R E P U B B L I C A I T A L I A N A
N.3909/2005
Reg. Dec.
N. 9049 Reg. Ric.
Anno 2004
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello iscritto al NRG 9049 dell’anno 2004 proposto da ARIOSTO LODOVICO e BELTRAMI FRANCESCA, rappresentati e difesi dall’avv. prof. Luca Verrenti, con il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, via Portuense n. 104 (presso la signora Antonia De Angelis);
contro
COMUNE DI CANNOBIO, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. prof. Paolo Scaparone, con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Flaminio, n. 46 (presso lo studio del dott. Gian Marco Grez);
e nei confronti di
SCHELLER RUGGERO e BAUDET MAURIEL, non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sez. I, n. 1635 del 2 settembre 2004;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cannobio;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza in camera di consiglio del 1° marzo 2005 il consigliere Carlo Saltelli;
Uditi gli avv.ti Luca Verrenti e l'avv. Pagani su delega dell'avv. P. Scaparone;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
F A T T O
Con atto notificato il 31 maggio 2004 la signora Beltrami Francesca, proprietaria di una porzione del compendio immobiliare “Giovanola” sito in Cannobio, via Roma, ed il signor Lodovico Ariosto, suo coniuge, entrambi ivi residenti, hanno esposto che, per effetto di lavori di ristrutturazione della parete nord del fabbricato confinante sito in Cannobio, via Roma (in catasto al foglio 52, mappale 405 – 376) eseguiti dai proprietari Scheller Ruggero e Baudet Mariel, era stato completamente modificato lo stato dei luoghi antistante il giardino di loro proprietà, di fondamentale importanza per la conservazione dei valori storico – artistici del sito (atteso che la parete nord del predetto compendio era infatti adornata da un affresco murale a fondale scenografico risalente al 1850, opera di Giovanola e Ceruti, decoratori dei Palazzi Apostolici in Roma), aggiungendo che i predetti lavori di ristrutturazione generale erano stati illegittimamente assentiti dal Comune di Cannobio in virtù della concessione edilizia n. 107/1995, rilasciata il 12 dicembre 1995 e della successiva variante n. 189/1996 del 19 dicembre 1996, sia per la mancata osservanza della normativa in tema di tutela del patrimonio storico – artistico, sia perché il relativo progetto (riguardanti opere di competenza di un architetto) era stato redatto e sottoscritto da un geometra, sia per la mancanza del preventivo assenso del proprietario dell’immobile adiacente.
Tutto ciò premesso, essi hanno diffidato, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 25 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n.3, il Comune di Cannobio a provvedere all’annullamento, in sede di autotutela, delle citate concessioni edilizie e alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi, previa demolizione delle opere abusivamente realizzate.
Rimasta senza esito tale diffida, con ricorso giurisdizionale notificato il 19 luglio 2004 gli stessi hanno chiesto al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte di dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione comunale di Cannobio sulla loro diffida notificata il 31 maggio 2004, nonché l’obbligo di provvedere sulla diffida stessa, ai sensi dell’articolo 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
A sostegno delle loro richieste, i ricorrenti hanno riproposto le doglianze già espletate nell’atto di diffida rimasto privo di riscontro.
L’adito Tribunale, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, con la sentenza n. 1635 del 2 settembre 2004, ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto rivolto a rimettere in discussione l’esecuzione dei lavori edilizi assentiti con atti divenuti inoppugnabili, senza alcuna indicazione dei profili di interesse pubblico che avrebbero potuto giustificare il sollecitato provvedimento di autotutela.
Avverso tale statuizione gli interessati hanno proposto appello con atto notificato tra l’8 ed il 12 ottobre 2004, deducendone l’assoluta erroneità alla stregua di tre articolati motivi di gravame, con cui hanno sostenuto, innanzitutto, che in presenza di un’istanza – denuncia tendente ad ottenere la doverosa rimozione degli abusi edilizi commessi dai privati, non poteva dubitarsi dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere al riguardo per assicurare il rispetto della normativa edilizia violata, tanto più che, nel caso di specie, risultava violata anche quella specifica di tutela dei beni culturali; hanno aggiunto, poi, che, diversamente da quanto inopinatamente ritenuto dai primi giudici, la sussistenza dell’interesse pubblico ad adottare l’invocato provvedimento di autotutela era insito nella denunciata violazione della normativa urbanistica e di quella in materia di tutela dei beni culturali, oltre che dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, postulati dall’articolo 97 della Costituzione; hanno lamentato infine di essere stati ingiustificatamente condannate al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, laddove esse dovevano essere compensate, non potendo ad essi addossarsi alcuna responsabilità per aver inteso tutelare i propri interessi.
D I R I T T O
I. L’appello è infondato e deve essere respinto.
I.1. Giova evidenziare che, come autorevolmente precisato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con la decisione n. 1 del 9 gennaio 2002, il giudizio disciplinato dall’articolo 21 bis della legge 21 luglio 2000, n. 205, benché collegato, sul piano logico – sistematico, al dovere imposto a tutte le amministrazioni pubbliche di concludere tutti i procedimenti mediante l’adozione di provvedimenti espressi, nei casi in cui essi conseguano obbligatoriamente ad una istanza ovvero debbano essere iniziati d’ufficio (secondo la previsione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241), postula pur sempre l’esercizio di una potestà amministrativa, rispetto alla quale la posizione del privato si configura come un interesso legittimo: solo in tale prospettiva, infatti, trova razionale giustificazione la ratio del predetto giudizio, volto – com’è noto – ad accertare se l’amministrazione abbia, con il silenzio, violato il predetto obbligo di provvedere (sul punto, ex multis, Sez. IV, 27 gennaio 2003, n. 426; 10 febbraio 2003, n. 672; 24 marzo 2003, n. 1521).
Scopo del ricorso avverso il silenzio rifiuto è, quindi, quello di ottenere un provvedimento esplicito dell’amministrazione che elimini lo stato di inerzia e assicuri al privato una decisione che investe la fondatezza o meno della sua pretesa (C.d.S., sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 926), fermo restando, in ogni caso, che al giudice adito non è concesso di sindacare il merito del procedimento amministrativo non portato a compimento, dovendo egli limitarsi a valutare l’astratta accoglibilità della domanda del privato, senza sostituirsi agli organi di amministrazione attiva circa gli apprezzamenti e le scelte discrezionali, che restano di esclusiva competenza di questi ultimi (C.d.S., sez. V, 13 marzo 2001, n. 1431).
Sulla scorta di tali principi è stato escluso che la procedura per la constatazione del silenzio – rifiuto possa essere utilizzata per ottenere la riapertura di procedimenti già definiti in sede amministrativa ovvero per rimettere in discussione provvedimenti ormai divenuti inoppugnabili (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; 6 ottobre 2001, n. 5307) ed è stato, altresì, precisato che non sussiste obbligo dell’amministrazione di provvedere (e che, di conseguenza, non si è in presenza di un silenzio rifiuto) allorquando l’interessato, attraverso la procedura del silenzio – rifiuto, abbia sollecitato l’esercizio del potere di autotutela, non sussistendo rispetto a questo una posizione di interesse legittimo, ma di mero interesse di fatto (C.d.S., sez. VI, 19 dicembre 2000, n. 6838), anche per la mancanza di un obbligo dell’Amministrazione di attivarsi in via di autotutela (C.d.S., sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7136).
Con particolare riguardo, poi, ai provvedimenti di autotutela, è stato osservato che essi sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale della pubblica amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell’atto, valutazione di cui essa sola è titolare e che non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile, neppure in presenza di un indirizzo giurisprudenziale sfavorevole ad analoghi provvedimenti adottati dalla stessa amministrazione nei riguardi di altri soggetti (e da questi tempestivamente impugnati), salvo l’obbligo generale di buona amministrazione che, tuttavia, non si concreta nel dovere giuridico di rispondere alla richiesta del privato, se non in presenza di procedimenti per i quali sussista l’obbligo di conclusione con provvedimento espresso (C.d.S., sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7136).
Ciò, d’altra parte, non può ritenersi contrastante con esigenze di diritto sostanziale, perché la certezza delle situazioni giuridiche definite è essa stessa un bene irrinunciabile posto a tutela dei cittadini (C.d.S., sez. IV, 1° aprile 1992, n. 201) e non può essere elusa mediante l’impugnazione del silenzio – rifiuto formatosi su un’istanza diretta a sollecitare l’adozione di provvedimenti di annullamento o di modifica di precedenti determinazioni, non impugnate nei termini e nelle forme di rito (C.G.A., 27 giugno 1978, n. 120).
I.2. Alla luce di tali principi, l’appello si rivela del tutto destituito di fondamento.
Ad avviso della Sezione, deve innanzitutto escludersi che, come prospettato dagli appellanti, la situazione oggetto di controversia possa integrare, sic et simpliciter, un’ipotesi di violazione da parte dell’amministrazione comunale dell’obbligo di vigilanza in materia edilizio – urbanistica, ex articoli 4 e ss. della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (materia ora riordinata nel titolo IV del D.P.R. n. 380 del 2001): ciò in quanto l’attività edilizia contestata, asseritamente illegittima, è stata in effetti realizzata proprio sulla base di apposite titoli edilizi (concessioni edilizie n. 107 del 12 dicembre 1995 e n. 189 del 19 dicembre 1996).
Non sussiste, pertanto, in astratto una situazione di abusivismo edilizio, come prospettato dagli appellanti, atteso che non risulta dedotto che la concreta attività edilizia sia fuoriuscita dall’ambito di quanto assentito.
Peraltro, la obiettiva risalenza nel tempo dei provvedimenti abilitativi (anche rispetto alla diffida degli appellanti) esclude che la sussistenza della attualità e della concretezza dell’interesse pubblico, che solo può giustificare l’emanazione dell’invocato provvedimento di autotutela e che, in ogni caso, non può concretarsi nel mero ripristino della legalità violata, dovendo tenersi conto non solo del principio della certezza delle situazioni giuridiche, ma anche dell’eventuale legittimo affidamento sulla legittimità degli atti annullandi ingenerato nei terzi e nello stesso destinatario del provvedimento annullando (C.d.S., sez. IV, 1° ottobre 2004, n. 6409): sotto tale profilo, i primi giudici hanno correttamente sottolineato la mancata indicazione da parte degli attuali appellanti proprio dei profili di attualità e di concretezza dell’interesse pubblico da tutelare con i chiesti provvedimenti di autotutela.
Ad ulteriore conforto di quanto fin qui osservato, la Sezione non può non rilevare che, per un verso, l’appellante Beltrami Francesca è subentrata nella proprietà dei beni rispetto ai quali ha lamentato l’avvenuta illegittima modificazione dello stato dei luoghi per effetto di provvedimenti abilitativi illegittimamente emanati dall’amministrazione comunale, solo a seguito di successione testamentaria per il decesso in data 30 maggio 1998 del signor Beltrami Mario, che non aveva mai contestato la validità dei più volte ricordati provvedimenti abilitativi, e che, per altro verso, las stessa Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Torino, pur informata dall’attività edilizia in questione fin dal 2000 (come risulta dalla nota prot. 1457/AL del 18 luglio 2000), pur ribadendo, in generale, l’indispensabilità della propria preventiva autorizzazione per le opere simili a quelle per cui è causa e quindi la nullità dell’eventuale atto comunale autorizzativo dell’intervento, non ha mai annullato gli atti di concessione riguardanti la fattispecie in esame, né ha mai, direttamente o indirettamente, sollecitato l’amministrazione comunale a riesaminarli, né risulta aver avviato procedimenti ispettivi e di controllo nei confronti dell’amministrazione comunale ovvero degli esecutori delle opere in questione.
II. In conclusione, alla stregua di tali osservazioni l’appello deve essere respinto, dovendo tuttavia evidenziarsi che ciò non esclude la proposizione di altri mezzi di tutela, quali la impugnazione delle concessioni edilizie, se ancora ammissibili, ovvero la proposizione di denunce in sede penale per la sussistenza di eventuali responsabilità penali.
Può disporsi la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello proposto dai signori Lodovico Ariosto e Francesca Beltrami avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sez. I, n. 1645 del 2 settembre 2004, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato, riunito nella camera di consiglio del 1° marzo 2005, con la partecipazione dei seguenti magistrati:
VENTURINI LUCIO - Presidente
SALVATORE COSTANTINO - Consigliere
LODI PIERLUIGI - Consigliere
SCOLA ALDO - Consigliere
SALTELLI CARLO - Consigliere est.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Carlo
Saltelli Lucio Venturini
IL SEGRETARIO
Rosario Giorgio Carnabuci
20 luglio 2005
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
Il Dirigente
Antonio Serrao
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N.R.G. 9049/2004
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