N.2630/2005

Reg. Dec.

N. 828 Reg. Ric.

Anno 2005 

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

   Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello proposto dal Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., e dall’Avvocatura generale dello Stato, nella persona del legale rappresentante, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato presso la quale domiciliano per legge in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

contro

il dott. Corrado Carnevale, rappresentato e difeso  dall’avvocato Giovanni Pellegrino ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Corso Rinascimento n. 11;

per l'annullamento

   della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale  per il Lazio – I Sez. 7 ottobre 2004 n. 10451;

   Visto il ricorso con i relativi allegati;

   Visto l’atto di costituzione e la memoria dell’appellato;

   Visti gli atti tutti della causa;

   Relatore alla pubblica Udienza del 19 aprile 2005 il Consigliere  A. Anastasi; uditi gli Avv. Gianluigi Pellegrino e l’Avvocato dello Stato Tortora;

   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Pres. Corrado Carnevale, già titolare della I Sez. penale della Suprema Corte, è stato sottoposto, ad iniziativa della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, ad un processo penale che lo ha visto assolto in primo grado, condannato in appello e quindi definitivamente assolto perchè il fatto non sussiste dalla sentenza ( di annullamento senza rinvio) SS.UU. 30.10.2002.

Acquisiti dai due difensori di fiducia ( prof. Gianzi e avv. Mondello) i progetti di fattura per le prestazioni professionali relative all’intero processo, il Pres. Carnevale ha richiesto all’Amministrazione il rimborso delle spese legali, ai sensi dell’art. 18 D.L. n. 67 del 1997.

Il Ministero ha quindi provveduto a richiedere il parere di congruità previsto dalla citata normativa all’Avvocatura erariale la quale, all’esito di un complesso procedimento interno, ha in primo luogo ritenuto congruo un superamento degli importi massimi previsti per gli onorari in materia giudiziale penale nella tabella allegata al DM 5.10.1994 nei limiti del doppio, anzichè del quadruplo come richiesto dai difensori.

In secondo luogo l’Avvocatura ha ritenuto che, stante la sostanziale identità dell’impegno professionale prestato dai due avvocati, le prestazioni da questi svolte andassero rimborsate in uguale misura, quantunque la parcella dell’avv. Mondello di fatto esponesse un importo complessivo notevolmente superiore a quello valorizzato dal prof. Gianzi.

Infine l’Avvocatura, sulla base di specifici rilievi, riduceva il rimborso degli importi richiesti per onorari e indennità relativi alla fase delle indagini preliminari.

Il provvedimento col quale l’Amministrazione si è doverosamente adeguata al parere dell’Organo erariale è stato impugnato avanti al TAR Lazio dal Pres. Carnevale il quale ne ha chiesto l’annullamento, deducendo quattro motivi di censura.

Con il primo il ricorrente ha dedotto l’eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà e della disparità, rilevando che l’Avvocatura, dopo essersi inizialmente orientata per la congruità degli importi richiesti, aveva invece mutato opinione in assenza di fatti sopravvenuti, formulando il parere finale in termini più restrittivi.

Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione di legge, osservando che la valutazione di congruità cui si riferisce l’art. 18 D.L. n. 67/1997 può portare solo all’esclusione del rimborso per quelle spese che si siano rivelate eccessive o superflue.

Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto l’illogicità del parere nella misura in cui questo ritiene congrui importi di rimborso palesemente non adeguati alla complessità e rilevanza del processo che ha visto i due legali  vittoriosamente impegnati

Con il quarto motivo il ricorrente da un lato ha lamentato la mancata considerazione da parte dell’Avvocatura delle diversità intercorrenti fra le due parcelle; dall’altro ha contestato partitamente i rilievi formulati in relazione alla fase delle indagini preliminari.

In via principale il ricorrente ha domandato l’accertamento del suo diritto all’integrale rimborso delle spese sostenute.

Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale ha in generale  rilevato l’inammissibilità del petitum di accertamento, escludendo sul piano sistematico la sussistenza in capo al dipendente che chieda il rimborso di spese legali di una posizione soggettiva idonea a consentire l’adozione nei confronti dell’Amministrazione di misure di condanna.

Quindi  il Tribunale,  dopo aver respinto la prima censura, ha disatteso il secondo motivo, appunto riconoscendo il potere dell’Amministrazione di non ammettere a rimborso onorari di importo non adeguato all’importanza oggettiva dell’attività difensiva ancorchè ricompreso nei limiti tariffari.

Sulla scorta di tale premessa il Tribunale ha poi accolto il terzo motivo, ritenendo il parere dell’Avvocatura viziato per  illogicità e contraddittorietà nella misura in cui – pur procedendo dal presupposto del particolare rilievo soggettivo ed oggettivo del processo de quo – non ha riconosciuto la congruità dell’elevazione delle tariffe sino al quadruplo.

Infine, con riferimento alla quarta censura, il Tribunale – stigmatizzato l’assunto dell’Avvocatura in ordine alla sostanziale identità dell’impegno profuso dai due legali – ha in concreto accolto le doglianze del ricorrente riferite al mancato riconoscimento delle somme spettanti per rimborso forfettario spese generali e delle indennità relative ai vari accessi agli uffici; nonchè al mancato integrale riconoscimento degli onorari (compresivi di spese generali) richiesti dai due difensori per il dibattimento di primo grado e per i giudizi di appello e Cassazione.

Per quanto riguarda i rilievi, contenuti nei punti da 1 a 6 del parere ed afferenti agli onorari connessi a prestazioni professionali rese nella fase di indagini preliminari, il Tribunale ha preso atto della parziale acquiescenza dell’interessato alla ricostruzione fattuale operata dall’Avvocatura ed ha però confermato anche per i conseguenti compensi la legittimità della elevazione al quadruplo tariffario.

La sentenza è impugnata col ricorso in esame dall’Amministrazione, che ne chiede l’integrale riforma deducendo un unico ed articolato motivo d’appello.

Si è costituito l’appellato, resistendo con controricorso all’appello dell’Avvocatura del quale chiede il rigetto.

In vista dell’Udienza l’appellato ha depositato memoria.

All’Udienza del 19 aprile 2005 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2. L’appello dell’Amministrazione va respinto e la sentenza di primo grado merita conferma, peraltro con diversa motivazione, nella parte in cui ha annullato gli atti impugnati.

Con l’unico ed articolato motivo d’appello l’Avvocatura deduce in primo luogo che il Tribunale ha in realtà esorbitato dai limiti propri del sindacato di legittimità, addentrandosi in valutazioni di merito, o connotate da discrezionalità tecnica, come tali riservate all’Amministrazione.

In tal senso, osserva l’appellante che il primo Giudice – dopo aver erroneamente riscontrato nel parere la sussistenza di vizi di legittimità – è in realtà andato oltre, riconoscendo il titolo dell’istante al rimborso di onorari quadruplicati rispetto al massimo tariffario e quindi sostituendosi all’Amministrazione nella valutazione di congruità.

Nel merito, peraltro, l’appellante contesta che il processo (caratterizzato da un solo capo di imputazione elevato nei confronti di un unico imputato) possa aver comportato per entrambi i componenti del Collegio difensivo un impegno di natura così eccezionale da giustificare la detta simultanea quadruplicazione del massimo degli onorari.

Con riferimento alla mancata considerazione delle differenze intercorrenti tra le due notule, l’Avvocatura osserva poi che la valutazione di congruità ha carattere obiettivo, e può quindi entro certi limiti prescindere dal compenso in concreto richiesto dal professionista al cliente, il quale costituisce null’altro che la “base” o punto di partenza per la predetta valutazione.

Infine l’appellante contesta quanto statuito dal Tribunale in ordine alla illegittimità del mancato riconoscimento di specifiche voci di spesa afferenti alla fase delle indagini preliminari  e alle fasi ulteriori del processo.

3. Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.

Come è noto l’art. 18 comma 1 del D.L. 25.3.1997 n. 67, convertito con modificazioni dalla L. 23.5.1997 n. 135, prevede che “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato.”.

Tale previsione espressa del rimborso per le spese legali sostenute nei giudizi civili, penali e amministrativi (rimborso già introdotto per i giudizi di responsabilità avanti alla Corte dei conti dall’art. 3 comma 2 bis D.L. 23.10.1996 n. 543) ha parificato il trattamento dei dipendenti statali a quello del personale di altri comparti ( cfr. ad es. per il S.S.N. art. 41 DPR n. 270 del 1987; per gli Enti locali art. 67 DPR n. 268 del 1987) codificando una regola che la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato aveva comunque ritenuto generalissima e già desumibile ( oltre che da specifiche  disposizioni del cod. civ.  quale l’art. 1720, secondo comma, in tema di rapporti tra mandante e  mandatario)  dal divieto di  arricchimento senza causa sancito con norma di chiusura dall’art. 2041 cod. civ. (cfr.  V Sez. 22.12.1993 n. 1392, III Sez. par. 13.2.1996 n. 69, Comm. spec. par. 6.5.1996 n. 4).

Tanto rilevato in ordine alla genesi della normativa di riferimento, premette il Collegio che nella concreta applicazione della stessa al caso in esame deve qui prescindersi da ogni approfondimento in ordine alla effettiva consistenza della posizione giuridica della quale il Pres. Carnevale ha lamentato la lesione, avendo la sentenza di primo grado – con statuizione non gravata in via incidentale – già sostanzialmente escluso la ricorrenza in capo all’interessato di un diritto incondizionato o pieno al rimborso delle spese non superflue.

D’altra parte, anche non tenendo conto delle preclusioni di tipo processuale, non sembra al Collegio di poter condividere in toto la tesi ( pur autorevolmente di recente sostenuta da VI Sez. 2.8.2004 n. 5367 ) secondo cui la posizione giuridica soggettiva del dipendente richiedente il rimborso delle spese legali è quella di un diritto soggettivo, il riconoscimento del quale è subordinato solo al riscontro di alcune condizioni normativamente stabilite.

Ed infatti, se tanto può ben predicarsi in riferimento ad alcuni e predefiniti elementi della fattispecie ( quali ad esempio l'esistenza di una connessione dei fatti oggetto del giudizio con l'espletamento degli obblighi istituzionali, l'esistenza di una sentenza definitiva che abbia escluso la responsabilità del dipendente, l’individuazione dell’organo onerato)  la valutazione di congruità sul quantum debeatur da effettuarsi da parte dell' Avvocatura dello Stato ha invece connotati di evidente discrezionalità e costituisce perciò, per utilizzare costrutti tradizionali, frutto dell’esercizio di un potere conferito da una norma (almeno in parte qua) d’azione e non di relazione.

L’oggetto proprio di tale giudizio non si esaurisce infatti in quel  riscontro di conformità della parcella alla tariffa delle prestazioni professionali degli avvocati che ad es. la legge ( cfr. artt. 633 n. 2 e 636 cod. proc. civ.) demanda al Consiglio dell’Ordine ai fini dell’ammissibilità dell’ingiunzione di pagamento per crediti riguardanti onorari per prestazioni giudiziali.

In disparte il rilievo che, secondo costante insegnamento della Suprema Corte, la parcella vistata dal competente Ordine professionale, pur costituendo come si è visto titolo idoneo per l’emissione del decreto ingiuntivo a carico del cliente, non ha valore probatorio nel successivo ed eventuale giudizio ordinario di opposizione, e soprattutto non è vincolante per il giudice in ordine alla liquidazione degli onorari, costituendo una semplice dichiarazione unilaterale del professionista (cfr. Cass., sez. II, 29.1.1999 n. 807), sta di fatto che il potere valutativo demandato dalla norma all’Avvocatura comporta un necessario bilanciamento tra l’interesse del dipendente ad essere tenuto indenne dalle spese legali sostenute e l’interesse pubblico ad evitare erogazioni non appropriate, cioè come rilevato dal Tribunale non causalmente congrue in relazione al rilievo ed importanza dell’attività difensiva necessaria.

In concreto, come del resto già chiarito dalla sentenza impugnata, va quindi per un verso  recisamente escluso che il giudizio di congruità debba limitarsi alla espunzione ( art. 92 cod. proc. civ.) delle spese relative a prestazioni professionali eccessive o superflue; per l’altro affermato che il compito dell’Avvocatura consiste essenzialmente nel correlare gli indefettibili parametri normativi e tariffari ai tratti salienti della vicenda giudiziaria riguardata nella sua obiettività, e dunque alla natura, complessità e gravità della causa (nel suo complesso o se necessario nelle differenti fasi) e delle questioni giuridiche o probatorie ad essa sottese; alla posizione istituzionale dell’imputato; alla durata del procedimento; nonchè alla composizione della Difesa in relazione all’impegno professionale ad essa richiesto.

In una prospettiva funzionale, secondo il Collegio il giudizio demandato all’Avvocatura costituisce frutto di valutazioni discrezionali prevalentemente tecniche (oltre alla giurisprudenza sopra citata cfr. TAR Veneto – I Sez. 14.4.2004 n. 1033) e comunque  non riconducibili a quel vaglio di opportunità tra scelte tutte legalmente possibili e a quel bilanciamento dei diversi interessi (primario e secondari) coinvolti nell’azione amministrativa che costituisce l’essenza propria della discrezionalità c.d. pura.

Come è noto, sino a tempi recenti la giurisprudenza amministrativa è stata ferma nel ritenere che la discrezionalità tecnica – comportando la valutazione di fatti complessi alla stregua di regole scientificamente opinabili o di clausole indeterminate e non l’accertamento di fatti semplici secondo metodiche ragionevolmente incontrovertibili– fosse sottoposta sul piano processuale allo stesso regime delle  scelte di merito, sindacabili solo estrinsecamente in quanto immotivate, illogiche o abnormi. ( cfr. per tutte VI Sez. 22.8.2003 n. 4762).

A partire da IV Sez. 9.4.1999 n. 901 si è per contro rilevato che – ferma la preclusione per il g.a. di procedere in sede di giudizio di legittimità a quella diretta valutazione dell'interesse pubblico concreto relativo all'atto impugnato che costituisce elemento specializzante della funzione amministrativa - l'apprezzamento dei presupposti di fatto del provvedimento amministrativo costituisce elemento attinente ai requisiti di legittimità, con la conseguenza che il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici può svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'autorità amministrativa, bensì invece alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo.

Come osservato ( ad es. da VI Sez. 11.54.2003 n. 1927) il nuovo orientamento giurisprudenziale ha sostanzialmente trovato l’avallo del Legislatore il quale con l’art. 16 della legge n. 205 del 2000, integrando la previsione contenuta nell'art. 44 del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054, ha ricompreso la consulenza tecnica d'ufficio (prima ammissibile fuori della giurisdizione di merito solo in ipotesi particolari e cioè nelle controversie di lavoro pubblico e in quelle di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 35 del D. L.vo n. 80 del 1988) fra i mezzi istruttori che il giudice amministrativo può utilizzare in via generale nel processo amministrativo.

Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte, deve dunque concludersi in prima battuta nel senso che il giudizio tecnico discrezionale demandato dalla legge all’Avvocatura non è di per sè  intrinsecamente insindacabile, fermo restando che esso resta istituzionalmente riservato ( artt. 1 e 13 T.U. n. 1611 del 1933) ad un Organo caratterizzato dall’elevatissimo grado di competenza e dall'altissima specializzazione tecnico giuridica.

Nella controversia all’esame, peraltro, il punto nodale riguarda la congruità della richiesta dei difensori del Pres. Carnevale di elevare gli onorari al quadruplo dei massimi stabiliti, come previsto dall’art. 1  punto 2 delle Norme generali per la Tariffa penale (deliberata dal Consiglio nazionale forense in data 12.6.1993 ed approvata con DM 5.10.1994 n. 585) per le cause che richiedono un particolare impegno, e per la   complessità dei fatti e per le questioni giuridiche trattate.

Ne consegue che la valutazione dell’Avvocatura  ha ad oggetto per questa parte la congruità di una moltiplicazione del tetto tariffario sino a livelli massimi, moltiplicazione   già a sua volta consentita nel rapporto base tra avvocato e cliente solo in via speciale e non (almeno sul piano normativo) prevista quale ipotesi normale, come invece ritenuto dal Tribunale e dall’appellato.

Trattandosi dunque di riscontrare secondo la clausola indeterminata di congruità una determinazione dell’onorario che è a sua volta frutto della applicazione di parametri elastici, il giudizio finale risulta allora connotato sul piano strutturale da un elevatissimo grado di soggettività ed irripetibilità intesa, quest'ultima, come assenza di un criterio tecnico di riferimento certo, univoco o almeno tutto predeterminabile in astratto.

In definitiva, la latitudine dell’apprezzamento tecnico demandato all’Amministrazione in una con la immanente necessità di ponderazione nei sensi sopra visti ed all’interno di un procedimento valutativo unitario dell’interesse pubblico, induce il Collegio a ritenere impraticabile, per l’aspetto ora in esame, un sindacato sul provvedimento impugnato che esorbiti dal riscontro delle aporie motivazionali e logiche.

In questa prospettiva, il provvedimento impugnato effettivamente esibisce a giudizio del Collegio quei profili vizianti relativi alla contraddittorietà e perplessità di motivazione che hanno indotto il TAR ad annullarlo, in accoglimento della censura di eccesso di potere versata col terzo motivo nel gravame originario.

In generale, va infatti rilevato che l’Avvocatura nel contesto del parere – pur individuando in modo adeguato i tratti salienti della causa, da assumere a presupposto dell’operazione valutativa – non ha però in realtà evidenziato in base a quali massime d’esperienza, criteri o parametri ( ulteriori rispetto a quello del prudente apprezzamento) è pervenuta a ritenere incongrua  l’elevazione al quadruplo dell’importo degli onorari massimi tabellari con ovvio calibrato riferimento alla particolare fattispecie.

Nel contesto dell’atto di appello (come pure già in primo grado) l’Amministrazione osserva da un lato che essendo il collegio difensivo composto di due legali deve escludersi sul piano logico la possibilità di riconoscere con carattere di generalità ed in capo ad entrambi i difensori la già eccezionale possibilità di quadruplicazione; dall’altro che la causa penale, al di là del suo incontestato rilievo, ha comunque riguardato un unico imputato e con un solo capo di imputazione.

Come eccepito dall’appellato, si tratta di deduzioni – a prescindere dalla loro consistenza logica - qui inconcludenti in quanto, secondo costante giurisprudenza, è inammissibile l’integrazione postuma della motivazione dell’atto amministrativo discrezionale, posto che in tal caso la motivazione deve assolvere alla funzione di esternare le ragioni che inducono l'Amministrazione ad adottare il provvedimento e sulle quali si svolge il successivo sindacato di legittimità. ( ex multis VI Sez. 9.9. 2003 n. 5044 e V Sez. 24.9. 2003 n. 5446).

In secondo luogo, il parere impugnato addiviene ad una valutazione di congruità indistintamente riferita ad entrambi i difensori, sul rilievo della sostanziale identità dell’impegno da questi profuso.

Sul piano formale, si tratta però di una conclusione non adeguatamente motivata, risultando chiaro ad un mero riscontro delle parcelle che l’attività profusa dai due legali è stata, come analiticamente del resto rilevato dal Tribunale, ben differenziata sotto l’aspetto quantitativo.

In sede difensiva, già dalla memoria di costituzione in primo grado, l’Amministrazione ha chiarito il senso dell’affermazione, evidenziando che il giudizio di congruità ha connotazione obiettiva, essendo volto alla quantificazione del rimborso complessivamente erogabile al dipendente, e che pertanto le notule predisposte dai  professionisti costituiscono un mero termine di riferimento documentale.

A prescindere dagli aspetti integrativi sul piano motivazionale, può al riguardo sinteticamente osservarsi – richiamando le considerazioni generali sopra svolte – che il giudizio di congruità, pur avendo una finalità obiettiva, non può però tradursi in una determinazione che prescinda dal considerare l’effettiva realtà delle prestazioni professionali rese da ciascun difensore.

Quindi, se  il “numero degli avvocati che hanno condiviso il lavoro e la responsabilità della difesa” (art. 1 punto 1 Tariffa penale) costituisce certamente, come si è detto sopra, uno dei vari elementi valorizzabili per la determinazione dell’onorario e quindi a maggior ragione da tenere presente nel giudizio di congruità, è peraltro anche da ritenere che l’attività valutativa demandata all’Avvocatura può ragionevolmente  procedere solo da una considerazione di quanto richiesto per onorari in relazione alla diversificata attività svolta da ciascun difensore.

In termini piani,  nel caso in cui l’imputato si sia avvalso del diritto di nominare due difensori di fiducia come l’art. 96 cod. proc. pen. gli consente, la congruità del rimborso resta sempre un valore non determinabile in astratto, ma da ricavare partendo dall’attività difensiva ivi in concreto da ciascun legale spiegata. 

La statuizione costitutiva di annullamento degli atti impugnati contenuta nella sentenza di primo grado va quindi per questa parte confermata.

Tanto premesso, il Collegio non condivide invece l’ulteriore assunto del Tribunale, in base al quale l’illegittimità degli atti impugnati si estende fino al ( o dipende anche dal) mancato riconoscimento dell’elevazione sino al quadruplo per entrambi i difensori e per tutte le fasi del processo.

E ciò in primo luogo perchè, come puntualmente dedotto dall’Amministrazione, siffatta statuizione si pone dal punto di vista sostanziale in  irrimediabile contrasto con le ragioni di fondo pure condivisibilmente valorizzate nell’impianto complessivo della  sentenza per escludere l’ammissibilità del petitum di accertamento.

In termini concettuali e quanto agli effetti esecutivi la sentenza che accerta la debenza di una prestazione patrimoniale è certo diversa dalla sentenza che si limita ad annullare il diniego della stessa per motivi variamente conformati: e tuttavia, una volta ritenuto l’accertamento inconciliabile coi poteri discrezionali di cui gode l’Amministrazione, non sembra ragionevole e conseguente sul piano logico affermare l’illegittimità di ogni valutazione (discrezionale) che non perviene a riconoscere nella sua integralità i crediti in controversia.

Del resto sul piano sistematico, come da tempo acquisito nella giurisprudenza della Sezione, mentre l' effetto di annullamento dell' atto che consegue ad una sentenza amministrativa di accoglimento del ricorso non è delineato dai motivi di impugnazione, ma ha una estensione commisurata all' oggetto di impugnativa (anche se sia stata accolta una sola censura ), per contro, ai fini della delimitazione dell' ambito del giudicato sotto il profilo del c.d. effetto conformativo dell' ulteriore attività dell' Amministrazione, occorre aver riguardo alla tipologia ( meramente formale o sostanziale ) e al numero dei motivi accolti. (ad es. IV Sez. 11.9.2001 n. 4744).

E’ infatti evidente che mentre un eventuale giudicato di annullamento per soli vizi formali non elimina né riduce il potere dell' Amministrazione di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell' atto annullato ( con riferimento al difetto assoluto di motivazione cfr. anche V Sez. 17.4. 2002 n. 2006), l’annullamento per vizi sostanziali vincola invece in modo assoluto l’Amministrazione ad attenersi nella successiva attività alla statuizione del giudice.

Nel caso all’esame, il vizio di eccesso di potere come qui riscontrato  inerisce alla disfunzione derivante dalla mancata o perplessa considerazione da parte dell’Avvocatura dei vari profili ( in fatto e in diritto) della vicenda sopra richiamati e non quindi al mancato riconoscimento della congruità della quadruplicazione generalizzata, costituendo questo, come si è visto sopra, oggetto di valutazione non sindacabile intrinsecamente.

Di talchè, dal momento che l’esecuzione delle decisioni si fa in via amministrativa (art. 88 Reg. di procedura) salvo l’eventuale controllo in sede di ottemperanza, tale riconoscimento non può che costituire allo stato e in definitiva solo uno dei possibili esiti di approdo per la successiva e ancora discrezionale attività dell’Amministrazione, che ovviamente trova nella sentenza i binari per lo svolgimento della attività di ottemperanza.

4. Tanto chiarito in ordine alla questione principale e procedendo all’esame delle ulteriori questioni specifiche affrontate dal provvedimento e qui evocate con l’atto di appello, va in primo luogo ribadita – rinviando alle considerazioni sopra rassegnate al riguardo – l’esigenza generale di una specifica considerazione anche della parcella relativa alle prestazioni professionali espletate dall’avvocato Mondello.

Per quanto riguarda i rilievi formulati ai punti da 1 a 6 del parere, le riduzioni ivi operate sono state ritenute dal Tribunale incontestate e tali quindi restano in difetto di impugnazione incidentale, fermo  restando da un lato che dette riduzioni non possono ex se ed automaticamente estendersi anche alla parcella del gen. Mondello; dall’altro che ove la riduzione opera su somme duplicate la spettanza di una eventuale diversa maggiorazione seguirà le sorti della questione principale.

Per quanto riguarda il rimborso percentuale ex art. 8 per spese generali (ove non già ricomprese negli onorari), l’esclusione  dello stesso urta – in quanto non adeguatamente motivata – con la previsione dell’art. 8 della Tariffa che configura tale ristoro forfettario quale “dovuto”.

Per quanto riguarda gli accessi agli uffici nella fase di indagini preliminari, se è vero che la mancata specificazione delle date e dei motivi di svolgimento osterebbe ad un automatico integrale rimborso, è pur vero che a fronte degli elementi probatori rilevanti (numero delle sessioni con il P.M., interrogatori etc.) addotti dall’interessato il diniego totale di riconoscimento non risulta assistito da idonea motivazione.

Per quanto riguarda onorari e spese relativi alle ulteriori fasi processuali, valgono i rilievi già formulati sulla questione principale nonchè sulla necessità di specifica considerazione della parcella dell’avv. Mondello.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono, va quindi confermato con diversa motivazione quanto statuito in dispositivo dalla sentenza appellata in ordine al parziale annullamento degli atti impugnati.

L’appello dell’Amministrazione è perciò respinto.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione degli onorari e delle spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

   Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello e conferma la sentenza impugnata con diversa motivazione.

   Spese ed onorari del grado sono compensati.

   Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

   Così deciso in Roma il 19 aprile 2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:

   Paolo SALVATORE   Presidente

   Antonino ANASTASI  Consigliere

   Vito POLI    Consigliere

   Carlo SALTELLI   Consigliere

   Carlo DEODATO   Consigliere

   L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE

   Antonino Anastasi    Paolo Salvatore 
 

IL SEGRETARIO

Rosario Giorgio Carnabuci 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

24/05/2005

(art. 55, L. 27.4.1982, 186)

      per Il Dirigente

   dott.  Giuseppe Testa

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N.R.G. 828/2005


MA