R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.6023/2005

Reg. Dec.

N. 10184 e 10185

Reg. Ric.

Anno 2004

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale  (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello N. 10184/04, proposto da CIPOLLONI Giuseppe, rappresentato e difeso dall'avvocato Ugo Sgueglia, e dall'avv. M. Bertolissi elettivamente domiciliati presso il primo, in Roma, via Ottorino Lazzarini n. 19;

     contro

- Presidenza della Repubblica, n.c.;

- Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente p.t. e Ministero degli affari esteri, in persona del Ministro p.t., entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la stessa domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

- Stefanini Stefano, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio n. 8371/03;

nonchè

sul ricorso in appello N. 10185/04, proposto da CIPOLLONI Giuseppe, rappresentato e difeso dall'avvocato Ugo Sgueglia, e dall'avv. M. Bertolissi ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, via Ottorino Lazzarini n. 19;

     contro

Presidenza della Repubblica, n.c.;

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente p.t. e Ministero degli affari esteri, in persona del Ministro p.t., entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la stessa domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio n. 10347/04;

       Visti i ricorsi con i relativi allegati;

       Visti gli atti di costituzione in giudizio  della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero degli affari esteri;

       Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

       Visti gli atti tutti della causa;

       Relatore alla pubblica udienza del 12 aprile 2005 il Consigliere Anna Leoni; uditi l'Avvocato dello Stato Spina, l'avv. Sgueglia e l'avv. Bertolissi;

       Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

    FATTO

      Ricorso n. 10184/04.

1. Con tre distinti ricorsi  (n. 18084/96, n. 14839/01 e n. 5571/02), il dr. Cipolloni, appartenente alla carriera diplomatica, impugnava davanti al TAR del Lazio i seguenti provvedimenti: a) il decreto del Presidente della Repubblica n. 87/96 con cui era stato dispensato dal servizio ai sensi dell'art. 123 del D.P.R. 10/01/57, n. 3; b) il provvedimento di cui al telespresso circolare n. 031/22190 del 21/09/01, con cui veniva disposto che ai funzionari appartenenti ai gradi di Ministro plenipotenziario e di Ambasciatore era applicabile l'art. 123 del D.P.R. n. 3/57  (in tema di “esonero del direttore generale”); c) il provvedimento contenuto nel telespresso circolare n. 032/5934 del 04/03/02, nella parte in cui il Ministro degli affari esteri provvedeva alla assegnazione dei posti diplomatici e consolari per il grado di Ministro plenipotenziario sulla lista ordinaria del 07/01/02, non assegnando alcun posto al ricorrente.

2. Premetteva, in punto di fatto, che con nota del 01/08/96 n. 029/1497 il Ministro degli affari esteri gli aveva contestato una serie di addebiti disciplinari, relativi al periodo in cui aveva svolto l’incarico di Console generale presso il Consolato d’Italia a Tripoli con il grado di Consigliere d'Ambasciata; che per gli stessi fatti la Procura della Repubblica, lo aveva rinviato a giudizio assieme ad altri; che il giudizio si era concluso, a seguito di patteggiamento, con sentenza di condanna n. 102/95; che nonostante le giustificazioni opposte alle contestazioni di addebito l’Amministrazione gli aveva comunicato il decreto presidenziale di dispensa.

3. Deduceva, quali motivi di ricorso:

(relativamente al ricorso n.18864/96 ):

a) violazione e falsa applicazione dell'art. 123 D.P.R. n. 3/57 e dell'art. 8, lett. d) della L. n. 400/88, nonché dell'art. 89 Cost., per mancanza, sul decreto di dispensa, della controfirma del Ministro proponente;

b) violazione e falsa applicazione dell'art. 123 D.P.R. n. 3/57, in relazione all'art. 3 L. 241/90, ed eccesso di potere per carenza di motivazione, non potendosi dedurre dal provvedimento l'iter logico seguito ai fini della sua adozione;

c) violazione e falsa applicazione dell'art. 9, co. 2, L. n. 241/90 e dei principi generali in materia di azione disciplinare, nonché eccesso di potere, per superamento del termine di 180 giorni, per la definizione del procedimento disciplinare;

d) violazione e falsa applicazione dell'art. 9 della L. 7.2.90, n. 19, in relazione all’art. 117 D.P.R. n. 3/57 e dei principi generali in materia di azione disciplinare, per superamento del termine di 90 giorni per la definizione del procedimento disciplinare;

e) violazione e falsa applicazione dell'art. 123 D.P.R. n. 3/57, del D. lgs. n. 29/93; illegittimità derivata dalla incostituzionalità dell'art. 123 cit. per violazione dell'art. 3 Cost., in quanto il citato art. 123 sarebbe applicabile ai soli Direttori Generali e in quanto la posizione di Ministro plenipotenziario di 2° classe, non costituirebbe posizione equivalente; in quanto il procedimento cui è stato sottoposto offrirebbe minori garanzie rispetto a quello ordinario; in quanto, ove lo si ritenesse applicabile anche ai funzionari della carriera diplomatica, l'art. 123 cit. sarebbe incostituzionale per trattamento ingiustificatamente disparitario rispetto agli altri dipendenti dello Stato che non occupano posizioni apicali;

f) violazione e falsa applicazione dell’art. 123 D.P.R. n. 3/57, per non essere stati valutati i suoi precedenti di carriera e la sua complessiva personalità;

g) violazione e falsa applicazione degli art. 3 e 6 L. n 241/90, per avere il Ministro acriticamente  recepito le risultanze delle indagini penali ed erroneamente ritenuto che la sentenza di patteggiamento si concretizzi in una ammissione piena dei fatti contestati.

(Relativamente al ricorso n. 14839/2001 )

aa) : Violazione e falsa applicazione delle nuove norme in materia di privatizzazione del pubblico impiego, in quanto dopo la loro entrata in vigore non troverebbe giustificazione l'applicazione dell’art.123 del D.P.R. n. 3/57.

bb): Violazione e falsa applicazione dell'art. 123 cit., per le ragioni di cui sopra.

cc): Illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art. 123 D.P.R. n. 3/57, per violazione dell'art. 3 Cost.

(Relativamente al ricorso n. 5571/02)

aa) Violazione e falsa applicazione, degli art. 110 e 110 bis del D.P.R. n. 5/67, come modificato dal D. lgs. n. 85/2000 e dei principi generali in materia di trasferimenti all’estero del personale diplomatico, nonché eccesso di potere sotto svariati profili, per avere l’Amministrazione illegittimamente escluso il dr. Cipolloni dall'elenco degli aspiranti al posto di Ministro plenipotenziario in quanto vi era giudizio pendente innanzi al TAR.

  1. Il TAR del Lazio, con la sentenza n. 8371/03, previa riunione dei tre ricorsi, accoglieva il ricorso n. 18684/96, ritenendo fondate le censure di illegittimità del provvedimento per mancata controfirma del Ministro proponente  (art. 89 Cost.). Respingeva, perché infondato, il ric. n. 14839/01, in quanto la carriera diplomatica non è stata oggetto di privatizzazione e, pertanto, alla stessa continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al D.P.R. n. 18/67, come modificato dal D. lgs. n. 85/00, nonché, ove non diversamente disposto da norme speciali, dal D.P.R. n. 3/57.

L’art. 123 del cit. D.P.R. era applicabile ai Ministri plenipotenziari di II classe, che possono essere incaricati delle funzioni di capo di unità di livello dirigenziale generale e che, sul piano retributivo, erano stati equiparati dal D.P.R. n. 748/72 ai dirigenti generali.

Respingeva, infine, perché infondato, il ricorso n. 5571/02, in quanto l’esclusione del dr. Cipolloni dall’elenco degli aspiranti a sedi estere non era stata motivata solo con riferimento alla pendenza di giudizio innanzi al T.A.R., ma anche e soprattutto sulla scorta delle considerazione che avevano già condotto l’Amministrazione all’adozione del provvedimento di destituzione.

5. In sede cautelare, veniva disposta la sospensiva sul provvedimento oggetto del ricorso n. 18084/96  (la dispensa dal servizio) con ordinanza n. 267/97 del T.A.R. Lazio, confermata in grado di appello dalla IV Sezione del Consiglio di Stato con ord. n. 1176/97.    

Il dr Cipolloni veniva, pertanto, riammesso in servizio a far data del 16/10/97.

6.Dopo la pubblicazione della sentenza del T.A.R. Lazio,   qui impugnata, l'Amministrazione, con D.P.R. n. 80 del 13/11/2003, disponeva nuovamente “ ora per allora“ la dispensa del funzionario a far data dal 18/10/96, per incompatibilità ex art. 123 D.P.R.  n. 3/57.

7. Avverso la sentenza n. 8371/03 nella sua interezza, il dr. Cipolloni proponeva l’appello n. 10184/04 deducendo le seguenti censure:    

7.1. Erroneità della sentenza nella parte in cui, accogliendo il ric. n. 18084/96, ha ritenuto illegittimo il D.P.R. n. 87/96, anziché dichiararlo nullo e/o inesistente ex art. 89 Cost., per mancata controfirma del Ministro proponente, uno degli elementi costitutivi previsti ex lege.

L’accoglimento dell'appello sotto tale profilo assorbirebbe le altre censure dedotte nel giudizio di I grado, da intendersi qui riprodotte per completezza di difesa.

7.2. Erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il ricorso n. 14839/01, ritenendo applicabile l'art. 123 del D.P.R. n. 3/1957, che si riferisce, invece, ai soli funzionari posti ai vertici dell'Amministrazione, laddove, all'epoca, il ricorrente rivestiva il grado di Ministro plenipotenziario di I classe .

Né varrebbe la equiparazione operata, ai soli fini economici, dal D.P.R. n. 748/72.

In realtà, l'art. 123 cit. dovrebbe ritenersi non più operante nell'ambito dell'ordinamento giuridico italiano e, per quanto riguarda la carriera diplomatica, sostituito dall’art. 111 del D.P.R. n. 18/67, nel testo modificato dall'art. 13 del D.L.vo n. 85/2000.

Erronea, altresì, sarebbe la motivazione con cui il T.A.R. ha ritenuto non fondate le censure di illegittimità costituzionale dell'art. 123 cit.

7.3. Erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il ricorso n. 5571/02, ritenendo legittima l'esclusione del dr. Cipolloni dalla tornata di assegnazione a sedi estere per essere venuto meno il cd. rapporto fiduciario con l'Amministrazione, in quanto il primo provvedimento di destituzione è stato sospeso, in sede cautelare, e successivamente al ricorrente sono state assegnate funzioni ed incarichi, per i quali ha ricevuto apprezzamenti e segnalazioni.

RICORSO n. 10185/04.

8. Con il ricorso n. 1166/04 veniva impugnato avanti al T.A.R. del Lazio il D.P.R. n. 80/03, concernente la reiterazione, ora per all'ora, del provvedimento di dispensa nei confronti del dr. Cipolloni.

8.1. Venivano, dedotti, quali motivi di ricorso:

  1. violazione degli art. 119 e 123 del D.P.R.  n. 3/57, degli art. 3, 35, 89 e 97 Cost., nonché della sentenza n. 8371/03 del TAR Lazio;
  2. violazione, sotto altro profilo, delle indicate disposizioni;
  3. violazione dell'art. 7 della L. n. 241/90 e degli art.3 e 97 Cost., eccesso di potere per violazione dei principi sul procedimento amministrativo;
  4. violazione dell'art. 123 del D.P.R.  n. 3/57, dell'art. 3 della L. n. 241/90, degli artt. 3 e 97 Cost.;
  5. violazione dell'art. 9, co. 2, della L. n.19/90; degli art.101 e ss.del T.U. n. 3/57 ed eccesso di potere per violazione dei principi generali.

8.2. Il T.A.R. del Lazio, con sentenza n. 10347/04,  rigettava il ricorso, ritenendolo infondato sulla scorta delle seguenti argomentazioni:       

- ai sensi dell’art. 119 del D.P.R. n. 3/57 l'Amministrazione ha correttamente e tempestivamente iniziato il nuovo procedimento disciplinare dopo l'annullamento della destituzione in sede giurisdizionale;

- la disposizione di cui all'art. 119 cit. è applicabile alla fattispecie concreta, avendo il G.A. operato in sede di giurisdizione di legittimità;

- la sentenza del T.A.R. di accoglimento del ricorso contro il primo provvedimento di destituzione  (la n. 8371/03) è sentenza di annullamento, così come si deduce dal dispositivo;

- il primo procedimento è stato avviato e concluso nei 180 giorni previsti;

- anche il secondo procedimento è stato promosso tempestivamente e concluso entro i termini previsti;

- l’evoluzione di carriera del funzionario non è dipesa da un rinnovato rapporto di fiducia (non ve ne è prova), ma dall’effetto automatico scaturente dal concesso provvedimento cautelare;

- non sussiste violazione dell'art. 7 della L. n. 241/90  (comunicazione di avvio del procedimento), avendo l’Amministrazione solamente rinnovato il procedimento, per emendare il vizio formale;

- sono evidenti, nel provvedimento, i profili motivazionali che hanno portato alla sua adozione;

- infondatezza dei cinque motivi di doglianza già dedotti col precedente ricorso e, nell'attuale, riproposti.

  1. Il dr. Cipolloni impugnava anche la sentenza n. 10347/04 del T.A.R. del Lazio, deducendo le seguenti censure:
    1. Erroneità della sentenza per non aver preso in considerazione, e quindi deciso, lo specifico capo di domanda che richiedeva una autonoma e diretta pronuncia sulla nullità del D.P.R. n. 87/96 quale atto presupposto del D.P.R. n. 80/03. La sentenza si è limitata a constatare che la precedente sentenza n. 8371/03 aveva soltanto annullato il D.P.R. n. 87/96 e non ne aveva dichiarato la nullità, laddove la doglianza proposta trovava, invece, corpo e giustificazione nell’art. 89 della Costituzione. In ogni caso il D.P.R. doveva essere dichiarato nullo e/o inesistente per mancanza di uno degli elementi essenziali destinati ex lege a costituirlo.
    2. Erroneità della sentenza per aver ritenuto infondata la doglianza circa l’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 119 del T.U. n. 3/57 in quanto, ancorché la formulazione letterale della norma si riferisca ai casi di annullamento di provvedimenti disciplinari, la “ratio” della norma si estenderebbe anche ai casi di nullità. Invero, il giudice amministrativo non avrebbe il potere di scegliere fra il disporre una sentenza costitutiva di annullamento o una sentenza dichiarativa di nullità, essendo la sua pronuncia condizionata dalla natura del provvedimento da sindacare. Ne conseguirebbe che, attesa la nullità del D.P.R.  n. 87/96, il termine perentorio entro il quale doveva essere definito il primo procedimento di dispensa (art. 120 T.U. n. 3/57) non è stato mai interrotto, ma ha continuato a decorrere portando all’estinzione della procedura sanzionatoria.
    3. Erroneità della sentenza per non aver considerato la censura con la quale è stata posta in rilievo la particolare natura della sanzione prevista dall’art. 123 del T.U. n. 3/57, che non permetterebbe di essere irrogata con riferimento ad  una valutazione “ora per allora “ al momento della sua adozione, ma soltanto con riferimento alla situazione corrente. Infatti l’esonero del direttore generale non è previsto come conseguenza di un comportamento scorretto del funzionario, ma come conseguenza del venir meno del rapporto fiduciario e, quindi, in presenza di una situazione di incompatibilità che, in quanto tale, può essere considerata solo con riferimento al momento in cui la sanzione viene irrogata, senza alcuna valutazione di situazioni pregresse.
    4. Erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il 3^ ed il 4^ motivo di doglianza con motivazioni che vengono ritenute tautologiche, e così pure per il primo e secondo profilo del 5^ motivo di doglianza. Viene, inoltre, contestata l’affermazione del primo giudice riguardante l’applicabilità dell’art. 123 del T.U. n. 3/57 anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 29/93, nonché del D.lgs n. 85/2000. In ogni caso la norma in questione non avrebbe potuto trovare applicazione nella fattispecie, atteso che il dr. Cipolloni non rivestiva, all’epoca dei fatti contestati, posizioni di vertice dell’Amministrazione.
    5. Erroneità della sentenza nella parte in cui ha escluso l’equivalenza delle posizioni del dr. Cipolloni e del dr. Mannucci.
    6. Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero degli affari esteri producendo un'unica memoria difensiva per i due ricorsi esaminati, di cui vengono contestate argomentazioni e conclusioni.
    7. Il dr. Cipolloni ha depositato in data 18/1/2005 note di udienza relative ad entrambi i ricorsi.

Ha, altresì, depositato memoria difensiva in data 1/4/2005, soffermandosi sulla natura giuridica della cd. controfirma e riaffermando la impossibilità di rinnovare un atto inesistente o nullo, perché privo di un suo elemento costitutivo, tanto più alla luce della recente legge n. 15 dell’11 febbraio 2005.

Dalla inesistenza  (nullità) del D.P.R. n. 87/96 deriverebbe che il termine perentorio entro il quale doveva essere definito il primo provvedimento di dispensa  (ex art. 120 T.U. n. 3/57) non è stato mai interrotto, ma ha continuato a decorrere, portando alla estinzione della procedura sanzionatoria.

11. Entrambi i ricorsi sono stati inseriti, per la discussione, nel ruolo d’udienza del 12 aprile 2005 e trattenuti per la decisione.

DIRITTO

1. Con due distinti appelli che, attesi gli evidenti motivi di connessione, vengono riuniti ai fini di un’unica decisione, il dr. Giuseppe Cipolloni ha impugnato la sentenza n. 8371/03 e la sentenza n. 10347/04 della I Sezione del T.A.R. del Lazio, aventi rispettivamente ad oggetto il D.P.R. n. 87/1996 e il D.P.R. n. 80/2003 con i quali è stato dispensato e, poi, nuovamente allontanato dal servizio ai sensi dell’art. 123 del T.U. n. 3/57.

Con riferimento alla censura secondo cui, non essendo stato controfirmato dal Ministro proponente il D.P.R. n. 87/1996 di dispensa dal servizio avrebbe dovuto essere considerato nullo o addirittura inesistente, e quindi non reiterabile ai sensi dell’art. 119 del citato T.U., e non annullabile, il giudice di primo grado ha deciso per l’annullamento dell’atto, salvi gli ulteriori provvedimenti. Successivamente, ha affermato la legittimità del D.P.R. n. 80/2003, in quanto la pronuncia resa nel precedente giudizio consentiva all’Amministrazione di rinnovare il provvedimento di dispensa annullato.

2. I ricorsi in appello qui riuniti propongono più questioni giuridiche da esaminare, ai fini della decisione di merito sugli stessi.

2.1. Entrambi, anzitutto (I motivo del primo e del secondo ricorso) sostengono l’erroneità delle sentenze impugnate in quanto il Tribunale amministrativo regionale avrebbe dovuto dichiarare nullo o inesistente il D.P.R. n. 87/96 di dispensa dal servizio del dr. Cipolloni ai sensi dell’art. 123 del D.P.R. 10/1/57, n. 3, perché la mancata sottoscrizione dell’atto da parte del Ministro proponente  (art. 89 Cost.)lo avrebbe privato di uno degli elementi essenziali per la sua giuridica esistenza. In tal modo il decreto di dispensa, annullato con la sentenza n. 8371/03, non sarebbe stato rinnovabile, e non avrebbe, quindi, potuto trovare applicazione l’art. 119 del D.P.R. n. 3/57.

Conseguentemente, per mancanza dell’atto presupposto, il D.P.R. n. 80/03, riguardante la reiterazione, ora per allora, del provvedimento di dispensa nei confronti del Cipolloni, sarebbe stato insanabilmente illegittimo.

La tesi dell’appellante non può essere condivisa.

Soccorrono, al riguardo, i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia secondo cui il provvedimento amministrativo può considerarsi assolutamente nullo o inesistente solo nelle ipotesi in cui esso sia espressamente qualificato tale dalla legge oppure manchi dei connotati essenziali dell'atto amministrativo, necessario ex lege a costituirlo, quali possono essere la radicale carenza di potere da parte dell’autorità procedente, ovvero il difetto della forma, della volontà, dell’oggetto o del destinatario, mentre non può parlarsi di inesistenza dell’atto allorché si discuta unicamente dei vizi del procedimento che lo ha preceduto, in ciò risolvendosi la mancata corrispondenza del procedimento concreto al relativo paradigma normativo, e perciò delle modalità di esercizio del potere che fa capo all’amministrazione e di cui questa si è avvalsa. In tali ipotesi, il vizio non attiene all’esistenza dell’atto finale, che rimane integro nei suoi elementi essenziali e costitutivi, ma alla validità dello stesso e dei suoi presupposti e, quindi, alla conformità alla legge del complessivo comportamento tenuto dall’autorità (legittimità) (cfr. VI sez. n. 948/99 e V sez. n. 166/98; IV sez. n. 1091/94; n. 990/92, n. 805/91 e n. 343/91).

E'stato, altresì, affermato che le violazioni, per quanto gravi, di norme imperative, quali sono di regola tutte quelle attinenti allo svolgimento di poteri pubblici, od anche di attribuzioni di competenza disciplinate direttamente dalla Costituzione, danno luogo a semplice invalidità degli atti amministrativi, che deve essere fatta valere dall’interessato nel prescritto termine di decadenza, in quanto la radicale nullità dell’atto, a meno che non sia espressamente ed inequivocabilmente disposta dalla norma primaria, ricorre soltanto quando l’atto costituisca manifestazione di poteri spettanti ad organi che operino in settori del tutto diversi, ovvero sia destinato a spiegare efficacia al di fuori dell’area fisica su cui insiste l’Ente territoriale di cui tali organi facciano parte (cfr. V Sez. n. 166/98; IV sez. n. 210/92).

Nella fattispecie, si è in presenza di violazioni di attribuzioni di competenza disciplinate direttamente dalla Costituzione (art. 89 Cost.) che, tuttavia, per espressa previsione della norma costituzionale (che parla di non validità dell’atto non controfirmato dal ministro proponente) non danno luogo a nullità od inesistenza dell’atto.

Peraltro, sotto il profilo dell’assunzione di responsabilità dell’atto, va rilevato che esso, se pur mancante della firma del ministro proponente, recava, tuttavia, la firma dell’allora Presidente del Consiglio Prodi, cui erano istituzionalmente riferibili, quale vertice dell’organo collegiale, gli atti dei ministri componenti il Consiglio. Inoltre, sull’atto stesso era stata assunta una delibera favorevole da parte del Consiglio dei ministri.

La tesi dell’inesistenza o nullità giuridica non regge neppure alla luce della sopravvenuta L. n. 15 del 2005 che, introducendo modificazioni alla L.n. 241 del 1990, ha disciplinato la categoria dell’atto nullo, intendendo per tale l’atto mancante degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione di giudicato, nonché negli altri casi previsti dalla legge.

Detta normativa ha, invero, carattere procedimentale e non processuale, e trova immediata applicazione ai procedimenti in corso e non ancora definiti. Nella fattispecie, escluso, per quanto già detto, che possa trattarsi di atto nullo o inesistente, la nuova normativa non avrebbe comunque potuto trovare applicazione, avendo l’amministrazione definito il procedimento in vigenza della precedente disciplina.

2.2. Entrambi i ricorsi, poi, sostengono che nel caso di specie non sarebbe stato possibile applicare l’art. 119 del T.U. n. 3/57, in quanto si sarebbe in presenza di un atto nullo.

La censura non è condivisibile. Prevede, invero, l’art. 119 citato  (Rapporti tra procedimento disciplinare e giudicato amministrativo) che quando il decreto del Ministro che infligge la sanzione disciplinare sia annullato per l’accoglimento di ricorso giurisdizionale o straordinario, e la decisione non escluda la facoltà dell’amministrazione di rinnovare in tutto o in parte il procedimento, il nuovo procedimento deve essere iniziato a partire dal primo degli atti annullati entro 30 giorni dalla data in cui sia pervenuta al Ministero la comunicazione della decisione giurisdizionale ai sensi dell’art. 87, comma primo, del R.D. 17 agosto 1907 n. 642, ovvero dalla data di registrazione alla Corte dei conti del decreto che accoglie il ricorso straordinario od entro 30 giorni dalla data in cui l’impiegato abbia notificato al Ministero la decisione giurisdizionale o lo abbia costituito in mora per la esecuzione del decreto che accoglie il ricorso straordinario. Decorso tale termine il procedimento disciplinare non può più essere rinnovato.

Orbene, poiché come si è già argomentato al riguardo il D.P.R. n. 87/96 non costituisce atto nullo, l’art. 119 del T.U. sugli impiegati civili appare correttamente applicabile alla fattispecie, salvi i limiti previsti dalla norma stessa, nel caso peraltro insussistenti in quanto la decisione n. 8371/03 del T.A.R. del Lazio, nell’annullare il decreto di dispensa, aveva espressamente fatto salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, e in quanto appare incontestata la tempestività del successivo provvedimento reiterativo di dispensa.

2.3. Entrambi i ricorsi ripropongono, poi, la tesi della inapplicabilità dell’art. 123 del T.U. n. 3/57 ai funzionari appartenenti al grado di Ministro plenipotenziario.

La norma ha per oggetto”Esonero del direttore generale”, e prevede che nel procedimento disciplinare a carico di un impiegato con qualifica non inferiore a direttore generale, la contestazione degli addebiti viene fatta con atto del Ministro, al quale debbono essere dirette le giustificazioni dell’impiegato; che il Ministro, qualora non accolga le giustificazioni, riferisce al Consiglio dei Ministri, il quale delibera sulla incompatibilità dell’impiegato ad essere mantenuto in servizio; che l’impiegato riconosciuto incompatibile è dispensato dal servizio con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro competente.

Sostiene l’appellante che è illegittima l’applicazione di tale norma nei suoi confronti in quanto, ricoprendo egli il grado di Ministro plenipotenziario di 2^ classe all’epoca del D.P.R. n. 87/96, e quello di Consigliere d’Ambasciata all’epoca dell’accadimento dei fatti, in entrambi i casi non poteva certo ritenersi ai vertici dell’Amministrazione.

Né potrebbe valere, a contrario, l’equiparazione operata ai fini del trattamento economico dal D.P.R. n. 748/72 fra Ministri plenipotenziari di 1^ e 2^ grado e Dirigenti generali, trattandosi di mera equiparazione di carattere retributivo, ma non operativo o di funzioni.

D’altra parte, militerebbe a sostegno della tesi dell’appellante lo stesso comportamento dell’Amministrazione che, con telespresso circ. n. 031/22190 del 21/9/2001, ha disposto che ai funzionari appartenenti al grado di Ministro plenipotenziario ed Ambasciatore è applicabile l’art. 123 cit.

In realtà, ad avviso dell’appellante, dopo le modifiche apportate dai DD.LL.vi n. 29/93 e 80/98, confluiti nel D.L.vo n. 165/01, l’art.123 cit. non troverebbe più applicazione nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano.

Al personale appartenente alla carriera diplomatica, infatti, è stato riconosciuto la status dirigenziale, ai sensi dell’art. 101 del D.P.R. n. 18/67, come modificato dall’art. 2 del D.L.vo n. 85 del 24/3/2000, ed in quanto tale il suo stato giuridico non prevede più alcuna forma di potere disciplinare nei suoi confronti.

Invero, ai sensi dell’art. 111 del cit. D.P.R. come risulta attualmente modificato dall’art. 13 del D.L.vo n. 85/2000, il funzionario diplomatico che si sia contraddistinto ripetutamente per valutazioni negative delle sue prestazioni, previa contestazione e contraddittorio può essere collocato a disposizione del Ministero senza incarico. Nel caso di Ambasciatori e Ministri plenipotenziari si provvede con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta motivata del Ministro degli affari esteri. Trascorsi due anni senza che sia stato altrimenti disposto, il funzionario è collocato a riposo con decreto del Ministro.

La doglianza non può essere condivisa, sulla scorta delle seguenti considerazioni.

Appare, quindi, legittima la scelta dell’amministrazione di fare ricorso all’art. 123 cit., non assumendo rilievo, attesa la diversità di posizioni giuridiche e di normativa disciplinatrice di settore, le accennate censure di costituzionalità sotto i profili della disparità di trattamento e del diritto di difesa.

Né tantomeno può ritenersi che detta norma sia stata superata dalle modifiche apportate all’art. 111 del D.P.R. n. 18/67 dal D.L.vo. n. 85/00, riguardante il collocamento a disposizione del funzionario diplomatico in ragione di valutazioni negative delle sue prestazioni, atteso che i due istituti, esonero dal servizio e collocamento a disposizione, hanno natura giuridica e procedure diverse, attenendo il primo alla sfera dei procedimenti disciplinari, al contrario del secondo e producono effetti diversi e non sovrapponibili.

Inoltre, all’epoca dei fatti per cui è causa, il collocamento a disposizione non era stato ancora introdotto nel nostro ordinamento.

Infine, non ha rilievo, perché non in grado di incidere su una corretta interpretazione della norma di cui si discute, il riferimento ai contenuti del messaggio circolare n. 031/22190 del 21/9/ 01.

2.4. Il ricorrente deduce, poi, in entrambi i ricorsi, la tesi secondo cui la particolare natura della sanzione prevista dall’art. 123 del T.U. n. 3/57 non permetterebbe di essere irrogata con riferimento ad una valutazione “ora per allora” al momento della sua adozione, ma soltanto con riguardo alla situazione corrente. Trattandosi di valutazione sulla compatibilità dell’impiegato ad essere mantenuto in servizio, essa potrebbe essere svolta solo unicamente al momento dell’adozione dell’atto, il che escluderebbe che in caso di rinnovazione della procedura si possa procedere ad una valutazione ora per allora. La norma, invero, avrebbe valenza organizzativa e non strettamente od esclusivamente punitiva e/o retributiva.

In tale ottica, giocherebbero un ruolo decisivo gli incarichi lodevolmente svolti dal ricorrente dal 16 ottobre 1997 al 19 dicembre 2003 che testimonierebbero dell’assenza di qualunque causa di incompatibilità.

La tesi dell’appellante non può essere condivisa.

Invero, la norma di cui all’art. 123 del T.U. cit. prevede una particolare forma di procedimento disciplinare nel caso di impiegati con qualifica non inferiore a direttore generale, incentrato sulla contestazione di addebiti e le relative giustificazioni e finalizzato a definire la compatibilità o meno dell’impiegato ad essere mantenuto in servizio.

Detta valutazione, pur se da un lato appare assumere connotazioni prevalentemente organizzative, rispondendo all’esigenza di pubblico interesse della P.A. che il personale in servizio, appartenente alle qualifiche di vertice, sia per caratteristiche professionali e personali all’altezza dei compiti assegnatigli, non per questo esime l’Amministrazione da una delibazione complessiva ed attualizzata dell’operato del dipendente, proprio perché, se pure occasionata da profili disciplinari, è alla compatibilità alla permanenza in servizio che detta delibazione è finalizzata.

Nel caso di specie, poi, il procedimento disciplinare conclusosi con l’atto di dispensa di cui al D.P.R. n. 80/2003 prendeva origine dalla pronuncia del giudice che aveva annullato il primo provvedimento, sfornito di controfirma ministeriale, lasciando salva la possibilità dell’amministrazione di adottare ulteriori provvedimenti e rinnovava il procedimento originario a partire dal primo degli atti annullati, così come previsto dall’art. 119 del T.U. n. 3/57.

Se, quindi, la valutazione di compatibilità andava correttamente attualizzata al momento dell’adozione del nuovo provvedimento, non per questo da tale valutazione potevano essere escluse tutte quelle circostanze che al procedimento rinnovato avevano dato origine, proprio al fine di verificare la permanenza o meno del rapporto fiduciario del funzionario con l’Amministrazione di appartenenza.

Ciò è quanto correttamente e motivatamente    l’Amministrazione ha fatto nel caso sottoposto all’esame del Collegio.

2.5. L’appellante con il primo ricorso deduce ancora la erroneità della sentenza di I grado che non ha rilevato l'illegittimità della scelta operata dall’Amministrazione  nel 2002 di non assegnare al Ministro plenipotenziario Cipolloni alcun incarico all’estero.

Al riguardo il Collegio condivide le considerazioni svolte dal I giudice circa la natura di atto di alta amministrazione della scelta amministrativa in merito all’assegnazione delle sedi estere, non palesemente viziata né da illogicità né da irrazionalità, tenuto conto di tutte le circostanze pregresse che già avevano condotto all’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del dr. Cipolloni.

2.5. Con il secondo ricorso, l’appellante deduce, infine, l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha escluso l’equivalenza della posizioni del dr. Cipolloni e del dr. Mannucci. Le censure, tuttavia, non possono essere condivise atteso che la decisione del T.A.R. appare ben argomentata per quanto riguarda la diversità delle posizioni, sotto il profilo sia penale sia disciplinare, del dr. Cipolloni e del dr. Mannucci.

3. Per le suesposte considerazioni, i due ricorsi in appello qui riuniti vanno rigettati.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate in Euro 2000,00. 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione IV- previa riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, li rigetta.

Condanna la parte soccombente al pagamento della spese del presente grado di giudizio che liquida in Euro 2000,00.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 12 aprile 2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione


 

Quarta, con l'intervento dei Signori:

      Stenio           RICCIO   - Presidente

      Costantino    SALVATORE  -Consigliere

          Dedi     RULLI   - Consigliere

     Antonino  ANASTASI   - Consigliere

     Anna   LEONI   - Consigliere, est.

      L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE

     Anna Leoni      Stenio Riccio

                               IL SEGRETARIO

Rosario Giorgio Carnabuci

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

27 ottobre 2005

(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)

     Il Dirigente

     Giuseppe Testa

- - 

NN.R.G. 

10184-10185/04


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