REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1295 del 2003 proposto da
COMUNE DI RABBI e COMUNE DI PEIO
rappresentati e difesi dagli avv.ti Daria De Pretis e Roberta de Pretis, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Mauro Ballerini in Brescia, Via Moretto n. 42/a;
contro
CONSORZIO PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Sandro Bravo ed Enrico Codignola, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Brescia, Via Romanino n. 16;
per l’annullamento
del regolamento provvisorio per il rilascio di autorizzazioni approvato con deliberazione del Consiglio direttivo del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio in data 18/7/2003 n. 27, limitatamente all’art. 2 comma 1 ove dispone che “l’autorizzazione è rilasciata dal Presidente del Consorzio e dai dirigenti degli uffici periferici”, e di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio;
Visti gli atti della causa;
Uditi i difensori delle parti;
Udito il ref. dott. Stefano Tenca, designato relatore per l’udienza del 17/6/2005;
Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
Con l’introdotto ricorso i Comuni di Peio e Rabbi impugnano il regolamento provvisorio per il rilascio di autorizzazioni nel territorio del Parco Nazionale dello Stelvio, nella parte in cui dispone che il nulla-osta allo svolgimento di attività e alla realizzazione di interventi, impianti ed opere al suo interno è rilasciato dal Presidente del Consorzio e dai dirigenti degli uffici periferici.
In punto di fatto i ricorrenti rappresentano quanto segue:
Con ricorso ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione, i Comuni di Peio e di Rabbi espongono le seguenti doglianze in diritto:
Il Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del gravame.
Alla pubblica udienza del 17/6/2005 il ricorso è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe le amministrazioni ricorrenti impugnano la norma regolamentare che attribuisce la competenza al rilascio di autorizzazioni nel territorio del Parco Nazionale dello Stelvio al Presidente del Consorzio e ai dirigenti degli uffici periferici.
Vanno preliminarmente affrontate le eccezioni processuali sollevate dall’amministrazione intimata.
1. Il Consorzio eccepisce l’inammissibilità del gravame per carenza di interesse, posto che la disposizione sul rilascio delle autorizzazioni da parte del Presidente sarebbe meramente riproduttiva di norme contenute nello Statuto e nella legge quadro, per cui la sua eventuale caducazione non sortirebbe alcun effetto, mentre parimenti l’annullamento della previsione che attribuisce i poteri ai dirigenti periferici non comporterebbe la devoluzione ai Comitati di gestione bensì la concentrazione di essi in capo al Presidente.
L’eccezione va disattesa.
Nell’ottica del processo di tipo impugnatorio l’interesse a ricorrere è qualificato da un duplice ordine di fattori: la lesione effettiva che il provvedimento gravato arreca al bene della vita che il ricorrente si prefigge di tutelare e il vantaggio concreto che il medesimo tende ad ottenere attraverso la pronuncia di annullamento.
La giurisprudenza, in particolare, ritiene sufficiente la presenza di un interesse di carattere meramente strumentale, in quanto finalizzato unicamente a rimettere in discussione il rapporto controverso onde evitare, attraverso la riedizione dell’attività amministrativa, il pregiudizio sofferto ovvero conseguire il vantaggio sperato (T.A.R. Piemonte, sez. I – 7/2/2005 n. 270; T.A.R. Liguria, sez. II – 16/12/2004 n. 1716; T.A.R. Campania Napoli, sez. I – 1/8/2003 n. 10767). Il Collegio ritiene di aderire a questa ricostruzione dell’interesse a ricorrere in termini di vantaggio anche solo potenziale che si ritrae dalla caducazione del provvedimento impugnato, la quale comporta la declaratoria di inammissibilità del gravame soltanto qualora dal suo accoglimento e dal successivo rinnovato esercizio dell’attività amministrativa non possa derivare alcuna utilità effettiva al ricorrente.
Nella fattispecie sottoposta all’esame del Collegio, l’eventuale annullamento della norma regolamentare implica la ridefinizione del rapporto controverso attraverso la riedizione del potere amministrativo in senso conforme alla normativa vigente, con la possibilità di ottenere un’utilità anche minima da una nuova ripartizione delle funzioni tra i diversi organi del Consorzio: tale circostanza è sufficiente a riconoscere in capo ai Comuni ricorrenti l’interesse ad agire.
2. Passando all’esame del merito, con unico articolato motivo le amministrazioni ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 6 del D.P.C.M. 26/11/1993, in quanto la gravata disposizione contrasterebbe con la struttura organizzativa del Consorzio delineata nell’atto istitutivo, ispirato ad un modello federalistico in conformità al quale il comma 6 demanderebbe ai Comitati periferici il potere di gestione ordinaria e straordinaria delle modalità d’uso del territorio di rispettiva competenza; sostengono i Comuni di Peio e di Rabbi che – in assenza di criteri ed indirizzi per le funzioni decentrate fissati a livello centrale – le autorizzazioni non assumerebbero carattere di gestione puntuale ma implicherebbero scelte discrezionali di particolare rilevanza, di precipua competenza dei Comitati periferici.
Contestualmente i ricorrenti espongono la censura di eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà intrinseca, in quanto il Presidente è un organo politico mentre i dirigenti sono organi burocratici, con conseguente indebita violazione della netta distinzione tra funzioni di indirizzo e compiti gestionali stabilita dalla normativa vigente: se l’assenza dei regolamenti rende i nulla-osta assimilabili agli atti di governo, le competenze dovrebbero spettare a livello decentrato ai Comitati di gestione, mentre se al contrario si ritiene di applicare il principio di separazione delle funzioni, la gestione concreta dovrebbe essere riconosciuta al direttore a livello centrale ed ai dirigenti in ambito periferico.
I ricorrenti hanno prodotto in giudizio una nota del Ministero dell’Ambiente del 1/10/2003 che – sospendendo il provvedimento impugnato in revisione del precedente nulla osta ministeriale – evidenzia il contrasto con il suddetto principio di separazione tra indirizzo e gestione ed al contempo richiama l’attenzione sul ruolo dei Comitati di gestione.
Il ricorso è fondato e deve essere accolto nei limiti sotto specificati.
Va preliminarmente osservato che l’emissione di autorizzazioni (o nulla-osta) costituisce attività tipicamente gestionale, di amministrazione concreta del territorio del tutto estranea alla funzione di indirizzo politico, estrinsecandosi nell’assenso o nel diniego del compimento di lavori o interventi nell’ambito del Parco. Contrariamente a quanto adombrato dai ricorrenti, la natura gestionale dell’attività non viene meno per l’omessa adozione di atti di pianificazione o programmazione, dovendo l’autorizzazione essere comunque rilasciata in base alle regole vigenti e ai principi desumibili dall’ordinamento di settore: in altre parole, l’inerzia degli organi di direzione politica non fa assumere agli atti gestionali natura di atti di indirizzo, ma implica che i primi debbano essere comunque adottati – per non paralizzare l’attività amministrativa – all’interno di una cornice di riferimento più vaga ed incerta.
Posta questa premessa, osserva il Collegio che l’ordinamento degli Enti pubblici ha subìto – con una serie significativa di riforme realizzate dal 1990 ad oggi – una radicale modifica nella distribuzione delle competenze tra gli organi politici e la dirigenza. I primi passi del riassetto delle reciproche attribuzioni sono stati percorsi con la L. 8/6/1990 n. 142 concernente le autonomie locali e, immediatamente dopo, con il D. Lgs. 3/2/1993 n. 29 riguardante tutte le amministrazioni pubbliche.
Il principio guida espresso dai citati provvedimenti legislativi sancisce la netta separazione tra le funzioni di indirizzo spettanti agli organi di direzione politica e le attribuzioni gestionali demandate ai funzionari: i primi, infatti, fissano “a monte” le linee generali dell’azione amministrativa mediante l’adozione di direttive e l’elaborazione di programmi ed al contempo esercitano “a valle” il controllo sull’attività svolta e sul raggiungimento degli obiettivi prestabiliti; i secondi assumono tutte le iniziative a rilevanza esterna esplicando autonomi poteri di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa (cfr. sentenza Sezione n. 1151 del 5/10/2004). L’art. 4 comma 2 del D. Lgs. 30/3/2001 n. 165, recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche” recita testualmente: “Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa della gestione e dei relativi risultati.” Analoga disposizione è stata adottata dal legislatore all’art. 107 del D. Lgs. 18/8/2000 n. 267, Testo unico delle autonomie locali.
La tassatività dell’enunciato principio rende pertanto illegittima la disposizione gravata nella parte in cui riconosce poteri gestionali in capo al Presidente del Consorzio.
L’amministrazione resistente obietta che la L. 6/12/1991 n. 394 demanda le funzioni di indirizzo politico al Consiglio direttivo, mentre il Presidente è legale rappresentante con poteri e funzioni proprie e in particolare è titolare del procedimento per il rilascio del nulla osta ai sensi dell’art. 13. Aggiunge che il D.P.C.M. 26/11/1993 ha precisato i compiti del Consiglio direttivo e confermato senza modifiche le disposizioni sul Presidente, rinviando alla normativa quadro per quanto non espressamente disposto. Inoltre lo stesso D.P.C.M. riconosce ai Comitati di gestione funzioni di indirizzo vincolate agli indirizzi generali del Consiglio direttivo, mentre anche lo Statuto rimette in via transitoria al Presidente le competenze in materia di autorizzazioni, in attesa dell’adeguamento delle norme regolamentari.
L’osservazione rinvia al problema, posto all’attenzione della giurisprudenza, in ordine al fatto se le norme legislative sul principio di separazione delle funzioni siano da considerarsi immediatamente precettive ovvero se la loro applicabilità sia subordinata ad autonomi atti di recepimento ad opera di ciascun Ente.
Secondo l’indirizzo dominante, il nuovo assetto dei poteri nelle amministrazioni pubbliche è improntato ad una rigida ed effettiva separazione dei rispettivi ruoli: da una parte i compiti di indirizzo, attribuiti al potere politico, e dall’altra i poteri gestionali, che divengono poteri propri della burocrazia, intesa come il complesso degli apparati amministrativi chiamati a tradurre in pratica, nel rispetto delle norme regolamentari poste dagli enti medesimi, gli indirizzi politici: è stato pertanto stabilito che la ripartizione delle funzioni, delineata dalle disposizioni vigenti, riduce gli spazi di autonomia statutaria degli Enti alla sola possibilità di disciplinare le modalità di esercizio delle competenze, mentre non può incidere sulla loro titolarità stabilita dalla legge con chiarezza e puntualità (cfr. sentenza Sezione 22/4/1998 n. 323; T.A.R. Abruzzo Pescara, 12/4/2001 n. 408). E’ stato sottolineato che Statuti e regolamenti non sono abilitati ad incidere sul "catalogo" delle attribuzioni dirigenziali, potendolo semmai ampliare ma giammai restringerlo per sottrazione di competenze in favore dell'organo politico (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I – 19/7/2004 n. 1641; T.A.R. Liguria, sez. II – 9/6/2003 n. 736).
Ed in tale chiave esegetica non può non rammentarsi che l’art. 4 comma 3 del D. Lgs. 165/2001 stabilisce in via generale che le attribuzioni conferite ai dirigenti possono essere derogate “soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”, mentre l’art. 70 comma 6 puntualizza che “a decorrere dal 23 aprile 1998 le disposizioni che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all’art. 4 comma 2 del presente decreto si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti”.
Tali norme di chiusura introducono una clausola "interpretativa" generale che ha portata ed efficacia innovativa delle previgenti disposizioni – legislative, statutarie e regolamentari – assicurando l'obbligatoria devoluzione alla sfera di competenza dirigenziale di tutti gli atti che non attengono all'ambito dell'indirizzo politico.
In conclusione il regolamento è illegittimo nella parte in cui attribuisce funzioni gestionali ad un organo politico quale è il Presidente.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e possono essere liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio a corrispondere ai Comuni ricorrenti la somma di € 4.900 a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre ad oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso, in Brescia, il 17/6/2005, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia con l'intervento dei Signori:
Francesco MARIUZZO - Presidente
Gianluca MORRI - Giudice
Stefano
TENCA - Giudice relatore ed
estensore
NUMERO SENTENZA | 690 / 2005 |
DATA PUBBLICAZIONE | 27 - 06 - 2005 |