R E P U B B L I C A I T A L I A N A
N.452/2005
Reg. Dec.
N. 4450 Ric.
Anno 2004
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
Sul ricorso r.g.n. 4450/2004 proposto in appello da Rete Ferroviaria Italiana spa, in persona del legale rappresentante prot tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ivone Cacciavillani; Chiara Cacciavillani e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Confalonieri n.5,
contro
Comune di Codroipo, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Paviotti con domicilio eletto in Roma via quattro fontane 10 presso lo studio legale Ghia,
e
Regione Friuli Venezia Giulia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita,
per l’annullamento
della sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia- Trieste n.115/2004 resa inter partes, concernente la negata autorizzazione di autorizzazione edilizia per la realizzazione di stazione radio-base di telefonia cellulare, che ha dichiarato in parte la irricevibilità del ricorso e in parte la inammissibilità.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del comune appellato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Relatore alla udienza pubblica del 23 novembre 2004 il Consigliere Sergio De Felice;
Uditi gli avvocati C. Cacciavillani, L. Manzi e R. Paviotti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
FATTO
La società appellante espone di essere la affidataria della gestione della infrastruttura ferroviaria nazionale, che comprende anche la costruzione e messa in esercizio dei sistemi e delle tecnologie di controllo e sicurezza connessi alla circolazione ferroviaria.
La società appellante, nell’esercizio delle sue attività, chiedeva al comune appellato autorizzazione alla installazione di stazione radio-base di telefonia cellulare, destinata alla comunicazione mobile del personale ferroviario, sia a fini di sicurezza che in genere di circolazione ferroviaria.
Il comune di Codroipo negava la autorizzazione sulla base di un presunto contrasto con quanto prescritto dalle norme tecniche di attuazione (art. 23) del piano regolatore generale comunale.
Contro tale diniego insorgeva in primo grado la società odierna appellante, deducendo vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.
Si deduceva che la contrarietà dell’intervento con il regolamento comunale era contrario al principio secondo il quale ai comuni non spettano competenze in materia di inquinamento elettromagnetico e tutela della salute, stante la limitazione dei regolamenti comunali di minimizzazione a soli fini edilizi ed urbanistici.
Non sono ammessi, inoltre, divieti generalizzati in talune zone, o le prescrizioni di distanze minime, senza adeguate giustificazioni di tipo esclusivamente edilzio-urbanistico.
Venivano rappresentate anche le esigenze tipiche dei suddetti interventi, funzionalizzati specificamente al servizio ferroviario.
Con la impugnata sentenza, il giudice di primo grado dichiarava il ricorso in parte irricevibile e in parte inammissibile.
La irricevibilità veniva ritenuta in base all’asserito principio in base al quale il termine per impugnare prescrizioni pianificatorie di ogni tipo decorrerebbe dalla pubblicazione sul B.U.R., ampiamente decorsa nella specie; conseguenzialmente, era da ritenersi inammissibile, per mancata tempestiva impugnazione nei termini dell’atto presupposto, la impugnativa del successivo atto consequenziale (il diniego di autorizzazione), che contenutisticamente riproduceva il divieto di cui alle norme tecniche di attuazione.
Avverso la suddetta sentenza propine appello la Rete Ferroviaria Italiana spa, deducendo la ingiustizia ed erroneità della pronuncia, in quanto, in primo luogo, nella specie non sussisteva l’onere di immediata impugnazione dell’atto generale, che poteva ben essere impugnato a seguito della effettiva lesione.
Nel merito, si insiste nella illegittimità di regolamenti comunali che impongano distanze minime e divieti in via generalizzata, in contrasto con i generali principi in materia di installazione di stazioni radio-base di telefonia cellulare. Si sottolinea, inoltre, la specificità delle stazioni di telefonia cellulare addette al funzionamento della rete ferroviaria, che ne giustifica, a maggior ragione, la vicinanza (non la distanza) rispetto alle stazioni ferroviarie.
Si è costituito il comune appellato, che insiste nel rigetto dell’appello e ribadisce la legittimità del suo operato.
Con ordinanza resa in data 30 luglio 2004 questa sezione del Consiglio di Stato ha accolto la richiesta di sospensione cautelare di efficacia della sentenza, fissando per il merito la udienza pubblica del 23 novembre 2004.
Alla udienza pubblica del 23 novembre 2004 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.In primo luogo, e in via preliminare, va affrontata la questione della decorrenza del termine per impugnare norme regolamentari del comune, che (all’interno delle norme tecniche di attuazione al piano regolatore comunale) impongano divieti generalizzati di installazione di stazioni radio-base di telefonia cellulare.
La sentenza di primo grado, contestata sul punto dall’appellante, ha ritenuto che l’onere di impugnazione decorrerebbe in ogni caso con la pubblicazione di tale atto regolamentare, anche per i soggetti non immediatamente lesi da tali atti.
Ad opinione del Collegio il motivo di appello è fondato.
A prescindere dalla eventualità dell’utilizzo dello strumento della disapplicazione, nei confronti di atti aventi valenza normativa, pur non impugnati (nei termini), il giudice di primo grado non ha infatti tenuto conto della distinzione tra regolamenti c.d. volizioni preliminari, che, caratterizzati da requisiti di generalità e astrattezza, contengono previsioni normative astratte e programmatiche, che non si traducono in una immediata incisione della sfera giuridica del destinatario, a nulla rilevando che ciò possa accadere in futuro, e i regolamenti c.d. volizioni-azioni, che contengono, almeno in parte, previsioni destinate alla immediata applicazione, in quanto capaci di produrre un immediato effetto lesivo della sfera giuridica del destinatario.
Soltanto in quest’ultimo caso può valere la regola, erroneamente applicata dal primo giudice, dell’onere di immediata impugnazione, che si concreta, per esempio, in caso di proprietario di suolo che il programma sottopone ad una destinazione di zona di un certo tipo (per esempio, agricola).
In tale ipotesi sarebbe corretta una pronuncia di tardiva impugnazione, perché proposta solo successivamente, in via congiunta con l’impugnazione di diniego di autorizzazione o concessione (in tal senso C. Stato, V, 12.6.1984, n.455).
I regolamenti comunali possono (nel senso che devono) essere oggetto di autonoma e immediata impugnazione solo quando sono suscettibili di produrre, in via diretta e immediata una concreta e attuale lesione dell’interesse di un determinato soggetto; se invece la lesione deriva dall’atto di applicazione concreta, le disposizioni regolamentari vanno impugnate solo congiuntamente al provvedimento applicativo, che, solo, rende attuale e certa la lesione dell’interesse protetto (Consiglio di Stato, IV, 12.10.1999, n.1558; 27.7.1987, n.449).
Pertanto, non tanto rileva la decorrenza del termine (dalla pubblicazione o da altro momento), quanto l’effettivo contenuto – nella specie non immediatamente lesivo - dell’impugnato regolamento comunale.
D’altronde, a ragionare in senso contrario, si anticiperebbe eccessivamente la soglia della lesività, che sarebbe riscontrata anche nei confronti di atti caratterizzati per astrattezza e generalità, aventi natura solo potenzialmente lesiva, anche in difetto di atti applicativi.
Pertanto, in accoglimento dell’appello, deve ritenersi errata la sentenza nel punto in cui ha dichiarato la irricevibilità per tardività della impugnazione (e conseguentemente la inammissibilità della impugnativa dell’atto consequenziale).
2.Con l’atto di appello si deduce altresì la illegittimità del regolamento comunale, nel punto in cui impone divieti generalizzati in alcune zone e distanze, in merito alla possibilità di installazione di stazioni radio-base di telefonia cellulare.
La censura è fondata.
La fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti con normativa statale non rientra nell’ambito delle competenze attribuite ai comuni dall’art. 8 L.36/2001.
Alla stregua della disposizione in esame, inoltre, non è consentito che il comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adotti misure che nella sostanza costituiscono una deroga ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione di stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di misure che pur essendo tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, e così via), non siano in realtà funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute dai rischi dell’elettromagnetismo (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 30.5.2003, n.2997; VI, 1.4.2003, n.1226; VI, 30.7.2003, n.4391; VI, 26.8.2003, n.4841).
Non spetta ai comuni disciplinare, nei regolamenti edilizi (nella specie, si tratta di regolamenti c.d. di minimizzazione, ai sensi dell’art. 8 L.36/2001), la installazione di stazioni radio-base di telefonia cellulare, con limitazioni e divieti generalizzati riferiti alle zone territoriali omogenee o con la introduzione di distanze fisse, da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino, allorché tale potere sia rivolto a disciplinare la compatibilità di detti impianti con la tutela della salute umana al fine di prevenire i rischi derivanti dalla esposizione della popolazione a campi elettromagnetici, anziché a controllare soltanto il rispetto dei limiti delle radiofrequenze fissati dalla normativa statale e a disciplinare profili tipicamente urbanistici.
L’atto di diniego di autorizzazione impugnato è pertanto da ritenersi viziato, per illegittimità derivata, in quanto riproduttivo contenutisticamente dell’illegittimo regolamento comunale che consente una limitata ubicazione, con divieto assoluto di ubicazione in alcune zone.
Inoltre, a prescindere dalla legislazione regionale richiamata dall’appellante (art. 6 comma 23 L.R.13/2000, che impone di tenere conto, ai fini del rilascio di autorizzazioni e concessioni per la installazione di stazioni radio-base di telefonia cellulare, delle esigenze di copertura del servizio sul territorio e delle misure adottate al fine di ridurre l’impatto ambientale degli impianti), deve considerasi che, nella specifica situazione sottoposta all’esame di questo Collegio, la installazione di telefonia cellulare, destinata alle comunicazioni ferroviarie di servizio, non potrebbe che essere collocata nella prossimità dei binari, pena il malfunzionamento del servizio.
3.Il diniego di autorizzazione risulta illegittimo, come rilevato e dedotto nell’appello, anche per vizi suoi propri.
E’ illegittimo, anche per difetto di motivazione, oltre che per violazione di legge, un generico e generalizzato atto negativo (di autorizzazione, concessione o divieto di prosecuzione in caso di denuncia di inizio di attività) che venga adottato, in forza dell’asserita contrarietà dell’intervento richiesto con la previsione del regolamento comunale di minimizzazione degli effetti dell’inquinamento elettromagnetico, senza ulteriori specificazioni motivazionali.
4.Si considerano assorbiti gli altri profili di censura.
Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va accolto, con conseguente riforma della impugnata sentenza, e conseguenziale annullamento degli atti impugnati in primo grado.
La condanna alle spese di giudizio segue il principio della soccombenza. Le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:
accoglie l’appello principale e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, annulla gli atti impugnati con il ricorso di primo grado.
Condanna il comune appellato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidandole in euro cinquemila, al netto di I.V.A. e C.A.P.;.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 23 novembre 2004, con l’intervento dei magistrati:
Gaetano TROTTA, Presidente
Costantino SALVATORE, Consigliere
Carlo DEODATO, Consigliere
Sergio DE FELICE, Consigliere, est.
Adolfo METRO, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Sergio De Felice Gaetano
Trotta
IL SEGRETARIO
Rosario Giorgio
Carnabuci
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
14/2/2005
(art. 55, L. 27.4.1982, 186)
per Il Dirigente
dott. Giuseppe
Testa
- -
N.R.G. 4450/2004
rl