N.4018/2005

Reg. Dec.

N. 2030 e 3145 Reg. Ric.

Anno 2004 

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

   Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

     sui ricorsi in appello n. 2030 e n. 3145 del 2004, proposti:

     A). il n. 2030 del 2004, dal Comune di Lugo, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. ti Claudio Crostoni e Gian Alberto Ferrerio, con i quali è elettivamente domiciliato in Roma, Viale Giulio Cesare, n. 14 presso lo studio dell’avv. Maria Teresa Barbantini.

CONTRO

   ZANI Guido e TASSINARI Cristina, rappresentati e difesi dall’avv. Adriano Cesellato, elettivamente domiciliati in Roma, Lungotevere Flaminio n. 46, Palazzo IV – Scala B, presso Gian Marco Grez.

E NEI CONFRONTI DI

   IMMOBILIARE LA Casa S.r.l., in persona del suo rappresentante legale, BATTAGLIA Omero, BARONCINI Alba, IMMOBILIARE LA Casa S.r.l. e BROZZI S.r.l., in persona del rappresentante legale, MONTAGNANI Luisa Maria e MONTAGNANI Silvarosa, non costituiti in giudizio.

   B). il n. 3145 del 2004, da MONTAGNANI Luisa Maria e MONTAGNANI Silvarosa, in qualità di chiamate all’eredità della signora MONTANARI Veralba, rappresentate e difese dagli avv. ti Luciano Zizzola, Maurizio Goria e Roberto Maria Izzo, elettivamente domiciliate presso lo studio del terzo in Roma, viale Angelico n. 103.

CONTRO

   ZANI Guido e TASSINARI Cristina, rappresentati e difesi dall’avv. Adriano Cesellato, elettivamente domiciliati in Roma, Lungotevere Flaminio n. 46, Palazzo IV – Scala B, presso Gian Marco Grez.

E NEI CONFRONTI DI

     Comune di Lugo, in persona del Sindaco in carica, IMMOBILIARE LA Casa S.r.l., in persona del suo rappresentante legale, BATTAGLIA Omero, BARONCINI Alba, IMMOBILIARE LA Casa S.r.l. e BROZZI S.r.l., in persona del rappresentante legale, non costituiti in giudizio.

PER L’ANNULLAMENTO

     della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna (Sezione I) 31 dicembre 2003, n. 2764.

     Visti i ricorsi con i relativi allegati.

     Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati.

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese.

     Visti gli atti tutti della causa.

     Relatore alla pubblica udienza del 15 febbraio 2005, il Consigliere Costantino Salvatore.

     Uditi l’avv. Ferrerio per il Comune di Lugo, l’avv. Izzo per Montagnani Luisa Maria e Montagnani Silvarosa e l’avv. Casellato per  Guido Zani e Cristina Tassinari.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

     A. Con ricorso (n. 81 del 2001) al TAR per l’Emilia Romagna, i signori Zani Guido e Tassinari Cristina impugnavano: la deliberazione del Consiglio Comunale di Lugo n. 7 del 27 gennaio 2000, avente ad oggetto "Approvazione di modifica ed integrazione Piano Particolareggiato di Iniziativa Privata per l'utilizzo di un'area residenziale sita a Lugo in Via D'Annunzio"; la relativa convenzione di Piano particolareggiato; la concessione edilizia e nulla osta ambientale n. 5255 in data 24 febbraio 2000, relativa alle opere di urbanizzazione, rilasciata a Immobiliare La Casa s.r.l. ed altri; la concessione edilizia n. 27641 in data 7 ottobre 2000 per l'edificazione di un fabbricato residenziale nell'ambito del Piano particolareggiato, rilasciata a Battaglia Omero, Baroncini Alba ed altri; ogni altro atto antecedente, conseguente, preordinato e comunque connesso, ancorché ai ricorrenti non noto, compresa la nota provvedimento Prot. n. 33622 in data 6/12/2000 a firma del Dirigente Area Servizi Connessi al Territorio. 

     I ricorrenti, premesso di essere proprietari di un immobile sito nel Comune di Lugo, in favore del quale, nell’atto di compravendita, era stata costituita la "servitù attiva di passaggio per pedoni e veicoli onde accedere dalla e alla pubblica Via, su quella striscia di terreno che costituisce parte di stradina privata, distinta al N.C.T. di Lugo al Foglio 106 mappale 697, nonché su quella che è la nuova strada dell'adiacente lottizzazione, denominata Via G. D'Annunzio, con il ricorso e con atto di motivi aggiunti deducevano complessivamente sette motivi di illegittimità, chiedendo l’annullamento nonché la sospensione degli atti impugnati e la reintegrazione delle servitù di passaggio compromesse dall’approvazione del Piano che di fatto le vanificava.

      Resistevano al ricorso il Comune di Lugo e i controinteressati intimati, deducendone l’inammissibilità e irricevibilità e, comunque, l’infondatezza nel merito. 

     La domanda incidentale di sospensiva, respinta dal TAR, era accolta da questo Consiglio di Stato con ordinanza 6 marzo 2001, n. 1456, a seguito della quale il Comune con provvedimento n. 188 del 27 marzo 2001, ordinava alle proprietà Lottizzanti "l'immediata sospensione dei lavori in corso nell'area di espansione residenziale limitatamente alle opere di sistemazione dell'area destinata a Verde Pubblico nella sola parte in cui detti lavori interessano la striscia di terreno distinta al NCT del Comune di Lugo al Foglio 106 Mappale 697", e ciò fino a quando non verrà proposta dalle proprietà Lottizzanti e approvata dal Comune di Lugo, una nuova soluzione progettuale che consenta l'esercizio delle servitù di passaggio da parte dei Signori Zani e Tassinari, ovvero fino a quando questi ultimi non dichiarino formalmente di non opporsi al Progetto di Lottizzazione così come predisposto dai Lottizzanti e approvato dal Comune di Lugo".

     Sul presupposto che tale provvedimento eseguiva solo parzialmente l'ordinanza del Consiglio di Stato - che non si limitava alla sospensione dei lavori nell' area de qua, ma ordinava inequivocabilmente il ripristino dello status qua ante relativamente alle 2 servitù di passaggio - i ricorrenti notificavano al Comune e ai controinteressati atto di diffida alla esecuzione di quanto previsto nella ordinanza n. 1456/2001 del Consiglio di Stato, reclamando il ripristino delle servitù di passaggio sulla Via Moruzzi e sulla Via D'Annunzio.

     A tale diffida replicava il Comune di Lugo con atto n. 12703 del 7 maggio 2001, osservando che, a seguito dell'ordinanza comunale n. 188 del 27 marzo 2001, non vi erano ostacoli, allo stato, all'esercizio, da parte degli aventi diritto, della servitù di passaggio, e precisando di avere in tal modo ottemperato all'ordinanza del Consiglio di Stato.

     Successivamente, lo stesso Comune, dopo la notifica del ricorso per ottemperanza, riesaminava la situazione, relativa all'esatta consistenza servitù di passaggio, ed emetteva nei confronti dei lottizzanti l'ordinanza n. 336 del 19 giugno 2001, con la quale premetteva di avere rilevato che la servitù di passaggio a favore dei Signori Zani e Tassinari, insistente sul terreno in corso di urbanizzazione nell' ambito del comparto del Piano Particolareggiato di cui è causa, interessava non solo la striscia di terreno indicata nella precedente ordinanza n. 188 (l'uscita sulla Via Moruzzi), ma altresì la strada della adiacente Lottizzazione denominata Via D'Annunzio (quindi l'uscita sulla Via D' annunzio) e di avere accertato altresì "che la presenza dei cordoli di delimitazione della racchetta di ritorno della Via D'Annunzio e dei posti auto del parcheggio posto nella parte terminale della racchetta stessa precludono di fatto l'esercizio della servitù di passaggio carrabile": in conseguenza, ordinava alle proprietà lottizzanti la "rimozione del cordolo terminale della racchetta di ritorno di Via D'Annunzio, nonché di quello posto a delimitazione del parcheggio alberato al centro della parte terminale della stessa strada, provvedendo al ripristino della servitù di passaggio pedonale e carrabile a favore della proprietà dei Signori Zani e Tassinari in ottemperanza a quanto previsto nella ordinanza del Consiglio di Stato in premessa citata, nel termine di 30 giorni dalla notifica del presente provvedimento".

     Nel medesimo provvedimento il Comune precisava che restava invariato il dispositivo dell'ordinanza n. 188 del 27 marzo 2001 in merito alla presentazione di una soluzione progettuale di variante alla concessione n. 5255 del 24 febbraio 2000 per la definizione delle opere di urbanizzazione.

     La Lottizzante Montanari Veralba provvedeva al totale ripristino delle stesse, mediante demolizione integrale della racchetta di ritorno della Via D'annunzio, comunicandone l'esito ai Signori Zani e Tassinari.

     In data 8 novembre 2001 i Lottizzanti presentavano al Comune istanza di proroga dei termini di validità delle convenzioni n. 29441/4997 del 4 novembre 1991 e n. 242103/14318 del 6 febbraio 2000, e, quindi, in data 13 novembre 2001 richiesta di approvazione di una nuova Variante sostanziale al Piano Particolareggiato di Iniziativa Privata rispetto alla quale i ricorrenti presentavano opposizione.

     La variante di Piano Particolareggiato e lo schema di Convenzione allegato venivano approvati con deliberazione del Consiglio comunale n. 137 del 12 dicembre 2002. 

     B. Con ricorso n. 236 del 2003, i ricorrenti impugnavano: la deliberazione del Consiglio Comunale di Lugo n. 137 del 12 dicembre 2002 avente ad oggetto "Approvazione di modifica e variante al Piano Particolareggiato di Iniziativa Privata per l'utilizzo di un'area residenziale sita a Lugo in Via D'Annunzio"; la convenzione per l'attuazione di un Piano particolareggiato di iniziativa privata; il parere "favorevole" della Commissione Edilizia Comunale espresso nelle sedute del 21 marzo 2002 e 19 novembre 2002; il parere "favorevole" della Polizia Municipale espresso con atto n. 5309 del 26 febbraio 2002; il parere del Servizio Opere Pubbliche del Comune di Lugo a firma del Capo Servizio; ogni diverso atto antecedente, conseguente, preordinato e comunque connesso, ancorché ai ricorrenti non noto.

      Il ricorso era affidato alle seguenti censure:

     1). Violazione degli arti. 15 e 21 della Legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 7 dicembre 1978. Violazione del giusto procedimento.

     La Variante al P.P.I.P. a destinazione residenziale in Via D'Annunzio, comporta una variante al PRG vigente ai sensi dell' art. 15, comma 4/c, della Legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 1978, a causa della nuova perimetrazione del Piano resasi indispensabile in seguito alla richiesta di esclusione dal Piano presentata dai Signori Tellarini Giorgio e Graziella, proprietari del mappale n. 797 Foglio 106 del N.C.T. del Comune di Lugo.

     L' art 21 della legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 1978, richiamato dall'art. 15, comma 4, della stessa legge regionale, prevede il seguente procedimento ai fini della approvazione delle Varianti al PRG nei casi previsti dal comma 4: 1) adozione del Piano 2) deposito del Piano presso il Comune per 30 giorni consecutivi 3) osservazioni e opposizioni al Piano nel termine massimo di 30 giorni successivi alla data del compiuto deposito 4) approvazione del Piano dal Consiglio Comunale, sentita la Commissione Edilizia comunale, nel termine massimo di 120 giorni successivi alla data del compiuto deposito.

     Nella specie il Comune avrebbe completamente omesso la fase procedimentale relativa alla previa adozione della Variante di Piano da parte del Consiglio Comunale.

     Inoltre, ai sensi dell' art. 15, comma 5, della Legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 7 dicembre 1978 le varianti di cui al comma 4 sono trasmesse, contemporaneamente al deposito, alla Giunta Provinciale, la quale, nel termine tassativo di 60 giorni dalla data del ricevimento, formula osservazioni alle quali i Comuni sono tenuti, in sede di approvazione, ad adeguarsi o ad esprimersi con motivazioni puntuali e circostanziate. Decorso il termine di 60 giorni la Variante si reputa valutata positivamente dalla Giunta provinciale.

     Il Comune avrebbe omesso anche tale fase procedimentale relativa alla comunicazione della variante di Piano alla Giunta provinciale, contemporaneamente al deposito.

     Né può sostenersi che la variante al PRG sia stata disposta ex art. 3 della Legge Regionale Emilia Romagna n. 46 del 1988, cioè in via semplificata rispetto al procedimento di Variante previsto dagli 15 e 21 della Legge Regionale Emilia Romagna n. 47/1978, perché il procedimento semplificato ivi previsto è possibile solamente ove gli strumenti urbanistici attuativi comportino varianti al PRG limitate alle modifiche delle previsioni del PRG vigente, di cui al comma 4/c dell' Art. 15 della Legge Regionale Emilia Romagna n. 47 del 1978, cioè alla modifica delle previsioni di PRG che non prevedano, nel periodo di validità del Piano, incrementi complessivi della nuova capacità insediativa, e garantiscano al contempo il rispetto delle dotazioni di standards urbanistici previsti dalla Legge Regionale.

     Ed è appunto tale ultimo requisito che difetterebbe nella specie ai fini della utilizzazione del procedimento di variante semplificata, poiché, a seguito della esclusione dal Piano dei Signori Tellarini Giorgio e Graziella proprietari del mappale n. 797 Foglio 106 del N.C.T. Comune di Lugo di 32 mq. con destinazione Verde Pubblico, non sarebbe più rispettata la dotazione minima di standard a Verde Pubblico richiesta dalla Legge Regionale e ammontanti nella specie a 1018 mq.

     Infatti, precedentemente alla Variante in esame, dai 1018 mq. richiesti e ceduti al Comune di Lugo vanno tolti 32 mq., corrispondenti al mappale 797 espunto dal Piano, con conseguente riduzione dello standard al di sotto del minimo legale e conseguente impossibilità di utilizzazione del procedimento di Variante al PRG in via semplificata rispetto al procedimento in via ordinaria previsto dagli Artt. 15 e 21 della legge Regionale n. 47 del 1978.

     2). Violazione degli artt. 15 e 21 legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 7 dicembre 1978. Violazione del giusto procedimento.

     L'art 21 della legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 1978, richiamato dall'art. 15, comma 4, della medesima Legge regionale, prevede, ai fini della approvazione delle Varianti al PRG nei casi di cui al comma 4, che il Consiglio Comunale, sentita la Commissione Edilizia, decide sulle osservazioni e sulle opposizioni e approva il Piano entro e non oltre 120 giorni dalla scadenza del termine di 30 giorni successivi alla data del compiuto deposito quindi, nella specie, non più tardi del 3 ottobre 2002.

   Ad avviso dei ricorrenti, la norma avrebbe fissato un termine non meramente ordinatorio ai fini dell' approvazione del Piano, con la conseguenza che l'approvazione del Piano in data 2 dicembre 2002 sarebbe avvenuta oltre il termine massimo consentito dalla legge.

     3). Violazione dell' art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Difetto di istruzione.

   In data 27 giugno 2002 i ricorrenti, in qualità di titolari delle servitù di passaggio per pedoni e veicoli da e per Via Moruzzi e Via D'Annunzio, comprese nel Piano, depositavano presso il Comune di Lugo, una opposizione alla Variante di Piano chiedendo che il Comune di Lugo non procedesse alla sua approvazione, nei termini richiesti dai Lottizzanti, per i seguenti motivi :

     a) nella nuova variante al Piano Particolareggiato il mappale su cui insiste la servitù di passaggio per pedoni e veicoli da e per via Moruzzi fa nuovamente parte delle aree che dovranno essere cedute dai lottizzanti al Comune di Lugo ad assolvimento degli standards urbanistici (nella specie verde pubblico), che invece devono essere cedute al Comune 'libere da diritti di terzi",

     b) la destinazione a verde pubblico imposto al mappale sul quale insiste la servitù di passaggio da e per via Moruzzi costituisce la premessa di fatto per espropriazione di tale servitù

     c) la servitù di passaggio per pedoni e veicoli da e per via Moruzzi viene notevolmente ridotta rispetto alla precedente consistenza, secondo quanto inequivocabilmente indicato nella Tavola 2/B alla Variante di Piano,

     d) il posizionamento dello spazio di manovra carrabile di 31 mq per parcheggio esattamente innanzi all'imbocco della servitù di passaggio da e per la Via D'annunzio, costituisce un indebito aggravamento di tale servitù,

     e) lo spazio di manovra carrabile di 31 mq. per parcheggio, data la sua collocazione, è del tutto inutile sia rispetto al parcheggio di 103 mq., sia rispetto al parcheggio di 64 mq., e pertanto non serve assolutamente allo scopo indicato dai Lottizzanti ma, bensì, al “fittizio” raggiungimento degli standards richiesti.

     Dalla deliberazione del Consiglio Comunale di Lugo n. 137 del 12 dicembre 2002 risulta con evidenza che l’Amministrazione comunale non ha minimamente motivato in relazione ai motivi di opposizione manifestati dai ricorrenti ai punti c), d), e) della opposizione, né può considerarsi una adeguata motivazione la affermazione del Comune di Lugo secondo cui "Il progetto di Variante presentato costituisce la migliore soluzione sotto il profilo urbanistico", in quanto si risolve in una affermazione apodittica che non contiene nessuna specifica enunciazione in ordine alle precise e specifiche contestazioni formulate dai Signori Zani e Tassinari in sede di opposizione alla Variante di Piano ai punti c), d), e).

     Né può sostenersi che in tema di osservazioni dei privati agli strumenti urbanistici sia sufficiente una motivazione limitata e sintetica dell'Ente Pubblico, essendovi una notevole differenza fra osservazioni e opposizioni.

     Infatti, a differenza che nel procedimento di formazione del PRG in cui sono previste solamente le osservazioni, nel procedimento di formazione del Piano Particolareggiato sono consentite in aggiunta alle stesse anche delle opposizioni da parte dei soggetti direttamente interessati in quanto coinvolti nel Piano, e ciò ai sensi dell'art. 15 della legge n. 1150 del 1942 e dell' art. 25 della legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 1978. Secondo la giurisprudenza le osservazioni e le opposizioni si riferiscono a due concentrici livelli di interessi: le prime si sostanziano infatti in suggerimenti di modifica o delle linee generali del Piano o di previsioni specifiche di esso che incidono su situazioni di interesse diffuso sulla totalità dei residenti nella zona, le seconde. invece, si sostanziano in vere censure a specifiche e puntuali previsioni urbanistiche che riguardano in modo diretto opponente e che incidono su posizioni di interesse legittimo del soggetto leso dall' atto di pianificazione.

     Pertanto, mentre le osservazioni hanno funzione meramente collaborativa, invece le opposizioni hanno una funzione di garanzia, con la conseguenza che l’Amministrazione ha il dovere, non la facoltà, di prenderle in esame motivando puntualmente in ordine alle stesse, diversamente da quanto ha fatto invece il Comune di Lugo con la deliberazione impugnata in cui non ha minimamente motivato in relazione ai motivi di opposizione manifestati dai Signori Zani e Tassinari ai punti c), d), e) della opposizione.

     4). Violazione degli artt 16 e 17 della legge 17 agosto 1942, n. 1150. Violazione degli artt. 1 e 3 delle Convenzioni n. 29441/4997 del 14 novembre 1991 e n. 242l03/14318 del 16 febbraio 2000. Mancanza di un valido atto di proroga da parte del Comune di Lugo del termine finale di validità delle convenzioni di Piano Particolareggiato di Iniziativa Privata.

     Ai sensi dell' art. 16, comma 5, della Legge 1150 del 1942 il Piano Particolareggiato deve essere attuato nel termine massimo di l0 anni, scaduto il quale, esso diviene inefficace in ordine alla parte che non ha avuto esecuzione ed è quindi soggetto allo ius superveniens, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 1150 del 1942.

     Nello stesso senso dispongono anche l’art. 1 della convenzione del 1991 e l’art. 3 della convenzione del 2000. Nel caso in esame il termine finale di validità ed efficacia era scaduto sia alla data di richiesta della proroga sia al momento in cui il Comune di Lugo si è pronunciato sulla richiesta di proroga, e cioè il 12 dicembre 2002.

     Né può sostenersi che il termine decennale si applichi solamente alle disposizioni di contenuto espropriativi, in quanto il termine decennale previsto dalla legge n. 1150 del 1942, applicabile anche ai Piani di Lottizzazione, risponde al preminente interesse pubblico non solo per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione, ma anche per la edificazione dei lotti, tant' è che non costituisce vizio di legittimità del Piano la mancata fissazione del termine per la sua attuazione, in quanto la certezza dei rapporti giuridici è comunque garantita dalla automatica decadenza del Piano.

     Da qui la conclusione che il termine decennale si applica anche alle previsioni urbanistiche di Piano e alla durata della convenzione di lottizzazione, non potendo attribuirsi alle lottizzazioni l’efficacia di un condizionamento a tempo indeterminato della pianificazione urbanistica futura.

     5). Violazione dell’art 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 del 1942 e successive modificazioni e integrazioni. Violazione dell’art. 25 legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 7 dicembre 1978. Falso ed erroneo presupposto di fatto e di diritto.

      La richiesta di Variante al Piano depositata al Comune di Lugo il 13 novembre 2001 non è stata sottoscritta da tutti i soggetti aventi la proprietà delle aree comprese nel Piano oggetto di Variante, così come previsto dall'art. 28 della Legge n. 1150 del 1942, nonché dall'art. 25 della Legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 1978.

     Infatti, i Signori Tellarini Giorgio e Graziella aventi la proprietà del mappale 797 Foglio 106 del N.C.T. Comune di Lugo hanno espresso il consenso alla esclusione di tale mappale dal Piano solamente il 19 dicembre 2002 quindi, alla data della richiesta di Variante, il mappale summenzionato era a tutti gli effetti compreso nel Piano con la conseguenza che la richiesta di Variante del 13, richiedeva anche la loro sottoscrizione.

      Tali considerazioni valgono anche per la richiesta di proroga del termine finale delle convenzioni n. 29441/4997 del 14 novembre 1991 e n. 242103/14318 del 16 febbraio 2000, depositata presso il Comune di Lugo, che manca della sottoscrizione dei Signori Tellarini nonostante che il loro mappale fosse, a quel tempo, compreso a tutti gli effetti nel Piano.

     Infine, poiché i ricorrenti vantano una servitù di passaggio per pedoni e veicoli, essi dovevano concorrere, unitamente ai lottizzanti, alla formazione della variante al Piano e alla stipulazione della relativa convenzione ai sensi dell'Art. 28 della Legge n. 1150 del 1942 e della Legge Regionale n. 47 del 1978.

     Secondo la Giurisprudenza, infatti, la posizione dei soggetti titolari di un diritto reale di servitù sulle aree interessate dalle previsioni di Piano Particolareggiato "va assimilata a quella dei proprietari di aree comprese nel Piano medesimo".

     6). Violazione della deliberazione del Consiglio Comunale di Lugo n. 196 del 23 dicembre 1996. Violazione dell’art. 6 della convenzione n. 242103/14318 del 16  febbraio 2000. Falso presupposto di fatto. Travisamento. Difetto di Istruzione. Contradditorietà. Violazione degli artt. 892 e 893 del codice civile.

     Con deliberazione n. 196 del 23 dicembre 1996 il Consiglio Comunale di Lugo approvava 1) un compendio di Norme Tecniche generali per l'attuazione delle opere di urbanizzazione dei Piani Particolareggiati 2) uno schema di Convenzione tipo per l'attuazione del Piano 3) un elenco dei documenti essenziali per la richiesta di autorizzazione alla presentazione del Piano e infine 4) un elenco dei documenti essenziali per la presentazione di un Piano Particolareggiato.

     In particolare, tra i documenti essenziali vanno annoverati quelli per la localizzazione dei cassonetti per la raccolta dei rifiuti nelle quantità richieste dall'Ente competente, così come ribadito anche dall'art. 6 della Convenzione n. 242103/14318 del 16 febbraio 2000, nonchè dal vigente Regolamento del Servizio di Igiene Urbana, in base al quale, in caso di Strumenti urbanistici Particolareggiati di Iniziativa Pubblica o Privata, nell'ambito del progetto delle opere di urbanizzazione primaria, dovranno essere obbligatoriamente previste le dislocazioni delle aree per contenitori di rifiuti urbani, in base agli standard proposti dal Gestore in relazione alla densità edilizia e alla destinazione degli insediamenti.

     Gli standard formulati dal Gestore prevedono come indispensabili, l'ubicazione di un cassonetto per la raccolta dei rifiuti e di un bidone organico per ogni 30 - 40 persone insediate o insediabili, nonché il posizionamento di un Ecopunto ai fini della raccolta di Plastica, Vetro, Carta, Cartone, Pile, Erba e Foglie con occupazione di un'area da 20 a 25.

     Nella specie, invece, né nella Variante nè nelle connesse Tavole progettuali sono stati presi in considerazione, e quindi localizzati, cassonetti per la raccolta dei rifiuti.

     L'omessa localizzazione dei cassonetti oltre che illegittima, si riflette anche sulla dotazione minima degli standards di legge in quanto:

     - se i cassonetti sono posizionati in zona destinata a verde pubblico essi incidono sulla riduzione della quota di verde che nella specie è già al minimo richiesto (1.022 mq a fronte dei 1.018 mq. richiesti),

     - se i cassonetti sono posizionati sui marciapiedi, questi ultimi non sono più a norma essendo in tale caso richiesta una larghezza non più di l,50 ml. ma di 2 ml.

     Analoghe inadempienze sono riscontrabili con riferimento alle norme per l'attuazione delle opere di urbanizzazione, relativamente alla piattaforma stradale, per la quale non è prevista nessuna corsia ciclabile.

     Altrettanto è a dirsi per i requisiti minimi per aree verdi, richiedenti un lampione ogni 120 mq, un albero ad alto fusto ogni 75 mq. , una panchina ogni 250 mq., mentre nella Variante non sono stati previsti i lampioni, sono stati previsti solamente 2 alberi ad alto fusto invece dei 13 richiesti, è stata prevista solamente una panchina invece delle 4 richieste.

     E' infine illegittimo il Parere del Servizio Opere Pubbliche del Comune di Lugo perché non contiene una valutazione in ordine alla conformità del Progetto di Variante alle Norme Tecniche sulle opere stradali, ma si limita invece e illegittimamente, ad un riepilogo delle norme che devono essere osservate e che, nella specie, non lo sono state.

      7).  Violazione dell'art. 15 della legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 7 dicembre 1978. Violazione e Falsa applicazione dell' Art. 109 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG di Lugo. Violazione della Legenda delle Norme Tecniche di attuazione del Comune di Lugo. Falso presupposto di fatto e di diritto.

      La deliberazione del Consiglio Comunale di Lugo n. 137 del 12.12.2002 destina il mappale sul quale i ricorrenti hanno un diritto di servitù per pedoni e veicoli - del quale è prevista, illegittimamente, la cessione dai lottizzanti al Comune di Lugo ad assolvimento degli standards urbanistici - a pubblica viabilità pedonale e ciclabile.

      Sennonché tale destinazione è in conflitto con la specifica destinazione di zona imposta dal vigente PRG all'area de qua che risulta invece destinata a Zona omogenea G, Sottozona G2.2 e cioè a Verde Pubblico Attrezzato di Progetto, disciplinato dall'Art. 109 delle N. T. A. del PRG del Comune di Lugo, secondo il quale “sono individuate nella cartografia di PRG con apposita simbologia le utilizzazioni specifiche per Verde Pubblico Attrezzato (V). La zonizzazione in questione risulta anche dalla Legenda delle N.T.A., dalla quale emerge che la simbologia dell’area in questione non corrisponde affatto a quella prevista per i percorsi pedonali e ciclabili.

      Né può sostenersi che, avendo la strumento di pianificazione previsto che l’edificazione avvenga a mezzo di piano particolareggiato, a quest’ultimo sia demandata la relativa disciplina di dettaglio.

      Secondo pacifica giurisprudenza, infatti, la correttezza della zonizzazione va valutata con esclusivo riferimento al PRG e non invece allo strumento esecutivo, che si deve limitare alla mera esecuzione delle previsioni già formulate e codificate dal PRG.

     La mancata conformità urbanistica implicava, pertanto, una variante alla zonizzazione del vigente PRG ai sensi dell’art. 15 della legge regionale n. 47 del 1978, che nel caso non è avvenuta, con conseguente illegittimità della deliberazione n. 137 del 2002 anche sotto questo profilo.

      8). Violazione del D. M. n. 1444 del 1968. Violazione dell’art. 46 della legge regionale n. 47 del 1978. Falso presupposto di fatto e di diritto. Violazione della deliberazione del consiglio comunale di Lugo 23 dicembre 1996, n. 196. Violazione delle norme CNR. Violazione dell' art. 6 della convenzione del 16 febbraio 2000.

      Il posizionamento dello spazio di manovra all’estremità delle fasce di sosta è illegittimo perché le corsie di manovra al servizio delle fasce di sosta devono essere posizionate, non all’estremità di esse, ma lateralmente alla carreggiata secondo quanto previsto dalle Norme CNR n. 60 del 1978, richiamate dalla deliberazione del consiglio comunale di Lugo n. 196 del 1996 in cui alla voce Parcheggi si legge chiaramente che per le caratteristiche degli stalli di sosta si fa riferimento allo standard CNR.

      Pertanto l'area a forma trapezoidale di 31 mq. definita nelle Tavole progettuali come area di manovra carrabile per parcheggi doveva essere collocata lateralmente agli stalli medesimi e non in posizione defilata rispetto agli stessi risultando altresì inutile, data la sua collocazione, sia rispetto agli stalli di sosta di 64 mq. sia rispetto agli stalli di sosta di 103 mq..

      Le stesse norme sulla realizzazione degli stalli di sosta indicano come area di manovra per parcheggi l'area adiacente effettivamente utilizzabile ai fini della separazione dell' operazione di manovra dalla funzione di marcia.

      La sicurezza e la fluidità del traffico, del resto, si ottengono solo mediante la separazione fisica del movimento dei veicoli dalla sosta, evitando cioè, su una medesima carreggiata, la sovrapposizione delle funzioni di marcia normale dei veicoli e di manovra degli stessi.

      E' quindi evidente che tale area non serve assolutamente allo scopo indicato dai lottizzanti ma, bensì, al “fittizio” raggiungimento della dotazione minima di standard per parcheggi richiesto dalla Legge evitando, in tale modo, la cessione di standard sull'ultimo lotto rimasto rispetto al quale hanno già previsto la realizzazione di 5 appartamenti.

      Da ciò consegue che i 31 mq. re1ativi allo spazio di manovra non possono essere computati come standard con conseguente violazione del D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968 e dell'art. 46 della Legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 1978 che prevedono la quantità minima di standard per parcheggi.

      Nella specie, infatti, a fronte di una quantità minima richiesta di standard per parcheggi di 337 mq (84 abitanti insediabili * 4 mq.) sono previsti solo 318 mq.

      9). Violazione dell’art. 1067, comma 2 del codice civile.

     La nuova soluzione progettuale contenuta nella variante approvata con deliberazione n. 137 del 2002, determina, comunque, un aggravamento della servitù di passaggio dei ricorrenti, in quanto il nuovo uso promiscuo comporta la generalizzata utilizzazione di un passaggio precedentemente riservato al loro uso.

     Difatti, all'esercizio della servitù di passaggio dei ricorrenti si somma il passaggio di tutti i cittadini in conseguenza della destinazione a pubblica viabilità del mappale sul quale essi esercitavano ex ante la loro servitù di passaggio.

     E ciò in una situazione in cui lo stato dei luoghi e in primis le esigue dimensioni del passaggio, specialmente all'inizio della Via Moruzzi, non consentono affatto il simultaneo passaggio di un autoveicolo e di un pedone o ciclista provenienti da opposti sensi di marcia con evidentissimo rischio per l'incolumità personale singole persone.

      10). Violazione dell’art. 46 del DPR 16 dicembre 1992, n. 495. Violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Travisamento.

      La deliberazione del Consiglio Comunale di Lugo n. 131 del 2002 ritiene compatibile "la promiscuità del traffico ciclo pedonale e carrabile a favore del solo fondo contiguo avente diritto (quello dei ricorrenti), regolamentando il flusso secondo le norme del Codice della Strada trattando la stessa alla stregua di un passo carrabile".

      In realtà la disciplina dei passi carrabili contenuta nell'Art. 46, comma 2/c, del Regolamento di esecuzione del CDS emanato con DPR n. 495 del 16 dicembre 1992 non consente affatto la promiscuità del traffico pedonale e carrabile essendo previsto che qualora accesso alle proprietà laterali sia destinato anche a notevole traffico pedonale, deve essere prevista per ovvi motivi di sicurezza una separazione del percorso carrabile da quello pedonale. Che nella specie, poi, sussista un notevole traffico pedonale è evidente con riferimento alla destinazione della via in questione alla pubblica circolazione pedonale e ciclabile.

      Poiché il Comune di Lugo ha trattato la stradina in fregio al Canale dei Molini, oggetto della servitù di passaggio dei ricorrenti, come un passo carrabile ad uso promiscuo - pedonale ciclabile (per la collettività) e carrabile (per i ricorrenti), - con ciò destinandola al traffico pedonale di tutta la collettività -, andava prevista una separazione del percorso carrabile da quello pedonale o, comunque (qualora la separazione non fosse materialmente possibile), adottata una diversa soluzione rispetto a quella poi approvata che garantisse la sicurezza dei vari utenti.

      E' quindi illegittima la deliberazione del Consiglio Comunale di Lugo n. 137 del 12.12.2002, nonché il parere espresso dalla Polizia Municipale di Lugo che ha valutato "favorevolmente" la Variante di Piano nonostante illegittima previsione di un passo carrabile con destinazione promiscua ciclo pedonale e carrabile, in mancanza di una separazione fra percorso carrabile e pedonale, non motivando minimamente al riguardo, ciò che determina anche la violazione dell’art. 3 della Legge n. 241 del 1990.

      11). Violazione degli artt. 822 e 823 del codice civile. Violazione dell’art. 1 del R.D. n. 1775 del 1933. Violazione dell' art. 1 della legge n. 36 del 1994 e dell'art. 2, comma 2. del DPR n. 238 del 1999. Violazione del principio di legalità di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione degli Standards previsti dal D. M. n. 1444 del 1968. Violazione dell’art. 46 della legge regionale n. 47 del 1978. Illegittimo dimensionamento di aree a standards. Falso presupposto di fatto e di diritto. Travisamento. Sviamento. Violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità di cui all’art. 97 della costituzione. Violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Difetto di istruzione.

      Il comune ha illegittimamente ceduto con destinazione a verde pubblico il mappale costituito dall’alveo del canale dei Molini, che, in quanto bene demaniale, è indisponibile e incommerciabile ai sensi dell’art. 823 del codice civile.

      Il procedimento di individuazione delle singole Acque Pubbliche è formalizzato dalla Legge fondamentale e disciplinato dall' art. 1 e dal Regolamento approvato con R.D. n. 1285 del 1920 e avviene mediante l'iscrizione delle stesse in Elenchi compilati dall'Amministrazione dei Lavori Pubblici, distintamente per Province (Elenchi Provinciali delle Acque Pubbliche).

      Il Canale dei Molini, individuato come Acqua Pubblica mediante la formale iscrizione nell'Elenco Suppletivo delle Acque Pubbliche della Provincia di Ravenna, pubblicato ai sensi di Legge sulla Gazzetta Ufficiale del Regno n. 181 il 6 agosto 1936 pagina 2556, non poteva essere ceduto dai Lottizzanti al Comune di Lugo come bene privato, poiché privato non è, così come è evidente che il Comune di Lugo ben sapeva che il bene in questione è un bene demaniale dello Stato, inalienabile e inusucapibile, avendo da tempo i ricorrenti denunciato la demanialità del Canale dei Molini, e quindi la sua inalienabilità.

      La demanialità del Canale dei Molini era comunque ben nota al Comune di Lugo, posto che l'art. 134 delle Norme Tecniche di Attuazione del vigente PRG del Comune di Lugo, che contiene prescrizioni per le Acque Pubbliche, include fra i Corsi d'Acqua Pubblici il Canale dei Molini per tutto il suo corso nel Comune di Lugo (pagine 150 e 151 delle NTA).

      La natura demaniale del Canale emergerebbe, inoltre, sia dall’autorizzazione al tombinamento di una sua porzione rilasciata al Comune dal Consorzio di Bonifica di Lugo con atto 20 luglio 1978 sia dalla nota dell'Agenzia del Demanio, Filiale di Bologna, Sezione staccata di Ravenna, n. 3004/2003/RA in data 21 febbraio 2003.

      Tutto ciò evidenzia, quanto meno, la palese divergenza dell'atto di acquisizione dell'alveo del Canale dei Molini come bene privato dal suo fine tipico e istituzionale, con conseguente illegittimità sotto il profilo dello sviamento.

      Escludendo dal computo degli standards il mappale corrispondente al Canale dei Mulini, palesemente incedibile ex art. 823 del codice civile, sono conseguentemente violati l'art. 4 del D.M. n. 1444 del 2.4.1968 nonché l'art. 46 della Legge Regionale Emilia Romagna n. 47 del 1978, che prevedono la dotazione minima di standards, nella specie a Verde pubblico, che all'evidenza non sono più rispettati.

      12). Falsa ed erronea motivazione. Falso ed erroneo presupposto di fatto e di diritto. Illogicità. Irragionevolezza. Contraddittorietà. Sviamento. Manifesta ingiustizia. Violazione del principi di buon andamento e imparzialità sanciti dall' art. 97 della Costituzione.

      La motivazione addotta dal Comune di Lugo in ordine alla acquisizione dell'area destinata a Verde Pubblico in sede di Variante al Piano – vale a dire che "con l'acquisizione dell'area destinata a Verde sia acquisita la finalità pubblica di avere un elemento naturale di interruzione dell'edifìcato" - non tiene conto del fatto che la zona oggetto di acquisizione come Verde Pubblico, indipendentemente da tale acquisizione è già ex se inedificabile e quindi "elemento di interruzione dell'edificato".

      Infatti: sia con riferimento alla zona sulla quale insiste la servitù di passaggio per pedoni e veicoli dei ricorrenti, alla base dell'argine rialzato del Canale dei Molini, sia con riferimento alla restante zona comprensiva dell'alveo del Canale dei Molini e dei relativi argini, l'inedificabilità discende in via immediata dalla applicazione della normativa statale sulle zone di rispetto ai Corsi d'acqua, nella specie, dai R.D. n. 368 e 523 del 1904 nonché dall'art. 27 del Regolamento del Consorzio di Bonifica della Romagna Occidentale.

      La motivazione del Comune di Lugo è quindi giuridicamente inconsistente e irragionevole ed evidenzia, una volta di più, che la finalità realmente perseguita non è quella artatamente indicata nella deliberazione ma, bensì, l' acquisizione dai privati Lottizzanti, con loro esclusivo vantaggio, non certamente pubblico, di aree altrimenti inservibili sotto il profilo edilizio, esentandoli così dalla cessione a Verde Pubblico di aree edificabili comprese nel Piano, che invece dovranno essere cedute al Comune di Lugo in sostituzione di quelle previste nella Variante ad assolvimento degli standards di Legge.

      Resistevano al ricorso il Comune di Lugo ed i controinteressati Immobiliare La Casa e Brozzi S.r.l..

     Intervenivano, altresì, opponendosi all’accoglimento dei ricorsi, le signore Montagnani Luisa Maria in Zini e Montagnani Silvarosa, in qualità di eredi della lottizzante Montanari Veralba.

      Il TAR, riuniti i gravami e disattese le eccezioni pregiudiziali di rito, li accoglieva con la sentenza in epigrafe specificata, contro la quale hanno proposto distinti appelli il Comune di Lugo e le signore Montagnani Luisa Maria in Zini e Montagnani Silvarosa.

      Gli originari ricorrenti si sono costituiti in questo grado, replicando alle argomentazioni poste a base delle due impugnazioni e riproponendo le censure dichiarate assorbite dal TAR.

     Tutte le parti hanno ulteriormente illustrato con apposite diffuse memorie le rispettive tesi difensive.

      Gli appelli sono stati trattenuti in decisione alla pubblica udienza del 15 febbraio 2005.

D I R I T T O

      1. Gli appelli sono rivolti contro la stessa sentenza e coinvolgono le medesime parti del giudizio di primo grado. Essi, pertanto, vanno riuniti e definiti con unica pronuncia per evidenti ragioni di connessione. 

      2. In via prioritaria, va esaminato il primo motivo dell’appello del Comune di Lugo, con il quale viene riproposta, censurandosi sul punto la sentenza appellata, l’eccezione di improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, del ricorso n. 81 del 2001 sul rilievo che, a seguito dell’ordinanza del Consiglio di Stato (Sez. V) n. 1456 del 6 marzo 2001, era stata approvata con deliberazione consiliare 12 dicembre 2002, n. 137, una nuova variante al P.P. con redistribuzione degli spazi pubblici, al fine di garantire la servitù di passaggio per pedoni e veicoli a favore dei ricorrenti.

      Con la nuova variante, pure impugnata dai signori Zani e Tassinari con ricorso n. 263 del 2003, la servitù di passaggio è stata interamente ripristinata e, allo scopo di evitare che la servitù potesse essere in qualche modo pregiudicata dall’attuazione del P.P., è stata modificata sia la collocazione dell’area di manovra del parcheggio sia la sistemazione terminale della Via d’Annunzio “onde consentire in modo più agevole l’esercizio della servitù di passaggio da e per via Gabriele D’Annunzio e via Moruzzi a favore Zani e Tassinari”.

      L’intervenuto cambiamento della situazione di fatto e di diritto avrebbe fatto venire meno per i ricorrenti qualsiasi utilità alla pronuncia giudiziale.

      A giudizio del TAR, invece, pur dovendosi riconoscere che, per effetto della misura cautelare concessa da questo Consiglio di Stato e del conseguente ripristino delle condizioni per il pieno esercizio della servitù di passaggio, gli atti impugnati con il ricorso n. 81 del 2001 risultavano di fatto superati per quanto concerne il lamentato pregiudizio al diritto di servitù di passaggio a tutela del quale i ricorrenti avevano agito in giudizio, l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse non poteva essere dichiarata, attesa la possibilità prospettata dalla difesa degli originari ricorrenti di esperire un’azione di risarcimento danni.

       Il Comune contesta tale conclusione, osservando che, ove gli appellati avessero subito, per lesione del loro diritto di servitù, un danno riconducibile, a titolo di colpa, al Comune (unico profilo di danno teoricamente configurabile nella fattispecie), il diritto al risarcimento non sarebbe precluso dalla dichiarata improcedibilità dell’impugnazione.

      2.1. Gli appellati, con la memoria del 2 febbraio 2005, oppongono che la richiesta di risarcimento del danno era collegata sia allo spoglio delle servitù di passaggio di cui erano titolari, che costituisce un’illecita lesione di una posizione giuridicamente tutelata nella vita di relazione con conseguente obbligo di risarcimento del danno causato, sia all’illegittima violazione degli indici di edificabilità previsti dalla nuova normativa comunale, indici che, per costante giurisprudenza, sono stabiliti anche nell’interesse dei proprietari dei fondi limitrofi.

      L’utilità della pronuncia nel merito sarebbe, ad avviso degli appellati, diretta conseguenza del pacifico orientamento di questo Consiglio di Stato, alla stregua del quale la domanda di risarcimento del danno postula il previo annullamento dell’atto amministrativo, che costituisce il presupposto indefettibile del primo.

      2.2. Al riguardo, si osserva quanto segue.

     La Sezione ha di recente (Sez. IV, 12 giugno 2003, n. 3318) riesaminato approfonditamente la questione relativa alle conseguenze derivanti dalla carenza di interesse sopravvenuta in appello in conseguenza della sostituzione dell’originario provvedimento con altro, non completamente satisfattivo dell’interesse del ricorrente vittorioso in primo grado.

     In tale occasione, si è rilevato che, sul piano generale, il problema della sopravvenuta carenza d’interesse al ricorso va affrontato sotto un duplice profilo, uno sostanziale ed uno processuale.

     Sotto il primo aspetto, l’interesse all’impugnazione può venir meno – oltre che per il suo abbandono da parte del titolare (rinuncia, acquiescenza e fattispecie consimili) o per la sua soddisfazione a qualsiasi causa dovuta (con conseguente cessazione della materia del contendere) - a causa del concretarsi di fattispecie preclusive della realizzabilità dell’interesse medesimo, che incidano: a) o sull’interesse stesso, determinandone la scomparsa ab origine, in seguito a una disciplina che lo privi ex tunc di rilevanza giuridica sul piano del fatto o degli effetti; b) o sulla realizzabilità dello stesso, determinandone l’inattualità per la sopravvenienza di provvedimenti che non ne consentano più la realizzabilità e che di necessità devono quindi consistere nella nuova e diversa disciplina o dell’originario interesse sia pure novellato oppure di un interesse nuovo che inglobi il primo.

     In altri termini, non ogni sopravvenienza provvedimentale priva l’interesse originario della sua realizzabilità – rende, cioè, irrealizzabile l’interesse e lo fa venir meno – bensì produce tale effetto solo quella sopravvenienza che, esaurendo il provvedimento originario di ogni capacità lesiva dell’interesse sostanziale e assoggettando quest’ultimo interamente a una nuova disciplina, renderebbe, sul piano processuale, inutile la stessa pronuncia del giudice.

     Sotto il profilo processuale, coerentemente all’orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Sez. V, 6 febbraio 2003 n. 632; IV, 6 ottobre 2001 n. 5296), è stato ricordato che la declaratoria dell’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse postula un univoco accertamento dell’inutilità della sentenza, verifica che, a sua volta, esige che la presupposta, rigorosa indagine circa l’utilità conseguibile per effetto della definizione del ricorso conduca al sicuro convincimento che la modificazione della situazione di fatto o di diritto intervenuta in corso di causa impedisce di riconoscere in capo al ricorrente alcun interesse, anche meramente strumentale o morale, alla decisione.

     E’ stato, peraltro, sottolineato che la questione di ordine processuale che si pone in diritto non può andare disgiunta dal riferimento alla concreta fattispecie che si verifica nel corso del processo.

     In applicazione delle considerazioni generali avanti richiamate, si può osservare che, nella fattispecie – nella quale la sopravvenienza non è intervenuta nelle more del giudizio d’appello, bensì nel corso del giudizio di primo grado – ricorre sicuramente la condizione di ordine sostanziale. Non sussiste dubbio, difatti, che i provvedimenti impugnati con il ricorso n. 81 del 2001 sono stati, in esecuzione dell’ordinanza cautelare di questo Consiglio di Stato (Sez. V) 6 marzo 2001 n. 1456, interamente sostituiti con l’approvazione da parte del Comune di una nuova variante al P.P.I.P., al dichiarato fine di rendere possibile l’esercizio della servitù di passaggio vantata dagli originari ricorrenti. Che, poi, questa nuova variante soddisfi o meno l’interesse degli originari ricorrenti è questione di merito, che va risolta in sede di esame delle statuizioni rese dal giudice di primo grado sul ricorso n. 236 del 2003 proposto contro la nuova disciplina sempre dai ricorrenti originari.

     Ai limitati fini che qui interessano, non sembra possa essere messa in discussione la circostanza che il nuovo assetto urbanistico integri una modificazione della situazione di fatto e di diritto di quella precedente e, in quanto tale, realizza la condizione sostanziale che dovrebbe condurre, alla stregua delle considerazioni appena svolte, all’improcedibilità dell’impugnazione per sopravvenuto difetto d’interesse.

      La circostanza è condivisa anche dal primo giudice, il quale, tuttavia, ha escluso di potere aderire alla richiesta di declaratoria di estinzione del giudizio avanzata dal comune, sul rilievo che la manifestata volontà degli originari ricorrenti di voler instaurare un giudizio per il risarcimento del danno renderebbe ancora utile la pronuncia di merito.

     La statuizione del TAR è difesa dagli appellati, i quali assumono che nella specie si è fatta corretta applicazione dei chiari principi sulla pregiudiziale amministrativa, enunciati dalla giurisprudenza amministrativa. Pertanto, la perdurante utilità di un’espressa pronuncia al riguardo sarebbe assolutamente indispensabile per poter esperire l’azione di danno sia per l’illecito spoglio della servitù di passaggio sia per l’ulteriore diritto al risarcimento dei danni subiti a causa dell’illegittima violazione degli indici di edificabilità previsti dalla nuova normativa, limiti che sono stabiliti, per costante giurisprudenza, anche nell’interesse dei proprietari dei fondi limitrofi, quali essi sono.

     In questi stessi termini sembrano orientate anche le affermazioni contenute nell’ordinanza (Sez. V) 6 marzo 2001, n. 1456, nella parte in cui sottolinea che la giurisdizione esclusiva amministrativa in materia edilizia ed urbanistica, estesa anche alla cognizione dei “comportamenti”" della Pubblica Amministrazione (o dei soggetti equiparati), impone al Giudice di verificare la concreta incidenza dei provvedimenti amministrativi, e della loro attuazione, sulle situazioni sostanziali fatte valere dalle parti interessate, e si estende anche domande preordinate alla tutela del possesso, quanto meno nelle ipotesi in cui essa è correlata (così come nel presente Giudizio) alla contestazione di provvedimenti tipici in materia Edilizia e Urbanistica  (Piani Particolareggiati e Concessioni edilizie), concludendo nel senso che la rilevanza sostanziale, oltre che processuale, della situazione possessoria impone di accordare tutela sommaria e cautelare in tutti i casi in cui, accertato il requisito del fumus boni iuris l'esecuzione del provvedimento amministrativo determini una oggettiva lesione del possesso, senza necessità di accertare l'esistenza di uno specifico periculum in mora, secondo principi espressi dall’art. 1168 del codice civile.

      2.3. Il Collegio ritiene che le conclusioni del giudice di primo grado, anche se astrattamente condivisibili con riferimento al quadro normativo esistente al momento della pronuncia, non possano essere confermate per le ragioni che seguono.

      In punto di fatto, occorre precisare che il lamentato spoglio della servitù di passaggio e la successiva reintegrazione si sono articolate nell’ambito della fase cautelare, connessa al ricorso n. 81 del 2001 e che gli atti impugnati con tale ricorso sono stati formalmente e sostanzialmente superati dalla nuova variante, approvata dal comune di Lugo prima che il giudice di primo grado si pronunciasse nel merito dell’impugnazione.

     La vicenda processuale in esame è, difatti, caratterizzata nei seguenti termini:

     a) con il ricorso n. 81 del 2001 gli originari ricorrenti hanno impugnato la deliberazione del Consiglio Comunale di Lugo n. 7 del 27 gennaio 2000, avente ad oggetto una modifica ed integrazione del P. P. I. P., già convenzionato nel 1991, la relativa convenzione e le concessioni edilizie conseguentemente rilasciate, assumendo che tali modifiche ledevano il loro diritto di servitù attiva di passaggio di cui i medesimi sono titolari;

     b) la domanda cautelare, respinta dal TAR, è stata accolta da questo Consiglio di Stato (Sez. V), con ordinanza 6 marzo 2001, n. 1456, in esito alla quale sono stati prima sospesi i lavori che interferivano con l’esercizio di detta servitù, e poi completamente ripristinate le condizioni per l’esercizio della servitù secondo la situazione anteriore;

     c) per superare le obiezioni sollevate dai titolari della servitù di passaggio e consentirne il relativo esercizio e godimento, il Comune ha approvato con deliberazione consiliare n. 137 del 12 dicembre 2002 una nuova variante al Piano in parola, con il dichiarato intento di garantire la servitù di passaggio a favore dei signori Zani e Tassinari.

     Ora, se si considera che sia il lamentato spoglio sia la reintegrazione si sono svolti ed esauriti nella fase cautelare, innestata con il ricorso n. 81 del 2001, si potrebbe sostenere che l’azione di danno non appare più condizionata al previo annullamento, posto che una tale evenienza si è già verificata con i vari provvedimenti comunali, adottati in esecuzione della misura cautelare, che hanno imposto prima la sospensione dei lavori, poi il ripristino della situazione precedente e, infine, la presentazione di una nuova soluzione progettuale che tenesse conto delle esigenze connesse al diritto di servitù di passaggio attivo degli originari ricorrenti.

     In altre parole, l’illegittimità degli atti impugnati è stata esplicitamente riconosciuta dall’amministrazione comunale, per cui l’esperibilità dell’azione di risarcimento potrebbe non essere più subordinata al previo e formale annullamento degli atti impugnati.

     Sotto altro e più decisivo rilievo, va, comunque, osservato che sulla vicenda esplicano i propri effetti le note sentenze della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204 e 28 luglio 2004, n. 281, con le quali la Corte, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'art. 34 del D.L. vo 31 marzo 1998, n. 80 del 1998, come modificato dall'art. 7, comma 1 lett. b), della legge 21 luglio 2000, n. 205, nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva - oltre «gli atti e i provvedimenti» attraverso i quali le Pubbliche amministrazioni (direttamente ovvero attraverso «soggetti alle stesse equiparati») svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia - anche «i comportamenti», la estende a controversie nelle quali la Pubblica amministrazione non esercita - nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici - alcun pubblico potere.

      Una delle principali conseguenze derivanti dalle sentenze sopra citate, è l’attribuzione alla cognizione del giudice ordinario delle azioni possessorie e delle richieste risarcitorie connesse alla lesione della situazione soggettiva possessoria vantata dal  privato, vuoi per l’autonomia sostanziale della nozione di possesso vuoi perché l’esercizio di un’azione possessoria presuppone di norma l’assenza di titolo (in questi termini, si veda Cass. Civile SS.UU. 19 marzo 2004, n. 9532).

     Né è possibile ritenere che il mutamento di legge in tema di giurisdizione, risultante dalla citata pronuncia della Corte costituzionale, possa non valere nel presente processo. Va osservato, infatti, che le sentenze della Corte Costituzionale, che dichiarano l'illegittimità costituzionale di una norma, hanno efficacia retroattiva, poiché operano una ricognizione di un vizio originario ed intrinseco della norma stessa, la cui eliminazione dall'ordinamento non è assimilabile a quella disposta, per effetto di abrogazione, in virtù di altra norma sopravvenuta (Sez. IV, 27 settembre 2004, n. 6328).

     Ora, essendo ben noto che davanti al giudice ordinario, secondo un orientamento prevalente dalla Suprema Corte regolatrice (cfr., da ultimo, SS.UU. CC. 24 settembre 2004, n. 19200), il diritto al risarcimento del danno è indipendente ed autonomo dalla situazione soggettiva lesa ed ha natura di diritto soggettivo, anche quando la lesione sia collegata ad una precedente posizione di interesse legittimo, ne deriva che gli originari ricorrenti, ove lo ritengano, possono proporre la loro azione di risarcimento, in via autonoma e indipendentemente dalla pregiudiziale amministrativa, davanti al giudice ordinario.

     Alla luce di tali precisazioni, si deve concludere che, nella presente fattispecie, sussiste anche la condizione processuale che, come sopra evidenziato, condiziona la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto d’interesse.

     Gli originari ricorrenti hanno prospettato un ulteriore diritto al risarcimento dei danni, che sarebbero loro derivati a causa dell’illegittima violazione degli indici di edificabilità previsti dalla nuova normativa, limiti che sono stabiliti, per costante giurisprudenza, anche nell’interesse dei proprietari dei fondi limitrofi.

     Si tratterebbe di pretesa collegata ad una specifica censura dedotta sia con il ricorso n. 81 del 2001 sia con quello 236 del 2003, censura che come si chiarirà in prosiego, prima che infondata, appare addirittura inammissibile.

     Secondo l’orientamento di questo Consiglio di Stato (cfr., da ultimo, Sez. IV, 16 febbraaio 2005, n. 479; 10 giugno 2004, n. 3755), sono inammissibili per carenza di interesse le censure concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente, giacché le prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate scindibili ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale, rimanendo salva la possibilità di proporre impugnativa allorquando la nuova destinazione urbanistica, pur concernendo un’area non appartenente al ricorrente, incide direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell' area stessa, o comunque su interessi propri e specifici del medesimo esponente.

     E, poiché nel caso in esame, l’unica lesione lamentata attiene al possesso della servitù, che avrebbe subito un illecito spoglio, è consequenziale ritenere che l’ulteriore doglianza non ha autonomia sostanziale ed è assorbita dalla azione di risarcimento a tutela del possesso.

     Il primo motivo di appello del Comune è, pertanto, fondato.

     2.4. Con il secondo motivo d’appello, la sentenza è censurata nella parte in cui, in accoglimento del ricorso n. 81 del 2001, ha annullato anche la concessione edilizia e nulla osta ambientale n. 5255 in data 24 febbraio 2000, relativa alle opere di urbanizzazione, rilasciata a Immobiliare La Casa s.r.l. ed altri e la la concessione edilizia n. 27641 in data 7ottobre 2000 per l'edificazione di un fabbricato residenziale nell'ambito del Piano particolareggiato, rilasciata a Battaglia Omero, Baroncini Alba ed altri, nei confronti delle quali però non era stata sollevata nessuna specifica censura, neppure in via derivata.

     Il motivo è fondato.

     Come risulta dall’esame del ricorso n. 81 del 2001, effettivamente nessuna delle censure dedotte è riferibile alle predette concessioni edilizie e, poiché con la sentenza il primo giudice ha annullato “tutti gli atti impugnati”, è da presumere che l’annullamento delle citate concessioni sia stato pronunciato dal TAR per illegittimità derivata, anche se, come correttamente rileva la difesa del comune, un tale tipo di illegittimità non era stato sollevato dagli originari ricorrenti.

     A diversa conclusione non induce la tesi, svolta dalla difesa degli originari ricorrenti con la memoria del 2 febbraio 2005, secondo cui il motivo di doglianza sarebbe contenuto nell’atto di motivi aggiunti.

     A parte che il motivo di censura in questione risulta strutturato, al pari di tutti quelli sollevati con il ricorso, come rivolto contro il P.P.I.P. e non anche contro le due concessioni edilizie, è agevole osservare che il medesimo è, altresì, infondato, per la decisiva considerazione che la disciplina del nuovo P.R.G. del 1998, relativa al diverso e più contenuto indice di utilizzazione territoriale, non può applicarsi al Piano particolareggiato a suo tempo approvato dal Comune ed in corso di realizzazione.

     E’ noto, infatti, che, secondo pacifico orientamento giurisprudenziale, il Comune può sempre modificare l’assetto territoriale configurato dal piano di attuazione di iniziativa privata (Piano di lottizzazione o Piano particolareggiato di Iniziative Privata), in relazione a nuove, sopravvenute esigenze, che possono essere della più svariata natura, ma, allorquando un procedimento lottizzatorio si sia concluso con la sottoscrizione e la trascrizione della relativa convenzione, nel dare un diverso assetto al territorio, ha il dovere di specificare le ragioni di pubblico interesse che hanno portato a modificare le valutazioni urbanistiche sul presupposto delle quali era stato, a suo tempo,  approvato il piano esecutivo di iniziativa privata.

     Nella specie, poi, ove si consideri che il piano era costituito da due autonomi sub-comparti (A e B), uno dei quali (il sub-comparto A) già ultimato ed il secondo in fase di avanzata esecuzione, appare evidente che la decisione di dare una diversa disciplina urbanistica, sia pure limitatamente al ridotto indice di utilizzazione territoriale, doveva formare oggetto di specifica e puntuale determinazione dell’amministrazione comunale. Ciò che non risulta essersi verificato, posto che il comune, approvando la variante quando aveva già adottato il nuovo P.R.G., ha evidentemente inteso confermare la validità delle scelte urbanistiche operate con l’approvazione del contestato P.P.I.P..

     Dalle considerazioni che precedono  deriva, in accoglimento dei due motivi d’appello del Comune, che il ricorso n. 81 del 2001 va dichiarato in parte inammissibile per sopravvenuta carenza d’interesse e in parte infondato con riguardo alla doglianza dedotta con l’atto di motivi aggiunti.

     Questa conclusione dispensa il Collegio dall’esaminare l’ulteriore questione di rito sollevata con riguardo al ricorso n. 81 del 2001, relativa all’asserita violazione del principio del contraddittorio e dell’art. 112 CPC, questione che, ovviamente, resta assorbita dalla dichiarazione di improcedibilità del gravame originario

     3. Si può, quindi, passare agli appelli che contestano l’accoglimento del ricorso n. 236 del 2003, i quali possono essere esaminati congiuntamente.

      Il TAR ha accolto in parte la censura dedotta con il nono motivo di ricorso, di violazione dell’art. 1067, comma 2 del codice civile.

     Con tale doglianza, i ricorrenti lamentavano che la nuova soluzione progettuale contenuta nella variante approvata con deliberazione n. 137 del 2002, determina, comunque, un aggravamento della servitù di passaggio dei ricorrenti, in quanto il nuovo uso promiscuo comporta la generalizzata utilizzazione di un passaggio precedentemente riservato al loro uso.

     Difatti, all'esercizio della servitù di passaggio da parte loro si somma il passaggio di tutti i cives in conseguenza della destinazione a pubblica viabilità del mappale sul quale i ricorrenti esercitavano ex ante la loro servitù di passaggio.

     E ciò in una situazione in cui lo stato dei luoghi e in primis le esigue dimensioni del passaggio, specialmente all'inizio della Via Moruzzi, non consentono affatto il simultaneo passaggio di un autoveicolo e di un pedone o ciclista provenienti da opposti sensi di marcia con evidentissimo rischio per l'incolumità personale singole persone.

     I ricorrenti assumono che la nuova soluzione approvata "prevede il mantenimento della carraia con caratteristiche e dimensioni invariate rispetto all'esistente", mentre il diritto di servitù viene "esteso al collegamento con la Via D'Annunzio in quanto nella zona terminale della stessa …… è prevista una pavimentazione costituita da ritter ecologico predisposto anche al fine di consentirne l'utilizzo carrabile a favore della proprietà Zani – Tassinari".

     3.1. Il primo giudice ha ritenuto infondata la censura nella parte in cui era rivolta contro questo secondo accesso (quello di Via D’Annunzio), osservando che i ricorrenti non hanno motivo di lamentarsi, posto che non è in discussione la possibilità di accedere agevolmente alla loro proprietà dalla citata Via D'Annunzio.

     Il medesimo giudice ha, però, ritenuto fondato il motivo di ricorso per la parte in cui era rivolto contro l’accesso da e su Via Moruzzi.

     A questo proposito, ha osservato che la salvaguardia del diritto fatto valere dai ricorrenti va valutata con riferimento al mantenimento non solo di dimensioni invariate rispetto all'esistente, ma anche di quantomeno analoghe condizioni di fruibilità; e sotto quest'ultimo profilo la prevista promiscuità di traffico ciclo-pedonale pubblico e carrabile a favore del solo fondo Zani-Tassinari comporta un concreto ed apprezzabile pregiudizio per i ricorrenti, con conseguente violazione dell'art. 1067 del codice civile.

     Ad avviso del TAR, avuto riguardo alla larghezza di metri 2,70 dell'accesso in questione e alle dimensioni di un autoveicolo, se tale larghezza appare di per sé sufficiente a garantire una non disagevole fruizione della servitù di passaggio carrabile di cui sono titolari i ricorrenti, viceversa, se l'accesso è utilizzabile con le modalità promiscue previste dalla variante, nessun dubbio può sussistere sul fatto che la servitù carrabile ne risulta pesantemente e negativamente condizionata, stante l’impossibilità per un veicolo ed un pedone (o un ciclista) provenienti da opposti sensi di marcia di passare contemporaneamente da tale strettoia, con i conseguenti pericoli e disagi.

     Da qui la fondatezza della doglianza di violazione dell'art. 1067, comma 2 del codice civile, in quanto la nuova soluzione progettuale, con la destinazione alla pubblica circolazione dell’area su cui insiste la servitù di passaggio, determina il massimo dell'aggravamento possibile per il diritto vantato dai ricorrenti, il cui esercizio è destinato a divenire quantomeno più incomodo per il sommarsi del transito di tutti i cittadini; con effetti anche rischiosi per la sicurezza delle persone nel punto di massimo restringimento del passaggio.

     In tale contesto, sono state ritenute non conferenti le decisioni della Cassazione, richiamate dal Comune di Lugo e dalle odierne appellanti, secondo le quali la maggiore intensità del traffico su una strada privata, soggetta a servitù di passaggio a favore di un altro immobile, non determina di per sè la diminuzione o la maggiore incomodità di esercizio della servitù costituita sul fondo servente, sulla base della considerazione che la fattispecie concreta non sarebbe riconducibile alle ipotesi decise dalla Suprema Corte: nel caso in esame, infatti, non è in discussione solo un incremento del traffico, bensì, e più esattamente, la generalizzata apertura alla pubblica viabilità di un passaggio precedentemente riservato all'uso esclusivo degli odierni ricorrenti.

     3.2. Riassunte, sia pure succintamente, le ragioni poste a base della statuizione del primo giudice, la Sezione ritiene che le medesime non possano essere condivise.

     In punto di fatto, conviene precisare che, contrariamente a quanto affermato dal TAR, la servitù di passaggio di cui si discute non è riservata all’uso esclusivo degli originari ricorrenti.

     Come risulta dal titolo negoziale (atto di compravendita, trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Ravenna in data 18 maggio 1995), i signori Guido Zani e Cristina Tassinari hanno acquistato un immobile sito in Comune di Lugo, comprensivo della “servitù attiva di passaggio per pedoni e veicoli onde accedere dalla e alla pubblica Via, su quella striscia di terreno che costituisce parte di stradina privata, distinta al N.C.T. di Lugo al Foglio 106 mappale 697, nonché su quella che è la nuova strada dell'adiacente lottizzazione, denominata Via G. D'Annunzio……”.

     Come esattamente osservano le appellanti, se si fa eccezione per l’individuazione della servitù (la “stradina privata” e la nuova Via D’Annunzio) e per la determinazione delle “modalità” del passaggio (per pedoni e veicoli), il titolo costitutivo non contiene nessuna specificazione in ordine alle “dimensioni” dell’area gravata da servitù né in ordine all’esclusività del relativo diritto di passaggio.

     Sempre in punto di fatto, va ancora sottolineato che, come emerge dalla documentazione depositata in atti (relazione tecnico-illustrativa depositata con documento aggiunto del 25 gennaio 2005 dalle appellanti Montagnani), la nuova soluzione progettuale prevede una sede carrabile di circa mt. 4,00 a fronte dei preesistenti mt. 2,20, mentre solo nel brevissimo tratto iniziale dell’accesso dalla Via Moruzzi è stata mantenuta l’ampiezza originaria dell’area in questione.

     In tale quadro ricostruttivo della situazione di fatto e di diritto, appare evidente come, diversamente da quanto tenta di dimostrare con diffuse e ripetute argomentazioni la difesa degli originari ricorrenti, la servitù di passaggio di cui questi ultimi sono titolari non ha subito nessun aggravamento.

     Al contrario, come anche su questo punto esattamente rilevato dal Comune  e dalle appellanti, il loro diritto di passaggio risulta addirittura migliorato ove si consideri che, in base alla disciplina urbanistica introdotta con la contestata variante, il passaggio carrabile è consentito solo ed esclusivamente ai proprietari del fondo dominante.

     Per tutti gli altri soggetti, difatti, l’utilizzazione dello stradello è previsto solo per il traffico ciclo-pedonale.

     Per quanto attiene, in particolare, quest’ultimo aspetto, il giudice di primo grado la rilevato che la salvaguardia del diritto di servitù degli appellati va valutata con riferimento al mantenimento non solo di dimensioni invariate rispetto all'esistente, ma anche di quantomeno analoghe condizioni di fruibilità, e sotto tale profilo ha ritenuto che la promiscuità di traffico ciclo-pedonale pubblico e carrabile a favore del solo fondo Zani e Tassinari, determina un concreto e apprezzabile pregiudizio per gli stessi.

     A tale esito è pervenuto, osservando che, avuto riguardo alla larghezza dello stradello (m. 2,70) e alle dimensioni di un autoveicolo, tale larghezza garantisce una non disagevole fruizione della servitù di passaggio carrabile di cui sono titolari gli appellati, ma se l'accesso viene utilizzato con le modalità promiscue previste dalla variante, la servitù carrabile ne risulterebbe, invece, pesantemente e negativamente condizionata, stante l'impossibilità per un veicolo ed un pedone (o ciclista) provenienti da opposti sensi di marcia di transitare contemporaneamente su tale strettoia.

     Gli odierni appellati, a sostegno della bontà della statuizione, osservano come l’esclusività o meno del passaggio sul fondo servente sia un falso problema, posto che l'aggravamento di una servitù di passaggio ben può configurarsi anche riguardo a situazioni di passaggio non esclusivo sul fondo servente.

     Ciò che, a loro avviso, è decisivo ai fini della configurazione dell' aggravamento della servitù, non è l' esclusività del passaggio ma piuttosto che la modificazione dello stato dei luoghi o la sopravvenienza di diverse modalità di esercizio del diritto reale di servitù determinino, così come avviene specie, una maggiore difficoltà o scomodità dell'esercizio della servitù, restando escluse dall' ambito di operatività dell’art. 1067, comma 2 del codice civile solamente quelle modificazioni che comportino disagi minimi del tutto trascurabili.

     Si tratta di tesi che, ad avviso del Collegio, non può essere condivisa, perché non considera che, una volta escluso che la vantata servitù garantisse il diritto all’uso esclusivo del passaggio, nulla vietava che lo stradello in questione, prima della nuova variante, potesse essere utilizzato da soggetti diversi dai titolari della servitù sia mediante attraversamento pedonale o ciclabile sia mediante autovettura.

     Anche se una tale evenienza si potesse presentare in termini meramente potenziali, non può essere messo in discussione che l’uso carrabile esclusivo, previsto dalla nuova variante a favore dei soli titolari della servitù, ne ha arricchito il contenuto e, quindi, ha comportato un netto miglioramento del titolo negoziale precedente.

     Se, poi, si aggiunge che la nuova strada è rimasta invariata in termini di larghezza solo per la lunghezza del precedente stradello, mentre per la restante lunghezza è stata portata a circa metri quattro di larghezza, è agevole concludere che, nella fattispecie, non vi è stato alcun peggioramento della precedente servitù.

     4. La riconosciuta fondatezza degli appelli del Comune e delle Montagnani, impongono di esaminare le ulteriori censure dedotte con il ricorso n. 236 del 2003, dichiarate assorbite dal TAR ed espressamente riproposte dagli originari ricorrenti.

     In via prioritaria, il Collegio deve farsi carico di una precisazione in relazione ad una osservazione degli appellati con riferimento alla seguente affermazione contenuta nei due appelli (pag. 17 dell’appello del Comune di Lugo e pag. 12 dell’appello Montagnani): per quanto attiene gli altri motivi di illegittimità dedotti ex adverso e dichiarati assorbiti, si rinvia alle memorie difensive dimesse agli atti del giudizio di primo grado.

     Si assume che i richiamati motivi contenuti nelle memorie difensive di primo grado, non essendo stati indicati nell' atto di appello, ma semplicemente richiamati per relationem, sono del tutto inammissibili, non essendo consentita la deduzione extratestuale dei motivi di fatto e di diritto già svolti in primo grado a sostegno delle eccezioni difensive, che, invece, devono puntualmente essere riproposte in sede di impugnazione.

     Come esattamente replicano sul punto gli appellanti, l’art. 346 c.p.c., cui fa implicito riferimento la deduzione avversaria, non riguarda l’appellante, il quale, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., ha l’onere di riproporre tutte le domande che il giudice di primo grado abbia disatteso attraverso specifici motivi di appello.

     Ne consegue che il disposto normativo in esame si applica esclusivamente nei confronti della parte appellata interamente vittoriosa in primo grado la quale, pur non avendo l’onere di proporre appello incidentale per rimettere in discussione domande ed eccezioni che risultino superate od assorbite, è tuttavia tenuta a riproporle espressamente nel nuovo giudizio in modo chiaro e preciso, tale da manifestare in forma non equivoca la sua volontà di chiederne il riesame.

     In altre parole il Comune di Lugo e le signore Montagnani non avevano alcun onere di riproporre le difese già dedotte in primo grado per contestare la fondatezza dei motivi dichiarati assorbiti dal TAR, ma solo quello di censurare la sentenza impugnata e, quindi, l’unico motivo accolto.

      Solo se ed in quanto, gli originari ricorrenti ed attuali appellati avessero riprodotto i motivi assorbiti, sorgeva, in capo agli appellanti, l’interesse a contestare detti motivi mediante successiva memoria: il che nella specie è puntualmente avvenuto.

      Il rilievo degli odierni appellati si rivela, quindi, infondato.

      4.1. Con riferimento ai motivi di ricorso dichiarati assorbiti dal TAR, il Comune di Lugo premette che gli originari ricorrenti, come risulta testualmente dagli ricorsi introduttivi e dalla stessa sentenza appellata, hanno agito esclusivamente nella loro veste di titolari del diritto di servitù di passaggio ed a tutela del medesimo. Questa precisazione confermerebbe, ad avviso del comune, la tesi già sostenuta in primo grado e ribadita in questo secondo grado, dell’inammissibilità delle censure proposte da soggetti non ricompresi nel Piano Particolareggiato e comunque non attinenti l’esercizio della servitù di passaggio.

     In particolare, sarebbero inammissibili le censure dedotte con i motivi primo, secondo, quarto, quinto, sesto, ottavo, decimo, undicesimo e dodicesimo.

     Osserva il Collegio che la tesi del comune va verificata con riferimento ai singoli motivi di gravame e alla stregua di quanto si avuto modo di precisare nel precedente punto 2.3., a proposito dell’asserito ulteriore diritto al risarcimento dei danni, derivante ai ricorrenti per violazione degli indici di edificabilità previsti dalla nuova normativa - limiti che, per costante giurisprudenza, sarebbero stabiliti anche nell’interesse dei proprietari dei fondi limitrofi.

     Come si è chiarito, le censure concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente sono inammissibili per carenza di interesse, giacché le prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate scindibili ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale, rimanendo salva la possibilità di proporre impugnativa allorquando la nuova destinazione urbanistica, pur concernendo un' area non appartenente al ricorrente, incide direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell' area stessa, o comunque su interessi propri e specifici del medesimo esponente (cfr., da ultimo, Sez. IV, 16 febbraio 2005, n. 479; 10 agosto 2004, n. 5516; 10 giugno 2004, n. 3755).

     L'interesse a ricorrere contro gli strumenti di pianificazione urbanistica che riguardano aree diverse da quelle di proprietà del ricorrente deve, cioè, essere correlato al pregiudizio che la contestata previsione urbanistica determina nella sfera giuridica del ricorrente stesso, pregiudizio che, nel caso di specie, è connesso al godimento della servitù di passaggio, del cui possesso sarebbero stati illecitamente spogliati.

     Depongono in questo senso, non solo le esplicite argomentazioni poste a sostegno dei due gravami originari, ma anche le considerazioni svolte da questo Consiglio di Stato (Sez. V) in sede di concessione della richiesta misura cautelare, avanti citata.

     In tale quadro ricostruttivo, nel quale, come si è visto esaminando gli appelli del Comune e delle signore Montagnani, le condizioni di godimento della servitù sono state totalmente ripristinate ed anche migliorate con riguardo al contenuto del diritto, appare evidente che tutte le doglianze formulate con il ricorso n. 236 del 2003, dichiarate assorbite e riproposte in questa sede, le quali non siano in alcun modo in grado di interferire nel godimento del diritto di servitù, attenendo a disciplina più specificamente riferita a dimensionamento del piano e degli standards, dovranno essere dichiarate inammissibili, perché sollevate da ricorrenti che non sono proprietari di immobili compresi nel Piano particolareggiato.

     Sotto questo profilo, non può disconoscersi la fondatezza della censura, pure sollevata dal Comune, in ordine all’annullamento totale del Piano. A questo proposito, non può condividersi la tesi prospettata dagli appellati con la memoria del 2 febbraio 2005 (pag. 28), sul carattere unitario e non scindibile del Piano nel momento in cui si riconosce, come ha fatto il giudice di prime cure, che la stradina oggetto della servitù di passaggio non può essere ceduta al Comune ad assolvimento degli standards urbanistici come “Verde pubblico”, con conseguente venir meno dello stesso standard di lottizzazione.

     Al riguardo, è sufficiente, per confutare tale affermazione, ricordare che il ricorso di primo grado è stato accolto per la riconosciuta fondatezza del nono motivo, relativo all’asserito peggioramento della servitù limitatamente all’accesso da/a sulla Via Moruzzi.

     4.2. Fatta questa generale precisazione, i motivi primo e secondo sono sicuramente ammissibili, quanto meno sotto il profilo dell’interesse strumentale.

     Entrambi, comunque, sono palesemente infondati.

     Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 15 e 21 della legge regionale 7 dicembre 1978, n. 47, per mancato rispetto della procedura prevista per l'approvazione delle varianti al PRGC, relativamente all’omissione dell’omessa preliminare fase di adozione della variante e della sua trasmissione, contestualmente al suo deposito, alla Giunta Provinciale.

     Come esattamente rilevato dalle appellanti, la "variante" al PRG di cui si tratta è stata disposta ex art.3 L.R. 46/88 che, al quinto comma, stabilisce appunto che in sede di approvazione degli strumenti urbanistici attuativi di cui al comma l del presente articolo, il Consiglio Comunale può apportare rettifiche non sostanziali delle perimetrazioni delle zone e delle aree e le modifiche delle previsioni del P RG vigente indicate al comma 7 del!' art. 15 della legge regionale 47 del 1978, come sostituito.

     Nel caso in esame, si è trattato, infatti, unicamente di stralciare dalla superficie del P.P. una modestissima area, di soli 32 mq. di proprietà Tellarini Giorgio e Tellarini Graziella, che avevano a suo tempo dichiarato di non voler più essere inseriti nel P.P..

     Pertanto nessuna "variante” al PRGC è stata approvata nella fattispecie, trattandosi semplicemente di una "rettifica dell'area sottoposta a P.P. dallo strumento urbanistico generale, “rettifìca" per la quale non è previsto l'iter invocato nel ricorso.

     Quanto alla presunta violazione dell’art.21, tale norma disciplina la "Formazione, approvazione ed efficacia del plano particolareggiato di iniziativa pubblica" e nulla ha a che vedere con la fattispecie in esame, che riguarda un piano particolareggiato di iniziativa privata, disciplinato dall’art. 25 legge n. 47 del 1978, che, al comma 5, prevede esclusivamente il deposito del progetto di piano esecutivo e non anche l'adozione del medesimo.

     Tale ultima precisazione vale anche per disattendere la doglianza inerente la mancata trasmissione, ex art.15, comma 5, alla Giunta Provinciale della variante, posto che, nel caso in esame, non una variante al P.R.G. è stata approvata, ma una semplice "rettifica non sostanziale", con conseguente inapplicabilità della disposizione invocata.

     E ciò, indipendentemente dalla circostanza che, in ogni caso, il Comune di Lugo, con nota 24 febbraio 2003, ha trasmesso alla Provincia e alla regione copia della documentazione che compone la variante.

     Né vale replicare (memoria degli appellati 26 marzo 2003, pag.3) che il procedimento da seguire non è quello previsto dall'art.3 della legge regionale n. 46 del 1988, essendo facile osservare, in contrario, che, nella delibera n. 137 del 2002 si richiama espressamente l’art. 3 della legge citata, per cui l’eventuale erronea applicazione alla fattispecie di tale norma doveva essere censurata tempestivamente ed in modo chiaro in ricorso, cosa che non è avvenuta.

     Come anche su questo punto osservano le parti appellanti, il primo motivo riguarda infatti esclusivamente la presunta violazione degli artt.15 e 21 della legge regionale n. 47 del 1978, senza nessun riferimento alla disciplina applicata dal Comune nella fattispecie.

     A conclusioni favorevoli non si può pervenire neppure in merito al presunto difetto di standards, atteso che l'art. 4 della bozza di convenzione allegata all’impugnata delibera n. 37 del 200/02, testimonia che le dotazioni di standards sono state rispettate e che, addirittura, le aree destinate a verde pubblico ed aree ad interesse comune risultano incrementate (da 2188 a 2192) rispetto alla soluzione originariamente approvata.

     Quanto al secondo motivo, con il quale si deduce la violazione, sotto diverso profilo, degli artt.15 e 21 della legge regionale n. 47 del 1978, essendo stata la variante approvata oltre 120 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle opposizioni, è facile osservare, per disattenderlo, che la normativa non prevede nessun termine per l'approvazione di uno strumento esecutivo di iniziativa privata e, comunque, che il termine predetto non ha natura perentoria, ma soltanto ordinatoria, per cui il suo mancato rispetto è ininfluente ai fini della legittimità dell'atto.

     5. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241  del 1990 e difetto di istruttoria, con riferimento all’opposizione che i ricorrenti, in qualità di titolari delle servitù di passaggio per pedoni e veicoli da e per Via Moruzzi e Via D'Annunzio, comprese nel Piano, avevano presentato presso il Comune di Lugo, e con la quale avevano chiesto di non procedere all’approvazione della variante, nei termini richiesti dai Lottizzanti, per i seguenti motivi:

     a) nella nuova variante al Piano Particolareggiato il mappale su cui insiste la servitù di passaggio per pedoni e veicoli da e per via Moruzzi fa nuovamente parte delle aree che dovranno essere cedute dai lottizzanti al Comune di Lugo ad assolvimento degli standards urbanistici (nella specie verde pubblico), che invece devono essere cedute al Comune "libere da diritti di terzi",

     b) la destinazione a verde pubblico impressa al mappale sul quale insiste la servitù di passaggio da e per via Moruzzi costituisce la premessa di fatto per l' espropriazione di tale servitù,

     c) la servitù di passaggio per pedoni e veicoli da e per via Moruzzi viene notevolmente ridotta rispetto alla precedente consistenza, secondo quanto inequivocabilmente indicato nella Tavola 2/B alla Variante di Piano,

     d) il posizionamento dello spazio di manovra carrabile di 31 mq. per parcheggio esattamente innanzi all'imbocco della servitù di passaggio da e per la Via D'annunzio, costituisce un indebito aggravamento di tale servitù,

     e) lo spazio di manovra carrabile di 31 mq. per parcheggio, data la sua collocazione, è del tutto inutile sia rispetto al parcheggio di 103 mq., sia rispetto al parcheggio di 64 mq., e pertanto non serve assolutamente allo scopo indicato dai lottizzanti ma, bensì, al “fittizio” raggiungimento degli standards richiesti

     Ad avviso dei ricorrenti, il Consiglio Comunale di Lugo, con atto n. 37 del 12 dicembre 2002, non ha minimamente motivato in relazione ai motivi di opposizione manifestati dai ricorrenti ai punti c), d), e), con conseguente illegittimità della deliberazione medesima anche per difetto di una qualsiasi istruzione e valutazione al riguardo.

     Il motivo è infondato.

     Con la deliberazione avanti citata, il Comune ha respinto detta opposizione chiarendo che "la soluzione progettuale presentata è la più valida dal punto di vista urbanistico in quanto non lede diritti di terzi essendo salvaguardata la servitù di passaggio a favore della proprietà Zani - Tassinari e che può essere compatibile la promiscuità di traffico ciclo - pedonale e carrabile a favore del solo fondo contiguo avente diritto, regolamentando il flusso secondo le norme del Codice della Strada trattando la stessa alla stregua di un passo carraio

     Si tratta, ad avviso del Collegio, di motivazione più che sufficiente a dare conto, complessivamente, delle ragioni che hanno indotto l’Amministrazione comunale a non accogliere le riserve formulate dai ricorrenti. L’affermazione che la soluzione introdotta con la variante garantisce e tutela sufficientemente il preteso diritto di servitù e che questo non risulta ridotto dalla realizzazione delle opere di urbanizzazione di cui si tratta, e che il progetto di Variante presentato costituisce la migliore soluzione sotto il profilo urbanistico, appaiono considerazioni rispondenti all’obbligo motivazionale richiesta dalla normativa per le osservazioni dei privati in tema di strumenti urbanistici.

     Quanto alla tesi degli originari ricorrenti, secondo cui, nella fattispecie, si sarebbe in presenza di opposizione e non di semplice osservazione, con conseguente onere di motivazione più specifico, è sufficiente replicare, in contrario, che in tema di "opposizioni" l'art. 15 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, si riferisce ai "proprietari di immobili compresi nei piani", qualità questa che, come esattamente rilevano gli appellanti, i signori Zani e Tassinari non rivestono, dal momento che nessun loro immobile è compreso all'interno del perimetro dello strumento esecutivo.

   Si può, comunque, osservare che la motivazione posta a base della reiezione dei rilievi formulati dagli originari ricorrenti appare, ad avviso del Collegio, anche congrua rispetto all’onere motivazionale richiesto per le “opposizioni”, onere che non postula un’analitica disamina di tutte le deduzioni dei privati.

     Ove poi si consideri che, ai fini della legittimità dei provvedimenti di approvazione dei piani particolareggiati, è sufficiente che le osservazioni ed opposizioni proposte dai privati ai sensi dell' art. 15 ultimo comma della legge 17 agosto 1942, n. 1150 siano state esaminate dall' Autorità competente e non occorre una dettagliata motivazione sulle singole deduzioni, si deve concludere per l’infondatezza della censura dedotta con il motivo in esame.

     6. Con il quarto motivo l’illegittimità della variante viene prospettata perché, in violazione degli artt.16 e 17 legge 17 agosto 1942, n. 1150, nonchè delle disposizioni contenute nella convenzioni del 14 novembre 1991 e 16 febbraio 2000, sarebbe stata approvata quanto il termine decennale di validità era già scaduto.

     Il motivo è infondato.

     Sotto un profilo generale, si deve rilevare che il termine decennale di efficacia, previsto per i piani particolareggiati dall’art. 16 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ma applicabile anche ai piani di lottizzazione, si applica solo alle disposizioni di contenuto espropriativo e non anche alle prescrizioni urbanistiche di piano che rimangono pienamente operanti e vincolanti senza limiti di tempo fino all'eventuale nuova approvazione di un nuovo piano attuativo, e che, per quel che concerne la proroga, ciò che rileva è la tempestività dell’istanza ma non della concessione ( che può avvenire anche dopo la scadenza del termine originario).

     Sotto un aspetto più specifico, si deve sottolineare che, nel caso in esame, la domanda di proroga era stata tempestivamente presentata dai privati lottizzanti e tempestivamente approvata dal comune con delibera consiliare n. 7 del 27 gennaio 2000 (prima della scadenza delle originarie convenzioni prevista per il 14 novembre 2001) e che la sua concreta attuazione è stata resa vana, perché, a seguito del primo ricorso proposto dagli odierni appellati, la sua esecuzione è stata sospesa per effetto della misura cautelare concessa da questo Consiglio di Stato (ordinanza n. 1456 del 2001, cui hanno fatto seguito le determinazioni del comune di sospensione dei lavori, con l’obbligo di proporre una nuova variante che tenesse conto delle esigenze connesse all’esercizio della servitù di passaggio degli originari ricorrenti.

     In tale contesto, appare evidente che la tesi dei ricorrenti non merita accoglimento.

     7. La censura dedotta con il quinto motivo riguarda la posizione dei signori Tellarini Giorgio e Graziella, che non avrebbero firmato la richiesta di Variante, presentata in data 13 novembre 2001.

     Ora, a parte la questione di ammissibilità di una censura nei confronti della posizione di soggetti estranei al contenzioso, è facile replicare che la richiesta di variante riguardava l'intero perimetro dell'area sottoposta a P.P., ad eccezione proprio della proprietà dei signori Tellarini, i quali, pertanto, non potevano e non dovevano sottoscrivere l'istanza di variante, essendo del tutto estranei ai contenuti e alle finalità della medesima ed avendo manifestato la propria volontà di restarne fuori con comunicazione in data 19 dicembre 2001, vale a dire prima della concessione della proroga stessa, disposta con la impugnata delibera n. 137 del 2002.

     Con riferimento, infine, al mancato coinvolgimento dei ricorrenti nella formazione della Variante, si osserva che l'art. 25 della legge regionale n. 47 del 1978 stabilisce che il Piano Particolareggiato deve essere predisposto dai «proprietari» degli immobili compresi nei perimetri fissati dal PRGC e che nessun bene di proprietà dei signori Zani e Tassinari è compreso nell'area interessata dallo strumento esecutivo di cui si tratta. Non vi erano ragioni per includere anche i ricorrenti nel piano medesimo, tanto più che la servitù per la cui tutela avevano agito in giudizio, era ormai garantita dalla nuova soluzione progettuale.

     8. Il sesto motivo investe il mancato rispetto, sotto diversi profili, della deliberazione del Consiglio Comunale n. 196 del 13 dicembre 1996 e, in particolare, dei parametri dalla medesima previsti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, con riferimento alla mancanza di parere della Soc. HERA in ordine al posizionamento dei cassonetti per la raccolta dei rifiuti, alla mancata previsione di una corsia ciclabile, al mancato rispetto in ordine al numero degli alberi di alto fusto e delle panchine nonché delle distanze stabilite dal codice della strada per l’impianto di due alberi di alto fusto.

      Ora, a parte la considerazione che non si vede come possa essere predicata l’illegittimità di una PPIP, che è del 1991, con riguardo a prescrizioni contenute in atto (delibera n. 196 del 1996) abbondantemente posteriore ed in disparte che, come efficacemente rilevato dagli appellanti, ove fondate, si tratterebbe di mere carenze progettuali, suscettibili di essere limante in sede esecutiva, si deve rilevare che la censura nei suoi vari profili è sicuramente inammissibile per carenza d’interesse dei ricorrenti.

     Questi ultimi, infatti, hanno agito a tutela della loro posizione soggettiva di titolari di una servitù di passaggio, e non hanno alcun interesse a censurare profili che attengono a questioni di semplice dettaglio, quali sono evidentemente la dislocazione dei cassonetti per la raccolta dei rifiuti,  il numero degli alberi, il posizionamento dei lampioni ed altro.

     Si tratta, difatti, di questioni che, come chiarito sul piano generale al precedente punto 4.1, non hanno alcun collegamento con il loro diritto di servitù di passaggio, al cui esercizio non arrecano alcun pregiudizio.

      9. Con il settimo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 15 della legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 7 dicembre 1978, la violazione e falsa applicazione dell' art. 109 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG di Lugo, la violazione della Legenda delle Norme Tecniche di attuazione del Comune di Lugo, nonché eccesso di potere per falso presupposto di fatto e di diritto.

      La destinazione del mappale, sul quale insiste il diritto di servitù per pedoni e veicoli, a pubblica viabilità pedonale e ciclabile sarebbe in contrasto con la specifica destinazione di zona imposta dal vigente PRG all'area de qua, che risulta invece destinata a Zona omogenea G, Sottozona G2.2 e cioè a Verde Pubblico Attrezzato di Progetto, disciplinato dall'Art. 109 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG del Comune di Lugo. Secondo tale articolo sono individuate nella cartografia di PRG con apposita simbologia le utilizzazioni specifiche per Verde Pubblico Attrezzato (V). La zonizzazione in questione risulta anche dalla Legenda delle N.T.A., dalla quale emerge che la simbologia dell’area in questione non corrisponde affatto a quella prevista per i percorsi pedonali e ciclabili.

      Né potrebbe sostenersi che, avendo la strumento di pianificazione previsto che l’edificazione avvenga a mezzo di piano particolareggiato, a quest’ultimo sia demandata la relativa disciplina di dettaglio, posto che, secondo pacifica giurisprudenza, la correttezza della zonizzazione va valutata con esclusivo riferimento al PRG e non invece allo strumento esecutivo, che si deve limitare alla mera esecuzione delle previsioni già formulate e codificate dal PRG.

     La mancata conformità urbanistica avrebbe richiesto, ad avviso dei ricorrenti, una variante alla zonizzazione del vigente PRG ai sensi dell’art. 15 della legge regionale n. 47 del 1978, che nel caso non è avvenuta, con conseguente illegittimità della deliberazione n. 137 del 2002 anche sotto questo profilo.

     Il motivo deve essere disatteso perché infondato sotto tutti i profili prospettati.

     La realizzazione di percorsi pedonali e ciclabili all'interno dell’area in questione appare del tutto coerente e compatibile con la destinazione della medesima "a verde pubblico attrezzato e a verde pubblico sportivo" e non comporta, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, nessun contrasto con la qualificazione urbanistica assegnata alla medesima area dal P.R.G. del comune.

     Proprio la dizione usata dall’art. l09 PRG elude che sia preclusa la realizzazione di strutture di pubblico interesse di altra natura, quali una pista ciclo-pedonale.

     Né a contrastare tale soluzione può invocarsi la circostanza che la simbologia prevista per l'area de qua dalla Variante generale al PRGC non corrisponderebbe a quella relativa ai percorsi pedonali e ciclabili fissata nella relativa Legenda.

     Come esattamente rilevano le appellanti Montagnani, è agevole replicare che lo strumento di pianificazione, prevedendo che l'edificazione della superficie in questione sia subordinata all'approvazione di un P.P., ha demandato la disciplina di dettaglio della porzione di territorio comunale che qui interessa allo strumento esecutivo.

     Una tale previsione, contrariamente a quanto asseriscono i ricorrenti, non esorbita dalle possibilità operative del P.P. che ben può prevedere la realizzazione di una pista ciclabile e pedonale all'interno di un'area che il PRGC destina a Verde pubblico attrezzato di progetto. Non si tratta infatti di rendere edificabile un'area che non lo è, o di aumentare gli indici di edificabilità - modifiche certo non consentite a uno strumento attuativo - ma semplicemente di prevedere una certa utilizzazione, pur sempre compatibile con la destinazione assegnata dal PRGC, piuttosto che un’altra: operazione che deve ritenersi senz'altro consentita e, quindi, legittima. 

     10. Con l’ottavo motivo, i ricorrenti assumono che gli spazi di manovra previsti dalla Variante sarebbero posizionati in modo contrario al disposto delle Norme CNR n.60 del 1978 richiamate dalla delibera consiliare n. 196 del 1996.

     Il posizionamento dello spazio di manovra all’estremità delle fasce di sosta sarebbe illegittimo perché le corsie di manovra al servizio delle fasce di sosta devono essere posizionate, non all’estremità di esse, ma lateralmente alla carreggiata secondo quanto previsto dalle Norme CNR n. 60 del 1978, richiamate dalla deliberazione del consiglio comunale di Lugo n. 196 del 1996.

      Pertanto l'area a forma trapezoidale di 31 mq. definita nelle Tavole progettuali come area di manovra carrabile per parcheggi doveva essere collocata lateralmente agli stalli medesimi e non in posizione defilata rispetto agli stessi risultando altresì inutile, data la sua collocazione, sia rispetto agli stalli di sosta di 64 mq sia rispetto agli stalli di sosta di 103 mq..

      Ad avviso dei ricorrenti, tale area non serve assolutamente allo scopo indicato dai lottizzanti ma, bensì, al “fittizio” raggiungimento della dotazione minima di standard per parcheggi richiesto dalla legge.

      Da ciò consegue che, non potendo i 31 mq. re1ativi allo spazio di manovra essere computati come standard, sarebbero stati violati sia il D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968 sia l'art. 46 della legge regionale Emilia Romagna n. 47 del 1978 che prevedono la quantità minima di standard per parcheggi.

     Il Collegio osserva che anche questo motivo, essendo finalizzato a dimostrare la mancanza di standard, è inammissibile per difetto d’interesse dei ricorrenti per le medesime ragioni evidenziate nel precedente punto 4.1.. Esso, peraltro, è inammissibile anche per la parte in cui contesta l’utilità dello spazio di manovra in questione, essendo evidente che in tal modo viene sindacata la discrezionalità tecnica dell’amministrazione, che nel caso in esame non appare caratterizzata da elementi di palese e macroscopica illogicità o irrazionalità.

     11. Il decimo motivo riguarda l'acquisizione al demanio comunale dell'area su cui insiste la servitù pedonale e carrabile, nonchè la destinazione di tale area anche al pubblico transito pedonale e ciclabile. Secondo i ricorrenti ciò renderebbe "infinitamente più gravosa la condizione del fondo servente, in pregiudizio dei ricorrenti e in violazione di quanto previsto dall'art.lO67, comma 2, del codice civile, che vieta sul fondo servente qualsiasi cosa che diminuisca l'esercizio della servitù o lo renda più incomodo". La limitazione all'esercizio del diritto di servitù in questione deriverebbe "dall'ovvia considerazione che il numero dei soggetti legittimati al passaggio sul mappale oggetto della servitù, da limitato che era prima, diventa necessariamente illimitato spettando indistintamente a tutti i cives ".

     Il motivo è infondato.

     Occorre ribadire al riguardo che, come già chiarito in sede di esame di esame degli appelli, nessun aggravamento della servitù vantata dai ricorrenti si è verificata nella fattispecie e che di tale asserito aggravamento gli originari ricorrenti non hanno fornito alcuna prova che possa sussistere una effettiva diminuzione o maggiore incomodità nell' esercizio del diritto vantato.

     Ora, a parte il rilievo opposto dagli odierni appellanti, secondo cui il mappale gravato dal diritto di cui si tratta (Fg 106 mapp.697) è diverso da quello sul quale è prevista la realizzazione della pista ciclabile/pedonale contemplata dalla impugnata delibera 137 del 2002, va sottolineato che i signori Zani e Tassinari non hanno nè provato le modalità di esercizio e i contenuti della vantata servitù, nè dimostrato la maggiore incomodità o limitazione di cui soffrirebbe il loro vantato diritto.

     Al contrario, come risulta dalla documentazione in atti, le dimensioni del passaggio previsto dalla variante impugnata sono ampiamente sufficienti a garantire contemporaneamente la servitù e l'utilizzo pubblico, pedonale e ciclabile, della pista, atteso che per la carraia è prevista infatti un'ampiezza di 4 metri (ampiamente superiore a quella attuale), che consente agevolmente il transito contemporaneo di un veicolo e di un pedone o di una bicicletta.

     Né impedimento può derivate dalla realizzazione dello spazio di manovra previsto in fregio a via D'Annunzio e posto in adiacenza all'accesso alla proprietà dei signori Zani e Tassinari, non essendo previsti ostacoli o limitazioni di sorta, trattandosi a tutti gli effetti di una continuazione della predetta via pubblica.

     Infine, non sussiste la violazione dell'art. 46, comma 2/c, DPR 495/92, secondo cui "qualora l'accesso alle proprietà laterali sia destinato anche a notevole traffico pedonale, deve essere prevista una separazione dell'entrata carrabile da quella pedonale”.

     L'unico accesso laterale rispetto al percorso pedonale e ciclabile previsto dalla Variante è proprio quello che conduce al .lotto di proprietà dei ricorrenti, a destinazione agricola e sulla quale insiste un solo fabbricato rurale; sì tratta quindi di accesso caratterizzato da traffico necessariamente limitato e non rientrante nel campo applicativo della norma sopra riportata.

     12. Con il motivo undicesimo si sostiene l’illegittimità della dismissione dell'alveo del Canale dei Molini data la natura di acqua pubblica del medesimo e quindi il carattere demaniale, indisponibile e incommerciabile dell'alveo del medesimo.

     I ricorrenti hanno diffusamente illustrato i dati normativi che inducono a considerare fondata la loro tesi e concludono che, escludendo dal computo degli standard il mappale corrispondente al Canale dei Mulini, verrebbe meno la dotazione minima degli standards richiesti dalla normativa statale e regionale.

     In disparte ogni questione sul giudice competente a conoscere della natura demaniale o meno del Canale, si tratta di censura che, essendo finalizzata a mettere in discussione la quantità di standards, va dichiarata inammissibile per difetto d’interesse dei ricorrenti per le medesime ragioni evidenziate nel precedente punto 10.

     13. Resta da esaminare l’ultimo motivo (dodicesimo), con il quale si lamenta la inconsistenza, illogicità, irragionevolezza della motivazione del provvedimento comunale di approvazione della variante.

     Anche questa doglianza è infondata e va respinta.

     Difatti, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti che si sono limitati a censurare una parte delle argomentazioni su cui si fonda la delibera n. 137 del 2002 per respingere le osservazioni proposte a suo tempo, le ragioni poste a base del provvedimento impugnato sono state individuate dall’amministrazione nelle seguenti circostanze:

"la soluzione progettuale presentata sia la più valida dal punto di vista urbanistico in quanto non lede diritti di terzi, essendo salvaguardata la servitù di passaggio a favore della proprietà Zani Tassinari, sia compatibile la promiscuità di traffico ciclo pedonale e carrabile a favore del solo fondo contiguo avente diritto, trattando la carraia alla stregua di un passo carraio e regolamentandone il flusso veicolare secondo le norme del Codice della Strada,

- con l'acquisizione dell'area destinata a verde sia acquisita la finalità pubblica principale di avere un elemento naturale di interruzione dell'edifìcato;

- l'acquisizione, come standard di VP, di un 'area di proprietà privata comprensiva del Canale dei Molini e del relativo argine sia motivabile per l'interesse ambientale del bene e per il suo utilizzo con finalità di pubblica utilità essendo l'area in oggetto parte di una più ampia area avente nel P RG vigente destinazione pubblica

     Alla luce di tali considerazioni testualmente riportate, appare evidente che la delibera in esame risulta sufficientemente e congruamente supportata anche da argomentazioni attinenti l’interesse ambientale del bene, la sua contiguità con altra area pubblica ed altro.

     Ad ulteriore sostegno dell’infondatezza del motivo, è appena il caso di aggiungere, come puntualmente precisato dagli appellanti, che la destinazione a verde pubblico attrezzato dell'area di cui si discute, nonché l'inserimento della medesima all'interno del perimetro del P.P. deriva da una specifica previsione dettata dalla Variante Generale al PRGC, non impugnata dai ricorrenti.

     14. La riconosciuta infondatezza dei due motivi di ricorso ora esaminati comporta che, in riforma della sentenza appellata, anche il ricorso n. 236 del 2003 in parte va dichiarato inammissibile e in parte va respinto.

     In conclusione, gli appelli del comune di Lugo e delle signore Montagnani vanno accolti e, in riforma della sentenza appellata, i ricorsi n. 81 del 2001 e n. 236 del 2003 vanno dichiarati in parte inammissibili e in parte vanno respinti.

     In particolare, il ricorso n. 81 del 2001 va dichiarato in parte inammissibile per sopravvenuta carenza d’interesse e in parte infondato con riguardo alla doglianza dedotta con l’atto di motivi aggiunti, mentre il ricorso n. 236 del 2003, in parte va respinto e in parte va dichiarato inammissibile per difetto di interesse.

     Le spese del doppio grado di giudizio possono essere interamente compensate tra le parti, sussistendo giusti motivi.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe specificati, previa riunione dei medesimi, li accoglie e, per l’effetto in riforma della sentenza appellata, così provvede:

     a). con riferimento al ricorso n. 81 del 2001 lo dichiara in parte improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse e in parte lo respinge;

     b). con riferimento al ricorso n. 236 del 2003 lo dichiara in parte inammissibile per difetto di interesse e in parte lo respinge.

     Spese del doppio grado di giudizio compensate.

     Così deciso in Roma addì 15 febbraio 2004 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di Consiglio con l'intervento dei signori:

     Lucio  Venturini    Presidente

     Costantino Salvatore  Consigliere est.

     Dedi Rulli      Consigliere

     Vito Poli    Consigliere

     Carlo  Deodato   Consigliere

L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE

Costantino Salvatore   Lucio Vanturini

                              

IL SEGRETARIO

Rosario Giorgio Carnabuci

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

28 luglio 2005

(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)

     Il Dirigente

     Giuseppe Testa

- - 

N.R.G. 2030 e 3145/2004


MA