REPUBBLICA ITALIANA N.3672/05 REG.DEC.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 7752 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2002
ha pronunciato la seguente
decisione
sul ricorso in appello n. 7752 del 2002 proposto dalla TRIBUTARIA INTERCOMUNALE S.P.A., in persona del vice Presidente del Consiglio di amministrazione l.r. p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Gennaro Notarnicola, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Mantegazza n. 24, presso il cav. Luigi Gardin;
contro
il COMUNE DI CASSANO DELLE MURGE, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Felice Eugenio Lorusso e Fabio Lorenzoni, elettivamente domiciliato in Roma, alla via del Viminale n. 43, presso lo studio del secondo difensore;
per la riforma
della sentenza n. 1659 del 20.2.2002/2.4.2002, pronunciata tra le parti dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia, Bari, sez. I;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ente civico intimato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore il consigliere Gabriele Carlotti;
Uditi alla pubblica udienza dell’8.2.2005 l’avv. G. Notarnicola per la Società appellante e gli avv.ti F. Lorenzoni e F.E. Lorusso per il Comune di Cassano delle Murge;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. Viene in decisione l’appello interposto dalla Tributaria Intercomunale S.p.a. (d’ora innanzi, “Tributaria Intercomunale”) contro la sentenza, specificata in epigrafe, pronunciata dal T.a.r. della Puglia su tre ricorsi riuniti, di cui due proposti dalla società ricorrente (allibrati al registro generale del Tribunale barese coi nn. 304/2000 e 1711/2000) e l’altro dal Comune di Cassano delle Murge (iscritto col n. 1483/2000).
2. Nel giudizio così promosso si è costituito l’ente civico appellato, contestando tutte le deduzioni avversarie e concludendo per l’integrale reiezione del gravame.
3. All’udienza dell’8.2.2005 parti e causa sono state assegnate in decisione.
4. Per un corretto inquadramento delle questioni sottoposte all’esame del Collegio è indispensabile premettere alla successiva esposizione una sintetica ricostruzione della complessa vicenda sulla quale s’innesta la controversia devoluta alla cognizione della Sezione.
A tal fine è utile far riferimento alla dettagliata narrativa contenuta nel “Fatto” della decisione impugnata.
5. Con la deliberazione n. 8 del 9.3.1995 il Consiglio comunale di Cassano delle Murge, richiamato l’art. 12 della legge n. 498 del 1992, promosse la costituzione di una società a prevalente partecipazione privata, da denominare “Tributaria Intercomunale S.p.A.”, con capitale sociale ammontante a lire 200.000.000 (di cui il 60% riservato ad un socio privato da selezionarsi attraverso il previo esperimento di una procedura di evidenza pubblica), «… allo scopo di realizzare e gestire un’anagrafe tributaria comunale con personale specializzato e con tecnologie avanzate sgravando il Comune da tutti gli adempimenti connessi».
Nel dispositivo della deliberazione, recante contestualmente l’approvazione dello statuto, dell’atto costitutivo della costituenda società, nonché lo schema di convenzione per l’affidamento in concessione del servizio – si precisava, al punto 1), che nell’ambito dell’oggetto sociale rientrava anche la «… gestione di tutti i tributi comunali con monitoraggio dell’evasione e pianificazione finanziaria».
5.1. Con una successiva deliberazione – la n. 20 del 1°.3.1996 - il Consiglio comunale approvò modifiche allo statuto, all’atto costitutivo ed allo schema di convenzione.
In seguito la Giunta municipale, con proprio atto n. 210 del 29.7.1997, indisse un’asta pubblica col sistema di cui agli artt. 73, lett. c), e 76 del R.D. n. 827/1924, contestualmente approvandone il bando, onde «selezionare il partner privato della costituenda società mista»; nel contempo, a modifica dell’art. 12 dello schema di convenzione si riconobbe alla società concessionaria costituenda «… un rimborso forfettario commisurato a £. 4.000 per ogni unità costituente gli schedari» (ovvero gli schedari immobiliari per l’imposta comunale sugli immobili; quelli delle persone fisiche, delle società e delle associazioni per l’imposta comunale sull’industria, le arti e le professioni; lo schedario generale dei contribuenti per la tassa sulla raccolta dei rifiuti solidi urbani).
5.2. Alla gara pubblica partecipò, quale unica concorrente, la società “il Pellicano” S.r.l., corrente in Cassano delle Murge, offrendo un aggio percentuale nella misura del 28,50%, a fronte di quello pari al 30% stabilito nel bando.
5.3. Con deliberazione della Giunta municipale n. 321 del 16.11.1997 venne approvato il verbale di aggiudicazione, con autorizzazione al Sindaco ad intervenire nella stipulazione dell’atto pubblico per la costituzione della società.
5.4. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 6 del 5.3.1998, preso atto del limite minimo stabilito dal D.P.R. 16.9.1996, n. 533, il capitale sociale fu elevato a £. 1.000.000.000, ripartito in £. 300.000.000 a carico dell’amministrazione comunale ed in £. 700.000.000 in capo al socio privato, con conseguente modifica dello statuto.
5.5. La società venne quindi costituita il 3.8.1998, con atto omologato dal Tribunale di Bari il 28.9.1998; indi iscritta al registro delle imprese, ed - una volta sottoscritta, il giorno 31.10.1998, la convenzione per l’affidamento in concessione (prot. n. 1241) rogata dal Segretario generale del Comune in forma pubblica amministrativa - la società mista venne immessa nella gestione del servizio.
5.6. Con nota sindacale, prot. n. 10260, del 4.8.1999, richiamato l’art. 52 del D.Lgs. n. 445/1997 in tema di affidamento dei servizi di accertamento e di riscossione dei tributi a società a prevalente partecipazione di capitale pubblico con soci privati iscritti nell’apposito albo di cui al successivo art. 53 (salvo che per le società già costituite alla data di entrata in vigore del decreto), si chiese un parere al Ministero delle Finanze ed al Ministero dell’Interno circa l’esistenza, nel caso della Tributaria Intercomunale, dei «… requisiti formali e sostanziali per ritenere conforme all’ordinamento» la detta società mista, a prevalente capitale privato”.
5.7. Con nota del Dipartimento delle entrate – Direzione centrale per la fiscalità locale del Ministero delle Finanze, n. 7/158604-99 di prot. del 19.11.1999, si evidenziò come, nelle more della istituzione dell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997 e dei regolamenti ministeriali di attuazione, risultasse «… evidente la totale mancanza dei requisiti prescritti dalla normativa vigente da parte della suddetta società», reputandosi «… la costituzione della società mista in questione … del tutto illegittima, con la conseguenza che la eventuale attività deve essere considerata, fin dall’inizio, svolta senza titolo».
Il Comune venne quindi invitato «… ad attivarsi prontamente ai fini del ripristino della legalità, mantenendo al corrente [la Direzione erariale] delle iniziative intraprese in tal senso, e rammentando le personali responsabilità degli amministratori che pongono in essere e mantengono situazioni illegittime».
5.8. Con deliberazione n. 48 del 18.12.1999, nel prendere atto del suddetto parere, il Consiglio comunale si determinò a «dar corso alla nota…» ministeriale, ad «… assumere le iniziative atte a garantire il totale e pieno ripristino della legalità nella gestione della funzione tributaria … uniformandosi alle prescrizioni in tal senso fornite dal Ministero delle Finanze», ad «… attivare le procedure … necessarie per definire i consequenziali rapporti con il contribuente, in primo luogo recuperando al Comune la funzione tributaria», a «… provvedere in tal senso a porre in essere le iniziative volte ad assicurare la presenza dell’Ufficio Tributi all’interno dell’apparato attualmente esistente…» ed, infine, a «…dichiarare e significare sin d’ora la volontà di ripristinare, nelle forme e nei modi consentiti, la legalità dal Ministero assunta, nella fattispecie, come violata, riservandosi per il prosieguo ogni eventuale occorrendo atto deliberativo».
5.9. Con nota, prot. n. 134, del 4.1.2000 l’ente chiese alla Tributaria Intercomunale di fornire «… i dati relativi alla gestione dei tributi effettuata in virtù della convenzione … con riferimento agli esercizi 1998 e 1999, suddivisi per tipo di tributo e per anno», con produzione «senza indugio» degli archivi informatici e cartacei depositati presso la società «… al fine di consentire … lo svolgimento dell’attività di accertamento e riscossione dei tributi, della TARSU, ICI e ICIAP», significando che «… a partire dal 3.1.2000 ogni attività riguardante l’attività in corso [dovesse] necessariamente essere sospesa».
5.10. Con nota, prot. n. 125, del 5.1.2000 il Sindaco - ribaditi i contenuti della deliberazione consiliare n. 48 del 18.12.1999 e richiamate le ragioni di illegittimità divisate nel parere del Ministero, oltre ai profili di non economicità della gestione per l’amministrazione - comunicò «… l’avvio del procedimento di autotutela in materia da parte dei competenti organi municipali…» nonché il nominativo del relativo responsabile, con facoltà della società di «… proporre eventuali memorie e/o osservazioni».
5.11. Con un primo ricorso, iscritto al n. 304/2000 r.r., la società Tributaria Intercomunale impugnò tanto la deliberazione consiliare n. 48 del 18.12.1999, quanto le note dianzi indicate n. 134 del 4.1.2000 e n. 125 del 5.1.2000, ma non anche il parere ministeriale.
5.12. Con successiva deliberazione di Consiglio comunale n. 30 del 13.6.2000, richiamati gli sviluppi amministrativi della vicenda ed evidenziati i profili di illegittimità relativi alla costituzione della società mista ed all’affidamento della gestione del servizio (in relazione alla violazione di varie disposizioni del D.P.R. n. 533 del 1996, sia con riferimento al capitale sociale iniziale e alla sua composizione per omessa previsione di quota da destinare all’azionariato diffuso, sia alle modalità della gara svolta per la scelta del socio privato di maggioranza, sia alla carenza dei requisiti soggettivi in capo a quest’ultimo in violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, sia a profili di sostanziale onerosità della gestione affidata alla società mista rispetto alla gestione diretta comunale, sulla scorta di apposita relazione dell’ufficio tributi), si dispose l’annullamento in via di autotutela delle deliberazioni consiliari n. 8 del 9.3.1995, n. 20 del 1°.3.1996 e n. 6 del 5.3.1998, rinviando alla Giunta municipale per l’annullamento degli atti ad esse consequenziali, nonché di «… procedere dinanzi le competenti sedi giurisdizionali, proponendo le necessarie azioni giudiziarie per l’accertamento della sussistenza di cause di nullità e/o di annullabilità nella concessione-convenzione», riservando a separati provvedimenti le iniziative conseguenti.
5.13. Con deliberazione di Giunta municipale n. 115 del 14.6.2000 venne quindi disposto l’annullamento in autotutela delle deliberazioni n. 210 del 29.7.1997 e n. 321 del 14.11.1997.
5.14. Con ulteriore ricorso, iscritto al n. 1711/2000 r.r., la società Tributaria Intercomunale impugnò gli atti deliberativi da ultimo richiamati.
5.15. Con ricorso, iscritto al n. 1483/2000 r.r., il Comune di Cassano delle Murge propose domande dirette ad ottenere la declaratoria della nullità della convenzione stipulata il 3.8.1998 o, alternativamente, l’annullamento della stessa.
5.16. Con atto notificato il 25.12001 la società Tributaria Intercomunale controdedusse alle domande avversarie e spiegò, a sua volta, domanda riconvenzionale, con cui chiese in via successivamente gradata:
- il rigetto delle avverse domande con declaratoria della piena validità ed efficacia della concessione-convenzione sino alla scadenza contrattuale e la condanna del Comune di Cassano delle Murge al pagamento della somma di £. 1.408.850.035 a titolo di corrispettivo per le prestazioni rese dalla società sino alla fine dell’anno 1999, salva la maggior somma dovuta fino alla decisione, oltre al risarcimento del danno, indicato in £. 3.000.000.000, da determinarsi a mezzo di C.T.U.;
- in caso di declaratoria di annullamento della concessione-convenzione, la condanna del Comune di Cassano delle Murge al pagamento della somma di £. 1.408.850.035 a titolo di corrispettivo per le prestazioni rese dalla società sino alla fine dell’anno 1999, salva la maggior somma dovuta fino alla decisione, con accertamento della responsabilità dell’amministrazione comunale in ordine al danno cagionato alla società, e condanna al risarcimento del medesimo, indicato in £. 3.000.000.000, da determinarsi a mezzo di C.T.U.;
- in caso di declaratoria di nullità della concessione-convenzione, l’accertamento della responsabilità del Comune di Cassano delle Murge in ordine al danno cagionato alla società, esclusa ogni responsabilità della medesima, con condanna del Comune di Cassano delle Murge al risarcimento del danno, indicato in £. 3.000.000.000 e da determinarsi a mezzo di C.T.U., nonché al pagamento della somma di £. 1.403.850.035 a titolo di arricchimento senza causa, oltre la maggior somma relativa all’attività prestata per il 2000;
- con aggiunta, in ogni caso, della rivalutazione monetaria e degli interessi e con riserva di richiedere e di quantificare in corso di giudizio gli ulteriori crediti maturati e maturandi.
5.17. Con la sentenza specificata in epigrafe il T.a.r. della Puglia si pronunciò in via definitiva sui tre ricorsi riuniti e, segnatamente:
6. Tanto doverosamente premesso, occorre principiare l’esame dell’appello interposto dalla Tributaria Intercomunale, accordando preferenza allo scrutinio della pregiudiziale eccezione di difetto di giurisdizione.
6.1. L’eccezione è infondata.
7. Va detto che il T.a.r. della Puglia rinvenne la base legislativa della propria cognizione nell’art. 33, comma 2, lett. a) e b) del D.Lgs. 31.3.1998, n. 80, opinando che le domande proposte dal Comune di Cassano delle Murge afferissero all’ambito delle controversie concernenti la istituzione, la modificazione o l’estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi (lett. a)) e, comunque, inerissero in via residuale a quelle instaurate tra i ridetti gestori e le amministrazioni pubbliche (lett. b)).
7.1. Di contro la Tributaria Intercomunale patrocina la tesi che il servizio affidatole dal Comune di Cassano delle Murge non avesse alcuna attinenza con la materia dei “servizi pubblici” propriamente intesi secondo la nozione delineata dalla dottrina oltre che dai numerosi pronunciamenti della giustizia amministrativa, consistendo piuttosto i “servizi” affidatile dall’ente civico appellato in mere attività di supporto all’esercizio di una funzione pubblica.
7.2. Il Collegio osserva che sulla questione, testé esposta nei suoi termini essenziali, interferisce il portato precettivo della sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004.
L’interpretazione teleologica del principio stabilito dall’art. 5 del c.p.c. impedisce difatti al giudice d’appello di annullare una sentenza per motivi di giurisdizione, qualora la juris dictio, seppur ipoteticamente carente in origine e tuttavia ritenuta dal primo decidente, sia nondimeno sopravvenuta nel corso del giudizio di seconde cure. In linea generale deve invero stimarsi che l’irrilevanza, ai fini della distribuzione della giurisdizione tra le magistrature civile ed amministrativa, dei mutamenti legislativi successivi alla proposizione della domanda, sancita dall’art. 5 succitato, operi soltanto nel caso in cui il sopravvenuto mutamento dello stato di diritto privi il giudice della giurisdizione da questo avuta al momento dell’introduzione del giudizio e non anche nella fattispecie inversa, in cui i nova comportino l’attribuzione al giudice che ne fosse stato inizialmente privo della potestà di conoscere la specifica controversia.
È quindi indifferente che la norma o il fatto cui si riconnette l’effetto attributivo della giurisdizione intervenga nel corso del processo d’impugnazione, dovendosi in ogni caso accordare preminente rilievo al principio di economia processuale che è alla base di ogni sana amministrazione della giustizia: sarebbe davvero irragionevole pensare che il giudice d’appello, una volta investito in via devolutiva di tutte le questioni non passate in cosa giudicata, non possa decidere alla stregua del diritto da applicarsi, per aver medio tempore acquisito vigenza e forza tali da consentirgli di disciplinare anche situazioni od effetti di situazioni prodottisi anteriormente. (in termini, Cass., sez. un., 19.2.2002, n. 2415).
7.3. Siffatti principi vanno ribaditi con maggior forza in quei casi, come quello di specie, in cui il fattore sopravvenuto, modificativo delle regole allocative della juris dictio, non sia consistito in un mutamento normativo, in genere valevole solo per l’avvenire, ma in una pronuncia del Giudice delle leggi che, limitamente ai processi in corso ed in relazione alle vicende non esaurite, spiega di fatto un’efficacia propriamente retroattiva.
7.4. Doverosamente, pertanto, il Collegio, chiamato dall’appellante a pronunciarsi sulla giurisdizione, non deve tanto interrogarsi sulla correttezza del ragionamento a suo tempo sviluppato dal T.a.r. della Puglia, quanto piuttosto sull’effettiva spettanza, allo stato attuale, al giudice amministrativo della potestà di conoscere del genere di liti introdotte dal Comune di Cassano delle Murge.
7.5. Una volta nitidamente precisate le linee lungo le quali può svilupparsi l’iter decisorio della Sezione, occorre prendere le mosse dal nuovo testo dell’art. 33 del D.Lgs. n. 80/1998, risultante dal penetrante intervento manipolativo su di esso operato dalla Consulta.
È noto che il Giudice delle leggi, oltre ad aver dichiarato costituzionalmente illegittimo l’intero secondo comma della disposizione, ha riscritto il primo nei seguenti termini: «Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481».
7.6. A questo Collegio spetta dunque il compito di verificare se la domanda avanzata dall’ente civico appellato, intesa ad ottenere la declaratoria di nullità della concessione-convenzione regolante il servizio pubblico di elaborazione e gestione dell’anagrafe tributaria comunale, rientri o no entro i confini del campo di giurisdizione del giudice amministrativo siccome tracciati dal Corte costituzionale.
Non coglie quindi nel segno l’eccezione, sollevata dal Comune appellato, in ordine all’asserita inammissibilità dello specifico motivo formulato dalla Tributaria Intercomunale: invero, quand’anche il profilo attinente all’esatta qualificazione dell’oggetto della convenzione non fosse stato prospettato in prime cure, nondimeno la Sezione non potrebbe ritenersi esonerata dall’affrontarne d’ufficio l’esame, in quanto imposto dal prioritario ed indefettibile scrutinio sulla giurisdizione.
7.7. Sul punto, l’appellante, con vari argomenti, mira a sostenere che:
- l’attività dedotta nella convenzione in parola non fosse qualificabile come “pubblico servizio” e nemmeno come “attività strumentale a pubblico servizio” (semmai a “pubblica funzione”);
- per l’effetto, il rapporto instaurato tra il Comune e la società non integrasse una “concessione di pubblico servizio”, trattandosi invece di “appalto di servizi”.
7.8. In particolare, la critica articolata dell’appellante prende l’abbrivo dalla nozione generale di “concessione di pubblico servizio”, nei termini delineati dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recenti, e tenta quindi di dimostrare come siffatta nozione non si attagli alla specifica fattispecie in esame. Ed invero, a detta della Tributaria Intercomunale, le attività di elaborazione e di gestione di un’anagrafe tributaria, delle quali si controverte, esulerebbero completamente dal concetto di servizio pubblico, perché dedotte in un rapporto convenzionale di natura esclusivamente bilaterale (intercorrente tra l’amministrazione ed il soggetto affidatario) e comunque non diretto a soddisfare veruna esigenza della collettività locale di riferimento, in quanto unicamente finalizzato ad ausiliare la p.a. committente, onde consentirle, attraverso lo svolgimento di tutte le attività prodromiche alla gestione dei tributi comunali, un più efficace ed efficiente esercizio della funzione pubblica impositiva.
8. Le prospettazioni della società appellante non convincono; ad avviso del Collegio sia l’esegesi del quadro normativo rilevante sia l’analisi del contenuto delle prestazioni affidate dal Comune di Cassano delle Murge alla Tributaria Intercomunale convergono, di contro, nella qualificazione della complessa fattispecie in disamina alla stregua di un affidamento di servizio pubblico e vieppiù in una vera e propria concessione di servizi.
8.1. Prima di tutto occorre soffermarsi a considerare il contenuto e la fisionomia delle attività assegnate dal Comune alla Tributaria Intercomunale.
8.2. Al riguardo si condivide quanto osservato dal T.a.r.: in effetti, ad una lettura obiettiva del regolamento dedotto nella convenzione stipulata e degli atti del procedimento di selezione ad essa prodromico, si evince che alla società appellante vennero affidati, non soltanto compiti di mero censimento anagrafico a fini fiscali, bensì tutte le attività preparatorie relative alla gestione dei tributi comunali (poteri istruttori e di verifica, di liquidazione e di predisposizione degli atti di accertamento), con unica salvezza della firma degli atti a rilevanza esterna (ossia degli atti di accertamento) demandata al responsabile del servizio in doverosa applicazione delle pertinenti disposizioni tributarie (in tema di ICI, TOSAP, TARSU, dell’imposta sulle pubbliche affissioni e dell’ICIAP).
Eloquenti in tal senso sono gli artt. 5 e 7 della concessione suddetta: il primo, in disparte la rubrica intitolata “Gestione anagrafe tributaria”, precisa che l’oggetto dell’affidamento in via esclusiva alla Tributaria si estende ad ogni adempimento ed operazione materiale concernenti «l’accertamento dei tributi presenti e futuri, i poteri d’indagine (questionari, richiesta di dati su soggetti passivi presso gli uffici pubblici competenti, ecc.), la liquidazione, la rettifica delle dichiarazioni, l’irrogazione delle sanzioni e degli interessi, e di quanto altro di competenza comunale nel settore in questione», mentre il secondo contempla anche la possibilità di un futuro affidamento del servizio di riscossione dei tributi locali.
Ancora va richiamato l’art. 4 dello statuto secondo cui la società si prefigge «… la formazione di una “Anagrafe Tributaria Comunale” e conseguente gestione di tutti i tributi comunali, con monitoraggio dell’evasione e pianificazione finanziaria … [e] una efficiente gestione delle imposte e tasse comunali e una decisa caccia alle evasioni».
8.3. Orbene, non v’è dubbio che gli adempimenti testé richiamati, lungi dal consistere in mere operazioni preparatorie rispetto al successivo esercizio della potestà impositiva dell’ente comunale, costituissero diretto svolgimento delle attività di liquidazione e di accertamento dei tributi.
9. Si pone dunque il problema di verificare se esse possano considerarsi attinenti ad un “pubblico servizio” o, di converso, in attività strumentali all’esercizio di una funzione pubblica, affidabili a privati tramite appalto.
9.1. Per una corretta disamina della questione va però ripudiato il metodo sillogistico prospettato dalla Tributaria Intercomunale, teso a negare la sussumibilità dell’oggetto della convenzione nella nozione generale del “pubblico servizio”.
9.2. In realtà, in questa parte l’intero sviluppo argomentativo delle critiche dell’appellante risulta mal calibrato rispetto al tema centrale della contesa.
9.3. Secondo il Collegio la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei tributi locali costituiscono altrettante distinte (e “disgiunte”) attività di “servizio pubblico”, sebbene l’affermazione postuli un’accezione del sintagma in un senso affatto peculiare, non perfettamente collimante con il concetto teorico sul quale ha lungamente insistito la Tributaria Intercomunale.
9.4. Invero quest’ultimo (al pari della connessa problematica sui tratti distintivi dell’idea antitetica di “funzione”) mal si attaglia alle attività in parola, né ad esse è possibile adattare perfettamente la disciplina generale sui servizi pubblici, e tutte le ricostruzioni sistematiche su di essa radicate.
La regolamentazione dell’accertamento e della liquidazione dei tributi comunali deve piuttosto rinvenirsi nella distinta ed autonoma normativa settoriale ad essi dedicata. Non è, tuttavia, priva di rilevanza esegetica la circostanza che tale normativa preveda, nella parte d’interesse per il presente giudizio, forme di affidamento e di gestione analoghe a quelle dei servizi pubblici locali (v., infra, l’art. 52 del D.Lgs. n. 446/1997) e che rinvii alle relative prescrizioni (come l’art. 22 della L. n.142/1990) legislative (ed, implicitamente, anche quelle regolamentari di attuazione).
10. Una volta chiarita la natura del “servizio” deputato alla società appellante, occorre individuare esattamente, in una corretta prospettiva diacronica, la normativa applicabile alla vicenda in contenzioso, tenendo presente che la promozione della costituzione di una società a prevalente partecipazione privata rimonta alla delibera n. 8 del 1995, la costituzione della Tributaria Intercomunale alla data del 3.8.1998 e la stipula della convenzione al giorno 31.10.1998.
10.1. L’indagine investe due differenti aspetti della controversia e, segnatamente, da un lato, è necessario verificare se nel 1998 le attività sopra descritte potessero formare oggetto di una concessione e, dall’altro lato, se quella stipulata dal Comune di Cassano delle Murge fosse realmente nulla per contrarietà a norme imperative, siccome divisato dal primo decidente.
10.2. Ad entrambi i quesiti va data risposta affermativa.
10.3. Il quadro normativo di riferimento è stato analiticamente e compiutamente ricostruito dal T.a.r. della Puglia.
Il primo giudice ha condivisibilmente osservato che, nel settore specifico delle forme organizzatorie di gestione dei tributi locali, assumono preminente rilievo le disposizioni del D.Lgs. 15.12.1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), entrato in vigore, ai sensi dell’art. 66, il 1°.1.1998.
In dettaglio, il quinto comma dell’art. 52 di siffatto decreto, all’epoca dei fatti dei quali è causa, stabiliva che «I regolamenti [dei comuni e delle province], per quanto attiene all’accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate, sono informati ai seguenti criteri:
a) l’accertamento dei tributi può essere effettuato dall’ente locale anche nelle forme associate previste negli articoli 24, 25, 26 e 28 della legge 8 giugno 1990, n. 142;
b) qualora sia deliberato di affidare a terzi, anche disgiuntamente, la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le altre entrate, le relative attività sono affidate: 1) mediante convenzione alle aziende speciali di cui all’articolo 22, comma 3, lettera c), della legge 8 giugno 1990, n. 142, e, nel rispetto delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, alle società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale previste dall’articolo 22, comma 3, lettera e), della citata legge n. 142 del 1990, i cui soci privati siano prescelti tra i soggetti iscritti all’albo di cui all'articolo; 2) nel rispetto delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, alle società miste, per la gestione presso altri comuni, ai concessionari di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43, ai soggetti iscritti nell’albo di cui al predetto articolo 53;
c) l’affidamento di cui alla precedente lettera b) non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente;
d) il visto di esecutività sui ruoli per la riscossione dei tributi e delle altre entrate è apposto, in ogni caso, dal funzionario designato quale responsabile della relativa gestione».
10.4. Il chiaro tenore del quinto comma dell’art. 52 (le cui successive modifiche non hanno eliminato i rinvii alla L. n. 142/1990) fuga ogni dubbio relativo alla giurisdizione del giudice amministrativo, posto che la disposizione indubbiamente disciplina una forma di affidamento di un servizio pubblico (v. l’art. 33 del D.Lgs. n. 80/1998 siccome riscritto dalla Corte costituzionale).
10.5. Sennonché la conclusione appena rassegnata non è del tutto appagante, dal momento che le critiche della Tributaria Intercomunale alla sentenza impugnata non si rivolgono tanto (o, meglio, non soltanto) contro la ritenuta giurisdizione in ordine alla procedura di affidamento del servizio (traguardo esegetico agevolmente raggiungibile anche percorrendo la via alternativa di una non impossibile interpretazione estensiva dell’art. 6, comma 1, della L. n. 205 del 2000), ma investono la questione dal lato, ben più problematico, della sussistenza in capo al giudice amministrativo di un potere di conoscere dell’invalidità della convenzione, ossia dell’atto “negoziale” stipulato dopo il perfezionamento della sequela procedimentale conclusasi con la costituzione della società.
Occorre quindi sindacare l’effettiva resistenza logica delle premesse su cui riposano le argomentazioni dell’appellante; più in particolare, deve verificarsi se la vicenda amministrativa si presti realmente ad una disamina parcellizzata (come quella suggerita dalla ricorrente), fondata cioè sulla netta separazione, giuridica e cronologica, degli aspetti relativi alla costituzione della società mista da quelli attinenti alla validità della convenzione-concessione.
10.6. Ad avviso del Collegio, l’opzione ermeneutica da preferire è quella del ripudio di ogni artificiosa disarticolazione di una fattispecie sostanzialmente unitaria, al di là dell’apparente autonomia dei plurimi atti giuridici nei quali è scomponibile.
Per spiegare le ragioni di siffatto convincimento bisogna prendere le mosse dalla considerazione che l’affidamento di un servizio pubblico ad una società mista, seppure costituente un modello apparentemente alternativo alla “concessione” (intesa nel senso ristretto e formalistico di “provvedimento” costitutivo, traslativo o derivativo-costitutivo), a ben riflettere non si pone in radicale antitesi con il più generale e variegato fenomeno, in uno organizzatorio ed autoritativo, di tipo concessorio, qualora i tratti distintivi di quest’ultimo siano ricostruiti interpretando i dati del diritto interno al lume del formante comunitario.
10.7. All’uopo deve farsi riferimento a quanto chiarito dalla Commissione europea con il “Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto degli appalti pubblici e delle concessioni” (COM) 2004-327, presentato in Bruxelles il 30.4.2004, secondo cui attengono al partenariato pubblico-privato ("PPP") tutte le forme di cooperazione, tra le autorità pubbliche ed il mondo delle imprese, che mirino a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio.
Più in particolare la Commissione ha distinto due tipi di partenariato: quello “puramente contrattuale” e quello “istituzionalizzato”.
Al primo, basato esclusivamente su legami contrattuali tra i vari soggetti, debbono sicuramente ricondursi l’appalto e la concessione di lavori pubblici.
Presenta invece talune peculiarità il caso della concessione di servizi.
Al riguardo la Commissione ha, in primo luogo, osservato come anche l’art. 17 della dir. 2004/18/CE (Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, pubblicata in G.U.C.E. n. L 134 del 30.4.2004, entrata in vigore in pari data ma non ancora recepita in Italia) preveda l’inapplicabilità delle nuove disposizioni di coordinamento alla concessione di servizi (ora definita dall’art. 1, § 4. della direttiva come il «contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo»), ad eccezione di quelle di cui all’art. 3 (sul principio di non discriminazione).
Si è così ribadito che non esistono norme specifiche di diritto comunitario per dette concessioni (v., in argomento, la comunicazione interpretativa della Commissione europea sulle concessioni del 12.4.2000, nella G.U.C.E. 121/5 del 29.4.2000, alla quale si è rifatta la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie, del 1°.3.2002, n. 3944), soggette unicamente alle norme ed ai principi procedurali derivanti dal Trattato.
Di maggiore interesse per il tema della presente controversia è tuttavia la considerazione che la concessione di servizi va ascritta, come species, al secondo modello di PPP, quello istituzionalizzato; essa, invero, implica una cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato che si attua mediante la creazione di un’entità distinta, in genere un’impresa compartecipata dal pubblico e dal privato (quest’ultimo da scegliersi in base a procedure selettive), investita della precipua mission di assicurare la fornitura di un’opera o di un servizio.
Proprio facendo leva sul concetto di “missione” assegnata alla società mista, la Commissione ha ampiamente valorizzato il collegamento che deve indefettibilmente intercorrere tra la funzionalità dell’entità interposta e la concessione affidata, quasi configurando la prima come un particolare ed essenziale strumento di esercizio della seconda («… l’operazione consistente nel creare tale impresa non solleva generalmente problemi riguardo al diritto comunitario applicabile, qualora costituisca una modalità d’esecuzione dell’incarico affidato nel quadro di un contratto ad un partner privato»; v. il § 59).
In altre parole, volendo utilizzare un’espressione icastica, tale tipo di PPP altro non è che una “concessione” esercitata sotto forma di società, attribuita in esito ad una selezione competitiva che si svolge a monte della costituzione del soggetto interposto (soltanto incidentalmente si osserva che la fattispecie in esame nulla ha a che spartire con il diverso fenomeno dell’in house providing, regolato dai differenti principi affermati dalla giurisprudenza “Teckal” e “Stadt Halle”, tra i quali qui viene soprattutto in rilievo l’esigenza che sull’organismo in house l’ente pubblico eserciti un controllo - analogo a quello che esercita sui propri servizi - presupponente una partecipazione pubblica totalitaria).
10.8. Tirando le fila di tutto quanto fin qui considerato, deve pertanto concludersi che la convenzione, della cui validità si controverte, aveva ad oggetto attività di pubblico servizio e che, soprattutto, essa perfezionava un rapporto concessorio, regolato dalla convenzione successivamente stipulata, la cui fattispecie costitutiva - a formazione progressiva - si era realizzata attraverso il modello dell’affidamento diretto a società mista (con socio privato individuato in base a pubblica gara).
Non inficia il percorso argomentativo svolto la circostanza che, da un punto di vista esclusivamente contabile, i ricavi della Tributaria Intercomunale consistessero in un corrispettivo versato dal Comune: in realtà, la struttura di tali corrispettivi secondo la convenzione in esame si articolava in un rimborso fisso, di natura forfetaria, per unità di schedario compilata, nonché in due compensi, entrambi annui, l’uno sul volume delle entrate gestite, risultanti dal conto consuntivo approvato, e l’altro – aggiuntivo – sulle maggiori imposte accertate.
Sebbene per il tramite delle operazioni contabili riservate al Comune, l’entità dei ricavi conseguibili della Tributaria Intercomunale dipendeva quindi in gran parte - da un punto di vista economico - dall’alea “gestionale” dei servizi affidatile, quantunque inerenti l’attuazione di prestazioni patrimoniali imposte.
Non residua dunque alcun dubbio in ordine all’appartenenza della giurisdizione in materia al giudice amministrativo.
Le conclusioni appena rassegnate sono, d’altronde, coerenti con la tendenza, ormai in atto da diversi decenni e sempre più accelerata dalle suggestioni interne e comunitarie (v. le modifiche all’art. 11 della L. n. 241/1990, apportate dalla recente L. n. 15/2005), verso la progressiva “contrattualizzazione” e la parallela “detipicizzazione” dei rapporti concessori.
11. L’approdo esegetico del Collegio nemmeno è scalfito dalla circostanza che la convenzione in discorso recasse, all’art. 25, una clausola compromissoria, sul deferimento ad un collegio arbitrale di «qualsiasi controversia … in ordine alla interpretazione, esecuzione o risoluzione delle clausole» in essa dedotte.
Sul punto possono svolgersi alcuni dirimenti riflessioni.
In primo luogo la Tributaria Intercomunale erroneamente configura l’eccezione come una pregiudiziale, è noto infatti che la questione del riparto della cognizione tra giurisdizione e “giustizia privata” appartiene al novero delle cc.dd. “preliminari di merito”, in quanto i rapporti tra i giudici e gli arbitri non si pongono sul piano della distribuzione della juris dictio.
L’effetto giuridico della clausola compromissoria consiste, infatti, proprio nella rinuncia alla giurisdizione ed all’azione giudiziaria.
In secondo luogo, l’oggetto della clausola compromissoria sopra riportata non riguarda anche i casi di nullità della convenzione.
Inoltre, quand’anche fosse superabile quest’ultimo aspetto, dovrebbe comunque ritenersi la nullità e la conseguente inefficacia della clausola in discorso (la cui validità è autonomamente scrutinabile ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 808 c.p.c.), dacché convenuta in vigenza della L. 6.12.1971, n. 1034 e prima dell’entrata in vigore della L. 21.7.2000, n. 205, ovvero in un’epoca in cui l’ordinamento non consentiva di rimettere ad un collegio arbitrale tutte le questioni che potessero insorgere, durante la concessione, in merito all’interpretazione ed all’esecuzione di una convenzione “di diritto pubblico”, laddove si trattasse di questioni afferenti a materie riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Né vale in contrario invocare la norma inserita nell’art. 6, comma 2, della L. n. 205/2000, giacché la disposizione, pur innovativamente introduttiva anche in tali materie della facoltà di avvalersi di un arbitrato rituale di diritto, rimane comunque priva di portata retroattiva.
Di qui la conseguenza dell’irrimediabile nullità di tutte le clausole compromissorie precedentemente stipulate e non rinnovate con autonoma pattuizione in epoca successiva all’entrata in vigore dell’art. 6 succitato.
12. Ribadita la sussistenza della giurisdizione amministrativa, è d’uopo esaminare, prima di procedere oltre, l’eccezione di improcedibilità dell’appello sollevata dal Comune di Cassano delle Murge.
12.1. Sostiene l’ente civico appellato che la sopravvenuta liquidazione della Tributaria Intercomunale avrebbe determinato la carenza di interesse della società alla coltivazione del gravame o, almeno, l’interruzione del processo.
12.2. Non è conferente il richiamo all’interruzione, che è una peculiare vicenda estintiva del processo ricorrente unicamente nelle ipotesi tassative individuate dal legislatore (tra le quali non è compreso il caso della messa in liquidazione che, come noto, implica sul piano logico e giuridico una limitata sopravvivenza della personalità societaria).
12.3. È altresì destituito di fondamento l’argomento della improcedibilità per difetto di interesse, non soltanto perché la liquidazione non è una condizione irreversibile (arg. ex art. 2487-ter c.c.), ma anche perché l’eventuale accoglimento dell’appello, ancorché nella sola parte relativa alla contestazione della pronuncia di legittimità, arrecherebbe un’indubbia utilità alla Tributaria Intercomunale in termini di legittimazione a successive azioni risarcitorie.
13. È allora possibile esaminare il secondo dei profili delineati nel precedente § 10.1., propriamente attinente al merito della controversia.
13.1. A tal proposito meritano piena adesione i rilievi del primo giudice che, con ampia motivazione, ha ritenuto che la convenzione in questione, avendo affidato la gestione del servizio a società a prevalente partecipazione privata (peraltro nemmeno iscritta nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997), fosse manifestamente in contrasto con l’art. 52 del medesimo decreto (imponente l’affidamento del servizio, previa adozione di apposito regolamento comunale - nella specie perfino mancante -, soltanto a società a partecipazione pubblica maggioritaria), norma sicuramente imperativa, in quanto diretta a restringere l’ambito dell’autonomia negoziale dei comuni e dei privati attraverso la previsione di forma societaria tipica.
13.2. D’altronde il T.a.r. non ha mancato di evidenziare anche la radicale illegittimità della sequenza procedimentale presupposta alla convenzione (costituita dalla deliberazione del Consiglio comunale n. 8 del 9.3.1995 e degli atti deliberativi conseguenti, quali la deliberazione consiliare n. 20 del 1°.3.1996 e n. 6 del 5.3.1998; le deliberazioni di Giunta municipale n. 210 del 29.7.1997 e n. 321 del 14.11.1997, oltre agli atti della gara pubblica), sia per aver promosso - con l’approvazione dell’atto costitutivo, dello statuto e della convenzione per l’affidamento del servizio - la costituzione di una società mista a prevalente capitale privato in violazione del disposto normativo dell’art. 12 della legge n. 498 del 1992 (non immediatamente applicabile, ma divenuto efficace solo a seguito dell’emanazione, in virtù della previsione dell’art. 4 del D.L. 31.1.1995, n. 26, del regolamento di cui al D.P.R. 16.9.1996, n. 533), mancando totalmente nella specie i presupposti normativi cui collegare la concreta operatività della previsione relativa alla costituzione delle società miste a partecipazione pubblica minoritaria, sia per aver (mediante le deliberazioni giuntali di attuazione) provveduto a indire e ad approvare gli atti di gara pubblica col metodo del massimo ribasso in totale violazione delle disposizioni del D.P.R. testé citato.
13.3. Coerentemente, pertanto, il primo giudice ha altresì accolto, la domanda di condanna della Tributaria Intercomunale alla restituzione degli archivi informatici e cartacei depositati presso la sede della società, nonché degli elaborati concernenti la gestione dei tributi negli anni 1998, 1999 e 2000, stante il difetto di un valido titolo alla detenzione degli stessi, mercé la pronuncia di nullità della convenzione.
14. Destituita di fondamento è pure la censura diretta contro il capo della sentenza con cui, disattendendo le doglianze dell’odierna appellante, il primo giudice ritenne legittimamente esercitata la potestà comunale di autotutela.
14.1. A tal proposito la Tributaria Intercomunale critica la decisione del T.a.r. pugliese per aver ritenuto “doveroso” il ritiro dei precedenti atti rivolti alla costituzione della società in ragione della radicale illegittimità degli stessi, quantunque l’autotutela amministrazione, tipica espressione di discrezionalità amministrativa, postuli sempre l’esistenza di uno specifico interesse pubblico, concreto, attuale ed, in ogni caso, differente dalla mera esigenza di ripristino della legalità violata.
14.2. La censura è priva di pregio.
14.3. L’affermazione della “doverosità” dell’annullamento utilizzata dal primo giudice è bensì impropria dal punto di vista terminologico, nondimeno si rammostra indubbiamente corretta qualora intesa nel senso della “piena giustificabilità” dell’esercizio della potestà amministrativa attivata.
14.4. Innanzitutto non può obliterarsi che, nell’articolata e complessa motivazione della delibera di annullamento, il Consiglio comunale di Cassano delle Murge ha dato atto della antieconomicità della gestione svolta dalla Tributaria Intercomunale, avendo messo in luce - mediante la relazione tecnica allegata alla delibera - un profilo di interesse all’annullamento d’ufficio sicuramente concreto ed attuale nonché idoneo a sostanziare un quid pluris rispetto alla mera esigenza di ripristino della legalità violata.
14.5. D’altra parte l’annullamento in discorso ben resiste alle critiche dell’appellante anche a prescindere dall’effettuazione di una verifica comparativa tra i costi del servizio gestito alla Tributaria Intercomunale e quelli di altre società operanti sul mercato.
Per scrutinare la legittimità dell’operato del Comune di Cassano delle Murge, non v’è infatti alcuna necessità di svolgere un’indagine preliminare sugli aggi correnti nel mercato od in altre realtà territoriali, dal momento che l’onerosità della gestione può risultare anche dal confronto tra i “costi”, non soltanto finanziari, della scelta di esternalizzare il servizio e l’alternativa, giuridicamente praticabile, di una gestione diretta dello stesso da parte dell’amministrazione (v. il terzo punto della relazione sunnominata).
In aggiunta, vale osservare come, nel caso di specie, l’onerosità della gestione, per l’ente civico appellato, fosse obiettivamente sussistente, consistendo nell’immobilizzazione di un capitale, corrispondente alla partecipazione azionaria detenuta, in una società unicamente costituita per lo svolgimento di un servizio affidato contra legem.
Non occorre, pertanto, dilungarsi sulla patente diseconomia che sarebbe derivata dall’ipotetica protrazione di un investimento finanziario irrecuperabilmente in perdita.
15. Restano da scrutinare le domande, subordinate, con cui la società appellante ha riproposto le domande riconvenzionali, respinte dal T.a.r., intese ad ottenere la condanna dell’amministrazione al pagamento delle prestazioni già rese in favore del Comune per indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. o per arricchimento senza causa a norma dell’art. 2041 c.c., nonché al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale per esser stato predisposta una convenzione radicalmente invalida.
15.1. Tali domande erano tutte irricevibili, siccome già eccepito dal Comune avanti al T.a.r. con la memoria depositata il 13.2.2002 (nel fascicolo relativo al ricorso n. 1483/2000), dacché non introdotte con tempestivo ricorso incidentale.
15.2. Invero, l’appartenenza di una controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non esonera la parte interessata dal rispetto delle forme processuali imposte dal rito, la cui liturgia esige che la riconvenzionale (v. Cons. St., sez. V, 31.1.2001, n. 353) venga promossa nel rispetto del termine di notificazione cui all’art. 22 della L. 6.12.1971, n. 1034 (peraltro, nemmeno soggetto a dimidiazione ai sensi dell’art. 23-bis della stessa legge).
Né vale obiettare, in contrario, che il Comune, avendo accettato il contradditorio sul punto, avrebbe “sanato” il vizio d’irricevibilità, giacché, in disparte il rilievo dirimente del difetto in concreto del presupposto sul quale poggia l’obiezione (ossia l’avvenuta accettazione del contraddittorio), le determinazioni volontaristiche delle parti del giudizio amministrativo non sono in grado di interferire sull’applicazione delle regole in tema di proposizione del ricorso principale o incidentale, la cui violazione è sempre rilevabile d’ufficio dal giudice, anche in grado d’appello.
15.3. Oltretutto le riconvenzionali introdotte dalla Tributaria Intercomunale erano inammissibili anche per una diversa e preminente ragione.
Occorre invero considerare che la giurisdizione amministrativa sugli affidamenti e le concessioni di servizi sussiste soltanto in presenza di un titolo valido.
Di converso, qualora il giudice amministrativo abbia accertato, come nel caso in esame, la nullità del rapporto concessorio ed, in generale, della sua fattispecie costitutiva, viene meno anche il connesso ed esteso potere cognitorio.
In altri termini, una volta verificata la legittimità degli atti di annullamento e dopo aver dichiarato la nullità della concessione, il Collegio barese avrebbe dovuto arrestare il suo sindacato, essendo “sostanzialmente” mutata la causa petendi che sorreggeva le domande avanzate in riconvenzione dalla società appellante: l’accertamento della radicale inefficacia del titolo postulato dall’affidamento, confermata in questo grado, ha infatti comportato la conseguenza di recidere definitivamente ogni possibile nesso della vicenda con un’espressione di “autoritatività” in grado di legittimare la speciale giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, determinando di contro l’automatica riespansione della generale potestà cognitoria del giudice ordinario.
I diritti riconosciuti dagli artt. 1337, 1338, 2033 o 2041 c.c. presuppongono infatti, almeno nei termini prospettati dalla Tributaria Intercomunale, la radicale inefficacia dell’affidamento del servizio.
16. In conclusione, l’appello è infondato ed il ricorso emarginato merita integrale reiezione.
17. La complessità delle questioni scrutinate giustifica la compensazione delle spese di lite del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello.
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, nella camera di consiglio dell’8.2.2005, con l’intervento dei signori magistrati:
Raffaele Iannotta - Presidente
Raffaele Carboni - Consigliere
Aldo Fera - Consigliere
Claudio Marchitiello - Consigliere
Gabriele Carlotti - Consigliere estensore.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Gabriele
Carlotti f.to Raffaele Iannotta
IL SEGRETARIO
f.to Rosi
Graziano
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
IL 1° LUGLIO 2005
(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
f.to Antonio Natale
N°. RIC. 7752-02 |
RA