R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.3251/2005

Reg. Dec.

N. 8689 Reg. Ric.

Anno 2004

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso in appello n. 8689/04, proposto da

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI E CORTE DEI CONTI,

rappresentate e difese dall’Avvocatura generale dello Stato e presso la medesima domiciliate “ex lege”, in Roma, via dei Portoghesi, 12;

C O N T R O

COLOSIMO Antonello,

rappresentato e difeso dall’avv. Mario Sanino e presso lo stesso elettivamente domiciliato, in Roma, viale Parioli, 180;

PER L’ANNULLAMENTO

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez. I, n. 5634 del 14 giugno 2004.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del soggetto appellato, dott. Colosimo;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 5 aprile 2005, il Consigliere Eugenio Mele;

Uditi l’Avvocato dello Stato Bachetti e Mario Sanino;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

La Presidenza del Consiglio dei ministri e la Corte dei conti impugnano la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, in parziale accoglimento del ricorso presentato dal soggetto appellato, ha riconosciuto allo stesso, in applicazione del divieto della “reformatio in pejus”, l’indennità di posizione variabile dallo stesso goduta nell’Amministrazione di appartenenza prima della nomina a Consigliere della Corte dei conti, rigettato invece il “petitum” relativo all’indennità di risultato.

Avverso la suddetta sentenza si gravano le amministrazioni appellanti, rilevando la erroneità della sentenza medesima, in quanto il dott. Colosimo, anteriormente alla sua nomina a Consigliere della Corte dei conti, era dirigente di prima fascia con contratto presso il Ministero delle comunicazioni e con incarico di direttore generale degli affari generali e del personale, a cui competeva una retribuzione fissa in ogni caso e una retribuzione variabile, discendente da un contratto individuale, retribuzione quest’ultima, non solo variabile da incarico a incarico, ma anche precaria sia perché collegata con il mantenimento dell’incarico e sia perché soggetta all’eventuale “spoil system”, oltre al fatto dell’essere temporalmente limitata alla durata del contratto.

Ritengono, perciò, le amministrazioni appellanti che l’indennità di posizione variabile non contenga gli elementi per farla considerare rientrante nella retribuzione fissa.

Ancora, rilevano le amministrazioni appellanti che l’appellato ha provveduto a ricontrattare il proprio emolumento con l’Amministrazione di pregressa appartenenza dopo la nomina a Consigliere della Corte dei conti, riuscendo ad ottenere miglioramenti da trascinare nella nuova posizione, già peraltro acquisita.

Il soggetto appellato si costituisce in giudizio e resiste all’appello, rilevando come l’art. 202 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, nello stabilire il divieto della “reformatio in pejus”, non individua alcuna differenza tra trattamento economico fondamentale e trattamento economico accessorio, parlando invece di trattamento economico complessivo.

Del resto, la stessa giurisprudenza ha sempre escluso dalla retribuzione complessiva, al fine della valutazione del divieto della “reformatio in pejus” soltanto gli emolumenti aventi carattere precario ed accidentale.

Peraltro, la ricontrattazione intervenuta successivamente alla nomina a Consigliere della Corte dei conti non è stata posta in essere “ad arte”, come sembra evincersi dall’atto di appello, ma perché era venuto a scadenza il precedente contratto e l’appellante era rimasto in servizio presso il Ministero delle comunicazioni, non essendo stato possibile ancora prendere servizio presso la Corte dei conti.

L’appellato presenta, infine, appello incidentale, relativamente alla esclusione dalla nuova retribuzione dell’indennità di risultato, anch’essa chiaramente di carattere non precaria ed occasionale.

Alla pubblica udienza del 5 aprile 2005, la causa è spedita in decisione.

D I R I T T O

La vicenda giuridica sottoposta all’esame del Collegio, pur inquadrata nel genere abbastanza conosciuto e abbondantemente sceverato dalla giurisprudenza del cosiddetto divieto della “reformatio in pejus” del trattamento economico dei dipendenti pubblici, presenta aspetti problematici in connessione soprattutto con il mutato regime di retribuzione dei dirigenti inseriti nella pubblica amministrazione, per cui il Collegio stesso ritiene necessaria una puntualizzazione della materia che investe la nuova problematica e che ritiene possa essere risolta una volta per tutte soltanto dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Ed invero, il principio del divieto della “reformatio in pejus”, di cui all’art. 202 del testo unico degli impiegati civili dello Stato, approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, finora era stato pacificamente interpretato dalla giurisprudenza nel senso che il soggetto che trasmigrava da una ad un’altra pubblica amministrazione conservava – sia pure con successivo riassorbimento – il godimento degli emolumenti di natura fissa che caratterizzavano la sua retribuzione, mentre non potevano essergli riconosciuti quegli emolumenti di carattere eventuale, non elargiti come voce fissa della retribuzione (“ex multis”, Cons. St., sez. VI, 3 giugno 2002, n. 3086; Cons. St., sez. VI, 9 maggio 2000, n. 2674; Cons. St., sez. IV, 16 febbraio 1998, n. 287; Cons. St., sez. IV, 12 dicembre 1996, n. 1292; Cons. St., sez. V, 3 ottobre 1995, n. 1369).

Ora, però, rileva il Collegio che negli ultimi anni il sistema retributivo dei dirigenti pubblici è completamente cambiato, per cui occorre un adeguamento della giurisprudenza pregressa alla nuova realtà retributiva.

Infatti, attualmente, i dirigenti pubblici percepiscono una retribuzione che può essere suddivisa in tre distinte componenti: uno stipendio base, attribuito al soggetto in relazione alla qualifica posseduta, un’indennità di funzione dirigenziale, variabile non tanto in ragione della qualifica ma soprattutto in relazione all’ufficio dirigenziale di attribuzione, e un’indennità di risultato, collegata al raggiungimento o meno, integrale o parziale, di obiettivi preventivamente determinati.

Nessun problema si pone, naturalmente, per lo stipendio base, trattandosi di un emolumento stabilito tabellarmente e collegato esclusivamente con la qualifica posseduta.

L’indennità di posizione dirigenziale presenta, viceversa, aspetti peculiari di novità rispetto al passato: essa, infatti, è collegata all’ufficio dell’Amministrazione al quale il dirigente è preposto, con la conseguenza che varia a seconda dell’ufficio medesimo e può anche variare nel corso dello sviluppo del rapporto di servizio, in ragione di eventuali, possibili spostamenti di ufficio.

L’indennità in parola assume, quindi, un valore oggettivo (collegamento con l’ufficio), ma anche un’efficacia temporale puramente incerta.

Non vi è dubbio che l’indennità in parola rappresenta un emolumento fisso, corrisposto al dirigente per lo svolgimento delle sue funzioni operative in un certo ufficio, e sembrerebbe quindi che, nel caso di applicazione della conservazione del trattamento stipendiale pregresso, essa debba essere valutata con riferimento a quella concretamente percepita all’atto del passaggio dall’una all’altra amministrazione pubblica, trattandosi indubbiamente di un elemento della retribuzione che viene corrisposto con carattere di continutà tutti i mesi, ma sia la sua possibile modificazione per effetto di trasferimento ad altro ufficio e sia la  pur remota possibilità di una sua eliminazione in caso di collocamento in disponibilità, determina una perplessità che si ritiene sia il caso che sia risolta una volta per tutte dall’Adunanza plenaria, in quanto la novità della questione potrebbe determinare non uniformità di decisioni in sede di valutazione sezionale singola.

Ancora più perplessa appare la conservazione, in sede di passaggio ad altra Amministrazione pubblica, dell’indennità relativa al raggiungimento degli obiettivi.

Vero è che, nella pratica corrente non si riscontrano normalmente fattispecie punitive per dirigenti che non abbiano raggiunto gli obiettivi (nel qual caso, peraltro, occorrerebbe attivare lo speciale procedimento parasanzionatorio previsto nel decreto legislativo n. 165 del 2001) e che, conseguentemente, tale indennità finisce per essere una voce corrente della retribuzione, anch’essa corrisposta in modo fisso e continuativo, ed è vero, altresì, che le retribuzione dei dirigenti, comprensive di queste tre voci, hanno carattere di onnicomprensività, essendo ricompresi in essa anche eventuali emolumenti discendenti da incarichi istituzionali, ma il carattere, sia pure teoricamente, non certo dell’indennità in parola dà luogo indubbiamente a qualche perplessità in ordine alla sua commisurazione in sede di individuazione dell’intangibilità del trattamento economico  in occasione del passaggio ad altra amministrazione pubblica, per cui anche per tale vicenda si ritiene opportuno una pronuncia dell’Adunanza plenaria.

Per le considerazioni suesposte, il Collegio deferisce la questione, ivi compresa la decisione sulle spese del giudizio, all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV),  pronunciando sull’appello in epigrafe, lo deferisce all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

      Così deciso in Roma, addì 5 aprile 2005, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di Consiglio con l'intervento dei signori:

Lucio VENTURINI     - Presidente

Aldo SCOLA     - Consigliere

Anna LEONI     - Consigliere

Carlo SALTELLI     - Consigliere

Eugenio MELE     - Consigliere est.

L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE

Eugenio Mele   Lucio Venturini 

IL SEGRETARIO

Rosario Giorgio Carnabuci 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

21/06/2005

(art. 55, L. 27.4.1982, 186)

      per Il Dirigente

   dott. Antonio Serrao

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N.R.G. 8689/2004


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