REPUBBLICA ITALIANA          N.4697/05  REG.DEC.

          IN NOME DEL POPOLO ITALIANO         N. 6771  REG.RIC.

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale - Quinta  Sezione       ANNO 2004

ha pronunciato la seguente

                                            DECISIONE

sul ricorso in appello n. 6771 del 2004, proposto dal COMUNE di SALVE, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’Avv. Sivestro Lazzari, del Foro di Lecce, con domicilio eletto in Roma, Via U. Bassi, n. 3, presso lo studio dell’Avv. Roberto Masiani;

contro

il Sig. Giuseppe RIZZO, rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Ernesto Sticchi  Damiani, con domicilio eletto in Roma, Via L.Mantegazza n. 24, presso lo studio del Cavalier Luigi Gardin

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione di Lecce, n. 3342/04 del 3 giugno 2004, notificata il 17 giugno 2994, che accoglie il ricorso proposto dall’attuale appellato (n. 3025/2002), per il risarcimento dei danni derivanti dall’illegittima esclusione dalla gara di appalto per i lavori di recupero del centro antico;

      Visto il ricorso con i relativi allegati;

      Visto l'atto di costituzione in giudizio del Sig. Giuseppe Rizzo;

      Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

      Visti gli atti tutti della causa;

      Relatore, alla pubblica udienza del 22 marzo 2005, il Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani; uditi!Fine dell'espressione imprevista, altresì, l’Avv. Masiani in sostituzione dell’Avv. Lazzari per il Comune appellante e l’Avv. Sticchi Damiani per il resistente!Fine dell'espressione imprevista;

      Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F  A  T  T  O 

      1. L’attuale appellante, titolare della omonima ditta individuale -  escluso dalla gara indetta dal Comune di Salve per l’esecuzione dei lavori di recupero ad ERP (edilizia residenziale pubblica) del comprensorio “Centro antico” del suddetto Ente locale, per non avere prodotto le dichiarazioni relative alla cifra di affari in lavori nell’ultimo quinquennio ed all’esecuzione di lavori appartenenti alla categoria prevalente, per almeno il 40% di quello posto a base di gara – impugnò il provvedimento di esclusione e quello di aggiudicazione alla ATI Ciullo-Rocco, davanti alla Sezione di Lecce del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia che, con sentenza n. 888/01 dell’11 aprile 2001, accolse il ricorso incidentale della ATI controinteressata (che aveva addotto altra ragione di esclusione, ovvero l’omessa dichiarazione del possesso della qualificazione per la categoria OG2) e dichiarò inammissibile il ricorso principale, per mancanza di interesse.

      Questa Sezione, con decisione n. 6477/2002, del 25 novembre 2002, ha riformato, in appello, l’anzidetta sentenza, respingendo il ricorso incidentale della controinteressata, ed accogliendo, al contrario, il ricorso principale proposto in primo grado, sulla considerazione che la normativa transitoria di cui al D.P.R. n. 34/2000 (applicabile alla controversia), consentiva all’impresa Rizzo di partecipare alla gara sulla base della dichiarazione del possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi elencati nell’art. 21 del citato decreto, che l’impresa aveva validamente reso a norma dell’art. 6 e 11.b. del bando di gara, con la presentazione di un’unica dichiarazione in cui attestava il possesso di tutti i requisiti tecnico economici previsti dal bando, senza che fosse necessaria una specifica dichiarazione circa il possesso della qualificazione OG2, come al contrario ritenuto dal giudice di primo grado.

      L’impresa Rizzo, nella persona del suo titolare, ha quindi adito la medesima Sezione di Lecce del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, per il riconoscimento e la liquidazione del danno ingiustamente subito per la mancata aggiudicazione, sul presupposto che la sua offerta era maggiormente conveniente di quella della aggiudicataria, chiedendo ed ottenendo di fornirne la prova mediante la riapertura virtuale del confronto delle due offerte, previo sequestro conservativo della busta contente l’offerta economica.

      I relativi provvedimenti (decreto presidenziale n. 829/2002 confermato da successiva ordinanza collegiale n. 885/2002, con i quali è stato disposto il sequestro, ed ordinanza n. 1141/03 ha disposto il dissequestro del plico ordinando al Comune di procedere alla ripetizione virtuale della gara) non sono stati impugnati dal Comune di Salve, che ha  ottemperato alla misura istruttoria, depositando, a conclusione del procedimento, una relazione del dirigente responsabile dell’U.T.C.  contente considerazioni negative circa il  possesso, da parte dell’impresa, dei requisiti di partecipazione alla gara, e le risultanze del confronto fra le offerte della ricorrente e della ATI aggiudicataria che evidenziavano, aritmeticamente, la maggiore convenienza economica dell’offerta della ricorrente, in forza dello sconto del 21,081% sul prezzo base palese, superiore a quello del 20, 89%, praticato dall’aggiudicataria.

      Il giudice di primo grado, ritenute infondate le obiezioni dell’Amministrazione in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione, e riconosciuta la colpa dell’Amministrazione, ha accolto la domanda,  liquidando il danno in via equitativa, nella misura derivante dalla applicazione analogica dell’art. 34, lett. d) del D.P.R. n. 554/99 (che fissa l’utile dell’appaltatore nel 10% dell’importo a base d’asta) ovvero, assumendo per il calcolo l’importo a base d’asta (€ 1. 070.973,13) depurato della percentuale di sconto praticato dall’impresa in sede di gara (21,081%), piuttosto che nella maggiore somma richiesta dal ricorrente su perizia di parte, che ha stimato l’ammontare del danno sulla base degli utili presumibilmente conseguibili per effetto dell’esecuzione dell’appalto, in relazione ai costi.

      2. Avverso tale sentenza si grava il Comune di Salve, contestando la sussistenza dei presupposti per farsi luogo al risarcimento del danno sia con riferimento alla ingiustizia del danno, sia per ciò che riguarda l’elemento soggettivo dell’illecito. In ogni caso sarebbe illegittima la quantificazione del danno, liquidato in misura eccedente la perdita di chances.

      3. Il titolare della Ditta Rizzo – che si è costituito in giudizio  opponendo puntuali argomenti difensivi all’appello dell’Ente locale – ha  proposto, a sua volta, appello incidentale, con memoria ritualmente notificata, per la parte in cui il giudice di primo grado ha liquidato il danno in via equitativa, piuttosto che nella somma richiesta sulla base di apposita perizia.

     4 Successivamente, la causa, chiamata alla pubblica udienza del 22 marzo 2005, è stata trattenuta in decisione.

D  I  R  I  T  T  O

     1 I due appelli, quello principale dell’amministrazione e quello incidentale della Ditta Rizzo, sono entrambi infondati.

      2. L’appellante principale nega che sussistano i presupposti del diritto al risarcimento del danno, per non essere stata raggiunta la prova dell’elemento oggettivo e per non essere configurabile, nel caso in esame, la  colpa dell’Amministrazione; in ogni caso, la liquidazione non poteva andare oltre la quantificazione della perdita di chance.

     3.1.  Per la parte in cui ha accertato e riconosciuto la sussistenza del danno ingiusto, la sentenza di primo grado sarebbe viziata per tre  fondamentali spetti che possono essere riassunti come segue:

     a) l’attuale appellata non ha fornito la prova del danno ingiusto:  invero, la verificazione virtuale avrebbe dimostrato soltanto che la sua offerta economica era migliore di quella dell’aggiudicataria; ciò però non sarebbe sufficiente, perché, per i fini che interessano, il confronto virtuale delle offerte economiche avrebbe dovuto includere anche le offerte delle imprese che erano state escluse per analoghe ragioni e che il Comune (in applicazione estensiva della decisione di appello sulla illegittima esclusione della attuale appellata), avrebbe dovuto riammettere in gara;

     b) sarebbe stato, pertanto, onere dell’impresa attrice di richiedere il sequestro delle buste anche di tali concorrenti e di provocare la verificazione  allargata; in difetto, tale confronto non sarebbe più attuabile ed in ogni caso non potrebbe considerarsi raggiunta la prova del danno denunciato;

      c) in ogni caso, l’impresa attrice non aveva subito alcun danno ingiusto dall’esclusione, in quanto – come accertato in sede di verificazione postuma e riferito nella relazione del responsabile dell’UTC - non era in possesso dei requisiti dichiarati; tale relazione, non impugnata dall’interessata, sarebbe vincolante per il giudice amministrativo e non disapplicabile.

      3.2. L’esame delle censure riassuntivamente indicate ai punti a) e b) che precedono – da trattare congiuntamente – richiede la precisazione che, nel presente giudizio, non viene fatta questione della ammissibilità in sé del mezzo istruttorio richiesto dalla ricorrente e accordato dal giudice di primo grado.

      Invero, il Comune appellante non pone in discussione né i provvedimenti istruttori che hanno ammesso la prova (ovvero il confronto virtuale delle offerte), né – nelle linee generali - la possibilità di accertare, attraverso il confronto virtuale, che l’interessata (ove non esclusa) potesse assicurarsi l’aggiudicazione, sulla sola base dell’offerta economica praticata e dà anzi, per ammessa la natura risolutiva del confronto delle offerte economiche, che però, secondo la tesi difensiva sviluppata in appello, doveva essere allargato anche alle offerte delle altre imprese escluse per coincidenti motivi. .

     Il fulcro della censura, sul punto, e gli stessi limiti del riesame, sono segnati dalla seguente prospettazione: “la ditta ricorrente ha dimostrato solo di avere presentato una offerta migliore rispetto a quella della ditta risultata aggiudicataria, ma non ha dato prova di avere presentato la migliore offerta tra quelle ditte che, per effetto del precetto dettato dal Consiglio di Stato avrebbero avuto diritto a partecipare alla gara”, la quale assume implicitamente, come dato storico non controverso, che la gara dalla quale l’attuale appellata è stata esclusa, si è svolta sulla base di criteri oggettivi e vincolati, senza che entrassero in gioco punteggi legati a valutazioni di ordine tecnico-discrezionale, cosicché anche non si pongono, in questa sede, i problemi intorno ai quali si è andata formando una giurisprudenza, anche della Sezione (in termini, Cons. Stato, Sez, V, n. 4783 del 28 giugno 2004 e n. 340  del 21 gennaio 2002) contraria alla ripetizione virtuale della gara definitivamente conclusa, allorché il confronto delle offerte presupponga l’attribuzione di  punteggi legati a valutazioni di ordine tecnico-discrezionale, inconciliabili con la natura virtuale dell’accertamento, per il necessario rispetto della par condicio e della contestualità del giudizio comparativo.

     Così definito, pertanto, l’oggetto del contendere, la tesi dell’appellante non può essere condivisa, in quanto, al fine di accertare se l’impresa esclusa potesse o meno conseguire l’aggiudicazione dell’appalto,  il confronto virtuale delle offerte economiche non poteva che essere effettuato fra quella che già l’Amministrazione aveva ritenuto la migliore, ai fini dell’aggiudicazione e l’offerta economica dell’interessata, ovvero della sola concorrente che aveva richiesto ed ottenuto, con sentenza passata in cosa giudicata, la tutela giurisdizionale contro l’illegittima esclusione, dovendo restare, al contrario, necessariamente fuori dal confronto le offerte già definitivamente escluse, per non essere stati impugnati i relativi provvedimenti (indipendentemente dai motivi che erano stati alla base dell’esclusione).

      Il principio di ordine generale secondo cui la rinnovazione della procedura, a seguito di annullamento giurisdizionale, deve partire dalle fasi colpite dalla illegittimità rimossa per effetto del giudicato, si traduce,  nell’ipotesi di annullamento della esclusione illegittima, nell’obbligo di  partire, in sede di riapertura della gara, dall’esame delle offerte valide, senza che, dunque, debbano essere riammesse alla gara altre imprese escluse con provvedimento definitivo, ancorché non possa negarsi la potestà dell’amministrazione di riesaminare le suddette esclusioni, alla luce dei principi contenuti nel giudicato, previo ricorso agli ordinari poteri di autotutela.

     Si tratta, tuttavia, di una scelta (non priva di limiti) rimessa all’Amministrazione e che si ha ragione di ritenere che non possa essere esercitata in sede di rinnovazione meramente virtuale del confronto delle offerte economiche, che si svolge in una fase in cui ormai il procedimento di scelta si è definitivamente concluso.

     In definitiva, nei limiti in cui la questione è posta nel presente giudizio, deve affermarsi che è stata del tutto correttamente acquisita in giudizio la prova che, se non fosse stata esclusa dal concorso, la ditta Rizzo avrebbe avuto titolo all’aggiudicazione in luogo della ATI prescelta, per avere presentato l’offerta economicamente più conveniente.

     Come fatto osservare dall’appellata, infatti,  il confronto virtuale non poteva che essere effettuato rebus sic stantibus, ovvero fermi i provvedimenti non coinvolti dall’annullamento giurisdizionale.

      Il motivo pertanto deve essere respinto.

     3.3. Deduce, peraltro, l’appellante, che il giudice di primo grado avrebbe illegittimamente disapplicato la valutazione espressa dal Dirigente dell’ufficio tecnico erariale, nella relazione depositata a seguito della verificazione eseguita in ottemperanza all’ordinanza n. 1141/03.

     Tali rilievi concernevano  il mancato possesso dei requisiti e precisamente:

     a) – il difetto dell’effettivo possesso della iscrizione nella categoria di lavori OG2;

     b) – la circostanza che l’interessata non risultasse in regola con l’attestazione dei lavori di restauro monumentale, richiesta dal bando di gara, in quanto il requisito in parola sarebbe stato acquisito in un momento successivo alla data di scadenza fissata nell’avviso di gara; il difetto del requisito troverebbe riscontro nel certificato anagrafico della Camera di commercio che attesta che la ditta Rizzo esegue lavori di restauro monumentale soltanto dal 14 dicembre 2000;

     c) l’ulteriore rilievo che il certificato del Comune di Scorano non troverebbe riscontro nel relativo bando di gara dei lavori attestati, che non indica opere incluse nella categoria OG2, ovvero nella categoria A3;

     d) non sarebbe stato soddisfatto il requisito inerente la cifra di affari nel precedente quinquennio.

     Poiché tale relazione non è stata autonomamente impugnata dall’interessata, al giudice di primo grado non sarebbe rimasto altro che concludere nel senso della inconfigurabilità del danno ingiusto, in quanto la ditta ricorrente non avrebbe avuto alcuna possibilità di vedersi aggiudicare l’appalto in contestazione, per mancanza dei requisiti.

     La tesi non può essere condivisa.

     Il Dirigente responsabile ha posto in essere un’attività istruttoria che si è conclusa, non già con l’adozione di un provvedimento, bensì con l’invio, al giudice che l’aveva ordinata, di una relazione, sulle risultanze dell’accertamento espletato.

     A parte, dunque, la natura ausiliaria dell’attività posta in essere in esecuzione dell’ordine istruttorio impartito dall’autorità giurisdiziaria (in tutto equiparabile ad una consulenza tecnica d’ufficio, ancorché svolta dalla stessa Amministrazione), è certamente mancata, nella sede amministrativa, a conclusione dell’accertamento, l’autonoma espressione di una volontà, portata in un atto avente natura provvedimentale, suscettibile di impugnazione ed idoneo a vincolare il giudice amministrativo.

     D’altra parte, a fronte dell’apprezzamento negativo sui requisiti espresso dall’Amministrazione in esito all’istruttoria, il giudice di primo grado ha fornito una esaustiva motivazione, delle ragioni che l’hanno condotto a discostarsene, compiutamente articolata sui singoli punti, ad inficiare la quale non è certamente idonea la mera affermazione che “non convince il TAR…quando afferma la verifica della regolarità della documentazione prodotta successivamente dalla ditta Rizzo” e del (non giustificato) dissenso rispetto all’indirizzo giurisprudenziale seguito dal giudice di primo grado, e richiamato in sentenza con chiari e puntuali riferimenti.

     Sul punto, pertanto, le censure devono essere respinte.

     3.4. Neppure appaiono meritevoli di accoglimento gli argomenti opposti in ordine alla accertata sussistenza dell’elemento soggettivo del danno.

     Deve definirsi colpevole e non suscettibile di giustificazione il comportamento della Commissione giudicatrice (avallato poi dalla stazione appaltante) che escluda dalla gara un concorrente in violazione diretta delle norme speciali fissate nel bando di gara.

     Ciò è quanto si è verificato nel caso in esame,in cui l’esclusione dell’attuale appellata si è verificata – come chiaramente si evince dal giudicato di annullamento - in violazione della prescrizione di cui al punto 6 del bando e dell’esplicito rinvio, in esso contenuto, alla disciplina transitoria di cui agli artt. 29 e seguenti del D.P.R. n. 34/2000 (fra l’altro anche evidenziato con la dicitura “avvertenza”), che autorizzavano la concorrente (che non era in possesso di attestazione SOA) a rendere un’unica dichiarazione attestante il possesso di tutti i requisiti previsti nei punti 5 e 6 del bando.

     Nel caso in esame, come è stato osservato dal giudice di primo grado, non può costituire sintomo esimente la circostanza che vi sia stata una sentenza di primo grado che ha lasciato ferma l’esclusione, riformata poi in appello. Ed invero l’anzidetta sentenza non si è per nulla pronunciata sulle ragioni addotte dall’Amministrazione a sostegno del provvedimento di esclusione, avendo ritenuto l’inammissibilità del ricorso principale sulla base di altra ragione di esclusione, dedotta dalla appellante incidentale, (a torto) ritenuta assorbente e risolutiva.

     La pronuncia di primo grado e la successiva riforma in appello non sono dunque in grado di evidenziare alcuna causa giustificatrice del comportamento dell’amministrazione né essa può essere desunta aliunde dalla circostanza che non siano state accordate alla parte le misure cautelari richieste. 

     Anche per tale profilo, pertanto, la sentenza di primo grado deve essere confermata.

      4. Come sopra precisato, l'appellante principale  impugna anche la statuizione relativa alla quantificazione del danno, osservando che doveva essere risarcito solo il danno derivante dalla c.d. perdita di chance.

      La doglianza può essere esaminata congiuntamente all’appello incidentale con il quale il titolare dell’impresa individuale Rizzo si duole della mancata condanna dell'Amministrazione ad un risarcimento in misura maggiore, corrispondente ai mancati ricavi che si sostiene sarebbero derivati dall'esecuzione dell'appalto.

     La pretesa dell'appellante di rispondere del danno solo nella misura della perdita di chance presuppone l'inquadramento sistematico della responsabilità per danno da atto amministrativo illegittimo nella figura della responsabilità precontrattuale, che si risolve nel diritto al risarcimento nei limiti del c.d. interesse negativo.

     Sulla impraticabilità di tale ricostruzione -  in ipotesi, come quella in esame, in cui, ove non avesse adottato un illegittimo provvedimento di aggiudicazione, l'Amministrazione non avrebbe potuto esimersi dall'attribuire il bonum al richiedente (come provato, nella specie, attraverso il confronto virtuale delle offerte economiche) secondo uno schema logico assimilabile all'adempimento specifico - la Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi con decisione n. 3796 dell’ 8 luglio 2002, dalle cui conclusioni non ha ragione di discostarsi.

     Correttamente, pertanto, il giudice di primo grado ha riconosciuto, in favore dell’attuale appellato - illegittimamente escluso da una gara nella quale, in base a quanto emerso dalla rinnovazione virtuale, avrebbe conseguito l’aggiudicazione - il risarcimento di tutti i danni direttamente conseguenti dalla esclusione illegittima, desunti non già dalla esclusione, ex sé, ma dalla mancata aggiudicazione.

      Deve essere, dunque respinto, anche per tale parte, l’appello principale, ma non può trovare accoglimento neppure la domanda di un più consistente risarcimento, contenuta nell’appello incidentale.

      La perizia di parte, che dà conto analiticamente dei costi che presumibilmente il ricorrente avrebbe sostenuto per l’esecuzione dell’appalto e del conseguente utile atteso (stimato inizialmente in 182.000,00=, poi ridotti ad 169.502,89= in sede di memoria conclusiva) è inidonea a costituire la base per pervenire,  con apprezzabile certezza, ad una quantificazione corrispondente al danno effettivamente subito, trattandosi soltanto di una mera proiezione previsionale, ricavata da eventi trascorsi, che presenta per sua natura,  un ampio margine di aleatorietà.

     Ciò giustifica e rende condivisibile il ricorso alla facoltà (ampiamente discrezionale ed insindacabile)  prevista dall'art. 1226 Cod. civ..

      La giurisprudenza amministrativa, confortata dall'avviso della Corte di cassazione (Sez. I civ. n. 1115 del 1995), ha ritenuto, del resto, che, sebbene sia previsto per l'ipotesi di esercizio da parte della Amministrazione committente della facoltà di recesso, e quindi per pregiudizio da atto legittimo, la corresponsione del 10% come utile presunto possa essere utilizzato come parametro del lucro cessante dell'appaltatore anche nelle ipotesi di responsabilità risarcitoria per inadempimento.

      La Sezione ritiene, pertanto, di dovere pienamente condividere il criterio adottato con conseguente reiezione dell’appello incidentale.

      5. In conclusione appello principale ed appello incidentale devono essere respinti.

      L’appelante principale deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano in dispositivo, in favore dell’impresa individuale Rizzo, nella persona del suo titolare.

P.   Q.   M.

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello principale in epigrafe e l’appello incidentale;

      Condanna il Comune di Salve, in persona del Sindaco in carica, al pagamento, in favore di Rizzo Giuseppe, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi 3.000,00= oltre IVA e CPA, come per legge;

      Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

      Così deciso in Roma, addì, 22 marzo 2005, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Raffaele CARBONI                        PRESIDENTE

Giuseppe FARINA                       CONSIGLIERE

Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI   Est.        CONSIGLIERE

Paolo BONVINO            CONSIGLIERE

Goffredo ZACCARDI                                                      CONSIGLIERE

L’ESTENSORE                                    IL PRESIDENTE

F.to Chiarenza Millemaggi Cogliani     F.to Raffaele Carboni 

IL SEGRETARIO

F.to Antonietta Fancello 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13 settembre 2005

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL  DIRIGENTE

F.to Antonio Natale

  N°. RIC 6771/2004

MGR.