REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE SECONDA
GIURISDIZIONALE CENTRALE
composta dai seguenti magistrati:
Dott. |
Camillo |
LONGONI |
Presidente f.f. |
Dott. |
Antonio |
D'AVERSA |
Consigliere |
Dott. |
Giovanni |
PISCITELLI |
Consigliere |
Dott. |
Angelo A |
PARENTE |
Consigliere |
Dott. |
Mario |
PISCHEDDA |
Consigliere rel. |
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sull'appello iscritto al n. 16675 del registro di
segreteria, proposto da Basilio Oreste Quarto, rappresentato e difeso dall'Avv.
Mario Salvi, giusta delega a margine dell'atto d'appello, ed elettivamente
domiciliato in Roma, Lungotevere Flaminio 46 presso lo studio Grez
A V V E R S O
la sentenza n. 69/02 emessa dalla Sezione
giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Campania, depositata in segreteria il 27 giugno 2002 e
notificata ad istanza del Procuratore Regionale in data 18 settembre 2002.
Visti gli atti ed i documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del giorno 12 aprile 2005
il relatore Cons. Mario Pischedda, ed il rappresentante del P.M. nella persona
del VPG dott. Sergio Auriemma, non essendo presente il difensore
dell'appellante.
Ritenuto in
F A T T O
Con atto di citazione depositato il 5 luglio 2001, la
Procura Regionale per la Campania conveniva in giudizio Basilio Oreste Quarto, chiedendone
la condanna al pagamento in favore del Comune di Villa di Briano della somma di
lire 127.483.000, oltre interessi legali dal maggio 1990 e spese di giustizia.
L'azionata responsabilità trova fondamento nei
seguenti fatti:
In data 24 marzo 1994 la Procura della Repubblica
presso il Tribunale di S. Maria Capua Vetere chiedeva il rinvio a giudizio
dell'odierno appellante perché, nella qualità di direttore dei lavori di
rifacimento e sistemazione dei marciapiedi pubblici del rione Vanacore del Comune
di Villa di Briano, redigeva due stati di avanzamento nei quali attestava,
contrariamente al vero:
a) nel primo, in data 26 luglio 1989, che erano stati
messi in opera mc 643,5 di pietrisco calcareo mai forniti;
b) nel secondo, in data 16 maggio 1990, lavori non
effettuati od eseguiti in maniera diversa da quelli contabilizzati.
Una consulenza tecnica, disposta dalla Procura della
Repubblica ed eseguita nel dicembre 1993, ha accertato che erano stati
erroneamente contabilizzati, e quindi pagati all'impresa appaltatrice, maggiori
lavori per lire 127.483.419.
Con sentenza 1069 del 25 ottobre 2000, emessa ai sensi
dell'articolo 444 codice di procedura penale, il Tribunale di S. Maria Capua
Vetere infliggeva al Quarto la pena di anni uno e mesi otto di reclusione.
Nell'atto di citazione il pubblico ministero
evidenziava che alla pretesa azionata non era opponibile la prescrizione,
trovando applicazione nel caso in esame l'articolo 2947, terzo comma, codice
civile e che la condotta del convenuto era da qualificare dolosa in
considerazione delle falsità apportate nella contabilizzazione dei lavori.
Il giudizio veniva discusso all'udienza del 7 febbraio
2002 e con la sentenza impugnata la Sezione regionale ha condannato il Quarto
al pagamento della somma di euro 36.151,99 (corrispondenti a 70 milioni delle
vecchie lire). In particolare il giudice di primo grado ha respinto l'eccezione
di prescrizione, tempestivamente formulata dal convenuto, ha qualificato la
condotta gravemente colposa e non dolosa, a causa della mancanza di adeguati
controlli da parte dell'amministrazione comunale ed, in considerazione di tale
circostanza, ha ridotto l'importo del danno.
Avverso tale sentenza ha proposto appello Basilio
Oreste Quarto per i seguenti motivi:
1) avvenuta
prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativa;
2) mancanza
di prove sugli elementi costitutivi della contestata responsabilità;
3) immotivata
determinazione del danno ed eccessiva imputazione della quota a suo carico.
Con atto notificato all'appellante il 18 febbraio 2003
e depositato il successivo 25 febbraio, il Procuratore Generale ha concluso per
la reiezione del gravame e la conferma della sentenza di primo grado.
All'odierna udienza il PM ha reiterato le conclusioni,
illustrando brevemente i motivi ostativi all'accoglimento del gravame.
Considerato in
D I R I T T O
Constatata la regolarità e tempestività delle
notifiche, si procede all'esame dell'appello.
Con il primo motivo di gravame, l'appellante ripropone
l'eccezione di prescrizione dell'azione amministrativa, già formulata in primo
grado e respinta dal giudice territoriale.
A suo avviso, contrariamente a quanto ritenuto dal
Procuratore Regionale e dal primo giudice, non sarebbe applicabile l'art 2947,
terzo comma, del codice civile perché l'articolo 1, comma 2, della legge 14
gennaio 1994 n. 20 costituisce lex specialis.
Ricordato che il termine di prescrizione è quello
quinquennale stabilito dall'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994 n. 20 e che
in data 9 febbraio 1995 l'amministrazione comunale, dietro espressa richiesta
della Procura contabile, gli aveva notificato una costituzione in mora,
l'appellante ritiene che l'azione sarebbe prescritta perché l'invito a dedurre
gli è stato notificato il 3 luglio 2001 e, pertanto, ben sei anni dopo l'interruzione
dei termini sopra ricordata.
Di contro osserva la Procura Generale che l'articolo 1
della legge 20/94 non esclude l'applicazione dell'articolo 2947, terzo comma,
codice civile; al contrario quest'ultima disposizione integra il suddetto
articolo 1 della legge 20 nei casi in cui il doloso occultamento del danno
presuppone l'esistenza di un reato.
L'eccezione di
prescrizione è fondata e va accolta.
È necessario premettere che, ai sensi dell'art. 1
comma 2 della legge 14 gennaio 1994 n. 20 (come modificata dalla legge 20
dicembre 1996 n. 639), il diritto al risarcimento del danno si prescrive
<<in ogni caso>> in cinque anni, decorrenti dalla data in
cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso
del danno, dalla data della sua scoperta.
La locuzione <<in ogni caso>>,
espressamente introdotta dalla legge 639/96, nel suo significato letterale è
equivalente all'avverbio sempre, ed esclude che nella materia possano trovare
ingresso disposizioni intese a introdurre termini estintivi diversi da quello
quinquennale (in terminis sezione terza 14 febbraio 2005 n. 76 e
giurisprudenza ivi citata).
Del resto anche prima della legge 20/94 la
giurisprudenza era consolidata nel non ritenere applicabile l'articolo 2947,
terzo comma, del codice civile all'azione di responsabilità amministrativa,
argomentando dalla natura contrattuale della stessa (ex multis sezioni riunite 7 aprile 1993 n. 875/A) e
tale indirizzo risulta ancora seguito (sezione Puglia 28 gennaio 2005 n. 74,
sezione Abruzzo 4 gennaio 2005 n. 6, sezione Campania 19 luglio 2004 n. 1314 e
2 luglio 2003 n. 891).
La conclusione negativa è suffragata anche dalla
consolidata giurisprudenza che, nelle ipotesi in cui l'esistenza del danno trae origine dall'illecito penale, individua
l'exordium praescriptionis nel rinvio a giudizio, ritenuto
momento nel quale l'amministrazione ha piena conoscenza del fatto illecito
commesso in danno del proprio patrimonio. Tra le numerose sentenze dei giudici
di secondo grado si citano sezione prima 18 marzo 2003 n. 103, 2 ottobre 2002
n. 336, 3 aprile 2002 n. 102, 25 marzo 2002 n. 96; sezione seconda 2 febbraio
2004 n. 29, 7 giugno 2004 n. 184, 7 novembre 2002 n. 338 (peraltro relativa ad
analoga fattispecie); sezione terza 16 gennaio 2002 n. 10; sezione appello
Sicilia 22 aprile 2004 n. 66, 20 settembre 2002 n. 151 in settimana giuridica fasc 42/2002 pag 473), non senza
ricordare che il principio risulta seguito da tutte le sezioni di primo grado (ex
multis sezione Lazio 5 settembre 2002 n. 2464, sezione Veneto 7 gennaio
2003 n. 16, sezione Piemonte 13 novembre 2003 n. 1857).
Non appare neanche condivisibile la tesi sostenuta
nell'impugnata sentenza secondo cui l'articolo 7 della legge 27 marzo 2001 n.
97 prevede la possibilità che <<l'azione di responsabilità
amministrativa possa promuoversi sia prima della sentenza di condanna che dopo
l'irrevocabilità della sentenza medesima>>.
Sul punto il Collegio condivide le argomentazioni
dell'appellante, che definisce tale affermazione <<un'aporia logica
oltre che giuridica>>, trattandosi di affermazioni tra di loro
alternative ed inconciliabili. Ed infatti, o si ritiene che i termini per
l'esercizio dell'azione di responsabilità, decorrono dall'irrevocabilità della
sentenza penale ex articolo 2947, comma 3 codice civile, ma allora essa non
sarebbe esercitabile prima di tale circostanza, o al contrario si ritiene che
l'azione è esercitabile anche prima
della sentenza penale irrevocabile, con la conseguenza che i termini di
prescrizione sono in corso indipendentemente dalla sentenza.
Ma a prescindere da tali argomentazioni, decisiva
appare la considerazione che l'articolo 7 della legge 97/2001, il quale
testualmente dispone che <<la sentenza irrevocabile di condanna
pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'articolo 3 per i delitti
contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro
secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale
della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l'eventuale
procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato>>,
fa espressamente salvo <<quanto disposto dall'articolo 129 delle norme
di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale,
approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271>>.
Il collegamento con quest'ultima disposizione, il cui
terzo comma dispone che <<quando esercita l'azione penale per un reato
che ha cagionato un danno per l'erario, il pubblico ministero informa il
procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia della imputazione>>,
comporta che, coerentemente all'intero impianto di tutta la legge 97/2001, il
termine di trenta giorni ha natura e funzione sollecitatoria dell'attività del
PM contabile, in applicazione del principio costituzionale della ragionevole
durata del processo.
Non ignora il Collegio che questa stessa sezione ha
sostenuto anche di recente la tesi opposta (oltre alla pronunzia 134/2000
richiamata nel giudizio di primo grado si vedano per ultimo le sentenze 215 del
1/7/2004 e 24 marzo 2005 n. 108) ma, in disparte la considerazione che si
tratta di obiter dicta, atteso che in tutti i casi l'amministrazione
aveva interrotto i termini costituendosi parte civile nel processo penale, le
argomentazioni a sostegno di tale tesi non appaiono convincenti, limitandosi ad
illustrare possibili inconvenienti, peraltro legati al sistema della duplicità
di azioni.
Chiarita la non applicabilità dell'articolo 2947,
terzo comma, codice civile, osserva il collegio che il dies a quo per il
computo della prescrizione decorre, come più volte affermato dalla
giurisprudenza, da quando l'amministrazione danneggiata può in concreto far
valere il proprio credito, in coerenza con il principio fondamentale stabilito
dall'art. 2935 c.c.
Nella vicenda in esame, si desume dagli atti che
l'amministrazione comunale e la Procura regionale erano a conoscenza del danno
sin dal 9 febbraio 1995, data in cui fu notificato all'appellante un atto di costituzione
in mora. Essendo trascorsi più di cinque anni da tale data senza ulteriori atti
interattivi, la prescrizione dell'azione era già maturata al momento della
notificazione dell'invito a dedurre, avvenuto il 3 luglio 2001.
Atteso il diverso orientamento giurisprudenziale sin
qui seguito sussistono giusti motivi per compensare le spese.
P Q M
La Corte dei Conti, Sezione Seconda giurisdizionale
centrale, definitivamente pronunciando, ogni contraria ragione ed istanza
reiette
ACCOGLIE
l'appello proposto da Basilio Oreste Quarto
avverso la sentenza n. 69/02 emessa dalla Sezione giurisdizionale della Corte
dei conti per la Regione Campania,
dichiara prescritta l'azione di responsabilità e, per l'effetto, annulla l'impugnata
sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 12
aprile 2005.
Il Relatore Il Presidente
F.to Mario Pischedda F.to
Camillo Longoni
Depositata in Segreteria il 13 GIU. 2005
Il Direttore della Segreteria
F.to Mario Francioni