R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.6257/2005

Reg. Dec.

N. 5155 Reg. Ric.

Anno 1997

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 5155 dell'anno 1997, proposto da Previdero Dario rappresentato e difeso dall'avv. Lineo Zangrossi di Mantova, con domicilio eletto presso lo studio dell'Avv. Bruno Aguglia, in Roma, Via Cicerone, 44,

contro

Ministero delle Finanze, in persona del Ministro rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui ope legis  domicilia alla via dei Portoghesi n. 12, Roma,

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, sez. Brescia, in data 23.6.1996 n. 483;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Finanze;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive;

Visti tutti gli atti di causa;

Relatore alla pubblica udienza del 22 giugno 2005 il Cons. Sandro Aureli;

Uditi, altresì, l’Avvocato dello Stato Maria Luisa Spina;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto:

FATTO

Il Brigadiere della  Guardia di Finanza, Previdero Dario, veniva rinviato a giudizio dal P.M. di Mantova per i reati di cui agli artt. 323 c.p. e 368,61 n.9, 61 n.10, 81 cpv. c.p.

Di conseguenza, veniva anche sospeso dal servizio in via precauzionale, da cui derivava la percezione di un'indennità alimentare pari a metà dello stipendio.

In ragione di ciò,  partecipava  al concorso per vigile urbano indetto dal Comune di Porto Mantovano, risultando vincitore e assumeva il servizio in prova presso il suddetto comune, informandone  l'amministrazione finanziaria.

Il Ministero delle Finanze, allora, lo diffidava a cessare dall'occupazione intrapresa.

Il Previdero, però, con istanza in data 28.10.1992, comunicata al Ministro, al Comando regionale e al Comando provinciale, chiedeva la revoca della diffida, la revoca della sospensione cautelare e avanzava, in subordine, richiesta di aspettativa per motivi di famiglia: nel frattempo manteneva il servizio presso il Comune di Porto Mantovano.

IL Ministro delle Finanze con provvedimento n. 349459, in data 16 febbraio 1993, decretava la cessazione dal servizio del Previdero per decadenza, il suo collocamento in congedo e la sospensione precauzionale dalle attribuzioni del grado.

Ciò nella considerazione che:

- l'atto di diffida a cessare l'attivìtà presso il Comune di Porto Mantovano, non poteva considerarsi impugnato dalle istanze prodotte dal ricorrente con cui se ne richiedeva la revoca;

- la sentenza di assoluzione, ottenuta dal Tribunale di Mantova, non poteva consìderarsi definitiva e perciò non si ravvisavano gli estremi di un riesame della sua posizione;

- la sospensione precauzionale dall'impiego non modificava lo status di militare in servizio, per cui si  non poteva attendere ad altra occupazìone.

Il Previdero impugnava detto decreto dinanzi alla Sezione di Brescia del T.a.r. della Lombardia, e ne chiedeva l’annullamento per:

1) Violazione o comunque falsa applicazione dell'art. 12, 2° comma, L. 31.7.1954 n. 599; violazione dell'art. 3, V° comma L. 241190; eccesso di potere.

2) Violazione dell’art. 2 Legge 7.8.1990, n. 241. Violazione dei principi fondamentali; eccesso di potere.

3) Violazione dei combinato disposto degli artt. 4 e 36 Cost. eccesso di potere.

Il giudizio di primo grado si è concluso con la sentenza impugnata che ha dichiarato il ricorso inammissibile, motivando altresì “per completezza” anche sull’infondatezza delle censure dedotte.

Il Previdero chiede la riforma di detta decisone, riprendendo le stesse censure già esposte in primo grado, incentrate, sostanzialmente, sulla illegittimità della decadenza decretata a suo carico, non ravvisando incompatibilità della sua occupazione di vigile urbano, con il rapporto di pubblico impiego con la Guardia di Finanza a cui è rimasto legato, pur nella sospensione precauzionale dal servizio, e sul difetto di motivazione per non aver l’Amministrazione mantenuto la sospensione precauzionale dal servizio, nonostante la conseguita assoluzione in sede penale.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio per resistere al ricorso.

L’appello è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 22 giugno 2005.

DIRITTO

La Sezione ritiene che l’appello non possa essere accolto, sia pure senza aderire alla pronuncia di primo grado, con la quale il ricorso introduttivo del giudizio è stato dichiarato improcedibile.

Il giudice di primo cure a tanto è giunto, per aver il Previdero omesso d’impugnare oltre il provvedimento di decadenza dal servizio, adottato per incompatibilità ex art. 1 della legge n.37 del 1968, identico all’art. 63 d.p.r. n. 3 del 1957, la diffida dell’Amministrazione che lo ha preceduto.

Quest’ultimo, secondo l’indirizzo giurisprudenziale richiamato in sentenza, sarebbe, invero, un provvedimento, si successivo, ma di valore eminentemente dichiarativo e a contenuto ricognitorio, mentre è già dalla diffida rivolta al dipendente affinché cessi l’attività lavorativa incompatibile, con il permanere del rapporto di pubblico impiego, che sorgerebbe la lesione della sfera giuridica.

La Sezione  è dell’avviso  che l’indirizzo richiamato non possa essere confermato e che nel tema in discussione debbano  prevalere le argomentazioni messe a punto da un orientamento più recente.

La diffida e la cessazione dal servizio per decadenza ex art.6.63 del d.p.r. n. 3/57 appartengono indubbiamente  ad  un unico procedimento, del quale  la prima rappresenta l’avvio ed il secondo il momento, peraltro solo eventuale, definitivo, ma sono chiamati a svolgere ciascuno una propria funzione che  li rende non sovrapponibili. (C.d.S. Sez. III^ terza, parere, n.523 del 2003).

E il collegamento inscindibile tra l'adozione dell'atto e l’attualità dell'interesse a ricorrere, non consente di configurare un onere di impugnazione immediata della diffida, tenuto conto che l'efficacia di quest’ultima, è pur sempre condizionata, almeno in parte, all'adozione del provvedimento di decadenza, con la conseguenza che il procrastinare l'esperimento del ricorso giurisdizionale al momento di tale  adozione, corrisponde non già a finalità di elusione del termine di impugnazione, bensì ad opportuna economia di mezzi giuridici.

Con la diffida l’Amministrazione individua esattamente e concretamente la condotta incompatibile del proprio dipendente, contestandone il contenuto infrazionale, e ne intima la cessazione  entro un  certo termine.

Proprio tale suo contenuto  pone in  evidenza, da un lato, la possibilità che il provvedimento di decadenza non segua, ove il dipendente si adegui, e dall’altro, la cennata autonoma funzione della diffida, ove si consideri che  all’Amministrazione in tal caso non è impedito di iniziare comunque un procedimento disciplinare a carico del dipendente per condotta  contraria ai doveri d’ufficio, di cui la diffida stessa ben può rappresentare l’avvio.

Dal che discende, che è il provvedimento di cessazione dal servizio per decadenza, ad incidere sul rapporto di pubblico impiego, e non la diffida, onde è con la sua adozione che sorge  per il dipendente l’interesse a rimuovere la lesione di cui  si lamenta. (C.d.S. sez. V  17 ottobre 1987, n. 641).

Condivide, invece, la Sezione, attingendo il merito della censure proposte dall’appellante, la decisione del giudice di primo grado, nella parte in cui inquadra la fattispecie in esame  nell’ipotesi del divieto di cumulo, regolata dall’art.65 del d.p.r. n. 3 del 1957, per la quale è prevista la cessazione di diritto dall’impiego, senza previsione di previa diffida.

Sotto tale angolazione nessuna delle censure proposte può essere condivisa.

Il Previdero, invero, nel periodo di sospensione precauzionale dal servizio, si è posto alle dipendenze del Comune di Porto Mantovano, per aver vinto un concorso per un posto di  vigile urbano.

S’è quindi verificata la ben nota non cumulabilità di due rapporti di pubblico impiego, sanzionata nel modo detto, dalla norma sopra richiamata.

Né si potrebbe sollecitare l’ingresso, in questo giudizio, di quell’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale anche in caso di cumulo occorrerebbe che l’Amministrazione, prima di determinare la cessazione dall’impiego, deve valutare  se tra i due rapporti di lavoro pubblico  vi sia o meno equivalenza, in termini quantitativi e qualitativi, poiché se ciò non fosse, l’assunzione del secondo in ordine di tempo, non impedirebbe di conservare il primo. (C.d.S. 20 aprile n. 2386 del 20 aprile 2001).

Infatti, senza voler qui indagare se la riportata soluzione al  cumulo tra impieghi sia o meno condivisibile, è certo che essa ha trovato applicazione in ben ristretto ambito, ovvero, in fattispecie assai  diversa da quella all’esame, ove il rapporto di lavoro con il Comune di Porto Mantovano non ha certamente carattere precario o marginale. (v. sent. da ultimo citata).

L’appello deve quindi essere respinto.

Sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese del giudizio  

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando, respinge l’appello alla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, sez. Brescia, in data 23.6.1996 n. 483.

Spese compensate per entrambe i gradi di giudizio

Così deciso in Roma, addì 22 giugno 2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di Consiglio con l'intervento dei signori:

      Carlo  SALTELLI   Presidente f.f.

       Carlo  DEODATO   Consigliere

      Sergio  DE FELICE   Consigliere

      Eugenio MELE   Consigliere

       Sandro  AURELI   Consigliere,est. 

L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE F.F.

      Sandro Aureli    Carlo Saltelli

IL SEGRETARIO

Giacomo Manzo

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

9 novembre 2005

(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)

     Il Dirigente

     Antonio Serrao 

- - 

N.R.G. 5155/1997


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