Repubblica Italiana sent.623/2005
In nome del popolo
italiano
La Corte dei conti,
sezione terza centrale d'appello, composta da:
dott. Gaetano Pellegrino presidente
dott. Silvio Aulisi consigliere
dott. De Marco Angelo consigliere
dott. Rotolo Enzo consigliere
dott. Eugenio Francesco
Schlitzer consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
Sentenza
sul ricorso in appello del
Procuratore Generale, iscritto al n. 19342 del registro di segreteria, avverso
la sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione
Piemonte, n. 1704/03 del 12 febbraio 2003, depositata in segreteria il 24
settembre 2003, contro il dott. Franco Russo, rappresentato e difeso, anche
disgiuntamente, dagli avv. Claudio Massa e Costanza Acciai, presso lo studio di
quest'ultima in Roma, via F. Corridoni, n. 7 domiciliato, come da delega a
margine, dell'atto, depositato in data 10 maggio 2004, con cui si costituisce;
Vista la sentenza
impugnata, resa tra le parti del presente giudizio;
Visto l'atto di appello,
ritualmente notificato e tempestivamente depositato, unitamente alla sentenza
impugnata;
Uditi, alla pubblica
udienza del 26 maggio 2004, il relatore cons. Eugenio Francesco Schlitzer, il
P.M. nella persona del vice procuratore generale appellante Paolo Rebecchi e
l'avvocato Costanza Acciai per il prof. Franco Russo, appellato.
Ritenuto in
Fatto
Con nota prot. n.
2347/P/E25 in data 23 aprile 2002, il Ministero dell'Istruzione, Direzione
Generale Regionale per il Piemonte, segnalava alla procura regionale per il
Piemonte un'ipotesi di responsabilità per danno all'Erario, conseguente a
sentenza civile di condanna di detta amministrazione al risarcimento di danni
ad insegnati dalla essa dipendenti.
La sentenza n. 6/02 in
data 14/01/2002 emessa dal giudice istruttore del Tribunale di Cuneo in
funzione di giudice del lavoro traeva infatti origine dalla richiesta azionata,
in data 18/08/2000 contro il Ministero dell'Istruzione, quale datore di lavoro ed
obbligato a proteggere l'integrità psico-fisica dei propri dipendenti, dai
professori Belliardo Annarita, Bono Ferruccio e Nurisio Angela in servizio
presso l'Istituto Comprensivo di Caraglio. Essi lamentavano di avere subito, da
parte del preside dello stesso, il prof. Franco Russo, durante l'anno
scolastico 1999/2000, soprusi, violenze morali e condotte moleste di tale
gravità da provocare in loro un notevole stato depressivo e d'ansia tanto da
indurli a ricorrere a cure mediche ed all'assunzione di farmaci ansiolitici ed
antidepressivi e chiedevano, pertanto, il risarcimento di tutti i danni subiti.
Il Giudice, con la già
citata sentenza in data 14 gennaio 2002, riteneva il ricorso fondato e
ravvisava nel comportamento del preside fonte di responsabilità per
l'Amministrazione scolastica, sia sotto il profilo dell'art. 2087 c.c., essendo
il datore di lavoro contrattualmente tenuto ad adottare le misure necessarie a
tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei propri dipendenti sul
posto di lavoro, sia sotto il profilo degli artt. 2043 e 2049 c.c., essendo
l'Amministrazione responsabile per i danni arrecati dal fatto illecito dei
propri dipendenti nell'esercizio delle incombenze cui sono adibiti. Il
Ministero veniva pertanto condannato al pagamento, in favore di ciascuno dei
ricorrenti, della somma di € 5.000,00 a titolo di risarcimento del danno sotto
i seguenti profili:
- per il danno biologico
subito dai ricorrenti, quantificato tra il 15% e il 18%;
- per il danno morale, in
relazione ai fatti integranti astrattamente i reati di ingiuria e diffamazione;
- per le maggiori spese di
viaggio e per i disagi conseguenti al trasferimento in istituto più lontano dal
luogo di residenza, richiesto dagli insegnanti a seguito dei fatti oggetto del
ricorso.
L'amministrazione
scolastica, sulla scorta del parere in
data 19.3.2002 dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, non appellava la
predetta sentenza, in quanto “ … dalle risultanze processuali e
dall'accertamento dei fatti in corso di giudizio, non si sono rinvenuti
elementi sufficienti per contrastare le pretese espresse dai ricorrenti e per
giustificare il comportamento tenuto dal prof. Russo”.
Ritenendo che dai fatti
sopra descritti fosse derivato un danno alla finanza pubblica di € 15.000,00,
pari alla somma che complessivamente l'Amministrazione scolastica ha dovuto
versare a titolo di risarcimento ai tre insegnanti (€ 5.000,00 ciascuno) la
procura piemontese conveniva in giudizio, per rispondere del danno in
questione, il prof. Franco Russo.
La sezione giurisdizionale
per la regione Piemonte respingeva la domanda attrice, mandando assolto il
Russo da ogni addebito ritenendo l'insussistenza sia del danno erariale che
della colpa grave.
La Procura generale presso
questa Corte, con atto depositato in segreteria in data 25 febbraio 2004,
appellava tale pronuncia.
L'appello si fondava sui
motivi che seguono:
travisamento dei principi
in merito all'autonomia del processo contabile rispetto a quello civile con
carenza di motivazione in ordine all'asserita adeguatezza della ricostruzione
fornita dall'appellato in primo grado, tale da far disattendere quella emersa
nel giudizio civile;
travisamento ed erronea
applicazione del quadro normativo di riferimento per quanto concerne la
ritenuta inesistenza del danno da mobbing;
illogicità,
contraddittorietà e apparenza della motivazione in ordine alla ritenuta
inesistenza della colpa grave che non avrebbe dato tra l'altro, rilievo agli
atti formali compiuti dall'appellato.
L'appellato si costituiva
in giudizio con il patrocinio degli epigrafati difensori che hanno prodotto il
relativo di costituzione e risposta in data 12 maggio 2004.
Nell'atto predetto si
contesta in primo luogo il motivo d'appello relativo all'inesistenza della
motivazione nella parte in cui ha ritenuto di poter disattendere la pronuncia
civile. Si richiama in proposito la difesa all'ammissibilità della motivazione
per relationem, laddove il riferimento, nel caso di specie, dovrebbe
intendersi alle argomentazioni dalla difesa medesima svolte in primo grado.
Corroborerebbe l'assunto l'art. 132 c.pc. che prevede la concisa esposizione
dei motivi della decisione.
Per quanto concerne i
motivi afferenti il danno la difesa, premessa l'ammissibilità di una autonoma
valutazione del giudice contabile rispetto a quello civile per quanto attiene
alla esistenza stessa dell'illecito, osserva che quest'ultimo non sussisterebbe
né per quanto concerne il danno da mobbing né per quello relativo alle
spese conseguenti al trasferimento a altro istituto scolastico.
Sotto il profilo della
colpa grave, si contesta il motivo d'appello secondo il quale il primo giudice
avrebbe dato rilievo solo alla situazione ambientale istruita in via
testimoniale e non agli atti formali riferibili all'appellato e si afferma che
detto giudice avrebbe invece affermato solo la minor incidenza di questi ultimi
rispetto al contesto ambientale.
In via subordinata si
richiede l'esperimento di attività istruttoria, con particolare riferimento
alle prove per testi, già richieste in primo grado; in estremo subordine
l'applicazione massima del potere riduttivo
Alla pubblica udienza
l'appellante Procura generale ha illustrato l'atto scritto, confermandone le
conclusive richieste di accoglimento del gravame. L'appellato ha ribadito
l'esattezza della pronuncia di primo grado, facendo rilevare l'archiviazione
del processo penale avente ad oggetto gli stessi fatti di causa e sostenendo,
tra l'altro, la mancanza del nesso di causalità rispetto al danno risarcito.
Considerato in
Diritto
Come meglio descritto in
narrativa, oggetto del presente giudizio è l'appello avverso l'assoluzione del
prof. Franco Russo dalla citazione della Procura regionale presso la Sezione
giurisdizionale del Piemonte per il pagamento, in favore dell'Amministrazione
scolastica, della somma di €.15.000,00 oltre rivalutazione monetaria ed
interessi legali.
La richiesta discendeva
dall'avere dovuto la medesima pubblica Amministrazione pagare per effetto di
sentenza civile di condanna analogo complessivo importo a tre suoi dipendenti,
docenti in servizio presso l'Istituto Comprensivo di Caraglio, che avevano
risultavano avere subito, durante l'anno scolastico 1999/2000, soprusi e
condotte gravemente moleste da parte del prof. Franco Russo, preside, all'epoca
dei fatti del suddetto istituto scolastico. Infatti il giudice civile
(Tribunale di Cuneo), ravvisava nel comportamento del preside fonte di
responsabilità per l'Amministrazione scolastica, sia sotto il profilo dell'art.
2087 c.c., essendo il datore di lavoro contrattualmente tenuto ad adottare le
misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei
propri dipendenti sul posto di lavoro, sia sotto il profilo degli artt. 2043 e
2049 c.c., essendo l'Amministrazione responsabile per i danni arrecati dal
fatto illecito dei propri dipendenti nell'esercizio delle incombenze cui sono
adibiti.
Il giudice contabile, in
prime cure, ha tuttavia ritenuto che “la natura del contenzioso (una sorta di
risarcimento punitivo), la difficoltà di provare i fatti in termini
inoppugnabili (ricostruzioni testimoniali), la tipologia del risarcimento
(danno morale e danno biologico psichico temporaneo) ed oggettive
incongruenze della sentenza (riconoscimento di maggiori spese per viaggi e
disagi connessi al trasferimento verso la residenza)” dovessero portare a
disattendere la richiesta risarcitoria avanzata dalla Procura.
Così riassunti i termini
della controversia appare evidente che deve essere in primo luogo risolto il
problema dei rapporti tra processo civile e processo contabile e quello, connesso,
dell'effetto del giudicato civile sul giudizio contabile.
In proposito deve in primo
luogo sgombrarsi il campo da un'affermazione di parte pubblica appellante
riferita ai “ casi di danno nei quali risulti attivata dalla stessa PA una
pretesa risarcitoria in sede civile, con tutte le conseguenze giuridiche che da
tale autonomia si possono trarre, ad esempio, in tema di litispendenza, di
preclusione quando la PA abbia già ottenuto l'integrale ristoro del danno
patito, cioè il medesimo bene della vita oggetto dell'azione, di valutazione
delle risultanze di prove - non certo delle valutazioni decisionali - assunte
nell'altra sede (v. ex multis: Sez. I, n. 239 del 29.7.1998; Sez. II, n. 49 del
12.5.1997)”
L'affermazione che precede
è inconferente nel caso di specie, in cui si controverte in tema di danno
indiretto, vale a dire dell'azione contabile di rivalsa innanzi a questo
giudice nei confronti dell'amministratore o dipendente pubblico che determinò,
in sede civile, con il suo comportamento, la condanna dell'amministrazione al
risarcimento del danno a favore del privato. Tuttavia ritiene il collegio di
sottolineare che essa è comunque infondata come non condivisibili e non
conformi a numerose recenti sentenze della Corte regolatrice della
giurisdizione sono le pronunce sopra richiamate.
Emerge infatti, pur
nettamente minoritaria, una giurisprudenza contabile secondo la quale
attraverso l'accertamento della responsabilità civile si tenderebbe al
risarcimento della lesione inferta al patrimonio dell'ente, mentre la
responsabilità amministrativo-contabile sarebbe finalizzata ad accertare la
lesione inferta all'efficienza dell'azione amministrativa, nonché alla sua
indipendenza, buon andamento ed imparzialità.
Questa giurisprudenza (ad es.
Corte dei conti, Sez. III d'appello n. 10 del 18 gennaio 2002, Sez I d'appello
sent n. 331 del 14 novembre 2000 e n. 16 del 22 gennaio 2002) teorizza cioè la
sussistenza di distinti interessi, diversamente intestati e quindi di due danni
azionabili innanzi a due giurisdizioni diverse da soggetti differenti senza che
ciò comporti la violazione del principio del “ne bis in idem”.
Si può invece dire che la
responsabilità amministrativa (e contabile) degli amministratori e dipendenti
pubblici ed il suo processo non si aggiungono né si integrano con una
responsabilità civile ed un giudizio ordinario relativamente alla stessa
categoria di soggetti, ma li sostituiscono in toto, tanto sotto
l'aspetto sostanziale che sotto quello processuale. Diversamente bisognerebbe
ipotizzare a carico dei soggetti in questione due responsabilità concorrenti.
Indipendentemente dalle costruzioni teoriche di supporto, e pur concedendo che
in sede esecutiva si terrebbe conto di quanto risarcito per effetto di
precedenti condanne, rimarrebbe cioè il fatto, decisamente anomalo e
costituzionalmente poco difendibile, di soggetti esposti, per il medesimo
fatto, a due diverse azioni di cui economicamente beneficerebbe il medesimo
soggetto danneggiato. Inoltre, con la possibilità della proposizione
dell'azione civile, l'amministratore o dipendente pubblico finirebbe per vedere
scomparire tutte quelle guarentigie che il legislatore ha introdotto a suo
favore in considerazione della peculiarità delle funzioni svolte.
Del resto le numerose e significative
pronunce della Cassazione, a sezioni unite, non lasciano adito a dubbi. Così
l'ordinanza n. 3150 del 03/03/2003 afferma, nell' ipotesi di azione popolare
promossa dal cittadino elettore, ai sensi dell'art. 7 della legge 8 giugno
1990, n. 142, qualora venga richiesta la condanna al risarcimento del danno
economico subito dal comune a causa del comportamento illegittimo dei suoi
amministratori, che si verte in tema di danno erariale, con conseguente
devoluzione della controversia alla giurisdizione della Corte dei conti, alla
quale spetta anche di decidere in ordine alla legittimazione del cittadino
elettore ad esercitare l'azione di responsabilità di cui è titolare il
procuratore contabile. Ancora, le Sezioni Unite hanno ritenuto (sent. 232 del 10/04/1999)
che rientrasse nella giurisdizione della Corte dei Conti la controversia fra
l'Ente Poste Italiane ed una società incaricata dell'esecuzione del servizio di
trasporto dei dispacci e, quindi, da qualificare agente contabile.
La fattispecie concerneva
una domanda riconvenzionale con la quale, a fronte della domanda, proposta in
via principale da parte di tale società, del pagamento del corrispettivo,
l'Ente aveva chiesto il risarcimento dei danni sofferti per la sottrazione di
un dispaccio speciale e per avere dovuto versare ad altro appaltatore,
incaricato dello stesso servizio dopo l'anticipata risoluzione del rapporto con
la società, un maggior compenso. Infine è stata riconosciuta (sent. n. 310 del
27/05/1999) la giurisdizione della Corte dei conti sulla domanda,
proposta dal Ministero della Pubblica Istruzione e da un istituto professionale
industriale, per ottenere la rifusione delle retribuzioni conseguite da un
soggetto che, sulla base di un titolo di studio poi riconosciuto falso (certificato
di laurea di una università), aveva prima ricevuto un incarico di insegnamento
(nella specie di tecnologia meccanica presso quell'istituto) e,
successivamente, era stato immesso in ruolo (previo superamento dell'esame di
abilitazione), dovendosi ravvisare il presupposto per la configurabilità di un
danno patrimoniale da detto soggetto arrecato alla P.A.
E' invece condivisibile
l'affermazione dell'appellante dell'autonomia e diversità di causa petendi
e petitum fra l'azione di responsabilità amministrativa e l'azione
civile di danno contro la P.A.
In questo caso è pacifico
in giurisprudenza (cfr. Sez. I, n. 139 del
17.4.1989; Sez. II, n. 100 del 23.9.1996 ; Sez. III, n. 25 del 3.2.1998; Sez. II, n. 101 del
26.3.1998; Sez. II, n. 321 del 27.10.2000) che le sentenze civili di condanna a
carico della PA non esplicano efficacia
vincolante nel giudizio di
responsabilità, anche se il giudice contabile può trarre da quel diverso
giudizio elementi (prove testimoniali, documentazione, consulenze tecniche, ragionamento
seguito dal giudice civile) utili a formare il proprio libero convincimento ex
art. 116 c.p.c., pur quando il convenuto sia rimasto estraneo al processo
civile.
Basti pensare in proposito
che il giudice civile giunge a condannare l'amministrazione a risarcire il
privato utilizzando gli ordinari parametri del danno e della colpa. Nell'azione
susseguente di rivalsa, invece, il giudice contabile dovrà, per poter anch'egli
affermare la responsabilità, ricercare la colpa grave dell'agente pubblico e valutare
il vantaggio comunque conseguito all'amministrazione o dalla comunità di
riferimento, con il comportamento, pur per altri versi dannoso, da lui tenuto;
ciò a tacere dell'applicazione del potere riduttivo.
E' evidente però che il
giudice contabile, ove giunga a pronunce diverse da quelle prese del giudice
ordinario, deve adeguatamente e puntualmente motivarle, anche in specifico
riferimento alla diversa ricostruzione, interpretazione o valutazione dei fatti
di causa comuni e del relativo materiale probatorio.
Fatte queste premesse, il
collegio ritiene che l'appello in questione sia almeno parzialmente fondato.
Non censurabile è la
pronuncia dei primi giudici nella parte in cui non riconosce l'esistenza di un
danno patrimoniale per le maggiori spese di viaggio e per i disagi conseguenti,
ad avviso del giudice civile, al trasferimento in un Istituto più lontano dal
luogo di residenza, richiesto dagli insegnanti a seguito dei fatti oggetto del
ricorso, spese riconosciute peraltro solo con valutazione in via equitativa e
non distinta da quella forfettariamente operata per il coacervo dei danni
risarciti.
Emerge dagli atti, e non è
contestato dall'appellante, che le nuove sedi di servizio degli insegnanti
ritenuti mobbizzati, erano in realtà meno distanti e disagevoli delle
precedenti e che, pertanto, i trasferimenti non erano idonei a produrre per i
docenti un maggior dispendio economico rispetto a quello da essi sostenuto per
prestare servizio nelle sedi precedenti.
Sotto questo profilo,
quindi, l'appello deve essere respinto con conferma della sentenza di primo
grado.
L'appello merita invece
accoglimento per quanto attiene al denegato risarcimento del danno morale e di
quello per “mobbing, con conseguente riforma, per questa parte, della
sentenza.
In proposito deve
ricordarsi come il risarcimento stabilito nella sentenza di condanna
pronunciata dal giudice del lavoro non riguardava solo il danno biologico, ma
comprendeva anche il danno morale relativo a fatti astrattamente qualificabili
come reati. Si legge infatti nel decreto di archiviazione del G.I.P. in data 17
gennaio 2002. “Invero, diverse delle affermazioni del preside Russo presentano,
in astratto, i profili dell'offensività e della diffamazione: definire taluno <cialtrone, calunniatore, commissario del popolo che su tutto
pontifica> è condotta non estranea al novero delle situazioni penalmente
sanzionate: ma nessuna di tali affermazioni si colloca, temporalmente, nel
trimestre precedente alla proposizione dell'atto di impulso processuale, sicché,
in relazione alle stesse, si apprezza con evidenza la tardività della querela”.
La sentenza contabile del
primo giudice non sembra darsi carico di dimostrare l'irrisarcibilità del danno
morale ma, piuttosto, di quello da mobbing, rispetto al quale espressamente
afferma che: “la Sezione dubita della azionabilità di un danno erariale
connesso a risarcimento economico per danno biologico temporaneo arrecato a
soggetti maggiorenni ed idonei alla funzione docente. In altre parole,
dall'esame della sentenza civile emerge una qualificazione come “punitivo” del
risarcimento così riconosciuto quasi a realizzare una sorta di “tutela” del
lavoratore (in quanto parte debole del rapporto) nei confronti della
Amministrazione. Per queste caratteristiche tale risarcimento non potrebbe
avere, attraverso la rivalsa, riflessi economici sul patrimonio del convenuto,
quale responsabile dello stato di disagio in cui si sarebbe trovata una minima
parte del corpo insegnante dell'Istituto.”
E' su questo presupposto
che la sentenza ha un doppio profilo assolutorio, afferente l'uno il difetto di
colpa grave del preside Russo e l'altro l'insussistenza del danno.
Si tratta di motivazione
ridondante, non essendo ovviamente configurabile una colpa in assenza di un
comportamento dannoso.
Tale impropria espressione
deve intendersi riferita sia ai casi di assenza di danno sia a quelli in cui
esso, pur presente, non fosse dovuto a comportamento illecito del convenuto.
In particolare è da
ritenere che l'assenza della colpa grave sia da riferirsi al danno morale la
cui esistenza, infatti, in sentenza non è contestata.
Sul punto la decisione
assolutoria del primo giudice non è condivisibile in quanto essa si scontra con
una duplice pronuncia contraria, del giudice penale l'una, che riconosce
l'astratta sussistenza dei reati di offesa e di diffamazione e del giudice
civile l'altra, che su tale ineludibile presupposto riconosce e liquida ai
docenti lesi il danno morale.
A fronte di tale
stringente realtà processuale il giudice contabile non offre alcun argomento
valido ad escludere l'esistenza dell'ipotesi di reato e quindi della colpa
grave e del danno morale che, al contrario, sono adeguatamente provati in atti,
sulla scorta delle emergenze processuali prima ricordate.
L'appello della procura
generale deve quindi essere accolto per questo aspetto e la sentenza deve
essere riformata nei sensi di cui appresso.
Rimane da esaminare
l'affermazione del primo giudice, inizialmente dubitativa, ma che sembra
divenir certezza al momento della complessiva valutazione assolutoria, della
non configurabilità di un danno erariale connesso a risarcimento economico per
danno biologico temporaneo, qualificato, peraltro cripticamente, come
“risarcimento punitivo”.
L'assunto è infondato e
non condivisibile.
Una volta infatti che il
giudice civile abbia legittimamente imposto il risarcimento di un qualunque
tipo di danno è evidente che ciò determina una diminuzione patrimoniale per le
risorse finanziarie dell'amministrazione interessata e non può non tradursi in un danno erariale.
Non si capisce, poi,
perché, ove pur emergesse dal riconoscimento di un tal genere di risarcimento
una “tutela” del lavoratore (in quanto parte debole del rapporto) nei confronti
della Amministrazione, essa non dovrebbe avere diretti riflessi economici sul
patrimonio del convenuto neppure quando la necessità di attivare tale tutela si
sia resa necessaria proprio per il di lui illecito comportamento.
Altro sarebbe stato dire
che nella fattispecie in questione non era configurabile, in sede civile, il risarcimento
di un danno biologico solo temporaneo. E purtuttavia anche questa ulteriore
considerazione, pur non adeguatamente esplicitata, traspare nella motivazione
dei primi giudici quando parlano di “danno biologico temporaneo arrecato
a soggetti maggiorenni ed idonei alla funzione docente”
Si deve, dunque, escludere
che il danno da mobbing, ove esistente, non possa essere oggetto di
azione di rivalsa nei confronti dell'agente pubblico.
Nel caso di specie occorre
invece verificare se, indipendentemente dalle valutazioni del giudice civile,
un siffatto danno si sia effettivamente verificato e quindi se il primo giudice
abbia fornito elementi sufficienti a superare e disattendere le conclusioni
risarcitorie del giudice civile.
Prima però di passare a
tale esame occorre definire con precisione questa figura di danno di recente
elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza civilistica.
Si verifica una situazione
di mobbing quando un dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte
dei superiori e, in particolare, quando vengono poste in essere pratiche
dirette ad isolarlo dall'ambiente di lavoro o ad espellerlo, con la conseguenza
di intaccare gravemente l'equilibrio psichico dello stesso, menomandone la
capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva,
depressione e talora persino il suicidio. Egli dunque, anche se non traduce
l'aggressione alla sfera psichica in una menomazione della propria integrità
psicofisica, vede in ogni caso compromessa la sua capacità di autoprotezione
personale, che è una delle componenti essenziali per dar vita ad un efficace
sistema di sicurezza sul lavoro.
In termini civilistici, la
responsabilità del datore di lavoro vale a dire l'incidenza del mobbing
sul contratto di lavoro deriva dalla violazione di quella norma l'art. 2087
c.c., che impone di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica
e la personalità morale dei lavoratori; tale norma si assume contrattualizzata
indipendentemente da una specifica previsione delle parti, e genera una
responsabilità, in capo al datore di lavoro, di risarcire il danno sia al
patrimonio professionale (c.d. danno da dequalificazione), sia alla personalità
morale e alla salute latamente intesa (cosiddetto danno biologico e
neurobiologico) subiti dal lavoratore, essendo indubbio che l'obbligo previsto
dalla disposizione contenuta nell'art. 2087 c.c. non è circoscritto al rispetto
della legislazione tipica della prevenzione, ma, in una interpretazione della
norma costituzionalmente orientata ed aderente altresì ai principi comunitari,
si estende anche al dovere di astenersi da comportamenti lesivi dell'integrità
psicofisica del lavoratore (cfr. Cass. civ., sez. lav., 17 luglio 1995, n.
7768,
Occorre ora vedere se in concreto
tale danno si sia effettivamente verificato e se esso sia dipeso, almeno in
parte, dal comportamento dell'appellato.
Almeno in astratto,
infatti, non si può escludersi che situazioni mobbizzanti siano riferibili a
modelli organizzativi o regole di servizio dell'amministrazione, magari vigenti
da tempo e non più conformi all'evolversi della coscienza sociale: si pensi ad
esempio all'eventuale mancanza di istruzioni atte a rendere effettivo il
divieto di fumare in locali frequentato anche da soggetti non fumatori o la
previsione di turni o modalità di lavoro particolarmente rigidi o poco
rispettosi della sfera di individuale riservatezza.
Non è questo il caso di
specie, in cui i comportamenti contestati sono riferibili esclusivamente al
preside Russo.
Occorre ora vedere se i
comportamenti, ritenuti esistenti ed illeciti da parte del giudice civile, tali
siano effettivamente.
Infatti la sentenza qui
impugnata, come sostanzialmente osserva parte pubblica appellante, afferma che
il convenuto ha offerto una ricostruzione dei fatti capace di far
“disattendere” quella ottenuta in sede civile, senza peraltro puntualizzare i
contenuti e le caratteristiche di questa diversa ricostruzione. Ciò non appare
conforme all'autonomia valutativa, derivante dalla ricordata separatezza dei
due giudizi, che deve in ogni caso fondarsi su concreti elementi probatori ed
adeguate analisi degli stessi, gli uni come le altre chiaramente rinvenibili in
motivazione.
Deve osservarsi che,
mentre non emergono nella sentenza impugnata tali elementi e valutazioni,
cospicuo, rilevante ed univoco è il materiale probatorio formato in sede civile
e opportunamente riportato nell'atto d'appello.
Rilevano decisamente in
proposito per dimostrare il comportamento illecito dell'appellato e la gravità
della sua colpa: 1) lettera prot.
19/Ris del 5.11.1999, che addebita ad un'insegnante “…visione fuorviante,
limitata, storicamente falsa” e sollecita discussione collegiale in
proposito; 2) nota prot. 26/ris del 22.11.1999 che, in risposta a proposte e
considerazioni di un insegnante, tra l'altro invita il docente a “…maggiore
umiltà”, indica allusivamente che
qualcuno “..rema contro” , fa
valere il peso della propria abilità nell'aver ottenuto per concorso la
qualifica di preside (quasi che i docenti non abbiano superato procedure
selettive pubbliche); 3) nota prot. 28/ris del 29.11.1999, che si contrappone,
anche sul piano lessicale, a posizioni espresse da un insegnante, mette
comparativamente in risalto la propria qualifica di preside e, come di solito,
dichiara di dare massima diffusione al documento; 4) lettera prot. 33/ris del 14.2.2000 che, pur contestando situazioni personali in risposta
a singoli docenti e contenente dichiarazione di successivo inoltro “…alle autorità competenti”, viene resa nota a tutti i docenti; 5)
carteggio di cui alla nota prot. 32/ris del 14.2.2000 che, rivolta a
tutti i docenti, con riferimento ad un singolo parla, tra l'altro, di “…commissario
del popolo che su tutto pontifica”,
di falsità, insolenza, calunnie, miele interessato per i colleghi,
frottola, di ricerca di lotta dura senza paura, di team che lavora sott'acqua e
fa la guerra al preside, di cialtroni , di gruppi che remano contro, di “..intelligenza…più
necessaria presso altre scuole”, auspicante quindi mobilità di soggetti che non darebbe “…occasione
di rimpiangerli”; 6) verbale n. 2
del 23.2.2000 di riunione di collegio docenti, nella quale, tra l'altro, il
preside ventila la titolarità del potere di “..far scoppiare” insegnanti
inadempienti a propri obblighi; 7) nota prot. 1228/C1 del 17.3.2000, nella
quale si parla di “..bassezza morale e professionale” di taluni
insegnanti e si divulga a tutti i docenti il documento, nonostante trattasi di
risposta ad un singolo; 8) carteggio di cui alla nota prot. 38/ris del
29.3.2000, risposta del 30.3.2000 e nota prot. 1498/CP-C1 dell'1.4.2000, che
attesta avvenuto rimprovero per inadempienze di un insegnante in presenza di
alunni, allude a scarso credito goduto dalla docente “…tra alunni e
colleghi” ed invita tutti i docenti (cui la vicenda viene immediatamente
resa nota) a prendere posizione e schierarsi in proposito; 9) nota firmata da
17 insegnanti, dalla quale si desume che le richieste risarcitorie avanzate in
sede giudiziale, pur se individuali di tre docenti ritenutisi lesi, sono state
portate a conoscenza di tutti gli insegnanti della scuola ed affisse all'albo
della scuola; 10) nota prot. 1230 del 17.3.2000 che rispondendo ad una missiva
personale indirizzata al Preside ed al collaboratore vicario, reputa essere la
lettera di rilievo generale e ne dà immediata diffusione tramite affissione
all'albo predetto.
Nulla vien detto per
contrastare tali evidenze probatorie se non che i fatti consistono in “…situazioni ambientali ricostruite prevalentemente in sede
testimoniale” , tanto che “…non a caso” il convenuto ha chiesto esperimento di
prova per testi per “…vanificare le
risultanze testimoniali acquisite in sede civile” e che la “…ricostruzione dei fatti” proposta dal convenuto ha messo “…in condizione di disattendere la
pronuncia civile sotto il profilo della rivalsa…azionata”
Tuttavia il collegio non
comprende perché, se le testimonianze rese in sede civile sono apparse
scarsamente convincenti il giudice abbia affermato la “impossibilità” di provare i fatti ma, nel contempo, abbia
negato l'ammissione delle nuove prove testimoniali richieste dal convenuto.
Per quanto attiene
all'elemento soggettivo, desta perplessità l'asserzione della sentenza
impugnata per cui sarebbe difficile ravvisare la gravità della colpa, poiché i
comportamenti contestati all'agente si sono concretizzati “…più che in atti
formali, in situazioni ambientali
ricostruite prevalentemente in sede testimoniale”. Infatti non si può certo
ritenere che solo il compimento di atti o provvedimenti amministrativi possa
radicare, per l'illegittimità di questi, la gravità della colpa del loro
autore.
Tuttavia nel caso di
specie i numerosi elementi documentali prima ricordati sono sufficienti a
provare oltre ogni ragionevole dubbio l'esistenza di un comportamento
gravemente colpevole dell'appellato che non a caso ha indotto anche il giudice
penale ad individuarvi concrete fattispecie penalmente rilevanti pur se non più
procedibili giudizialmente.
Che poi l'insussistenza
della gravità della colpa possa essere avvalorata dalla “richiesta” di prova
testimoniale avanzata dal convenuto è mera, indimostrata, petizione di
principio visto che proprio il primo giudice non ha ritenuto di darvi corso.
Pertanto,
rimane acclarata sia la sussistenza del danno morale e di quello da mobbing
che quella della colpa grave, provate in atti, anche sulla base delle cospicue
risultanze del processo penale e di quello civile.
Non può trovare
accoglimento quindi la richiesta difensiva di ulteriore attività istruttoria.
La sentenza di primo grado
deve essere quindi riformata in parziale accoglimento dell'argomentato appello
della Procura Generale per quanto concerne la rivalsa rispetto al danno
risarcito in sede civile quale danno morale e da mobbing, rivalsa che deve
essere riconosciuta ammissibile nei confronti dell'appellato.
Peraltro, considerato che
il danno liquidato in sede civile è stato determinato in via equitativa e
complessiva, senza che sia possibile enucleare il quantum relativo alle maggiori
spese derivanti dai trasferimenti, spese che in realtà non dovevano essere
ammesse perché insussistenti, come prima s'è detto.
In presenza di tre
distinte tipologie di danno globalmente risarcite si dovrebbe ritenere
l'equivalenza di ciascuna delle voci risarcite.
Tuttavia il pur incerto
riferimento ad una quantificazione del danno da mobbing ad una
percentuale tra il 15% e il 18% (sembra doversi intendere del totale) e quindi
in media del 16,50% ed il pericolo che il riconoscimento di questo risarcimento
in aggiunta a quello del danno morale, possa portare, se non adeguatamente
definito, ad una duplicazione di risarcimenti, inducono il collegio a
determinare in circa un terzo del totale (16,50 x 2) l'importo che per effetto
del parziale accoglimento dell'appello il prof. Russo deve risarcire, senza che
sussistano ragioni per l'applicazione del potere riduttivo.
Partendo da tali
considerazioni il danno da risarcire all'amministrazione scolastica in
questione viene determinato equitativamente in € 1.665
(milleseicentosessantacinque)
Le spese del doppio grado
del giudizio seguono la soccombenza.
P. Q. M.
definitivamente
pronunciando, ogni altra e diversa istanza reietta, accoglie parzialmente
l'appello in epigrafe e per l'effetto previa riforma della sentenza impugnata,
anch'essa indicata in epigrafe condanna il prof.
Franco Russo al pagamento della somma di €1.665 (milleseicentosessantacique) e
degli interessi legali su di essa a partire dalla data della presente
sentenza.
Sono dovute le spese del
doppio grado di giudizio che si liquidano in €.785,78
(settecentoottantacinque/78).
Manda alla Segreteria per
gli adempimenti di rito.
Così deciso in Roma, nella
camera di consiglio del 26 maggio 2004 ed in quella del 4 febbraio 2005.
L'estensore Il
presidente
f.to
Eugenio Francesco Schlitzer
F.to Gaetano Pellegrino
Depositata in
Segreteria il giorno 25 ottobre 2005
IL
DIRIGENTE
f.to Antonio Di Virgilio