procura Regionale sia fondato e che, quindi,
consenta una rilettura critica della vicenda processuale de qua.
Gli attuali appellati vanno, pertanto, riconosciuti
responsabili per colpa grave del danno causato all'erario comunale dal loro
comportamento nella vicenda. Tuttavia, nella considerazione che alla causazione
del danno hanno verosimilmente concorso anche altri soggetti della compagine
burocratica comunale, il Collegio ritiene che il danno in concreto addebitabile
agli attuali appellati possa essere determinato in £50.000.000, pari ad euro
25.822,00 ripartito tra gli stessi in parti uguali e senza vincolo di
solidarietà.
Le spese seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte dei Conti, Sez. II giurisdizionale centrale, ogni
contraria istanza eccezione e difesa reietta, accoglie parzialmente l'appello
proposto dalla Procura Regionale della Campania avverso la sentenza n.35/2002
dell'8.11.2001/5.4.2002 e, per
l'effetto, in parziale riforma della sentenza predetta, condanna i sigg. De
Stefano Bruno, D'Apice Giuseppe. Iovino Gennaro, Pappalardo Luigi, Mormone
Vittorio e Sollo Carmine al pagamento, in favore del Comune di Castellammare di
Stabia, della somma di £50.000.000, pari ad euro 25.822/00
(venticinquemilaottocentoventidue,00), ripartita tra gli stessi in parti
eguali, senza vincolo di solidarietà e senza rivalutazione monetaria.
Sulle quote di danno gravanti su ciascuno di essi dovranno
essere corrisposti gli interessi legali decorrenti dalla data di pubblicazione
della presente sentenza.
I sunnominati soccombenti sono condannati, altresì, al
pagamento delle spese processuali per entrambi i gradi del giudizio, che sino
al deposito di questa sentenza vengono complessivamente liquidate in euro
1.625,52_____________
(milleseicentoventicinque/52).
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 25
gennaio 2005.
L'ESTENSORE IL
PRESIDENTE
F.to Camillo Longoni F.to
Tommaso de Pascalis
Depositata in Segreteria il
26 MAG. 2005
Il Direttore della
Segreteria
F.to Mario Francioni