REPUBBLICA ITALIANA  sent. 209/2005

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE TERZA GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO

composta dai signori magistrati :

Dott. Gaetano PELLEGRINO

Presidente

Dott. Silvio AULISI

Consigliere

Dott. Angelo DE MARCO

Consigliere

Dott. Luciano CALAMARO

Consigliere

Dott. Amedeo ROZERA

Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi in appello iscritti ai nn. 21264 e 21542 del registro di segreteria proposti rispettivamente da DE VITO Rodorigo e da RUBEO Vincenzo avverso la sentenza n. 310 del 5 aprile 2004 pronunciata dalla Sezione giurisdizionale per la regione Abruzzo e con l'intervento volontario di CIRIGLIANO Angela vedova di RUBEO Vincenzo e dei figli RUBEO Domenico, Stefania, Rosella e Francesco;

Visto l'atto d'appello;

Esaminati tutti gli altri documenti di causa;

Uditi, alla pubblica udienza del giorno 23 marzo 2005, con l'assistenza del Segretario dott.ssa Anna Maria Guidi, il relatore Consigliere dott. Amedeo Rozera, gli avv.ti Giancarlo Paris, Cesidio Gualtieri e Giovanni Marcangeli per gli appellanti ed il P.M. in persona del Vice Procuratore dott. Pasquale di Domenico;

Ritenuto in

FATTO

Con l'impugnata sentenza (depositata il 5 aprile 2004 e notificata il 22 aprile 2004 presso la studio dell'Avv. Gualtieri, difensore e domiciliatario del De Vito e di altri tre convenuti e solo domiciliatario del Rubeo) la sezione giurisdizionale per l'Abruzzo, previa assoluzione degli altri convenuti in giudizio, ha condannato i sigg.ri DE VITO Rodorigo e RUBEO Vincenzo al pagamento in favore dell'ASL di Avezzano delle somme, rispettivamente, di €. 17373,17 e di €. 6262,43, oltre interessi legali e spese di giudizio, per avere gli stessi, nella qualità, il primo, di Presidente del comitato di gestione della USL di Avezzano, ed il secondo, di coordinatore amministrativo della medesima, causato danno erariale conseguente alla omessa presentazione della compagnia di assicurazione della denuncia di un sinistro occorso al sig. Battaglia Luigi per le errate cure prestategli dalla predetta struttura sanitaria e per le quali era stata stipulata apposita assicurazione. In particolare, il Tribunale di Avezzano, affermata l'esistenza di colpevoli omissioni dei sanitari che si erano avvicendati nella cura del Battaglia, con sentenza n. 219/94 aveva condannato la Usl al risarcimento di £. 320.370.370 (più accessori) per le errate cure nel periodo 27/5 - 1/6 del 1989. L'appello dell'USL non è giunto a decisione per intercorsa transazione (approvata con del. n. 433 del 1998) con i familiari del Battaglia, nel frattempo deceduto, per un importo complessivo di £. 450.000.000.

 L'assicurazione della USL, rilevata la tardività della denuncia del sinistro, ha dapprima negato il rimborso di tale pagamento e poi ha concesso alla USL medesima soltanto la metà di questo importo: l'altra metà rappresenta il presunto danno erariale per il quale il Procuratore regionale ha promosso l'azione di risarcimento.

Il De Vito, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giancarlo Paris e Cesidio Gualtieri, ha proposto appello avverso la sentenza in questione con atto notificato il 10 settembre 2004, eccependo: a) l'erronea valutazione della posizione e delle attribuzioni del Presidente del Comitato di gestione con conseguente contraddittorietà della decisione; b) l'erronea individuazione del momento consumativo del preteso comportamento colposo del Presidente del comitato di gestione con conseguente mancato riconoscimento dell'intervenuta prescrizione; l'appello, conclude, quindi, in via principale, per l'assoluzione del de Vito e, in subordine, per la limitazione del danno in ragione del grado di responsabilità dello stesso e del quantum ascrivibile in ragione dell'esborso determinato dalla transazione, con l'esercizio, nella misura più ampia, del potere riduttivo.

Il Rubeo, rappresentato e difeso dall'Avv. Giovanni Marcangeli, ha proposto appello con atto notificato il 29 settembre 2004, per i seguenti motivi: a) prescrizione dell'azione ed omessa prova del rapporto di causalità: il dies a quo avrebbe dovuto essere individuato, ex art. 2952 c.c., nel 1 luglio 1991, momento di scadenza di un anno dalla richiesta avanzata dal Battaglia per la prima volta con l'atto di citazione del 2 luglio 1990; va esclusa l'efficacia interruttiva degli atti di invito a dedurre che, nella specie, non contengono comunque i caratteri di un'intimazione a risarcire; in ogni caso non è dimostrata l'idoneità e la sufficienza della causa preesistente a provocare di per sé il danno; b) omessa e insufficiente motivazione in punto di responsabilità e totale infondatezza dell'addebito; l'appello conclude pertanto in via principale per l'assoluzione del Rubeo e, in subordine, per l'esercizio del potere riduttivo dell'addebito.

Il Procuratore generale ha depositato in data 31 gennaio 2005 le proprie conclusioni con le quali dopo aver preliminarmente rilevato che gli appelli, da riunirsi ex art. 335 c.p.c., sono inammissibili in quanto notificati oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della sentenza impugnata avvenuta il 22 aprile 2004 presso l'Avv, Gualtieri, domiciliatario in primo grado degli attuali ricorrenti, osserva nel merito: a) appare corretta la distinzione operata dal primo giudice tra la posizione dei singoli membri del comitato di gestione, con particolare riferimento a quella del Presidente che svolgeva funzioni amministrative di vertice e di responsabile dell'ordine dei lavori del comitato e dell'esecuzione dei suoi deliberati; b) il fatto causativo del danno non è la transazione - la quale rappresenta solo il momento culminante della fattispecie di danno - ma la mancata tempestiva attivazione della copertura assicurativa da parte dell'Amministrazione dell'USL rappresentata all'epoca dagli odierni appellanti che avevano specifici obblighi di amministrazione attiva; c) la riproposta eccezione di prescrizione da parte del Rubeo è infondata attesa l'idoneità degli inviti a dedurre ad interrompere il relativo termine; d) è irrilevante il richiamo operato all' esistenza di un apposito ufficio per la gestione dei rapporti con le compagnie assicurative, in quanto il Rubeo nell'esercizio delle sue funzioni di coordinamento amministrativo avrebbe dovuto indicare ad essi la necessità di ottemperare alle condizioni della polizza assicurativa; il Procuratore generale conclude, quindi, per l'inammissibilità degli appelli e, comunque, per il loro rigetto nel merito.

Con comparsa di costituzione volontaria depositata, a mezzo dell'Avv. Giovanni Marcangeli, il 1 marzo 2005, la sig.ra Cirigliano Angela, ved. Rubeo Vincenzo ed i sigg.ri Domenico, Stefania, Rosella e Francesco, figli del medesimo, sono intervenuti nel giudizio chiedendo, in via principale, la restituzione della somma versata dal loro dante causa nelle more del giudizio ovvero che venga dichiarata cessata la materia del contendere con statuizione in ordine all'inefficacia del provvedimento di primo grado ed alle restituzioni di quanto eseguito e, in subordine, chiedendo il rigetto dell'eccezione d'inammissibilità dell'appello e l'accoglimento di tutti i motivi già articolati nell'atto di gravame; per riguarda la suddetta eccezione, chiedono che la controparte produca copia autentica della sentenza corredata di valida e rituale notificazione, ribadendo che in caso di notificazione presso un procuratore costituito e domiciliatario di più parti, la notifica dev'essere eseguita in tante copie quante sono le parti.

Con memoria depositata il 25 febbraio 2005 il De Vito, coma sopra rappresentato, ha respinto l'eccezione d'inammissibilità degli appelli formulata dal P.G. atteso che la notifica della sentenza a procuratore costituito per più parti avrebbe dovuto essere effettuata in tante copie corrispondenti al numero delle parti, per cui, essendo stata effettuata, nella specie, mediante consegna di due sole copie senza indicazione di parti sostanziali, si verte in ipotesi di notifica inesistente, in quanto tale inidonea a far decorrere il termine breve per la proposizione dell'appello; nel merito, respinge, svolgendo ulteriori argomentazioni, le conclusioni rese dal procuratore generale ed insiste, quindi, per l'accoglimento dell'appello.

All'odierna pubblica udienza gli avv.ti Gualtieri, Paris e Marcangeli hanno concluso ribadendo, con ulteriori argomentazioni, il contenuto degli atti scritti, mentre il P.M. ha chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere nei confronti degli eredi Rubeo e la conferma nei confronti del De Vito delle richieste già formulate nelle conclusioni scritte.

            Considerato in

DIRITTO

            Gli appelli, in quanto proposti avverso la stessa sentenza, debbono essere riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.-

            L'eccezione d'inammissibilità degli stessi proposta dal Procuratore Generale è infondata e deve essere respinta.

            Secondo il requirente, poiché gli atti di gravame sono stati notificati nel settembre 2004 a fronte della notifica della sentenza impugnata effettuata il 22 aprile 2004 presso la studio dell'Avv. Gualtieri, risulterebbe inosservato il termine di sessanta giorni previsto dalla vigente normativa per la proposizione degli appelli.

            Osserva in contrario il Collegio che l'Avv. Gualtieri era difensore e domiciliatario del de Vito e di altri tre convenuti (assolti in primo grado) e solo domiciliatario del Rubeo, di talchè la notificazione della sentenza presso il suo studio, attesa la forma in cui è avvenuta (due sole copie senza indicazioni di parti), era inidonea a far decorrere il termine breve per le impugnazioni proposte, le quali, quindi, ben avrebbero potuto essere proposte (come in effetti è avvenuto) nel termine annuale decorrente dal deposito della sentenza (avvenuto il 5 aprile 2004).

            Ciò alla luce della normativa di settore rinvenibile negli artt. 170 e 285 c.p.c., applicabili nel giudizio innanzi alla Corte dei conti in virtù del rinvio ex art. 26 del R. D. 1038 del 1933 ( regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti): in particolare, ai sensi dell'art. 285 cit. e per effetto del richiamo, in esso contenuto, dell'art. 170, primo e terzo comma (e non anche del secondo, per il quale è sufficiente la consegna di una sola copia dell'atto anche se il procuratore sia costituito per più parti), la notificazione della sentenza al procuratore che abbia rappresentato più parti nel giudizio in cui il provvedimento è stato emesso, dev'essere eseguito mediante la consegna di tante copie quante sono le persone rappresentate; ne consegue che, in ipotesi di notifica mediante consegna di una sola copia, essa essendo giuridicamente inesistente non produce l'effetto di dare inizio alla decorrenza del termine breve per le impugnazioni (Cass. civ. Sez. II^, 6 novembre 1986 n. 6491 e 27 luglio 1984 n. 4458).

            Il P.G. per sostenere, nella specie, l'inammissibilità degli appelli per inosservanza del termine breve, ha eccepito, in sede di conclusioni orali, la circostanza che la sentenza è stata notificata in due copie, corrispondenti al numero dei convenuti condannati in primo grado e, di conseguenza, portatori dell'interesse ad appellare. Osserva peraltro il Collegio, che tale prospettazione avrebbe potuto essere seguita, con conseguente accoglimento dell'eccezione d'inammissibilità, solo ove le due copie avessero indicato i destinatari della notificazione, laddove, al contrario, non contengono, come già ricordato, alcun riferimento a parti del processo, il che comporta, sul piano processuale, i medesimi effetti preclusivi, ai fini della decorrenza del termine breve, della consegna di una sola copia.

            Né è ipotizzabile, nel giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti, una sorta di regime in punto di notificazione derogatorio rispetto a quello delineato dalla ricordata normativa posta dal codice di rito, stante il fatto che il rinvio (dinamico) ex art. 26 cit. opera principalmente proprio per gli istituti processuali cui la disciplina processuale della responsabilità fa solo un generico e non compiuto riferimento.

            Affermata l'ammissibilità degli appelli, deve ora essere esaminata la posizione processuale degli eredi Rubeo, intervenuti nel processo d'appello dopo il decesso del loro dante causa: sul punto, il Collegio non può che affermarne il difetto di legittimazione passiva, in virtù del principio (art. 1, comma I°, l.14 gennaio 1994 n. 20) della natura personale della responsabilità amministrativa, il quale consente la trasmissione del debito del de cuius solo nel caso di illecito arricchimento del medesimo e di correlativo arricchimento degli aventi causa (il che, nella specie, non è): ne consegue, pertanto, l'estromissione dal giudizio dei suddetti eredi Rubeo, con conseguente preclusione di qualsiasi esame di merito in ordine al loro atto di intervento. Resta fermo, peraltro, che la richiesta degli stessi volta ad ottenere la restituzione della somma versata dal loro dante causa all'ASL  in esecuzione della sentenza di primo grado, implica un rapporto tra parti diverse sottratto alla cognizione di questo giudice.

            Ciò posto, l'esame del merito del presente giudizio d'appello resta circoscritto alla sola posizione del De Vito.

            Una valutazione globale dei fatti di causa, quali emergono dagli atti processuali, induce il Collegio a ritenere infondata l'azione intrapresa nei confronti del De Vito, non risultando provato che l'elemento psicologico della colpa abbia raggiunto inequivocabilmente la soglia di rilevanza della colpa grave. Sul punto è opportuno ricordare, sul piano generale, che la preclusione dell'azione di responsabilità in difetto di colpa grave va intesa nel senso che negligenze,disattenzioni, scarsa prevedibilità di eventi di per sé non sono idonei far sorgere la responsabilità: l'elemento soggettivo in questione deve consistere nel poter rimproverare, con un giudizio a posteriori, di aver tenuto un comportamento che, nel momento in cui l'azione è stata posta in essere e nelle condizioni in cui il soggetto agente ha potuto operare, doveva e poteva essere diverso in aderenza agli obblighi di servizio, quali individuati in relazione alla posizione dell'agente stesso ed in relazione ai livelli di cautela suggeriti dalle concrete circostanze in cui si è verificato l'evento dannoso( in tal senso, Sez,III 22 marzo 1999 n. 52).

            Orbene, il primo giudice sembra aver affermato la responsabilità del De Vito sulla base di un mero riferimento alla posizione apicale dal medesimo rivestita ed alle elevate funzioni amministrative svolte, prescindendo da qualsiasi valutazione in concreto di precisi comportamenti causativi del danno, non apparendo assolutamente sufficiente a tal fine il generico richiamo al fatto di aver “tralasciato di esercitare il proprio ruolo di vertice…in una vicenda di non poco momento”. Tale affermazione, in realtà, equivale ad un pregiudiziale riconoscimento di responsabilità connesso esclusivamente alla natura della posizione rivestita che è assolutamente da respingere, in quanto ha indotto il giudice di primo grado ad emettere la pronuncia di condanna senza l'accertamento dell'asserita violazione degli obblighi di servizio del convenuto per culpa in omittendo (in relazione ad un presunto obbligo di denunzia del sinistro alla compagnia assicuratrice).

            Sul punto, il Collegio aderisce alla prospettazione dell'appellante che, a confutazione delle conclusioni del Procuratore Generale, ne evidenzia una contraddizione di fondo consistente nel fatto che, mentre da un lato vengono ribadite le funzioni amministrative di vertice del Presidente del Comitato di gestione, dall'altro viene sostenuta, pur in presenza di una struttura amministrativa ad hoc, l'obbligo per il medesimo di attivare la copertura assicurativa: ed infatti, l'omessa denunzia si atteggia come atto privo di contenuto provvedimentale e, quindi, meramente esecutivo e, in quanto tale, sottratto alle competenze del Presidente del Comitato di gestione. Inoltre, le conclusioni stesse appaiono, sul punto, ulteriormente generiche e contraddittorie, in quanto riferite prima a “specifici obblighi di amministrazione attiva” (non meglio individuati) gravanti sugli “attuali appellanti”, poi alla responsabilità del solo Rubeo quale coordinatore amministrativo: il che costituisce sintomo quanto meno di dubbi e perplessità anche da parte dello stesso requirente in ordine ai soggetti concretamente tenuti alla denunzia del sinistro alla compagnia assicuratrice.

            Né è sostenibile, a giudizio del Collegio, una violazione del generale obbligo di vigilanza che incombe sui vertici delle Pubbliche Amministrazioni quali titolari del potere di supremazia, in quanto, se è vero che gli stessi hanno il dovere di intervenire per eliminare con gli opportuni provvedimenti eventuali disfunzioni e per riportare il funzionamento dell'amministrazione nei canoni di legittimità, efficienza e buon andamento, è pur vero che non si può esigere da un organo di vertice di verificare puntualmente e pedissequamente ogni comportamento posto in essere dai singoli operatori.

In altri termini, la responsabilità degli organi di vertice non può discendere ex se dall'esistenza di una posizione funzionale di supremazia e decisione, ma deve scaturire da uno specifico e provato comportamento causativo di danno: insomma, ai soggetti posti al vertice di una struttura amministrativa non possono essere contestate irregolarità o mancanza nella puntuale trattazione dei singoli affari, quanto piuttosto carenze e deficienze nel modulo organizzativo.

            Orbene, è alla luce di tali principi che la motivazione resa dal primo giudice rileva la propria intrinseca debolezza essendo mancata proprio la dimostrazione dell'effettiva sussistenza nei confronti del De Vito dell'elemento soggettivo costitutivo della responsabilità che, affermato in astratto, non é stato corroborato in concreto dalla allegazione di convincenti elementi di prova: siffatte manchevolezze sono state invece lucidamente evidenziate dall'appellante con il proprio atto di gravame articolato su ben precisi motivi di censura che il Collegio non può che condividere e che attengono, in particolare, ai seguenti profili: a) immotivata distinzione nell'ambito del Comitato di gestione fra la posizione del Presidente e quella degli altri componenti cui è conseguita la condanna solo del primo, non per comprovato comportamento difforme rispetto a quello degli altri, ma sulla base, coma già ricordato, della specifica posizione di vertice rivestita; b) esistenza, presso la struttura, di un apposito ufficio deputato alla gestione dei rapporti con le compagnie assicuratrici, il che escludeva qualsiasi obbligo di denunzia a carico del Comitato di gestione e del Presidente, ed a maggior ragione, per quanto riguarda in particolare quest'ultimo, escludeva alcun obbligo di informare il detto ufficio del sinistro, trattandosi, come detto, di mere attività amministrative prive di valore provvedimentale, per la cui omissione avrebbe potuto rispondere, al più, il coordinatore amministrativo, una volta stabilito che l'obbligo di attivare la copertura assicurativa spettava alla struttura amministrativa; c) puntuale attivazione da parte del Presidente dell'incarico di resistere in giudizio mediante rilascio di apposita procura al legale fiduciario dell'Amministrazione: il che dimostra come il Presidente abbia tempestivamente esercitato, in relazione all'evento verificatosi, i propri poteri connessi alle funzioni di vertice di cui era investito e fra le quali non poteva certo rientrare, come ripetutamente precisato, una mera attività amministrativa.

            La condivisibile puntualità delle censure svolte dall'appellante evidenzia maggiormente come dagli atti di causa, in definitiva, emerga la mancanza di dati oggettivi ed incontestabili cui ancorare la condanna del De Vito, a fronte di un contesto di dubbi, perplessità e contraddizioni assolutamente insufficienti a giustificare l'impianto accusatorio nei suoi confronti, apoditticamente fondato sulla posizione di vertice rivestita: d'altra parte, lo stesso Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, si è limitato ad una sostanziale e generica conferma delle argomentazioni svolte dal primo giudice, ivi compresi gli indubbi profili di contraddittorietà già evidenziati in precedenza.

            L'atto d'appello proposto dal De Vito va quindi accolto con conseguente assoluzione del ricorrente dalla domanda attrice.

            La pronuncia resa assorbe gli altri motivi di gravame, ivi compresa l'eccezione di prescrizione.

            Sussistono giuste ragioni per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M

La Corte dei conti - Sezione Terza Centrale d'Appello, definitivamente pronunciando, previa riunione degli appelli ex art. 335 c.p.c.: a) respinge l'eccezione d'inammissibilità degli stessi proposta dal P.G.; b) estromette dal giudizio i sigg.ri Cirigliano Angela ed i sigg.ri Domenico, Stefania, Rosella e Francesco Rubeo; c) accoglie l'appello proposto da DE VITO Rodorigo avverso la sentenza in epigrafe e, per l'effetto, lo assolve dalla domanda attrice.

Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 23 marzo 2005.

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

f.to Amedeo Rozera

       f.to Gaetano Pellegrino

Depositata nella segreteria della Sezione il giorno 14 aprile 2005

IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA

IL DIRIGENTE

f.to Antonio Di Virgilio