REPUBBLICA ITALIANA   N.  375/05 REG.DEC.

         IN NOME DEL POPOLO ITALIANO   N. 10523 REG.RIC.

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,   Quinta  Sezione      ANNO 1999

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

    sul ricorso in appello n. 10523/1999, proposto dalla Provincia di VARESE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Graziano DAL MOLIN ed elettivamente domiciliata in Roma, viale Giulio Cesare 14, presso l’avv. Gabriele PAFUNDI,

    C O N T R O

    il sig. Andrea STINCO, rappresentato e difeso dagli avv.ti Attilio CUCARI e Gerardo PICICHÈ e presso il secondo elettivamente domiciliato in Roma, viale Eritrea 9,

    per la riforma

    della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano, sezione II, 30 luglio 1999, n. 2865;

    visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

    visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

    viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

    visti gli atti tutti di causa;

    relatore, alla pubblica udienza del 19 ottobre 2004, il Consigliere Paolo BUONVINO; uditi, per le parti, gli avv.ti Gabriele PAFUNDI per delega dell’avv.to Dal Molin e Gerardo PICICHE’.

    Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

    F A T T O  

    1) - Con la sentenza appellata il TAR ha accolto in parte il ricorso proposto dal sig. Stinco per l’accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego con la Provincia di Varese, e condanna della stessa P.A. al pagamento dei diritti patrimoniali consequenziali.

    In particolare, i primi giudici, dopo aver rigettato la richiesta volta alla instaurazione di un rapporto di lavoro pubblicistico, hanno ritenuto, invece, sussistente il diritto dello stesso interessato alla indennità di fine servizio maggiorata degli interessi legali, con assolvimento degli obblighi previdenziali, poiché il rapporto instauratosi tra il medesimo e la Provincia non aveva carattere meramente professionale, ma di vero e proprio rapporto di servizio pubblicistico.

    2) - L’appellante Provincia di Varese deduce l’erroneità della sentenza in quanto, nella specie, il rapporto instaurato con l’odierno appellato non avrebbe mai avuto connotati di rapporto di lavoro pubblicistico, ma di mera locatio operis professionale.

    Resiste l’appellato che, nelle proprie difese, insiste per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza appellata.

    Con memorie conclusionali le parti ribadiscono i rispettivi assunti difensivi.

    Con ordinanza n. 149 del 18 gennaio 2000 la Sezione ha accolto l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata.

    D I R I T T O

    1) - Il presente appello verte sul carattere – di lavoro pubblicistico o meno – del rapporto instauratosi tra la Provincia appellante e il sig. Stinco.

    Si tratta, in particolare, di un rapporto instaurato, per la prima volta, con incarico professionale del 1981, poi reiterato fino al 31 dicembre 1995, seppure con contenuti in parte modificatisi nel tempo, che hanno indotto i primi giudici a ritenere l’insorgere della natura di lavoro pubblicistico nel rapporto in questione solo a far tempo dal 1986.

    L’appello della provincia di Varese, con cui viene contestata la natura pubblicistica del rapporto riconosciuta dal TAR, appare fondato.

    2) - Come è noto, per riconoscere la sussistenza di un rapporto di lavoro pubblicistico, questo deve essere caratterizzato dalla sommatoria di una pluralità di connotazioni formalistiche e sostanziali quali, in particolare, la subordinazione gerarchica, l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione interna dell’Ente, il rispetto di uno specifico orario di lavoro, la sussistenza di un vincolo di esclusività o di prevalenza, oltre che di continuità delle prestazioni da rendere a favore dell’Amministrazione (cfr., tra le tante, Sez. V, 18 marzo 2004, n. 1400;  14 maggio 2003, n. 2562; 9 novembre 1998, n. 1594; 3 ottobre 1997, n. 1094; 25 gennaio 1995, n. 134; Sez. IV, 3 marzo 1997, n. 176; Sez. VI, 8 luglio 1997, n. 1102).

    Ebbene, nella specie:

     - non vi è prova alcuna che l’interessato fosse assoggettato a vincoli di natura gerarchica o che, comunque, le sue prestazioni, di natura prettamente professionale-giornalistica, fossero subordinate ad un vaglio di natura gerarchica, tale non potendosi considerare le riletture di taluni articoli da parte di Presidente della Provincia o di assessori, in quanto trattasi di correzioni “di tiro”, mirate, a tutto concedere, a modificare semplicemente il taglio “politico” degli articoli di stampa;

     - l’interessato non era inserito nella struttura burocratica dell’Ente, non corrispondendo le mansioni dallo stesso espletate a quelle proprie di qualifiche funzionali o, comunque, a posti di organico dell’Ente stesso;

     - il medesimo non ha fornito prova alcuna di essere stato mai tenuto al rispetto dell’orario d’ufficio o al controllo dell’Ente sul rispetto di orari determinati, l’unico riferimento in proposito rinvenibile negli atti – mai impugnati – con i quali il rapporto è stato, in tempi successivi, disciplinato, essendo riconoscibile in un generico richiamo all’esigenza di assicurare un congruo numero di ore ai fini di un conveniente espletamento dell’attività professionale;

     - la mancanza di specifici quanto significativi vincoli quotidiani di orario non consente neppure di riconoscere al rapporto in questione il necessario carattere di esclusività o, almeno, di larga prevalenza;

     - neppure risulta che l’interessato fosse assoggettato alla potestà disciplinare della Provincia;

     - quanto al trattamento economico, lo stesso era corrisposto mensilmente, ma questo, da solo, non costituisce indice della natura del rapporto, dal momento che la cadenza mensile di corresponsione corrisponde ad un mero canone organizzativo, correlato al carattere duraturo del servizio convenzionalmente espletato; in altre parole, si tratta di semplice modalità di pagamento delle prestazioni professionali, ragguagliate, del resto, non ad emolumenti propri di una qualsiasi qualifica propria di rapporti di lavoro pubblicistici, bensì alla vigente tariffa professionale dei giornalisti.

    Alle notazioni che precedono si accompagna, infine, la considerazione che tutte le delibere di conferimento di incarico (come si ripete, rimaste inoppugnate) facevano riferimento ad un rapporto di carattere meramente professionale.

    Quanto alla circostanza, segnalata dal TAR, secondo cui carattere pregnante avrebbe assunto il fatto che l’interessato poteva avvalersi, nell’espletamento delle sue funzioni, del personale dell’ufficio (ciò che avrebbe indotto ad escludere la sussistenza di un’autonoma struttura con connotati imprenditoriali ed organizzazione propria), trattasi di elemento non determinante dal momento che, nel difetto di altri elementi univoci e significativi, la circostanza stessa non  può assurgere, di per sé, ad esclusivo indice rivelatore della natura pubblicistica del rapporto; ad ogni buon conto, altro è l’inserimento nell’apparato burocratico dell’Ente, altro la semplice facoltà di richiedere apporti collaborativi da parte del personale con rapporto di lavoro pubblicistico.

    Né le conclusioni reiettive che precedono vengono smentite dal fatto che, quanto meno a far data dal 1993 (cfr. delibera di G.P. 28 giugno 1993, n. 1529), all’interessato è stato anche conferito, congiuntamente all’incarico concernente la redazione della pubblicazione dell’amministrazione provinciale e della rassegna stampa, anche l’incarico semestrale, poi rinnovato, di “pubblico comunicatore e di addetto alle pubbliche relazioni”; e che, a partire dall’inizio del 1991 e fino alla definitiva cessazione dell’incarico, al medesimo appellato era stato anche conferito l’incarico di addetto stampa della provincia.

    E, invero, anche il compito di addetto stampa, non meglio specificato nei suoi contenuti, rientra nell’ambito delle mere attività professionali di carattere redazionale.

    Per ciò che attiene, poi, ai compiti di pubblico comunicatore e di addetto alle pubbliche relazioni si tratta di attività di cui non è stata affatto dimostrata l’effettiva natura e portata di rilevanza pubblicistica, né, comunque e a tutto concedere, l’oggettiva prevalenza nell’ambito del rapporto intercorso tra le parti, sicché non appaiono tali da sostanziare, di per sé, l’insorgere di un rapporto di lavoro pubblicistico.

    Quanto, infine, alla delibera commissariale dell’11 novembre 1993 con la quale al professionista sono stati accordati anche i compiti di sovrintendenza del personale della sezione Studi, la stessa è stata prontamente revocata, dopo poco più di un mese, dalla nuova Giunta, ciò che fa escludere, per difetto di continuità, la valenza del rapporto di lavoro pubblicistico.

    3)- Per tali motivi l’appello in epigrafe appare fondato e va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso di primo grado.

    Spese del doppio grado compensate.

    P.Q.M.

    il Consiglio di Stato, Sezione quinta, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

    Spese del doppio grado compensate.

    Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

    Così deciso in Roma il 19 ottobre 2004 dal Collegio costituito dai Sigg.ri:

Raffaele IANNOTTA      Presidente
Raffaele CARBONI      Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI  Consigliere

Paolo BUONVINO      Consigliere  est.

Goffredo ZACCARDI      Consigliere

L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE

F.to Paolo Buonvino   F.to Raffaele Iannotta

IL SEGRETARIO 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

L’11 febbraio 2005

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186) 

IL  DIRIGENTE

F.to Antonio Natale

 
  N°. RIC. 10523/99

LMP