N.5204/2005

Reg. Dec.

N. 6264 Reg. Ric.

Anno 2004 

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

   Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello iscritto al NRG 6264 dell’anno 2004 proposto da FIDENTE S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresenta e difesa dagli avv. prof. Lorenzo Acquarone, Francesco Massa e Giovanni Candido Di Gioia, con i quali è elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Mazzini, n. 27 (presso lo studio dell’avv. Di Gioia);

contro

REGIONE LIGURIA, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Gigliola Benghi e Barbara Baroli, con i quale è elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Madama n. 9 (presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Liguria);

e nei confronti di

CATANIA MULTISERVIZI S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. prof. Mario Libertini e Santi Pappalardo, con i quali è elettivamente domiciliata in Roma, via del Quirinale n. 26 (presso lo studio del secondo);

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sez. II, n. 484 del 22 aprile 2004;

      Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

      Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Liguria e della società Catania Multiservizi S.p.A.;

      Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive;

      Visto il dispositivo di sentenza n. 129/05;

      Visti tutti gli atti di causa;

      Relatore alla pubblica udienza del 1° marzo 2005 il consigliere Carlo Saltelli;

      Uditi, per le parti, gli avvocati Massa, Benghi e Libertini;

 Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

     Con decreto n. 3112 del 24 dicembre 2003 il dirigente della Direzione Centrale Affari Organizzativi della Regione Liguria dichiarava la ditta Catania Multiservizi S.p.A. di Catania aggiudicataria della gara di appalto indetta con decreto dirigenziale n. 1258 del 17 dicembre 2002 per laffidamento per un periodo di tre anni del servizio di polizia dei locali occupati dagli uffici della Giunta regionale per un importo complessivo di . 2.963.769,84 oltre I.V.A.

     La società Fidente S.p.A., che aveva partecipato regolarmente al predetto appalto collocandosi al secondo posto (giusta comunicazione prot. 1303/70 del 7 gennaio 2004), con ricorso giurisdizionale notificato il 20 gennaio 2004 chiedeva al Tribunale amministrativo regionale della Liguria l’annullamento del predetto provvedimento di aggiudicazione, deducendone l’illegittimità alla stregua di sette motivi, rubricati, rispettivamente, i primi due “Violazione e falsa applicazione delle norme di gara e segnatamente della lettera di invito e del capitolato speciale – Eccesso di potere sotto vari profili e violazione di molteplici principi in materia di gare”; il terzo, ”Violazione e falsa applicazione dell’art. 25 D. Lgs. 157/95 - Violazione e falsa applicazione della norme in materia di anomalia delle offerte e delle norme in materia di costo della manodopera nel settore in questione – Eccesso di potere sotto vari profili”; il quarto, “Violazione e falsa applicazione dell’art. 22 L. 142/90 e 113 D. Lgs. 267/00 – Violazione e falsa applicazione delle norme in materia di attività extraterritoriale delle società miste a partecipazione maggioritaria degli enti locali – Eccesso di potere dotto vari profili”; il quinto, “Violazione e falsa applicazione dell’art. 25 D. Lgs. 157/95, delle norme e dei principi in materia di verifica delle offerte anormalmente basse, degli artt. 3 e 97 Cost., difetto di istruttoria e di motivazione”; il sesto, “ Violazione e falsa applicazione – sotto altro profilo – delle norme e dei principi in materia di verifica di anomalia – Incompetenza – Violazione e falsa applicazione della L. reg. n. 12/99” e l’ultimo, “Violazione e falsa applicazione delle direttive 89/855/CEE e 92/50/CEE, dell’art. 97 Cost., nonché dei principi di correttezza, buona fede, imparzialità e buon andamento della P.A.”.

     Resistevano al ricorso, chiedendone il rigetto siccome inammissibile ed infondato, sia la Regione Liguria, sia la società Catania Multiservizi S.p.A. che, a sua volta, spiegava ricorso incidentale, deducendo “Violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del D. Lgs. 157/95 e dell’art. 1 L. 7.11.00 n. 327 – Violazione delle norme di gara, dei principi di concorrenza e della par condicio delle offerte – Eccesso di potere per difetto di istruttoria”, in quanto, a suo avviso, l’offerta della ricorrente principale Fidente S.p.A. era antieconomia e presentava gli stessi vizi della sua offerta quanto al difetto di corrispondenza tra tempi di esecuzione per metro quadrato e resa oraria e circa la mancata indicazione della frequenza dei tipi di intervento.

     L’adito Tribunale, sez. II, con la sentenza n. 484 del 22 aprile 2004, prescindendo dall’esame del ricorso incidentale, respingeva il ricorso principale, ritenendo infondati tutti i motivi di censura sollevati.

     Con atto di appello notificato il 25 giugno 2004 la società Fidente S.p.A. ha chiesto la riforma della prefata sentenza, rilevando che dal suo esame risultava del tutto evidente che i primi giudici avevano acriticamente recepito le tesi delle parti intimate, senza darsi carico di valutare le censure sollevate che venivano pertanto integralmente riproposte.

     In particolare, la società appellante ha dedotto:

1) “Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione delle norme di gara e segnatamente della lettera d’invito e del capitolato speciale; violazione dei principi di par condicio dei concorrenti, di uguaglianza e di imparzialità dell’operato dell’Amministrazione; illogicità ed irragionevolezza – Manifesta ingiustizia”: a suo avviso, infatti, la società Catania Multiservizi S.p.A. doveva essere esclusa dalla gara per i gravi vizi che inficiavano l’offerta economica (quanto: alla mancata indicazione del prezzo a metro quadro su base mensile con riferimento agli interventi suddivisi per tipologia; alla non corrispondenza del prezzo offerto al metro quadrato per mese moltiplicato per i metri quadrati indicati nel capitolato speciale con il prezzo offerto globalmente per l’esecuzione del servizio; alla non corrispondenza tra il costo orario notturno indicato in cifre e quello indicato in lettere) e quella tecnica (in quanto, in contrasto con le prescrizioni contenute nella lettera d’invito (inopinatamente disattese dai primi giudici), tanto più che la relazione tecnica recava solo una sigla invece della firma per esteso, mentre le “schede tecniche” di sicurezza e gli “allegati sistema gestione qualità” erano privi anche della sigla;

2) “Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, della lettere d’invito e del capitolato speciale – Violazione dei principi di uguaglianza e par condicio dei concorrenti; imparzialità, correttezza e buon andamento dell’operato della P.A.; violazione dei criteri di massima per l’attribuzione del punteggio tecnico – Eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza, ingiustizia grave e manifesta; difetto di istruttoria e di motivazione”: in quanto: a) la certificazione di qualità UNI ENI ISO 9000 prodotta dalla società Catania Multiservizi S.p.A., risalente al 1994, era scaduta il 31 dicembre 2003, così che non era dato conoscere se dal 1° gennaio 2004 la predetta società, dichiarata aggiudicataria, fosse effettivamente in possesso dei requisiti di qualità fatti valere con la certificazione scaduta; in ogni caso, era illogico ed irragionevole l’attribuzione del punteggio attribuito dalla commissione di gara a quella certificazione, pari a quello attribuito alla società appellante, la cui certificazione UNI ENI ISO 9001 era risalente al 2000; b) l’offerta non conteneva la dichiarazione di assenza di rischi per l’uso appropriato dei prodotti detergenti e chimici espressamente richiesta dalla lettera d’invito e dal capitolato speciale ed era altresì priva di precise indicazioni contenute nella lettera d’invito (e ciò malgrado detta offerta aveva ottenuto 4 punti sui 5 disponibili) ; c) non era stato forniti né dépliant, né schede tecniche e/o di sicurezza riguardo ai macchinari utilizzati, così che non era dato comprendere quali macchine sarebbero state utilizzate; d) le metodiche di intervento previste nell’offerta erano lacunose ed imprecise e ciò malgrado era stato attribuito a tale voce il massimo punteggio;

3) “Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 25 D. Lgs. 157/95 – Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di verificazione delle offerte anormalmente basse – Violazione e falsa applicazione delle norme che disciplinano il costo della manodopera nel settore delle pulizie – Eccesso di potere per difetto dei presupposti; travisamento dei fatti decisivi – Difetto di istruttoria e di motivazione – Illogicità e contraddittorietà; sviamento – Infrapetizione”: i primi giudici avevano immotivatamente ritenuto infondate le censure rivolte avverso la giustificazione dell’offerta prodotta dall’aggiudicataria, senza tener conto che essa era tardiva, contraddittoria (quanto alla giustificazione del rapporto tra prezza a mero quadrato e prezzo complessivo) e conteneva gravi incongruenza ed omissioni (circa il costo della manodopera, il conteggio dei costi delle ore di lavorazione, l’impiego di due persone a tempo pieno di 4° livello, la dichiarata assunzione di un’unità di personale di 5° livello, costo del materiale igienico – sanitario da utilizzare, costo della istituendo sede in Genova);

4) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 22 L. 142/90 e 113 D. Lgs. 267/00 – Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di attività extraterritoriale delle società miste a partecipazione maggioritaria degli enti locali – Travisamento del presupposto di fatto decisivo – Difetto del presupposto legittimante – Difetto di istruttoria e motivazione – In subordine eccezione di incompatibilità degli artt. 22 L. 142/90 e 113 D. Lgs. 267/2000 con le norme di cui al titolo VI capo I del trattato CEE, artt. Da 81 a 89”: la società aggiudicataria, quale società mista a capitale maggioritario pubblico del Comune di Catania, non avrebbe potuto agire al di fuori del relativo ambito territoriale, come emergeva dalla attenta lettura del suo stesso oggetto sociale, così che essa non avrebbe neppure potuto partecipare alla gara alla quale era stata erroneamente ammessa; sul punto la motivazione fornita dai primi giudici era assolutamente generica, fumosa e non pertinente, essendosi limitata ad affermare che non vi era alcuna preclusione, atteso che non, nel caso di specie, non si trattava di assunzione di servizi pubblici, ma di un mero appalto di servizio, per il quale non vi era necessità di rispettare il nesso funzionale con gli interessi della comunità locale di riferimento; in via subordinata, l’appellante sul punto in esame ha anche prospettato questione pregiudiziale di compatibilità delle disposizioni di cui agli articoli 22 della legge n. 142 del 1990 e 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000 con la normativa comunitaria (in particolari con gli articoli da 81 a 89 del Trattato CE);  

5) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 25 D. Lgs. 157/95 – Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di verifica delle offerte anormalmente basse – Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. e dell’art. 3 L. n. 241/90 – Difetto di istruttoria e di motivazione”: in quanto il giudizio di congruità dell’offerta della società aggiudicataria dell’appalto era del tutto immotivato, non essendo possibile – come erroneamente rilevato dai primi giudici – fare pedissequo riferimento alle stesse giustificazioni formulate dall’offerente; 

6) “Erroneità della sentenza e violazione e falsa applicazione – sotto altro profilo – delle norme e dei principi in materia di verifica di anomalia” – Incompetenza – Violazione e falsa applicazione della L. reg. n. 12/99”: in quanto la valutazione della congruità delle offerte non poteva essere fatto, come avvenuto, dalla stessa Commissione giudicatrice;

7) “Erroneità della (sentenza) violazione e falsa applicazione delle direttive 89/655/CEE e 92/50/CEE – Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., nonché dei principi di correttezza, buona fede, imparzialità e buon andamento della P.A.”: in quanto il contratto di appalto era stato sottoscritto con rapidità inusitata che, in ogni caso, aveva impedito alle ditte partecipanti, non aggiudicatarie, tra cui l’appellante, di far valere adeguatamente ed effettivamente in giudizio i vizi che inficiavano la procedura di gara.

      La società appellante, poi, oltre a chiedere la riforma della sentenza impugnata anche in ordine al capo delle spese di giudizio, instando per la condanna delle parti appellate alle spese del doppio grado del giudizio, ha altresì avanzato nei confronti della Regione Liguria istanza risarcitoria per i danni subiti e subendi ai sensi degli articoli 33 e 35 del D. Lgs. n. 80 del 1998, chiedendo l’assegnazione in propria favore del servizio di cui all’appalto in questione ovvero risarcimento del danno per equivalente, nelle componenti del danno emergente e del lucro cessante.

     Anche nel giudizio di appello si sono costituite la Regione Liguria e la società Catania Multiservizi S.p.A. che hanno dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame di cui hanno chiesto il rigetto.

     Tutte le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie rispettive tesi difensive.

D I R I T T O

     I. E’ controversa la legittimità del decreto n. 3112 del 24 dicembre 2003, con cui il dirigente della Direzione Centrale Affari Organizzativi della Regione Liguria ha dichiarato la società Catania Multiservizi S.p.A. di Catania aggiudicataria della gara di appalto, indetto con decreto dirigenziale n. 1258 del 17 dicembre 2002, per l’affidamento per un periodo di tre anni del servizio di polizia dei locali occupati dagli uffici della Giunta regionale per un importo complessivo di . 2.963.769,84 oltre I.V.A.

     La società Fidente S.p.A., seconda classificata, chiede la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria, sez. II, n. 484 del 22 aprile 2004 che ha respinto il ricorso da essa proposto in primo grado, riproponendo sostanzialmente le censure sollevate in prime cure, a suo avviso, superficialmente esaminate ed erroneamente respinte.

     Resistono all’appello la Regione Liguria e la società Catania Multiservizi S.p.a, che hanno chiesto il rigetto dell’avverso gravame, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza.

 II. La Sezione osserva che i motivi di gravame possono essere raggruppati in due serie, la prima concernente la legittimità della stessa ammissione della Catania Multiservizi S.p.A. alla gara di cui si discute, in ragione della peculiarità della sua natura di società mista a capitale maggioritario pubblico (motivo sub 4), la seconda riguardante, per un verso, vizi dell’offerta (sia per quanto attiene l’aspetto tecnico che quello economico) della aggiudicataria Catania Multiservizi S.p.A., e, per altro verso, vizi del procedimento di valutazione della congruità della predetta offerta e delle sue relative giustificazioni.

     Evidenti ragioni di logica impongono alla Sezione di esaminare preliminarmente la censura relativa alla ammissione alla gara della Catania Multiservizi S.p.A., dichiarata aggiudicataria, censura il cui accoglimento determinerebbe automaticamente l’illegittimità di tutto il successivo procedimento di gara e renderebbe pertanto inutile l’esame di tutte le altre censure.

     III. Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.

     III.1. In punto di fatto, occorre rilevare che, come emerge dalla misura presso la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Catania in data 13 dicembre 2003, avente valore di certificazione ordinaria, la Società Catania Multiservizi S.p.A., costituita il 7 agosto 1997 con scadenza 31 dicembre 2020, ha per oggetto sociale “lo svolgimento di pubblici servizi di interesse municipale da svolgere con criteri di imprenditorialità e di efficienza. La società potrà svolgere servizi di manutenzione ordinaria e straordinaria, con tutte le attività connesse alla gestione, di aree, di stabilimenti e di immobili privati e pubblici, in particolare del Comune di Catania o in uso dello stesso comune e di quegli altri immobili che il Comune deve mettere a disposizione di altre pubbliche amministrazioni. La società potrà svolgere inoltre attività di pulizia, sanificazione civile e industriale, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione, autospurgo e disostruzione, pulizia e manutenzione di spiagge, realizzazione e manutenzione di aree a verde, attività ausiliarie dei servizi scolastici e supporti logicistici, ristorazione. La società potrà svolgere la promozione e la gestione di tutte le attività connesse ad eventi, manifestazioni, spettacoli, servizi connessi, e gestione di parcheggi pubblici e privati, promozione e gestione di servizi turistici, manutenzione e gestione di beni culturali e di impianti di programmazione di sistemi di intervento per le attività di cui sopra. L’attività di cui ai commi precedenti, può essere svolta, nei modi di legge, anche in favore di soggetti pubblici e privati. I rapporti tra la società ed il Comune di Catania sono regolati dalla convenzione di affidamento dei servizi…”.

     Come emerge, poi, dalla documentazione esibita dall’appellante (in particolare, si tratta di informazioni e notizie ricavate da Internet), non smentita dalle parti appellate, la predetta società Catania Multiservizi S.p.A. è una società mista i cui azionisti sono il Comune di Catania e la società Italia Lavoro S.p.A. (che, a sua volta, risulta essere totalmente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze): tale connubio si può agevolmente comprendere atteso che, per un verso, la lunga elencazione dell’oggetto sociale della società in parola si apre con la premessa che la sua attività si svolge “nel quadro della salvaguardia e della creazione di nuovi posti di lavoro”, e, per altro verso, che l’attività della società Italia Lavoro S.p.A. risulta essere indirizzata, tra l’altro, proprio a favorire l’inserimento delle categorie deboli nel mercato del lavoro, oltre a sviluppare i servizi per le imprese e i cittadini.

     III.2. Ciò precisato, la questione di diritto da risolvere, stante la pacifica natura di società mista della società Catania Multiservizi S.p.A. ed in considerazione del suo precipuo oggetto sociale, consiste nello stabilire se essa possa svolgere attività imprenditoriali extraterritoriali, se cioè possa assumere il ruolo di esecutore di appalti pubblici indetti da altre stazioni pubbliche appaltanti (nel caso di specie dalla Regione Liguria), diverse cioè dall’ente che ha dato vita alla società stessa.

     Orbene, come puntualmente ricordato anche dalla decisione n. 5843 del 7 settembre 2004 della VI Sezione di questo Consiglio di Stato, a tale interrogativo occorre dare risposta affermativa, pur con alcune limitazioni e precisazioni volti a non snaturare il ruolo istituzionale delle società miste.

     Invero quest’ultima, a differenza dell’azienda speciale la cui natura strumentale ed il cui regime normativo pretendono un collegamento molto saldo, seppur di natura funzionale, tra l’attività dell’azienda stessa e le esigenze della collettività stanziata sul territorio dell’ente che l’ha costituita, è innanzitutto un soggetto imprenditoriale, rientrante nello schema organizzativo gestionale proprio delle società di capitali e, pertanto, non sottoposto alle limitazioni territoriali di attività cui soggiacciono le aziende speciali: né ciò, come dedotto dalla società appellante, contrasta in qualche modo con i principi comunitari in materia di concorrenza e di parità di trattamento tra imprese pubbliche e private, atteso che, secondo la stessa Corte di Giustizia (7 dicembre 2002, Arge Gewasserschutz c/Bundesministerium fur Land und forstwirtschaft), il solo fatto che amministrazioni aggiudicatici ammettano alla partecipazione ad un procedimento di aggiudicazione di un pubblico appalto organismi che beneficiano di sovvenzioni pubbliche (nel caso in esame, sotto forma di sottoscrizione del capitale sociale) non costituisce automaticamente violazione del principio di parità di trattamento (e della concorrenza), non sussistendo del resto a livello di normativa comunitaria un espresso divieto di partecipazione di tali organismi a dette procedure di appalto (così, anche C.d.S., sez. V, 27 settembre 2004, n. 6325), salvo – evidentemente – procedere ad una accorta e particolarmente puntuale valutazione della congruità dell’offerta, al fine di evitare che un’offerta particolarmente bassa possa essere proprio il frutto della predetta particolare posizione dell’organismo a partecipazione pubblica che ha preso parte alla gara.

     Tuttavia, questo stesso Consiglio di Stato (sez. V, 3 settembre 2001, n. 4586; sez. VI, 7 settembre 2004, n. 5843), ha già avuto modo di evidenziare che “l’attività extraterritoriale, per tutte le figure per le quali esiste un vincolo teleologico al soddisfacimento dei bisogni della collettività locale, si appalesa subordinata alla dimostrazione che in tal guisa viene soddisfatta una specifica esigenza della medesima collettività, che non si traduca in un mero ritorno di carattere imprenditoriale, e va ritenuta non ammissibile se vi sia una concreta incompatibilità con gli interessi della collettività di riferimento, determinata da una distrazione di risorse e mezzi effettivamente apprezzabile e realisticamente in grado di arrecare un pregiudizio allo svolgimento del servizio pubblico locale”.

     Come acutamente rilevato dalla ricordata decisione della VI Sezione di questo Consiglio di Stato n. 5843 del 7 settembre 2004, mentre non può seriamente dubitarsi della possibilità della società mista di svolgere le proprie attività in ambito extraterritoriale, d’altra parte “occorre, caso per caso verificare, con specifiche indagini e studi, che l’espletamento di tale attività, da un lato contribuisca al migliore perseguimento dell’interesse della collettività locale e, dall’altro, non si traduca in un aumento dei costi per tale collettività in termini di aumento di tasse o di tariffe o di peggioramento del servizio”, di modo che “solo a tali condizioni… si soddisfa la duplice esigenza che, da un lato le attività extraterritoriali della società mista non si traducano in pregiudizio e aumento di costi della collettività territoriale, in contrasto con i principi di efficienza e di equa misura di tariffe e tasse, e che, dall’altro lato, la società mista, una volta immessa nel mercato, vi operi in condizione di effettiva concorrenza e parità con gli imprenditori privati, senza costituire una posizione di privilegio derivante dalla possibilità di usufruire, in violazione delle norme comunitarie e nazionale sugli aiuti pubblici alle imprese di una dote economico – finanziaria costituita da danaro pubblico e, dunque, in definitivo a carico della collettività”.

     In altri termini, ad avviso della Sezione, la circostanza che il modulo organizzativo prescelto dall’ente locale sia costituito da quello di una società di capitali, per quanto faccia assurgere alla società creata necessariamente la qualità di imprenditore e le consente quindi di poter anche partecipare ai procedimenti di aggiudicazione di appalti banditi da altre amministrazioni aggiudicatici, non per questo si esaurisce definitivamente il rapporto che esiste con l’ente locale che ha partecipato alla sua formazione versato il capitale sociale, nel caso di specie totalmente pubblico, atteso che proprio quest’ultimo non è di proprietà dell’ente, ma costituisce, invero, uno strumento (come altri, quali i beni pubblici, lo stesso personale dipendente, i beni mobili) per il conseguimento dei fini di benessere della collettività stanziata sul suo territorio: questo rapporto tra strumento finanziario (capitale sociale versato dall’ente locale nella società mista) e la collettività (o meglio il perseguimento degli interessi pubblici propri di tale collettività) costituisce la condizione indispensabile perché in concreto una società mista possa concretamente agire in ambito extraterritoriale, condizione che non può considerarsi realizzata facendo riferimento al mero ritorno economico dell’attività extraterritoriale.

     III.3. Applicando tali principi al caso in esame, la Sezione è dell’avviso che il motivo di gravame sia fondato e debba essere accolto.

     Invero, non vi è dubbio che, come puntualmente eccepito dalla società appellante, l’amministrazione appaltante non ha svolto alcuna indagine o esame (né a tanto ha supplito spontaneamente la società aggiudicataria) al fine di verificare che la aggiudicazione dell’appalto di cui si discute alla società mista Catania Multiservizi S.p.A. (di cui, come ammette essa stessa nelle memorie difensive, il Comune di Catania è socio pubblico di maggioranza), astrattamente ammissibile (non rinvenendosi alcun divieto espresso per le società miste di partecipare ad appalti pubblici indetti da altre amministrazione pubbliche), fosse altresì in concreto congruo proprio con la particolare natura della predetta società, nel senso sopra evidenziato e cioè se esso contribuisse in qualche modo al perseguimento degli interessi proprio della collettività di cui il Comune di Catania è per definizione (e sotto il profilo costituzionale) ente esponenziale e non comportasse invece eventuali disagi o pregiudizi.

     In tal senso, contrariamente a quanto dedotto dalla società appellata (ed indipendentemente dal fatto che - come si è già avuto modo di sottolineare – il mero ritorno economico della gestione dell’appalto di cui si discute non costituisce valido argomento per ritenere rispettato il vincolo tra attività extraterritoriale ed interesse della collettività), non è sufficiente che, come risulta dall’oggetto sociale, l’attività della Catania Multiservizi S.p.A. si svolge “nell’ambito della salvaguardia e della creazione di nuovi posti di lavori” e che, in tale ottica, la predetta attività costituisce lo strumento per lo sviluppo economico e sociale della collettività alla cui tutela ed al cui sviluppo è istituzionalmente preordinata l’operato del Comune di Catania: invero, pur non potendo negarsi la rilevanza e l’importanza della finalità perseguita (della cui legittimità non si ha motivo di dubitare e che, d’altra parte, neppure costituisce oggetto della presente controversia), ciò che è mancato è la verifica in concreto che tali finalità siano effettivamente ed obiettivamente perseguibili senza incidere sul perseguimento dei bisogni e degli interessi di tutta indistintamente la collettività del Comune di Catania.

     In altri termini, la Sezione ritiene di dover sottolineare che, essendo la società mista un vero e proprio imprenditore economico e rischiando, quindi, nello svolgimento della propria attività il capitale che, però, non è di sua proprietà, ma costituisce strumento di cui è stato dotato dal Comune di Catania e che appartiene, quindi, collettivamente alla relativa comunità locale (ed è solo amministrato dal Comune), il concreto svolgimento di attività extraterritoriale impone la concreta ed effettiva dimostrazione – evidentemente secondo il ragionevole principio dell’id quod plerumque accidit – che essa sia vantaggiosa e che non comporti danni o pregiudizi per la comunità locale (laddove per l’attività che si svolge intra moenia vi è una sorta di presunzione iuris et de iure che la relativa attività sia utile e vantaggiosa per la comunità locale).

     Diversamente opinando, la società Catania Multiservizi S.p.A. (e con essa qualsiasi altra società mista) si qualificherebbe per rappresentare un mero organismo di intermediazione in tutti i campi in cui si estendono le funzioni di un ente pubblico locale (al riguardo è sufficiente rammentare la molteplicità di possibili campi di intervento delineati nel suo oggetto sociale), con gravissime ripercussioni sul corretto funzionamento del mercato e con stravolgimento dei fondamentali principi di concorrenza e di parità di trattamento tra imprese pubbliche ed imprese private, atteso che proprio il rischio imprenditoriale, in definitiva, e la conseguente perdita del capitale non incomberebbe sulla società in quanto tale, ma sulla collettività cui soltanto in definitiva appartiene e che in ogni caso non potrebbe in alcun caso esercitare alcun controllo (neppure politico, attraverso cioè la scelta dei propri rappresentanti, nel caso si ammettesse una definitiva ed ineludibile cesura tra ente locale e società mista).

     Tali osservazioni, evidentemente, rendono assolutamente non pertinenti le argomentazioni con cui i primi giudici hanno respinto il motivo ora esaminato, rilevando che una società mista ben poteva rendersi aggiudicataria di un appalto di servizi. 

     In conclusione, la delineata carenza di tale indagine (che - si ripete – non può considerarsi assorbita dalla mera enumerazione dei dati circa l’occupazione, circa il fatturato e le possibilità di espansione della società stessa nel mercato) rende pertanto illegittima la stessa ammissione della Catania Multiservice S.p.A. alla gara e conseguente conduce alla illegittimità dell’aggiudicazione avvenuta in suo favore, esimendo la Sezione dall’esame degli ulteriori motivi di gravame.

     IV. Prima ancora di procedere all’esame della domanda risarcitoria avanzata già in primo grado (e ovviamente non esaminata) e puntualmente riproposta in appello dalla società Fidente S.p.A., la Sezione deve farsi carico di esaminare il ricorso incidentale proposto in primo grado dalla società Catania Multiservizi S.p.A., non esaminato in quanto dichiarato assorbito dai primi giudici, con cui, deducendo “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 25 D. Lgs. 157/95 e dell’art. 1 L. 7.11.00 n. 327 – Violazione delle norme di gara, dei principi di concorrenza e della par condicio delle offerte – Eccesso di potere per difetto di istruttoria”, la predetta società ha lamentato la mancata esclusione dalla gara della società Fidente S.p.A. per antieconomicità della relativa offerta.

     Sennonché, alla stregua delle osservazioni svolte sub III, per effetto delle quali è stata annullata l’aggiudicazione in favore della società Catania Multiservizi S.p.A. in quanto essa non avrebbe potuto neppure partecipare alla gara, il predetto ricorso incidentale è improcedibile per carenza di interesse.

     V. In ordine alla istanza risarcitoria la Sezione osserva quanto segue.

     V.1. Deve innanzitutto premettersi che non vi è dubbio che, una volta intervenuto l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno deve valutasi la sussistente dell’elemento psicologico della colpa: è stato, infatti, più volte precisato che la responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione conseguente all’adozione di provvedimenti illegittimi deve essere inserita nel sistema delineato dagli articoli 2043 e seguenti del codice civile in base al quale l’imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell’illegittimità del provvedimento, dovendo verificarsi che la predetta adozione (e l’esecuzione dell’atto impugnato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi (C.d.S., sez. IV, 12 gennaio 2005, n. 45; sez. V, 1° marzo 2003, n. 1133).

     E’ stato, poi, evidenziato, anche con riferimento alla giurisprudenza comunitaria (Corte giustizia C.E. 5 marzo 1996, cause riunite nn. 46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994), che in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati il giudice (amministrativo) può affermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negandola quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento dell’errore scusabile (per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto) (C.d.S., sez. IV, 10 agosto 2004, n. 5500.

     Peraltro, posto che l’annullamento dell’atto illegittimo può da solo determinare l’integrale riparazione delle conseguenze lesive, il giudice amministrativo che, nell’ambito della sua giurisdizione, può disporre anche il risarcimento del danno, quale strumento di tutela ulteriore (secondo quanto affermato dal giudice delle leggi nella sentenza 6 luglio 2004, n. 204), in presenza di una domanda di risarcimento del danno conseguente all’annullamento di un provvedimento amministrativo, deve accertare previamente se l’accoglimento della domanda principale di annullamento comporti già di per sé una tutela pienamente soddisfacente delle ragioni del privato.

     Nel caso di specie, ad avviso della Sezione, sussistono effettivamente gli estremi dell’elemento soggettivo dell’illecito, nella forma della colpa, atteso che l’illegittima aggiudicazione operata dall’Amministrazione regionale in favore della società Catania Multiservizi S.p.A., pur nella non facile materia in esame, è frutto di evidente imperizia e negligenza, tanto più che la giurisprudenza individuato i principi a cui gli operatori avrebbero potuto rifarsi.

     La domanda di risarcimento del danno è sicuramente ammissibile e d’altra parte è evidente che il semplice annullamento dell’aggiudicazione in favore della società Catania Multiservizi S.p.A. non assicura alla società appellante la piena ed integrale utilità (bene della vita) che ha inteso perseguire con l’azione giudiziaria in esame.

     V.2. La Società Fidente S.p.A. ha chiesto in via principale il risarcimento in forma specifica, cioè la aggiudicazione in suo favore dell’appalto di cui si discute.

     Anche a voler prescindere dalla considerazione che, com’è pacifico tra le parti, l’appalto è effettivamente in corso, essendo già stato stipulato il relativo contratto, la Sezione è dell’avviso che la pretesa della società appellante non può trovare accoglimento, in quanto non si rinviene negli atti di causa ed in particolare nel bando di gara alcuna disposizione che prevede l’immediata attribuzione dell’aggiudicazione alla ditta seconda classificata, nel caso di sopravvenuta incapacità o inidoneità della impresa originariamente aggiudicataria di eseguire l’appalto stesso.

     Del resto, la stessa giurisprudenza (C.d.S., sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5012) ha stabilito che “la dimostrazione della spettanza dell’appalto all’impresa danneggiata risulta configurabile nei soli casi in cui il criterio dell’aggiudicazione si fondi su parametri vincolati e matematici (come ad esempi nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l’impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rileva impossibile laddove la selezione del contraente viene operata sulla base di un apprezzamento tecnico – discrezionale dell’offerta, economicamente più vantaggiosa”, come risulta essere quella relativa alla controversia in esame, in cui – secondo le prescrizioni del bando di gara – l’aggiudicazione doveva avvenire,  ai sensi dell’articolo 23, comma 1, lett. b), del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

     D’altra parte, proprio la particolarità della controversia in esame, non esclude che l’Amministrazione regionale possa provvedere ad annullare l’intera gara, oltre che l’aggiudicazione, avviando un nuovo procedimento per un diverso periodo temporale onde procedere all’esame delle eventuali nuove domande di partecipazione presentate, tenendo conto delle osservazioni svolte in ordine alla ammissibilità della partecipazione all’appalto delle società miste.

     Deve essere invece accolta la domanda risarcitoria per equivalente.

     Al riguardo osserva che in ordine alla quantificazione del danno non è stata fornita alcuna né quanto al danno emergente, né quanto al lucro cessante, così che deve procedersi in via equitativa, tenendo conto, peraltro, che, come già rilevato in precedenza, per un verso, non vi è alcun elemento che faccia ritenere ragionevolmente che la Società Fidente S.p.A. sarebbe stata sicuramente aggiudicataria dell’appalto qualora non avesse partecipato la Catania Multiservizi S.p.A., stante il ricordato criterio di aggiudicazione fondato sull’offerta economicamente più vantaggiosa, mentre, per altro verso, non può neppure negarsi che l’Amministrazione regionale nell’ambito della propria discrezionalità, essendo stata annullata l’aggiudicazione in favore della predetta Società Catania Multiservizi S.p.A, riavvii il procedimento di gara pervenendo ad una nuova aggiudicazione (in favore anche della Fidente S.p.A.) ovvero annulli addirittura l’intera gara.

     Pertanto, la Sezione ritiene in via equitativa di liquidare in favore della società Fidente S.p.A. a titolo di risarcimento del danno subito, comprensivo di ogni voce (danno emergente e lucro cessante, ivi comprese le spese sostenute per la partecipazione alla gara), un importo pari al 6% (sei per cento) di quello offerto dalla stessa società appellante (pari a . 2.563.200,00, oltre I.V.A.).

     V. In conclusione, lappello deve essere accolto e, per leffetto, in riforma della impugnata sentenza, deve essere accolto il ricorso proposto in primo grado dalla società Fidente S.p.A. con conseguente annullamento del provvedimento impugnato; la Regione Calabria deve essere condannata al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’illegittima aggiudicazione, nei sensi di cui in motivazione.

     Sussistono, nondimeno, stante la rilevanza e la particolarità delle questioni trattate, giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra tutte le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla società Fidente S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria, sez. II, n. 484 del 22 aprile 2004, così provvede:

     Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1° marzo 2005, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:

VENTURINI LUCIO   -  Presidente

SALVATORE COSTANTINO -  Consigliere

LODI PIERLUIGI   -  Consigliere

SCOLA ALDO   -  Consigliere

SALTELLI CARLO   - Consigliere est.

L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE

Carlo Saltelli    Goorgio giovannini

IL SEGRETARIO

Rosario Giorgio Carnabuci

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

03/10/2005

(art. 55, L. 27.4.1982, 186)

      per Il Dirigente

   dott.Antonio Serrao

- - 

N.R.G.  6264/2004


MA