REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1006 del 2003 proposto da

RAGGRUPPAMENTO TEMPORANEO DI IMPRESE costituito da SEVERN TRENT ITALIA S.p.a, UNIECO Soc. Coop a r.l. e A.S.M. BRESCIA S.p.a.; VISANO SOCIETA’ TRATTAMENTO REFLUI Soc. Coop. a r.l.,

rappresentati e difesi dagli avv.ti Mario Franchina e Yvonne Messi, con domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Malta n. 12;

contro

PROVINCIA DI BRESCIA,

costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Magda Poli, Katiuscia Bugatti e Gisella Donati, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura Provinciale in Brescia, Piazza Paolo VI n. 16;

per l’accertamento

dell’inadempimento della Provincia alle obbligazioni contrattuali assunte con la concessionaria dell’impianto di depurazione e cogenerazione di Visano, e del conseguente diritto al risarcimento dei danni per i maggiori costi affrontati;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Brescia;

Visti gli atti della causa;

Uditi i difensori delle parti;

Udito il ref. dott. Stefano Tenca, designato relatore per l’udienza del 17/6/2005; 

Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

In data 30/11/1999 il ricorrente R.T.I. ha stipulato con la Provincia di Brescia un contratto per l’assunzione in concessione del servizio di custodia e gestione dell’impianto di depurazione e di cogenerazione di Visano, destinato alla raccolta, al trattamento, ed allo smaltimento finale degli scarichi zootecnici. Il servizio veniva concretamente gestito attraverso la costituzione di una Società consortile a responsabilità limitata, la Visano Società Trattamento Reflui.  

In punto di fatto il raggruppamento ricorrente ha rappresentato quanto segue:

Con ricorso ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione, il raggruppamento promuove azione di accertamento della violazione del contratto di concessione da parte della Provincia, la quale avrebbe indebitamente negato l’assenso all’esecuzione degli interventi assolutamente necessari a garantire il rispetto dei limiti tabellari degli scarichi in corpo idrico superficiale, con l’impossibilità di proseguire nella gestione dell’impianto che veniva tra l’altro sottoposto a sequestro dall’autorità giudiziaria. Chiede quindi il risarcimento del danno emergente e del lucro cessante.

Resiste in giudizio l’amministrazione la quale, nel formulare domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni, contesta la ricostruzione in fatto della ricorrente e sottolinea di essersi tempestivamente attivata, segnalando il superamento dei limiti tabellari ed intimando alla Società consortile il rispetto delle prescrizioni del contratto di gestione. Sostiene di aver convocato numerose riunioni tra le parti al fine di individuare le principali questioni e definire gli interventi tecnici necessari per il buon funzionamento dell’impianto, adottando tutte le iniziative utili per individuare e risolvere i problemi riscontrati ed ottenere il dissequestro dell’impianto. Aggiunge che la responsabilità dell’accaduto è imputabile interamente al gestore, come risulterebbe dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta dalla Procura della Repubblica. Dà conto infine della recente sottoscrizione di un protocollo d’intesa finalizzato alla riattivazione dell’impianto.

Alla pubblica udienza del 17/6/2005 il gravame è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

DIRITTO

Come emerge da quanto suesposto in fatto, i ricorrenti – concessionari dell’impianto di depurazione e cogenerazione di Visano – propongono azione di accertamento dell’inadempimento contrattuale della Provincia di Brescia, con richiesta di risarcimento dei danni patiti.

Deve preliminarmente essere affrontata la questione dell’esistenza della giurisdizione di questo Tribunale in ordine alla presente controversia.

La resistente amministrazione sostiene anzitutto l’impossibilità di qualificare come pubblico il servizio in questione, in quanto non sarebbe reso a favore della generalità dei cittadini ma solo di specifici imprenditori di settore; contestualmente ritiene che, dopo l’intervento manipolativo attuato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004, è stata ridimensionata la sfera di giurisdizione esclusiva attribuita al giudice amministrativo, limitandola ai casi in cui l’Ente agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero adottando strumenti negoziali sostitutivi.

A. Quanto al primo profilo, osserva anzitutto il Collegio che manca  nell’ordinamento amministrativo una definizione del servizio pubblico. Le nozioni penalistiche di “pubblico ufficiale” e di “incaricato di pubblico servizio” (artt. 357 e 358 c.p.) sono utilizzabili esclusivamente agli effetti della legge penale e non possono essere automaticamente trasferite nel diritto amministrativo, mentre non è neppure possibile rifarsi alla disciplina della L. 12/6//1990 n. 146 sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali – intendendo per tali quei servizi che siano volti a garantire il godimento dei diritti fondamentali della persona costituzionalmente tutelati – in quanto essa fa riferimento alle finalità dei servizi pubblici e non enuclea una categoria organica.

Il tentativo di elaborare una nozione unitaria, dunque, è il frutto dell’attività dottrinale e giurisprudenziale, la quale ha tenuto conto che, in ambito comunitario, i servizi pubblici sono stati dapprima definiti “in negativo” secondo le previsioni dell’art. 86, 2° comma, del Trattato della Comunità Europea, il quale ammette la deroga alle regole della concorrenza solamente quando queste ultime non permettano il perseguimento della “specifica missione pubblica” affidata alle imprese incaricate del servizio stesso; con la modifica dei Trattati a seguito degli accordi di Amsterdam e di Nizza il servizio pubblico ha ricevuto, in aggiunta, una qualificazione in positivo con il riconoscimento di un significativo ruolo di promozione della coesione sociale e territoriale (art. 16 del Trattato).

In ambito nazionale non esiste identità di vedute.

Secondo il tradizionale filone interpretativo va accolta la nozione soggettiva, fondata sul momento dell’assunzione, da parte di un pubblico potere, di una determinata attività produttiva a carattere non autoritativo: quel che conta, in definitiva, è la titolarità del servizio pubblico, che deve sempre appartenere alla pubblica amministrazione, la quale poi lo gestisce in modo diretto oppure attraverso specifiche articolazioni ovvero mediante affidamento in concessione.

La prevalente concezione oggettiva invece – prendendo atto della tendenza ad affidare i servizi in questione anche a soggetti totalmente o parzialmente privati – valorizza l’attività svolta e la sua diretta fruibilità da parte dei cittadini (art. 43 Costituzione e art. 112 del D. Lgs. n. 18/8/2000 n. 267), definendo il servizio pubblico come un’attività di produzione di beni e di servizi, indirizzata istituzionalmente ed in via immediata al soddisfacimento di bisogni collettivi e sottoposta, per ragioni di interesse generale, a restrizioni disposte dall’autorità: non vengono inoltre trascurati gli elementi di doverosità del servizio pubblico, che si esplicitano nei principi di sussidiarietà, uguaglianza, continuità, parità di trattamento, imparzialità e trasparenza.  Tale teoria pone dunque in primo piano l’attività, l’organizzazione e soprattutto l’attitudine a soddisfare direttamente un interesse di carattere generale, a prescindere dalla natura pubblica o privata del soggetto gestore.

Come riconosciuto dal Consiglio di Stato sin dal parere dell'Adunanza Generale n. 30 del 12/3/1998 – reso in ordine allo schema del D. Lgs. 31/3/1998 n. 80 – in sede di individuazione delle attività sussumibili sotto la nozione di servizio pubblico assume rilievo decisivo non già la possibilità di considerarle "di pertinenza" dell'amministrazione pubblica, bensì il fatto di essere assoggettate ad una disciplina settoriale che assicuri costantemente il conseguimento dei fini sociali: questi ultimi, pertanto, costituiscono la ragione della sottoposizione della stessa ad un regime giuridico tutto peculiare, potendosi affermare che i fattori distintivi del pubblico servizio sono, da un lato, l’essere connotato dall'idoneità a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, e dall'altro, la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi volti a conformare l'espletamento dell'attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità, cui non potrebbe essere assoggettata una comune attività economica (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 12/10/2004 n. 6574; Corte di Cassazione, sez. unite civili – 19/4/2004 n. 7461; Consiglio di Stato, sez. IV – 29/11/2000 n. 6325).

Poste queste premesse, ritiene il Collegio che nel caso specifico il servizio di raccolta, depurazione e smaltimento delle acque reflue degli insediamenti zootecnici e delle acque reflue urbane costituisca servizio pubblico, dal momento che l’impianto era in funzione in una vasta zona del territorio provinciale e l’allacciamento era consentito a tutti gli imprenditori del settore zootecnico: pertanto si tratta di un servizio – già qualificato come pubblico dall’art. 4 della L. 5/1/1994 n. 36 (Legge Galli) – rivolto alla generalità degli utenti di un determinato settore economico e governato da precise regole pubblicistiche nel quadro dell’attività di indirizzo e di controllo degli Enti locali competenti. E’ stato inoltre dedotto che ciascun utente interessato poteva collegarsi all’impianto a mezzo di condutture sotterranee stipulando un contratto direttamente con il gestore ad un prezzo amministrato: ricorrono pertanto tutti gli elementi per sussumere l’attività compiuta dai ricorrenti entro la categoria dei servizi pubblici secondo la corrente concezione di tipo oggettivo.

B. Il secondo passaggio da affrontare riguarda la persistenza della giurisdizione di questo Tribunale in ordine alla presente causa alla luce della sentenza della Corte Costituzionale 6/7/2004 n. 204.

In particolare la Corte, con tale pronuncia, ha dichiarato l'illegittimità del comma 1 dell’art. 33 del D. Lgs 31/3/1998 n. 80, nella parte in cui, con riguardo alla materia dei pubblici servizi, affida alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "tutte le controversie", anziché soltanto "le controversie relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990 n. 241, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore".

Nella motivazione la Corte ha  evidenziato come, ai sensi dell’art. 103 comma 1 della Costituzione, il legislatore ordinario può attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo  "particolari materie" nelle quali "la tutela nei confronti della pubblica amministrazione" investe "anche" diritti soggettivi: secondo la Corte, “Tale necessario collegamento delle "materie" assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive … è espresso dall'art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo. Si è quindi, da un lato, espressamente “…escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo …. e, dall'altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo”.

Osserva anzitutto il Collegio che, ai sensi dell’art. 30 della L. 11/3/1953 n. 87, le norme dichiarate incostituzionali non possono trovare applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, la quale peraltro produce i suoi effetti anche sui giudizi pendenti non ancora conclusi, in quanto il principio sancito dall'art. 5 c.p.c. – secondo cui la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda – non opera quando la norma che detta i criteri determinativi della giurisdizione è successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima: in particolare, la norma dichiarata incostituzionale non può essere assunta – data l'efficacia retroattiva che assiste tale tipo di pronunce della Corte costituzionale – a canone di valutazione di situazioni o di rapporti anteriori alla pronuncia di incostituzionalità, salvo il limite dei rapporti esauriti al momento della pubblicazione della decisione, intendendosi per tali quelli accertati con sentenza passata in giudicato o per altro verso già consolidati (cfr. Cassazione, sez. unite civili, 6/5/2002 n. 6487).

In secondo luogo va osservato che, in base alla consolidata giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, la giurisdizione va determinata sulla scorta del cosiddetto petitum sostanziale, da individuarsi mediante il collegamento della statuizione richiesta al giudice con l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva allegata quale causa petendi, cogliendo l’effettiva valenza giuridica dei fatti addotti e della tutela ad essi accordata dall’ordinamento (cfr. sentenze 23/2/2001 n. 64 e 17/1/2002 n. 489; ordinanza 4/11/2004 n. 21099). Secondo tale criterio, in materia di contratti della pubblica amministrazione sono devolute alla cognizione del giudice ordinario tutte le controversie sorte nella fase esecutiva, in quanto hanno ad oggetto posizioni di diritto soggettivo inerenti al rapporto di natura privatistica sorto a seguito della stipulazione: in coerenza con tale assunto l’art. 6 della L. 21/7/2000 n. 205, in materia di procedure selettive ad evidenza pubblica, dispone che “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale”. Il legislatore ha inteso quindi devolvere al giudice amministrativo le cause riguardanti l’aggiudicazione dell’appalto o la scelta del socio da parte dei soggetti pubblici o ad essi parificati, senza includere la fase esecutiva del rapporto, il cui svolgimento secondo regole paritarie radica la giurisdizione presso il giudice ordinario.

Nel caso sottoposto all’esame del Collegio i ricorrenti in particolare denunciano il mancato assolvimento di precise obbligazioni contrattuali da parte della Provincia, facendo valere una chiara posizione di diritto soggettivo ai sensi degli artt. 1453 e segg. del c.c..

La controversia, in effetti, avrebbe potuto rientrare nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 33, comma 1 e 2, lett. e), del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, nel testo novellato con l’art. 7 della L. 21 luglio 2000 n. 205, vertendo in materia di pubblico servizio. A rideterminare i confini di tale giurisdizione è sopravvenuta, come già sottolineato, la sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale di cui è d’uopo tener conto.

Per quanto qui interessa, la Corte ha statuito che “Il legislatore ordinario ben può ampliare l'area della giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità…”: dunque la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo, così assumendo – quale criterio di verifica della giurisdizione amministrativa esclusiva in questa materia – il fatto che il giudizio verta sull’esercizio da parte dell’amministrazione del potere di cui è attributaria e, dunque, sullo svolgimento della pubblica funzione (Consiglio di Stato, sez. V – 17/5/2005 n. 2461).

Nella presente causa l’azione esperita dalle ricorrenti è volta ad addebitare precise inadempienze alla Provincia, ed è, quindi, diretta a tutelare il diritto soggettivo all’esecuzione del contratto ed alle controprestazioni conseguenti: il reale oggetto del giudizio, dunque, non è l’esercizio di un potere pubblicistico da parte dell’amministrazione ma soltanto il rapporto convenzionale intercorrente tra le parti e le relative e reciproche posizioni di diritto e di obbligo.

La controversia, pertanto, esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Non può quindi valere a radicare la giurisdizione in capo a questo giudice il richiamo, effettuato dai ricorrenti, al dato testuale dell’art. 33 del D. Lgs. 80/98 dopo l’intervento della Corte Costituzionale, laddove confermerebbe la giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie “relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”.

Si rileva al riguardo che la giurisdizione esclusiva riguarda senza dubbio il provvedimento amministrativo di concessione e le sue vicende (quale un’eventuale revoca per ragioni di interesse pubblico), mentre il rapporto negoziale susseguente alla scelta del concessionario è del tutto autonomo e separato dal primo, ed il suo svolgimento è governato dalle distinte regole del diritto comune. Del resto, l’impostazione tradizionale del diritto amministrativo inquadra la concessione tra gli atti unilaterali ampliativi della sfera giuridica del privato destinatario, cui viene attribuita una potestà, una facoltà o un diritto spettante all’amministrazione ovvero creato ex novo (si parla rispettivamente di concessione traslativa o costitutiva). In origine l’istituto aveva assunto natura discrezionale, essendo caratterizzato dalla precarietà e dalla revocabilità in ogni momento da parte dell’Ente pubblico nell’esercizio dei poteri di vigilanza e di controllo sul soggetto privato: tuttavia, il rapporto concessorio contemplava sia un momento pubblicistico – con il provvedimento unilaterale di individuazione del concessionario – sia un momento privatistico caratterizzato dalla stipulazione di un negozio giuridico bilaterale tra le parti, così da indurre la dottrina ad elaborare la figura della cd. concessione-contratto.

A questa impostazione ha recentemente aderito la stessa Corte di Cassazione pronunciandosi su una controversia in materia di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica: ad avviso della Corte Costituzionale “In base alla disciplina di cui all'art. 33 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80, nel testo sostituito dall'art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, come risulta a seguito della sentenza di illegittimità costituzionale parziale n. 204 del 2004 della Corte cost., nella materia dell'edilizia residenziale pubblica – senz'altro ricompresa, per la finalità sociale che la connota, in quella dei servizi pubblici – la giurisdizione del giudice amministrativo non è configurabile nella fase successiva al provvedimento di assegnazione, giacché detta fase è segnata dall'operare della p.a., non quale autorità che esercita pubblici poteri, ma nell'ambito di un rapporto privatistico di locazione …” (Corte di Cassazione, sez. unite civili – 23/12/ 2004 n. 23830).

In conclusione, nell’attuale ridisegnato dalla Corte Costituzionale la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia non comprende più le controversie, riguardanti diritti soggettivi perfetti, nelle quali la pubblica amministrazione non sia coinvolta come autorità, ancorché scaturenti da rapporti di tipo concessorio.

In conclusione va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio, tenuto conto che la controversia è stata instaurata prima dell’intervento manipolativo della Corte Costituzionale.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando, dichiara il proprio difetto di giurisdizione.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso, in Brescia, il 17/6/2005, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia con l'intervento dei Signori:

           Francesco MARIUZZO - Presidente   

           Gianluca MORRI  - Giudice

     Stefano TENCA   - Giudice relatore ed estensore 
 

     
NUMERO  SENTENZA 673 / 2005
DATA PUBBLICAZIONE 27 - 06 - 2005