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A
N.4818/2005 Reg.
Dec. N. 1037 Reg. Ric. Anno
1996 |
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul
ricorso in appello n.1037/1996
proposto dalla
Immobiliare Casal Brunori s.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata
e difesa dall’Avv. Gabriele Liuzzo ed elettivamente domiciliata presso lo
stesso in Roma, Via Dora n.2;
CONTRO
Comune
di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dall’Avv. Andrea Magnanelli ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in
Roma, Via del Tempio di Giove n.21;
per
l’annullamento
della
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. I,
n.963/95 in data 3 giugno 1995;
Visto
l’atto di appello con i relativi allegati;
Visto
l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;
Vista
la sentenza interlocutoria di questa Sezione n.220/05 in data 31 gennaio 2005;
Viste
le memorie difensive depositate dalle parti;
Visti
gli atti tutti della causa;
Alla
pubblica udienza del 5 luglio 2005, relatore il consigliere Carlo
Deodato, uditi gli avv.ti Costa su delega dell'avv. G. Liuzzo e l'avv. A.
Magnanelli;
Ritenuto
in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con la sentenza appellata il
T.A.R. del Lazio respingeva il ricorso proposto dalla Immobiliare Casal Brunori
s.r.l. (d’ora innanzi: Casal Brunori) avverso la deliberazione consiliare 23 -
24 luglio 1991, n. 279, di adozione della variante
di salvaguardia al piano regolatore generale del Comune di Roma, con la
quale, per quanto d'interesse nel presente giudizio, veniva mutata la
destinazione urbanistica - da G\4 (case unifamiliari con giardino) a N (parco
pubblico) - impressa dal p.r.g. del 1965 ad una vasta porzione di territorio (al
cui interno è situata l'area di proprietà della società ricorrente),
giudicandola immune dai vizi denunciati da quest’ultima.
Avverso
la predetta decisione proponeva rituale appello la Casal Brunori, ribadendo le
censure dedotte in primo grado a carico della delibera impugnata ed invocandone
l’annullamento, in riforma della decisione appellata.
Resisteva
il Comune di Roma, difendendo la correttezza del proprio operato, contestando la
fondatezza delle doglianze svolte a sostegno dell’appello e domandandone la
reiezione.
Disposti
(con sentenza in data 31 gennaio 2005, n.220) ed espletati incombenti
istruttori, aventi ad oggetto chiarimenti ed acquisizioni documentali, alla
pubblica udienza del 5 luglio 2005 il ricorso veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.- Le parti controvertono sulla
legittimità della variante di salvaguardia con la quale il Comune di Roma ha
(tra l’altro) mutato la destinazione d’uso dell’area ove insiste la
proprietà della società ricorrente, da G\4 (case unifamiliari con giardino) a
N (parco pubblico), sotto i diversi profili di invalidità dalla stessa
denunciati.
Occorre
preliminarmente avvertire che le diverse questioni (qui sollevate dalla Casal
Brunori) relative alla legittimità della stessa determinazione oggi controversa
(delibera del c.c. di Roma in data 24 luglio 1991, n.279) sono state già
esaminate e decise da questo Giudice con diverse, recenti decisioni (Cons. St.,
sez. IV, 25 settembre 2002, n.4907; 16 marzo 2001, n. 1567; 8 maggio
2000, n. 2639; 25 maggio 1998, n.869)
che, con dovizia di argomentazioni, hanno confermato la regolarità e la
correttezza, sotto i diversi aspetti contestati con il ricorso in esame, della
variante di salvaguardia per cui è causa.
L’identità
(con quelle qui dibattute) delle questioni definite con le citate decisioni, la
condivisione delle ragioni esposte a sostegno del giudizio reso con le stesse e
l’inesistenza, nella presente fattispecie, di ragioni di fatto od elementi di
diritto che inducano a mutare il convincimento già espresso dalla Sezione
esimono il Collegio da una diffusa disamina dei diversi argomenti addotti a
sostegno dell’assunto della illegittimità della variante e consentono una
sintetica esposizione ed una concisa illustrazione delle motivazioni già
utilizzate per confermarne la regolarità e la conformità ai principi che
presiedono al corretto uso della potestà di pianificazione del territorio.
2.- Ancora in via preliminare, si
deve rilevare che la riferibilità logica di tutte le censure dedotte dalla
Casal Brunori all’unica e complessa questione dei presupposti e dei limiti del
corretto esercizio delle scelte di pianificazione urbanistica del territorio
comunale esige, ai fini dell’economia dell’iter
argomentativo e logico dell’analisi della fondatezza dell’appello, una
preliminare e puntuale ricognizione dei principi che presidiano, secondo ormai
consolidati insegnamenti giurisprudenziali, la legittima deliberazione di
varianti ai documenti di pianificazione generale.
2.1-
Com’è noto, le varianti ai piani regolatori
generali possono essere distinte, in relazione alla loro funzione ed estensione,
in specifiche, normative e generali.
Queste
ultime consistono, in particolare, in una nuova disciplina generale dell'assetto
del territorio, resasi necessaria per effetto di fattori sopravvenuti o di
diverse esigenze pianificatorie (che acquistano, a loro volta, rilevanza per
effetto della durata indeterminata del piano regolatore e della sua necessaria
soggezione a revisioni periodiche).
Quanto alla determinazione oggetto
del presente scrutinio, giova rilevare che il Comune di Roma, come risulta
dall'ampia ed esauriente relazione tecnica facente parte integrante della
deliberazione di adozione della variante, ha inteso perseguire, fra gli altri
obbiettivi, quello inerente a uno sviluppo razionale ed ecocompatibile della
politica urbanistica e, in particolare, per quanto qui rileva, quello
concernente la tutela dell'agro romano e delle zone limitrofe al parco dell'Appia
Antica (da valersi quali sopravvenute esigenze di disciplina del territorio,
idonee a giustificare, per il momento in astratto, la relativa scelta
pianificatoria).
2.2-
L'indirizzo di politica urbanistica espresso
negli strumenti generali di pianificazione implica importanti conseguenze (di
seguito illustrate) in ordine ai limiti del sindacato di legittimità del
giudice amministrativo ed al contenuto della motivazione in concreto
indispensabile, specie in considerazione di quanto previsto dal comma 2
dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, là dove esclude,
dall’obbligo di motivazione, gli atti normativi e quelli a contenuto generale
(nel cui novero rientra lo strumento urbanistico generale).
2.3-
In coerenza con i caratteri, appena segnalati,
delle determinazioni pianificatorie, si è, in particolare, affermato che: a) le
scelte effettuate dall'amministrazione nell'adozione del piano costituiscono
apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non
siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità (cfr. ex
multis, Cons. St., sez. IV, 8 febbraio 1999, n. 121); b) in occasione della
formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali
dell’amministrazione, riguardo alla destinazione di singole aree, non
necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai
criteri generali - di ordine tecnico discrezionale - seguiti nell’impostazione
del piano stesso (Cons. St., ad. plen., 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV, 19
gennaio 2000, n. 245; sez. IV, 24 dicembre 1999, n. 1943; sez. IV, 2 novembre
1995, n. 887, sez. IV, 25 febbraio 1988, n. 99), essendo sufficiente l'espresso
riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al
piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato
aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano
meritevoli di specifiche considerazioni.
2.4-
Le evenienze che giustificano una più incisiva e
singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali, sono state,
segnatamente, individuate dalla giurisprudenza di questo Consiglio (Ad. plen. n.
24 del 1999 cit.): a) nel superamento degli standards
minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l'avvertenza che la motivazione
ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di
sovradimensionamento, e non anche con riguardo alla destinazione di zona di
determinate aree (come infondatamente sostenuto, nella fattispecie, dalla Casal
Brunori); b) nella lesione (parimenti non ricorrente nella specie)
dell'affidamento qualificato del privato, a sua volta integrato dalla
conclusione di convenzioni di lottizzazione o di accordi di diritto privato
intercorsi tra il comune e i proprietari delle aree, ovvero da aspettative
nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di
silenzio-rifiuto su domande di concessione (Cons. St., ad. plen., n. 24 del 1999
cit.; 8 gennaio 1986, n. 1); c) nella
modificazione (anche questa non ravvisabile nella fattispecie in esame) in zona
agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati
in modo non abusivo (Cons. St., sez. IV, 9 aprile 1999, n. 594);
2.5-
Non è stata, peraltro, ritenuta configurabile
un'aspettativa qualificata alla conservazione di una destinazione edificatoria,
in relazione a precedenti, conformi determinazioni dell'amministrazione, ma
soltanto un'aspettativa generica alla permanenza del relativo regime, con la
conseguenza che la c.d. polverizzazione della motivazione è stata giudicata
contrastante con la natura della variante generale - che non esige, appunto,
altra motivazione che quella dell’indicazione dei criteri di ordine tecnico
seguiti per la redazione del piano (ad. plen. n. 24 del 1999 cit.).
2.6-
Che la zona agricola, o, comunque, destinata a
verde pubblico, possieda anche una valenza conservativa dei valori
naturalistici, venendo a costituire il polmone dell’insediamento urbano ed
assumendo - per tale via - la funzione decongestionante e di contenimento
dell’espansione dell’aggregato urbano, risulta, inoltre, principio espresso
dalla giurisprudenza di questo Consiglio ormai da alcuni lustri ( Cons. St.,
sez. IV, n. 245 del 2000 cit.; n. 1943 del 1999 cit.; 13 marzo 1998, n. 431;
sez. IV, 1 ottobre 1997, n. 1059; sez. IV, 28 settembre 1993, n. 968; sez. IV, 1
giugno 1993, n. 581; sez. V, 19 settembre 1991, n. 1168; sez. IV, 11 giugno
1990, n. 464, sez. IV, 17 gennaio 1989, n. 5).
2.7-
Ne consegue, sul piano dell’istruttoria e della
motivazione di una variante dichiaratamente destinata a tutelare l’ambiente
(e, per quanto qui interessa, le caratteristiche storiche e culturali delle zone
di campagna residuate nel territorio di Roma, secondo le indicazioni contenute
nell'omonima Carta dell'Agro romano, adottata con deliberazione consiliare 18
marzo 1980, n. 959), anche quando si risolve nell’imposizione ad un’area
della destinazione di zona a verde pubblico, che non risulta necessaria una
diffusa analisi argomentativa ed una specifica ed esplicita giustificazione
della relativa scelta urbanistica, avuto riguardo al valore fondamentale
assegnato al paesaggio dall’art.9 della Carta Costituzionale (tra le tante,
Cons. St., sez. IV, n. 245 del 2000 cit.; 4 dicembre 1998, n. 1734; Corte cost.
n. 170 del 1997; n. 416 del 1996; n. 417 del 1995; n. 379 del 1994; n. 282 del
1992; n. 327 del 1990; nn. 302 e 1112 del 1988; nn. 151, 152 e 153 del 1986).
2.8-
Circa il rapporto fra piano regolatore generale o
sue varianti da un lato, e vincoli e destinazioni di zone a vocazione storica,
ambientale e paesistica, dall'altro, è sufficiente rilevare (in conformità ai
precedenti indirizzi espressi da questo Consiglio: sez. IV, n. 1734 del 1998
cit.; Cons. giust. amm. sic. 30 giugno 1995, n. 246) che i beni costituenti
bellezze naturali possono formare oggetto di distinte forme di tutela
ambientale, anche in via cumulativa, a seconda del profilo considerato, con la
duplice conseguenza che la tutela paesaggistica è perfettamente compatibile con
quella urbanistica o ecologica, trattandosi di forme complementari di
protezione, preordinate a curare, con diversi strumenti, distinti interessi
pubblici, e che il comune conserva la titolarità, nella sua attività
pianificatoria generale, della competenza ad introdurre vincoli o prescrizioni
preordinati al soddisfacimento di interessi paesaggistici.
3.-
In applicazione dei principi appena enunciati, devono, quindi,
disattendersi, sulla base di un sintetico richiamo agli argomenti assunti a
sostegno dei riferiti indirizzi giurisprudenziali, tutte le censure dedotte
dalla società appellante.
3.1- Il primo, il secondo, il sesto
ed il settimo motivo, tutti indirizzati a denunciare lo scorretto uso della
discrezionalità riservata al comune, in considerazione del carattere
asseritamente immotivato, contraddittorio ed ingiustificato della scelta
urbanistica contestata, vanno, in particolare, respinti sulla base dei decisivi
rilievi della riscontrata ampiezza del contenuto della potestà pianificatoria
intestata all’amministrazione, della inconfigurabilità di un obbligo
motivazionale delle relative determinazioni (soprattutto quando intese a
soddisfare, come nella fattispecie in esame, esigenze di tutela del paesaggio) e
della irrilevanza di difformi scelte pianificatorie, riferite a zone limitrofe a
quella considerata.
3.2- Il terzo ed il quarto motivo,
con i quali si assume l’insussistenza della necessità del recepimento dei
vincoli imposti con il piano paesistico nel frattempo adottato e, quindi, della
competenza del comune a deliberare su materie la cui cura risulta affidata ad
altre amministrazioni, vanno, invece, disattesi, sia in quanto le prescrizioni e
gli assetti contenuti in piani paesistici in corso di approvazione, ancorchè
non immediatamente vincolanti, ben potevano essere assunti a parametro di
riferimento nella deliberazione di diverse destinazioni di zona (a quelli
conformi), sia, ancora, in quanto l’amministrazione comunale risulta
senz’altro titolare, nella pianificazione urbanistica del suo territorio, di
compiti relativi alla cura di interessi attinenti all’ambiente ed al paesaggio
(secondo i principi sopra riferiti).
3.3- In relazione al quinto motivo,
con cui si denuncia l’omessa allegazione (alla delibera consiliare) dei pareri
prescritti dall’art.53 della legge n.142 del 1990 (allora vigente), è
sufficiente osservare, per rilevarne l’infondatezza, che la dedotta carenza
non integra un vizio di legittimità, ma si risolve in una mera irregolarità,
nei casi (quale quello di specie) in cui non si contesta l’effettiva esistenza
degli atti consultivi non allegati (Cons. St., sez.IV, 16 marzo 2001, n.1567).
4.- Alle considerazioni che precedono
conseguono, in definitiva, la reiezione dell’appello e la conferma della
pronuncia reiettiva gravata.
5.- Sussistono, nondimeno, giusti
motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
Quarta, respinge il ricorso indicato in epigrafe e compensa tra le parti le
spese di giudizio;
ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 luglio 2005
, con l'intervento dei
signori:
Filippo PATRONI GRIFFI
-
Presidente
Dedi
RULLI
- Consigliere
Aldo
SCOLA
- Consigliere
Carlo
DEODATO
- Consigliere est.
Eugenio
MELE
- Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE f.f.
Carlo
Deodato
Filippo Patroni Griffi
IL SEGRETARIO
Rosario
Giorgio Carnabuci
20 settembre 2005
(art. 55, L.
27.4.1982 n. 186)
Il Dirigente
Giuseppe Testa