REPUBBLICA ITALIANA          N. 333/05  REG.DEC.

          IN NOME DEL POPOLO ITALIANO         N. 2819   REG.RIC.

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale - Quinta  Sezione       ANNO  2000

ha pronunciato la seguente

                                            DECISIONE

sul ricorso in appello n. 2819 del 2000, proposto dall’arch. Enrico NAPOLITANO, rappresentato e difeso dall’Avv. Domenico Vitale, con domicilio eletto in Roma, viale Angelico, n. 38, presso lo studio dell’Avv. Luigi Napolitano;

contro

il Comune di Nola, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Manzo, con domicilio, ai fini del presente grado del giudizio, in Roma, Piazza Capo di Ferro – Palazzo Spada, presso la Segreteria del Consiglio di Stato;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione III, n. 95 del 15 gennaio 1999

      Visto il ricorso con i relativi allegati;

      Viste le memoria prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

      Visti gli atti tutti della causa;

      Relatore, alla pubblica udienza del 26 novembre 2004, il Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani; uditi!Fine dell'espressione imprevista, altresì, gli avvocati Palma, su delega dell’avv. Vitale e Manzo;

      Vista la sentenza impugnata;

     Ritenuto e considerato in fatto quanto segue:

-  Con la sentenza in epigrafe la Sezione III del Tribunale Amministrativo della Campania ha respinto il ricorso (3743/1988 r.r.) proposto dall’attuale appellante – a suo tempo assunto dal Comune di Nola in base alla legge n. 285 del 1977  sull’occupazione giovanile e successivamente inquadrato, con il possesso del diploma di laurea e del prescritto titolo di abilitazione professionale, nel settimo livello retribuivo funzionale, con decorrenza 2 giugno 1984, in applicazione della legge n. 138 del 1984  - per ottenere l’annullamento del silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione comunale sulla domanda e successiva diffida volte ad ottenere l’inquadramento nell’8^ qualifica funzionale in applicazione dell’art. 40, all. A, del D.P.R. n. 347 del 1993 e la declaratoria del diritto all’inquadramento in ruolo nella qualifica anzidetta, con decorrenza giuridica ed economica del 2 giugno 1984; con la medesima sentenza è stata respinta la domanda subordinata, formulata soltanto con la memoria conclusiva, volta al conseguimento delle differenze retributive per le pretese mansioni superiori, asseritamene espletate;

     - l’appellante, censura la sentenza appellata sia sul punto della reiezione della domanda relativa all’inquadramento nell’8^ qualifica funzionale, sia nella parte in cui è negata la maggiorazione stipendiale, ribadendo di avere svolto mansioni superiori, sulla base di atti formali, contestando il presupposto da cui muove la sentenza appellata, ovvero la  mancanza del corrispondente posto di organico vacante, in più sollevando questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 del decreto legislativo 29 ottobre 1998 n. 387 nella parte in cui non consente anche con effetto retroattivo la retribuzione delle mansioni superiori, per pretesa violazione dell’art. 36 della Costituzione; produce, inoltre, certificazione del Segretario generale dell’Ente attestante la situazione pregressa della pianta organica, ed altra relativa anche alla sua attuale posizione di servizio nell’Ente;

     - costituitosi il Comune di Nola per resistere all’impugnazione, la causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 26 novembre 2004 e trattenuta in decisione. 

       Ritenuto e considerato in diritto che:

     - ricorrono i presupposti per decidere nella forma semplificata di cui all’art. 26, commi 4 e 5, L. n. 1034 del 1971 nuovo testo;

     - l’appello, infatti, è manifestamente infondato;

     - come rilavato dal giudice di primo grado, l’inquadramento nel ruolo dei dipendenti dell’Ente locale a norma ed in applicazione della legge n. 138 del 1984, ancorché parametrato alle nuove qualifiche funzionali previste dal D.P.R. n. 347 del 1983, non poteva tenere conto delle mansioni effettivamente svolte, eventualmente superiori a quelle dovute sulla base della legge speciale, che fissa, al riguardo, regole puntuali che escludono, in radice, la rilevanza delle suddette mansioni, sia ai fini sia economici sia ai fini della  progressione in carriera (per tutte, da ultimo, Sez. V, n. 286 del 17 gennaio 2000);

      - le anzidette mansioni superiori non assumono rilievo neppure per ciò che riguarda la mera maggiorazione retributiva;

     - è già stato autorevolmente affermato che l' art. 36 Cost., che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità di lavoro prestato, non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall' art. 98 Cost. (che nel disporre che «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione» vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio ) e dall' art. 97 Cost. (contrastando l' esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l' imparzialità dell' Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari) (sul punto, già A.P. n. 22 del 19 novembre 1999);

     - il Supremo consesso della giurisdizione amministrativa, già con la citata decisione (e successivamente con le decisioni nn. 10 ed 11 del 2000) ha avuto modo di precisare che nell'ambito del pubblico impiego è la qualifica e non le mansioni il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerato anche l'assetto rigido della Pubblica amministrazione sotto il profilo organizzatorio, collegato anch'esso, secondo il paradigma dell'art. 97, ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica; con la conseguenza che l'Amministrazione é tenuta ad erogare la retribuzione corrispondente alle mansioni superiori solo quando una norma speciale consenta tale assegnazione e la maggiorazione retributiva;

     -ciò non sussiste nel caso in esame, che verte sulla pretesa retributiva di dipendente di Ente locale;

     - sulla materia, infatti, a parte i principi generali sopra enunciati, giova rilevare che tutte le disposizioni dei regolamenti organici dei dipendenti degli Enti locali che, ai sensi dell' art. 220 T.U. 3 marzo 1934 n. 383, attribuivano rilevanza allo svolgimento di mansioni superiori svolte, sono state abrogate per incompatibilità dall' art. 6 D.L. 29 dicembre 1977 n. 946, come convertito dalla L. 27 febbraio 1978 n. 43, ( con il quale è stato vietato agli Enti predetti di erogare ogni trattamento economico previsto dagli accordi nazionali), il cui contenuto è stato più volte ribadito e da ultimo confermato dall' art. 11 L. 9 febbraio 1983 n. 93 (in termini, Sez. V. n. 3326 del 15 giugno 2000 e, già prima, n. 1307 del 4 novembre 1996);

     - nella ricostruzione storica dell’evoluzione dell’istituto, con riguardo al graduale passaggio alla «privatizzazione» del rapporto di impiego dei pubblici dipendenti, è stato anche osservato come soltanto l'art. 57 del D.L. vo 3 febbraio 1993 n. 29 ha introdotto (in attuazione della delega legislativa contenuta nell'art. 2, lett. n), della L. 23 ottobre 1992 n. 421) una nuova, completa disciplina dell'attribuzione temporanea di mansioni superiori, riconoscendo entro certi limiti rilevanza economica a detta attribuzione, con disposizioni peraltro innovative del pregresso sistema (IV Sez., n. 1205 del 12 novembre 1996 n. 1205);

     - è stato però rilevato come la norma sia stata poi abrogata dall'art. 43 del D.L. vo 31 marzo 1998 n. 80, senza avere avuto mai applicazione (la sua operatività è stata più volte differita, da ultimo, al 31 dicembre 1998 con l'art. 39 comma 17 della L. 27 dicembre 1997 n. 449); la materia è stata poi  disciplinata dall'art. 56 del D.L. vo n. 29 del 1993 (nel testo sostituito con l'art. 25 del D.L. vo n. 80 del 1998), che (come già l'art. 56 comma 2 nel testo originario) ha confermato l'indirizzo elaborato dal Consiglio di Stato;

     - detta norma, nella sua originaria formulazione, prevedeva espressamente la retribuibilità dello svolgimento delle mansioni superiori, ma (comma 6), ne rinvia l'applicazione in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita;

     - essa disponeva, infatti che «fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore » (art. 56 citato comma 6);

     - le parole «a differenze retributive o» sono state soppresse dall'art. 15 del D.L. vo 29 ottobre 1998 n. 387 (pubblicato sulla G.U. 7 novembre 1998 n. 261), ma ovviamente con effetto dalla sua entrata in vigore, sicché l'innovazione, esulando dall'ambito temporale coinvolto dalla presente vertenza, non esplica su di essa alcuna efficacia (in termini, le già citate decisione dell’AP. n. 10 ed 11 del 2000 e 22 del 1999);

     - non vi è ragione di dubitare della legittimità costituzionale dell’art. 15 citato, per la parte in cui con conferisce al riconoscimento in questione una portata retroattiva, innanzitutto perché è nell’ordine generale della funzione, che le nuove norme non dispongano altro che per l’avvenire, salvo differente scelta del legislatore che (ove non sia espressamente vietato dallo stesso sistema dei principi costituzionali) è insindacabile anche dalla Corte costituzionale e, sul piano logico, in quanto, come ricostruito nelle citate decisioni dell’Adunanza Plenaria (dalle quali non vi è ragione di discostarsi) altrettanti rilevanti principi costituzionali, di pari grado rispetto a quelli invocati da parte ricorrente, precludevano, nel sistema del pubblico impiego, la generalizzata applicazione del differente principio affermato, in via ordinaria, nel rapporto di lavoro disciplinato dalla normativa privatistica ( art. 2103 Cod. civ., come sostituito dall'art. 13 della legge 20 maggio 1970 n. 300 che, per quanto riguarda l'obbligo di adeguare il trattamento economico alle mansioni esercitate, è stato ritenuto applicabile al settore dell'impiego pubblico – in termini, per tutte, V Sez., 11 maggio 1989 n. 274 -  soltanto nei limiti previsti da norme speciali);

     - in conclusione, del tutto correttamente il giudice di primo grado ha respinto anche la domanda retributiva di parte ricorrente;

     ciò vale anche indipendentemente dalla sussistenza o meno di disponibilità di organico vacante e dello svolgimento in concreto delle pretese mansioni superiori, in quanto, il principio della irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento, in tutte le sue forme, di mansioni superiori nell'ambito del pubblico impiego - salvo che tali effetti derivino da un'espressa previsione normativa - è un dato acquisito alla giurisprudenza amministrativa (già prima dell’insegnamento dell’Adunanza Plenaria, fra le tante, IV Sez., 17 maggio 1997 n. 647; C.G.A.R.S. 27 maggio 1997 n. 197; V Sez., 30 aprile 1997 n. 429, 24 marzo 1997 n. 290, 28 gennaio 1997 n. 99; VI Sez., 26 giugno 1996 n. 860 e 10 febbraio 1996 n. 189), che risponde testualmente al dettato normativo (come desumibile dalle fonti normative sopra citate) e che, per ciò che concerne specificamente i dipendenti degli enti locali, trova conferma ulteriore, a contrario, nella norma speciale, contenuta nell’art. 72 D.P.R. 13 maggio 1987 n. 268, che in via eccezionale (e dunque non analogicamente estensibile), prevede la corresponsione della retribuzione per lo svolgimento di funzioni superiori,  soltanto allorché si tratti di incarichi di livello dirigenziale, formalmente attribuiti, relativamente a posti di responsabili delle massime strutture organizzative dell’Ente, subordinandola peraltro, al formale conferimento dell’incarico da parte dei competenti organi di vertice (non essendo sufficiente la disposizione organizzativa impartita dal superiore gerarchico);

      Ritenuto, in conclusione, che l’appello deve essere respinto e che le spese del giudizio di appello – che si liquidano in dispositivo – devono essere poste a carico dell’appellante ed in favore del Comune resistente;

P.   Q.   M.

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) - definitivamente pronunciando –  respinge l’appello in epigrafe;

      Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Nola, delle spese del presente grado del giudizio, che si liquidano in complessivi € 1000,00= oltre IVA e CPA come per legge;

      Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

      Così deciso in Roma, addì  26 novembre 2004, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Emidio FRASCIONE                 PRESIDENTE

Rosalia BELLAVIA       CONSIGLIERE

Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI  CONSIGLIERE

Cesare LAMBERTI                                        CONSIGLIERE

Claudio MARCHITIELLO                              CONSIGLIERE

L’ESTENSORE                                    IL PRESIDENTE

F.to Chiarenza Millemaggi Cogliani    F.to Emidio Frascione 

IL SEGRETARIO

F.to Francesco Cutrupi 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 8 febbraio 2005

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL  DIRIGENTE

F.to Antonio Natale

  N°. RIC 2819/2000

MGR.