REPUBBLICA ITALIANA N. 5487/05 REG.DEC.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N: 8579 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO: 2000
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.r.g. 8579 del 2000, proposto dal dottor Mario Guderzo, rappresentato e difeso dagli avv. Raffaele Versace e Fiorella Savi e con loro elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, corso Trieste, n. 185,
contro
la dottoressa Giuliana Ericani, rappresentata e difesa dagli avv. Fabio Lorenzoni ed Emilio Rosini, e presso lo studio del primo elettivamente domiciliata, in Roma, via del Viminale, n. 43,
e nei confronti
del Comune di Bassano del Grappa, non costituito,
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, II Sezione, n. 1054, pubblicata il 16 maggio 2000.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte sopra indicata con il controricorso, depositato il 3 ottobre 2000;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza n. 50/04, pubblicata il 13 gennaio 2004, di remissione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma 1, alinea “a”, del d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29;
Vista l’ordinanza n. 39 del 27 gennaio 2005, pronunciata dalla Corte costituzionale;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 22 marzo 2005, il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, gli avvocati difensori, Versace e Lorenzoni come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. La dottoressa Ericani ha partecipato al concorso per il posto di direttore del museo nel Comune di Bassano del Grappa, indetto con deliberazione della giunta comunale n. 350 del 29 settembre 1998. Dopo la prima prova scritta, sostenuta il 20 maggio 1999 e giudicata non sufficiente, le è stata comunicata l’esclusione dalle prove successive, ed ella, con ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Veneto, notificato il 21 giugno 1999 al Comune ed al dottor Guderzo, che, nel frattempo, aveva vinto il concorso, ha impugnato il provvedimento suddetto e l’atto di nomina della commissione giudicatrice (Giunta comunale n. 60 del 23 febbraio 1999).
2. A sostegno del ricorso, ha dedotto la violazione dell’art. 9, comma 2, del d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487, recante regolamento sui concorsi a posti di pubblico impiego. Secondo la citata norma, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso è riservato alle donne. Nella specie, la commissione era composta da tre uomini.
3. Il Comune, costituitosi in giudizio, ha eccepito la tardività del ricorso, rispetto alla data di conoscenza della composizione della commissione, ed ha fatto presente di avere applicato il proprio regolamento sui concorsi, approvato dalla giunta con deliberazione 8 luglio 1997, che non prevede la presenza obbligatoria di donne nelle commissioni.
4. Con un secondo ricorso, notificato nel luglio 1999, la dottoressa Ericani ha impugnato il regolamento comunale, per contrasto con l’art. 61 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29.
5. Il Tribunale amministrativo regionale, con la sentenza ora impugnata, ha riunito i due ricorsi ed ha respinto l’eccezione di loro tardività. Ha poi esaminato la questione principale, stabilendo che il regolamento statale n. 487 del 1994, almeno per quanto riguarda la norma sulla presenza delle donne nelle commissioni, si applica anche agli enti locali, ed è di immediata applicazione, ove non sussistano norme regolamentari dell’ente di contenuto diverso e incompatibile. Ha, di conseguenza, respinto il ricorso contro il regolamento comunale, che appunto non contiene nessuna disposizione contraria alla regola suddetta, ed ha accolto il primo dei due ricorsi, annullando tutti gli atti del concorso, stante la fondatezza della censura sulla composizione della commissione.
6. L’appello n. 8579 del 2000 è proposto dall’originario controinteressato, dottor Guderzo, che deduce due motivi:
a) con il primo sostiene la tardività dell’iniziale ricorso, perché l’atto di nomina doveva essere impugnato immediatamente; inoltre sostiene che il ricorso era inammissibile, perché la valutazione delle prove è attività discrezionale;
b) con il secondo contesta l’applicabilità della normativa sulla presenza delle donne nelle commissioni giudicatrici, sostenendo che le disposizioni dell’art. 9 del d.p.r. 487 del 1994 e dell’art. 61 del d. lgs. n. 29 del 1993 non si applicano ai concorsi indetti dagli enti locali.
7. Resiste la ricorrente di primo grado, la quale ha eccepito l’improcedibilità dell’appello, perché il Comune ha dato esecuzione alla sentenza, licenziando il vincitore del concorso, ora appellante, ha nominato una nuova Commissione ed ha ripetuto le operazioni concorsuali.
8. Con l’ordinanza n. 50/04 del 13 gennaio 2004, la Sezione ha, prima di sollevare la questione di legittimità costituzionale, della quale si dirà sub 9, stabilito, con statuizioni che hanno contenuto decisorio:
8.1. che non è fondata l’eccezione di improcedibilità dell’appello, perché gli atti del Comune, di adeguamento alla sentenza del T.A.R., hanno efficacia subordinata al passaggio in giudicato della sentenza stessa;
8.2. che è infondato il motivo sub 6, lett. a), perché la nomina di una commissione di concorso non è atto autonomamente lesivo e va impugnato, come è stato fatto in primo grado, con l’atto di approvazione della graduatoria, recante la collocazione in posizione non favorevole ai fini della nomina. È, altresì, da ammettere la legittimazione all’impugnazione, per illegittima composizione della commissione giudicatrice, in capo ad un concorrente non vincitore;
8.3. che la norma dell’art. 9 del d.p.r. 487 del 1994, sulla composizione delle commissioni di concorso, è applicabile anche ai concorsi pubblici non statali. La disposizione, infatti, si adegua espressamente all’art. 61 del d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (ora art. 57 d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165).
9. Il Collegio ha, contestualmente, dubitato della legittimità, con riguardo all’art. 51, primo comma, della costituzione, della norma della legge delegata, sicché, col venir meno di questa, con conseguente assenza di contenuto della norma regolamentare – suscettibile, peraltro, anche di disapplicazione – sarebbe stata diversamente disciplinata la questione in esame.
10. La questione è stata dichiarata inammissibile, con ordinanza n. 39 del 12-27 gennaio 2005, dalla Corte costituzionale.
Sul punto della conformità del suddetto art. 61 all’art. 51 cost. occorre tener conto, secondo la Corte:
10.1. del nuovo testo dell’art. 51, come modificato con l. cost. 30 maggio 2003, n. 1, con il quale si è prescritto che, per consentire ai cittadini di entrambi i sessi di “accedere agli uffici pubblici ed alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”, “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Sicché, al precetto della parità della condizione fra i due sessi, negli ambiti indicati, originariamente stabilito, nel senso che la diversità, in sé e per sé considerata, non può essere mai ragione di discriminazione, si è aggiunta anche l’assegnazione, alla Repubblica, di un compito di promozione delle pari opportunità tra donne ed uomini. La conseguenza è che, per l’esame della questione proposta, assume un ruolo assorbente la nuova formulazione del primo comma dell’art. 51 della costituzione;
10.2 della evoluzione della giurisprudenza costituzionale, come definita con le precisazioni contenute nella sentenza n. 49 del 13 febbraio 2003 e con l’ordinanza n. 172 del 2001.
11. Alla luce della nuova complessiva disposizione del primo comma del citato art. 51 Cost., la norma dell’art. 61 d. lgs. n. 29 del 1993 (e la coincidente disposizione dell’art. 57 del d. lgs. n. 165 del 2001) non pone dubbi di non conformità al dettato costituzionale. Infatti, col riservare alle donne un terzo dei posti di componente degli organi collegiali di selezione nei concorsi, salva motivata impossibilità, la norma si configura come un modo di “promuovere le pari opportunità” per i due sessi. Come un’azione positiva, vale a dire, di perseguimento del (ri)equilibrio fra i due sessi nei settori ivi considerati.
Né assume concreto rilievo l’osservazione, ricordata dall’appellante, circa la possibilità che, per effetto della norma in esame, si potrebbe dare il caso di una commissione composta esclusivamente da donne. Nella specie, invero, non si discute di ciò (la commissione di concorso era esclusivamente maschile), sicché nessuna rilevanza rivestirebbe una pronuncia di incostituzionalità della norma di legge ordinaria nella parte in cui consente la nomina di un organo composto soltanto da componenti femminili.
12. Conclusivamente, le censure del ricorso in appello non possono essere condivise e va confermata la decisione impugnata.
13. Delle spese si può disporre la compensazione, per evidenti ragioni di equità.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) respinge l’appello n. 8579 del 2000.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 22 marzo
2005, con l'intervento dei Signori:
Raffaele Carboni Presidente
Giuseppe Farina estensore Consigliere
Chiarenza Millemaggi Cogliani Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Goffredo Zaccardi
Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Giuseppe
Farina
f.to Raffaele Carboni
IL SEGRETARIO
f.to Antonietta
Fancello
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11 OTTOBRE 2005
(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
F.to Antonio
Natale
N°. RIC. 8579/2000 |
SB