REPUBBLICA ITALIANA    N. 5878/05REG.DEC.

         IN NOME DEL POPOLO ITALIANO    N. 5499 REG.RIC.

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,  Sezione Quinta          ANNO  2004 

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello nr. 5499/2004 R.G., proposto dai sigg. Amedeo Codispoti, Luigi Greco, Domenico Rosario Leotta, Giuseppe Rizzo, Luca Salvatore Zito, Giuseppe Dima, Michele Sirianni, Giuseppe Benincasa, Francesco Labernarda e Vincenzo Catanzaro, rappresentati e difesi dagli avvocati Sergio Dal Prà e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, Via Confalonieri n. 5;

CONTRO

Il Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati ex lege;

e nei confronti

del Comune di Strongoli, in persona della Commissione straordinaria pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della Calabria - Catanzaro, Sezione I, 28 aprile 2004, n. 980.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Vista la costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Viste le memorie presentate dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 10 maggio 2005, relatore il Consigliere Michele Corradino;

Uditi, altresì, l’avv. A. Manzi per delega dell’avv. L. Manzi e l’avv. dello Stato Vessichelli come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria ha respinto il ricorso proposto dai sigg. Amedeo Codispoti, Luigi Greco, Domenico Rosario Leotta, Giuseppe Rizzo, Luca Salvatore Zito, Giuseppe Dima, Michele Sirianni, Giuseppe Benincasa, Francesco Labernarda e Vincenzo Catanzaro avverso il decreto del Presidente della Repubblica in data 3.9.2003 (pubblicato nella G.U. del 25.9.2003), con il quale è stato disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Strangoli per la durata di diciotto mesi, ai sensi dell’art. 143 del D. L.vo 18.8.2000 n. 267, nonché avverso la proposta all’uopo avanzata dal Ministero dell’Interno e la deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del 28 agosto 2003.

La sentenza è stata appellata sigg. Amedeo Codispoti, Luigi Greco, Domenico Rosario Leotta, Giuseppe Rizzo, Luca Salvatore Zito, Giuseppe Dima, Michele Sirianni, Giuseppe Benincasa, Francesco Labernarda e Vincenzo Catanzaro che contrastano il decisum del giudice di primo grado.

Il Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituiti per resistere all’appello.

Il Comune di Strongoli non si è costituito in giudizio.

Con decisione n. 831/2005 questa Sezione - considerato che dalla documentazione versata in atti risultava che la Commissione di accesso, di cui all’art. 1 D.L. n. 629/82, convertito dalla L. n. 726/1982 ed integrato dalla L. n. 486/1988, presso il Comune di Strongoli aveva trasmesso alla Prefettura di Crotone una relazione integrativa in data data 15.7.2003 in riferimento ad una specifica richiesta di cui alla nota minesteriale n. 1138 Gab. del 1°.7.2003 menzionata nella relazione stessa e ritenendo di dover acquisire la menzionata nota ministeriale, che non risultava versata in atti, ed una documentata relazione sulla vicenda - ha disposto incombenti a carico del Ministero dell’Interno.

Alla pubblica udienza del 10 maggio 2005, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1. La questione all'esame del Collegio attiene allo scioglimento del Consiglio comunale di Strongoli ai sensi dell'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

Alla stregua della citata disposizione (comma 1) – corrispondente all'articolo 15-bis L. 19 marzo 1990, n. 55, ora abrogato - il potere di scioglimento dei consigli comunali e provinciali,  è esercitato quando, fuori dei casi previsti dall'art. 141, anche a seguito di accertamento effettuati a norma dell'art. 59, comma 7, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonchè il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.

Come chiarito dalla consolidata giurisprudenza di questo Consesso (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV Sez., 4 febbraio 2003, n. 562; Cons. Stato, V Sez., 14 maggio 2003, n. 2590, 23 giugno 1999, n. 713, 22 marzo 1999, n. 319, 3 febbraio 2000, n. 585, 2 ottobre 2000, n. 5225, nonché le più recenti Cons. Stato, sez. VI, 6 aprile 2005 n. 1573 e Cons. Stato, sez. V, 18 marzo 2004 n. 1425, dalle quali non vi è ragione di discostarsi), la genericità del disposto normativo, che considera sufficiente la presenza di “elementi” non meglio specificati su “collegamenti” o “forme di condizionamento”, indica che la norma considera, per quanto concerne il “rapporto” fra gli amministratori e la criminalità organizzata, circostanze che presentano un grado di significatività e di concludenza inferiore rispetto a quelle che legittimano l'azione penale (delitti ex art. 416 bis Cod. pen., delitti di favoreggiamento commessi in relazione ad esso) o di quelle che legittimano l'adozione delle misure di sicurezza nei confronti degli “indiziati” di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o analoghe (legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni).

Mediante l'uso di una terminologia ampia e indeterminata (<<elementi>>) si evidenzia l'intento del Legislatore di riferirsi anche a situazioni estranee all'area propria dell'intervento penalistico o preventivo e ciò nell'evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie forme di connessione o di contiguità fra organizzazioni criminali e sfera pubblica e della necessità di evitare con immediatezza che l'amministrazione dell'ente locale sia permeabile all'influenza della criminalità organizzata.

La disposizione dell’articolo 15 bis della legge n. 55/1990 come aggiunto dal decreto legge n. 164/1991 (oggi articolo 143 del cd. T.u.e.l.) presenta profili coerenti con l’impostazione complessiva del sistema normativo emanato per combattere la pervasività del fenomeno mafioso, nel contesto normativo delle leggi n. 575/1965, del decreto legge n. 629/1982 e del decreto legislativo n. 490/1994, caratterizzato da un forte avanzamento del livello di prevenzione realizzato su tre piani convergenti: attribuzione di rilevanza a fatti e circostanze consistenti in molti casi in una evenienza di mero pericolo; ammissione sul piano probatorio di elementi indiziari di tipo logico e presuntivo; previsione di ampi margini di discrezionalità nell’esercizio dei relativi poteri.

In questa logica, che non ha finalità repressive nei confronti di singoli, ma di salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata, trovano giustificazione i margini, particolarmente ampi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l'amministrazione e la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell'esperienza, l'ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata.

Egualmente ampio, secondo il modello legale posto dalla norma citata, risulta il margine per l'apprezzamento degli effetti derivanti dai collegamenti o dalle forme di condizionamento in termini di compromissione della libera determinazione degli organi elettivi, del buon andamento della Amministrazione, del regolare funzionamento dei servizi, ovvero in termini di grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.

Sotto questo profilo, devono ritenersi idonee anche quelle situazioni che non rivelino né lascino presumere l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, giacché, in tal caso, sussisterebbero i presupposti per l'avvio dell'azione penale o, almeno, per l'applicazione delle misure di prevenzione a carico degli amministratori, mentre la scelta del legislatore, giova ripeterlo, è stata quella di non subordinare lo scioglimento del consiglio comunale né a tali circostanze né al compimento di specifiche illegittimità.

Per queste ragioni, il decreto di scioglimento dei consigli comunali, pur non potendosi qualificare atto politico, non costituisce neppure misura a carattere sanzionatorio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2000 n. 585 e Cons. Stato, sez. IV, 21/11/1994, n. 925), bensì è da qualificare come una <<misura di carattere straordinario>> per fronteggiare <<una emergenza straordinaria>> (cfr. in tal senso, Corte cost. 19 marzo 1993, n. 103, nell'escludere profili di incostituzionalità dell’antecendente omologo art. 15 bis, L. n. 55/90 cit).

E’ da aggiungere che trattasi di potere straordinario a tutela della funzionalità degli organi elettivi e della rispondenza a fondamentali canoni di legalità dell’apparato dell’ente locale interessato, in un quadro di lotta alla criminalità organizzata e di connesso avanzamento della soglia di prevenzione rispetto a fatti anche sintomatici di interferenze malavitose sulla fisiologica vita democratica dell’ente.

Da quanto precede emerge, in conclusione, che lo scioglimento del Consiglio comunale ai sensi dell'art. 143 D.Lgs. n. 267/2000 rappresenta la risultante di una valutazione il cui asse portante è costituito, da un lato, dalla accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall'altro, dalle precarie condizioni di funzionalità dell'ente in uno o più settori, sensibili agli interessi della criminalità organizzata, ovvero di una situazione di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica.

Entro questi estremi si muove - si ribadisce - l’ampia potestà di apprezzamento dell’amministrazione e l’atto nel quale essa trova concreta espressione può essere assoggettato al vaglio giurisdizionale, come è regola generale nel giudizio di legittimità, in presenza di vizi che denotino, con sufficiente concludenza, la deviazione del procedimento dal suo fine istituzionale nonché in ipotesi di carenza di completezza della motivazione e dell’istruttoria, nonché di difetto di logicità della ponderazione e valutazione amministrativa.

2. Devono essere, a questo punto, esaminati i motivi d’appello.

In via preliminare, merita di essere disattesa la censura con la quale gli appellanti si dolgono della mancata considerazione - da parte dell’Amministrazione agente - della memoria inviata dal Sindaco, atteso che l’affievolimento delle garanzie partecipative e del contraddittorio nel procedimento che ci occupa è pienamente giustificato dal fatto che si tratta di misura che esige interventi rapidi e decisi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22/03/1999, n. 319).

3. Con la prima ragione di gravame gli odierni ricorrenti censurano l’appellata sentenza nella parte in cui il giudice di primo grado ha ritenuto sufficienti le circostanze addebitate al Sig. Domenico Rosario Leotta a giustificare l’ipotesi di un collegamento ad una consorteria criminale ai fini dello scioglimento.

Il motivo è fondato.

La relazione della Commissione d’accesso aveva affermato il collegamento del prefato appellante con il sodalizio criminale denominato “cosca Giglio” (con particolare riguardo a quanto emerso dall’indagine disposta sulla gestione dello stabilimento “Biomasse”).

Orbene, prescindendo dal ruolo effettivamente rivestito dal Sig. Leotta all’interno dell’ente locale (assessore o presidente del consiglio comunale), deve essere rilevato che gli atti dell’Amministrazione agente non hanno adeguatamente dato conto (e, pertanto, ha errato il giudice di primo grado nel non censurare tale difetto) delle “sopravvenienze” nell’attività investigativa e, soprattutto, del duplice rigetto (da parte del G.I.P. in data 15 gennaio 2003 e da parte del Tribunale del riesame in data 25 marzo 2003) della richiesta di applicazione di misura cautelare.

Orbene, se è vero - come osservato in precedenza - che deve esser riconosciuto all’organo agente un ampio margine di discrezionalità nella valutazione dei presupposti di legge per la dissoluzione dei consessi rappresentativi, e che i fatti posti a base del provvedimento di scioglimento – benché necessariamente costituiti da situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette con gli organi elettivi nondimeno non devono rivestire uno status di prova sul piano delle responsabilità penali, poiché non deve confondersi il piano dei rimedi straordinari posti a tutela della legalità e del buon andamento dell’amministrazione in funzione di prevenzione delle forme di infiltrazione e condizionamento mafioso, con il diverso piano dell’accertamento delle responsabilità penali dei singoli, essendo espressamente previsto dalla disposizione di legge che è sufficiente la acquisizione di "elementi", e quindi di circostanze che hanno un grado di significatività inferiore agli indizi, purché emerga una chiara manifestazione della situazione di compromissione dell’amministrazione - non ci si può certo esimere dal rilevare la necessità che l’Amministrazione dia conto delle ragioni poste a base delle proprie determinazioni, specie a fronte di concorrenti approfondimenti (di segno opposto) in sede penale (rectius, di investigazione penale) - quali quelli in esame – che sembrano escludere da ogni ipotesi di coinvolgimento il Sig. Leotta.

La carenza istruttoria e la perplessità della motivazione risulta, altresì, approfondita da ulteriori circostanze (ad esempio l’asserita chiamata del Sig. Leotta verso l’utenza telefonica di Salvatore Giglio, del clan criminale omonimo) che l’attività di investigazione penale ha evidenziato come fallaci ed erronee.

4. E’ fondato, altresì, il motivo d’appello con cui si censura la gravata sentenza (e l’operato dell’Amministrazione agente) nella parte in cui ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’ipotesi dissolutoria ex art. 143 D.L.vo n. 267/2000 la circostanza del legame parentale dell’assessore Sirianni con alcuni appartenenti ad una cosca mafiosa. Invero, in considerazione delle modeste dimensioni territoriali del Comune, tale circostanza non appare ex se particolarmente significativa in difetto di adduzione di altri elementi significativi oltre a quello del legame di parentela.

5. Non condivisibile, altresì, è la sentenza gravata nella parte in cui statuisce sulla necessità e opportunità di sperimentare – da parte dell’amministrazione comunale di Strongoli – sistemi di affidamento diversi dall’asta pubblica (come, ad esempio, la licitazione privata).

Il Collegio non ignora la capacità dei sodalizi criminali di pervenire in modo illecito – anche in presenza di sistemi trasparenti ed imparziali – all’acquisizioni di commesse pubbliche.

Tuttavia, l’adozione da parte del Comune di Strongoli di sistemi di gara aperti alla massima partecipazione dei potenziali concorrenti induce a ritenere che gli atti sottoposti all’esame di questo Collegio non comprovano un reale collegamento degli amministratori del Comune di Strongoli con la criminalità organizzata e non consentono (a maggior ragione) di affermare che questa abbia esercitato su tali soggetti forme di condizionamento tanto pregnanti da compromettere “la libera determinazione degli organi elettivi” o da “arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”

A ben vedere, gli atti in questione (ci si riferisce, in particolare, alle vicende connesse alla sostanziale inerzia nella repressione dell’abusivismo edilizio) non evidenziano altro che casi (indubbiamente deprecabili) di cattiva amministrazione, non dissimili, peraltro, da quelli che (per comune esperienza) è dato riscontrare in larga parte del territorio nazionale.

Le conclusioni dell’amministrazione agente, da questo punto di vista, si presentano per certi versi assiomatiche o assertive, nel senso che la somma dell’accertamento della presenza sul territorio di una criminalità organizzata, naturalmente e notoriamente incline ad esercitare un condizionamento sull’amministrazione locale, in uno ad altri elementi, di non univoca significanza (come sopra osservato), agli effetti del procedimento in discorso, sembra aver indotto l’automatica conclusione della necessità della misura dello scioglimento degli organi elettivi.

Orbene, pur nella premessa secondo cui la valutazione delle acquisizioni probatorie in ordine a collusione e condizionamenti non può essere effettuata estrapolando dal vasto materiale acquisito singoli fatti o episodi, al fine di contestare l’esistenza di taluni di essi ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di verifica del giudizio conclusivo reso sull’operato del consiglio comunale, dovendo gli elementi addotti a riprova di collusioni, collegamenti e condizionamenti essere considerati nel loro insieme, giacchè solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza dell’addebito mosso all’ente collegiale, ritiene il Collegio che, nella fattispecie, una corretta lettura degli elementi oggetto di valutazione non consente di ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 143 del d.lgs. n. 267/2000 (di cui è pertanto stata fatta, nella circostanza, erronea applicazione): pertanto, il Collegio non può che determinarsi a ritenere fondato (e, per ciò stesso, meritevole di accoglimento) il ricorso in epigrafe.

Alla luce delle superiori considerazioni e assorbito quant’altro il ricorso in appello deve essere accolto.

Si ravvisano giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione V, accoglie l’appello in epigrafe e per l’effetto annulla la sentenza impugnata e accoglie il ricorso di primo grado.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 10 maggio 2005, con l'intervento dei sigg.ri:

Agostino Elefante                            Presidente

Giuseppe Farina                             Consigliere

Chiarenza Millemaggi Cogliani         Consigliere

Cesare Lamberti                             Consigliere

Michele Corradino                          Consigliere Est. 

   L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE

   f.to Michele Corradino   f.to Agostino Elefante 
 

IL SEGRETARIO

f.to Rosi Graziano 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 20 ottobre 2005

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186) 
 

PER IL  DIRIGENTE

f.to Livia Patroni Griffi

  N°. RIC .5499/2004

FDG