REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.4735/2005

Reg.Dec.

N.  8479 Reg.Ric.

ANNO   2004

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso n. 8479/2004 proposto da Salvatore Maria, rappresentata e difesa dagli avvocati Eolo Ruta e Giuseppe Ruta ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato Marco Orlando in Roma via Otranto 18;

contro

-la Soprintendenza per i beni archeologici del Molise, in persona del legale rappresentante p.t.,

-il Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro p.t., entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza n. 350/04 del Tribunale amministrativo regionale del Molise con la quale è stato rigettato il ricorso n. 405/03,ritenendo non sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo nella materia de qua.

     Visto il ricorso con relativi allegati.

     Visti gli atti tutti di causa.

     Udita alla pubblica udienza del 1° febbraio 2005 la relazione del consigliere Sabino Luce e sentiti altresì l’avv. Ruta e l’avv. dello Stato Cimino;

     Ritenuto e considerato in fatto e diritto:

FATTO

     Con sentenza n. 405/03 del 7 luglio 2004 il Tribunale amministrativo regionale del Molise dichiarava il proprio difetto di giurisdizione sul ricorso (n. 405/2003) proposto da Salvatore Maria contro la Soprintendenza per i beni archeologici del Molise ed il Ministero per i beni e le attività culturali per l’annullamento del provvedimento prot. n. 3783 del 30 maggio 2003 della Soprintendenza per i beni archeologici del Molise, che aveva dichiarato nullo ed inefficace la proposta d’indennità di cessione volontaria formulata alla ricorrente con la nota prot. n. 17444 dell’8 ottobre 2001 (e da questa accettata formalmente con dichiarazione del 16 ottobre 2001) relativa ad un fabbricato nel Comune di Sepino.

     Contro l’indicata sentenza ha proposto appello la Salvatore, nella mancata costituzione delle parti intimate, il ricorso chiamato per l’udienza odierna all’esito è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

     La Soprintendenza ai beni archeologici del Molise, con nota prot. n. 17444 dell’8 ottobre 2001 notificava a Salvatore Maria il Decreto prefettizio n. 8348, del 3 luglio 20001, con il quale era stato reso esecutivo il piano di esproprio riguardante un fabbricato con annesso terreno ubicato nella località Altilia nel comune di Sepino. Con la nota medesima, la Soprintendenza proponeva alla Salvatore, proprietaria dell’immobile, di addivenire alla cessione volontaria del bene interessato alla procedura ablativa, offrendo un’indennità complessiva di 150.072.000 di vecchie lire, calcolata sulla base della normativa al momento vigente; e la proposta era accettata dalla Salvatore con nota di risposta del 16 ottobre 2001.

     Dopo circa un anno, tuttavia, il reggente della stessa indicata Soprintendenza, anziché convocare la Salvatore per la stipula dell’atto di cessione del bene, come era nelle aspettative della proprietaria, notificava un provvedimento che, nell’asserito esercizio del diritto di autotutela, dichiarava nulla ed inefficace la formulata proposta di cessione volontaria, indicando, contestualmente, quale indennità risarcitoria per l’espropriazione dell’immobile, la somma di euro 475,20 determinata tenendo conto del valore agricolo del terreno.

     Il Tribunale amministrativo regionale per il Molise, cui la Salvatore faceva successivamente ricorso chiedendo l’annullamento dell’atto adottato in autotutela, con l’impugnata sentenza, dichiarava il suo difetto di giurisdizione nella considerazione che la ricorrente non avesse sollevato alcuna censura in merito alla procedura espropriativa incentrando le proprie censure sul sub procedimento finalizzato all’individuazione della relativa indennità e sull’adeguatezza della stessa; le cui controversie sono devolute alla cognizione del giudice ordinario.

     La decisione dei giudici di primo grado, fondata, peraltro, sull’erroneo presupposto che la Salvatore avesse proposto opposizione alla determinazione dell’indennità di espropriazione, è errata e va riformata. La ricorrente, infatti - anche se il suo interesse sottostante riguardava l’ammontare dell’indennità di espropriazione - ha contestato la legittimità dell’atto di revoca adottato dall’amministrazione in ordine all’asserito già intervenuto, contratto di cessione volontaria del bene.

     Come infatti, dedotto dall’appellante nel primo motivo di impugnazione, ai sensi dell’art. 11, comma quarto, della legge n. 865 del 1971, nel corso del procedimento espropriativo, l’ammontare dell’indennità provvisoria è comunicata ai proprietari espropriandi, i quali, entro trenta giorni dalla notificazione dell’avviso, possono convenire con l’espropriante la cessione volontaria degli immobili per un prezzo non superiore al 10% dell’indennità provvisoria. In tal caso, l’accordo concluso tra le parti viene inserito dalla giurisprudenza prevalente, che il collegio condivide, nella categoria dei negozi di diritto pubblico (o ad oggetto pubblico) (Cass. Sez. civ. 1, 21 aprile 1999, n. 3930) e fatto rientrare nell’esplicita previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui all’art. 11 della legge n. 141/1990. La cessione volontaria del bene, nel procedimento espropriativo, in quanto sostitutiva del decreto di espropriazione, di cui produce i medesimi effetti, non perde, infatti, la sua connotazione di atto autoritativo, implicando, più semplicemente la confluenza in un unico testo di provvedimento e negozio e senza che la presenza del secondo snaturi l’attività dell’amministrazione dato che il fine pubblico può essere perseguito anche attraverso la diretta negoziazione del contenuto del provvedimento finale (Cons. St. Sez. VI. 15 maggio 2002, n. 2636). Cosicché, come ritenuto per analoga fattispecie, spetta alla cognizione del giudice amministrativo la controversia in ordine alla acquisizione di un terreno, qualora la pubblica amministrazione, a causa del mancato perfezionamento dell’accordo bonario con il privato..ne ritiri l’atto di adesione (Cons. St. Sez. V, 2 ottobre 2000, n. 5210).

     Va dichiarata, pertanto, la giurisdizione del giudice amministrativo e, annullata la sentenza impugnata, le parti vanno rimesse al primo giudice con rinvio al definitivo della pronunzia sulle spese.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, accoglie l’appello e per l’effetto, ritenuta la giurisdizione del giudice amministrativo, annulla l’impugnata sentenza del Tribunale amministrativo regionale rimettendo allo stesso le parti per l’ulteriore corso. Spese al definitivo.

     Ordina che la decisione venga eseguita invia amministrativa.

     Così deciso in Roma il 1° febbraio 2005 in camera di consiglio dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, con l’intervento dei sigg:

Mario Egidio SCHINAIA  Presidente

Sabino LUCE    Consigliere Est.

Luigi MARUOTTI   Consigliere

Carmine VOLPE   Consigliere

Lanfranco BALUCANI  Consigliere  

Presidente

MARIO EGIDIO SCHINAIA

Consigliere       Segretario

SABINO LUCE      GIOVANNI CECI 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 

il...14/09/2005

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186) 

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  

al Ministero.............................................................................................. 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 

                                    Il Direttore della Segreteria

 

N.R.G. 8479/2004


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