REPUBBLICA ITALIANA    N.7122/05 REG.DEC.

         IN NOME DEL POPOLO ITALIANO    N. 1829 REG.RIC.

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,  Sezione Quinta          ANNO  2005 

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 1829/2005, proposto dal COMUNE di CASSINO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Vincenzo Colacino, Prof. Angelo Clarizia e Prof. Nino Paolantonio ed elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio del secondo, in via Principessa Clotilde n. 2,

contro

Angelo Picano, Vincenzo Vittorelli, Alessandro D’Ambrosio, Gianfranco Petrillo, Andrea Vizzaccaro, Tommaso Marrocco, Domenico Vecchio, ed Alessandro Varone, tutti nella loro qualità di consiglieri comunali del Comune di Cassino, rappresentati e difesi dall’avv. Franco Assante ed elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Capo di Ferro n. 13 presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato Aurelio Pietro Ranaldi, Gianfranco Iemm, Emilio Iannetta non costituiti in giudizio;

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione staccata di Latina, del 18 febbraio 2005, n. 253, resa inter partes e non notificata.

Visto l’atto di appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio degli appellati;

Visto il decreto presidenziale n. 1151/05;

Vista l’ordinanza collegiale n. 1406/05;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 31 maggio 2005, relatore il Consigliere Nicola Russo e uditi, altresì, gli Avv.ti Colacino, Clarizia e Paolantonio e Assante;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

Con ricorso notificato in data 20 luglio 2004 e depositato il successivo 21 gli odierni appellati, consiglieri comunali, hanno impugnato dinanzi al T.A.R. del Lazio, Sezione staccata di Latina, la deliberazione del consiglio del Comune di Cassino n. 9/2 in data 20 aprile 2004, con la quale sono stati approvati il bilancio 2004, il bilancio pluriennale 2004/2006, la relazione previsionale programmatica ed i relativi allegati, nonché la manovra tributaria e tariffaria varata dalla giunta comunale, deducendo: violazione e falsa applicazione artt. 38, commi 4 e 5, 41, comma 1, 43, commi 3 e 7, regolamento consiglio comunale e ufficio presidenza consiglio comunale - violazione e falsa applicazione artt. 1, comma 1, 170 e 172 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 – eccesso di potere – illegittimità costituzionale art. 1, comma 1, D.L. 29 marzo 2004, n. 80, convertito in L. 28 maggio 2004, n. 140.

Si è costituito il Comune di Cassino che ha depositato documentazione, eccepito l’inammissibilità ed argomentato l’infondatezza del ricorso.

I ricorrenti con motivi aggiunti hanno poi impugnato dinanzi al medesimo T.A.R. la successiva delibera n. 38/6 in data 11 ottobre 2004, con la quale l’organo consiliare ha stabilito “di approvare ora per allora e senza soluzione di continuità a far data dal 20 aprile 2004 il bilancio di previsione 2004, il bilancio pluriennale 2004/2006 la relazione previsionale e programmatica 2004-2006 con i relativi allegati, nonché la manovra tributaria e tariffaria varata dalla giunta municipale con i provvedimenti richiamati in premessa di questo consiglio n. 9/2 del 20 aprile 2004”; i ricorrenti hanno ulteriormente dedotto: violazione artt. 1, comma 1, D.L. 29 marzo 2004, n. 80, convertito in L. 28 maggio 2004, n. 140, 151, comma 1, D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 – eccesso di potere.

Con successive memorie il Comune di Cassino ha riproposto le eccezioni di inammissibilità ed illustrato le ragioni a sostegno della dedotta infondatezza, argomentando la possibilità di agire in autotutela anche in relazione a vicende come quella ora in esame.

Con sentenza n. 253 del 18 febbraio 2005, il T.A.R., dopo aver dichiarato infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale e riconosciuto la legittimazione a ricorrere degli appellati, ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato gli atti impugnati, vale a dire la delibera n. 9/2 del 20 aprile 2004 e la delibera n. 38/6 dell’11 ottobre 2004, compensando le spese di giudizio.

Avverso tale sentenza, non notificata, ha proposto appello il Comune di Cassino, con ricorso notificato il 4 marzo e depositato il 7 marzo 2005, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia e chiedendone l’annulamento e/o la riforma, previa adozione di misure cautelari provvisorie ex art. 21, comma 9, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo modificato dall’art. 3 l. 21 luglio 2000, n. 205. Con decreto presidenziale n. 1151/05 del 9 marzo 2005 è stata respinta la domanda di adozione della misura cautelare provvisoria.

Con ordinanza n. 1406 del 18 marzo 2005, questa Sezione del Consiglio di Stato, in composizione collegiale, ha, invece, accolto l’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, rilevando che “ad un primo esame il ricorso in appello appare fondato sia con riferimento alla carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti in primo grado sia con riferimento al merito della questione de qua” e ritenendo “sussistente il rischio di pregiudizio grave ed irreparabile per l’Ente appellante”.

Si sono costituiti gli appellati, i quali, mediante articolate controdeduzioni, hanno chiesto, in via principale, il rigetto dell’appello, in quanto infondato in fatto ed in diritto, e, in via subordinata ed incidentale, hanno riproposto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, primo comma, del D.L. 29 marzo 2004, n. 80, convertito, con modificazioni, nella L. 28 maggio 2004, n. 140, questione disattesa dal giudice di prime cure, in quanto ritenuta infondata.

Prima dell’udienza di discussione i procuratori delle parti hanno depositato memorie illustrative, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni prese nei rispettivi atti difensivi.

Alla pubblica udienza del 31 maggio 2005 la causa è stata trattenuta in decisione.

D I R I T T O

L’appello è fondato.

E’ impugnata la sentenza n. 253/2005, meglio indicata in epigrafe, con la quale il T.A.R. del Lazio, Sezione staccata di Latina, ha accolto il ricorso ed i motivi aggiunti proposti da alcuni (11) consiglieri comunali, odierni appellati, con cui essi hanno impugnato, rispettivamente, la delibera n. 9/2 del 20 aprile 2004 e la successiva delibera n. 38/6 dell’11 ottobre 2004, con le quali il consiglio comunale di Cassino ha approvato il bilancio di previsione 2004, il bilancio pluriennale 2004/2006, la relazione previsionale e programmatica 2004-2006 con i relativi allegati, nonché la manovra tributaria e tariffaria. Attraverso le censure formulate, essi hanno posto la questione inerente ai tempi di approvazione del bilancio comunale ed ai contenuti degli atti connessi, con particolare riguardo, nel caso, a quello della relazione previsionale e programmatica. Il Comune resistente, invece, ha argomentato l’infondatezza del gravame, sollecitando l’esame dell’eccezione di difetto di legittimazione dei consiglieri comunali ad impugnare appunto le dette delibere.

A tale riguardo la sentenza impugnata, premesso che:

- la relazione previsionale e programmatica che, a mente dell’art. 170 del d.lgs. 267/2000, dev’essere posta a corredo del bilancio di previsione, “... si impernia su dati non solo contabili”; essa “... attinge a contenuti propriamente politici, rappresenta un essenziale mezzo di collegamento tra gli atti in cui si esprime il relativo indirizzo e costituisce, allo stesso tempo, uno strumento che ne condiziona la traduzione in atti ... . La relazione previsionale è quindi un atto avente un contenuto rapportato dalla legge ad una particolare funzione, veicolata da una strutturazione in termini di elementi e dati che, rappresentati in un provvedimento amministrativo, lo giustificano anche con riguardo alla ‘specifica motivazione delle scelte adottate’ ... . E’ evidente allora che il documento in questione deve necessariamente essere presente e che, se non sono censurabili le scelte programmatiche in esso contenute, è apprezzabile la sua conformità rispetto al modello legale fissato” (punto 5 della motivazione);

- nella prima delibera impugnata, n. 9/2 del 20 aprile 2004, non si riscontrerebbe la relazione previsionale per il periodo 2004-2006, non recando la “sezione 3” alcuna indicazione su programmi e progetti, e non essendovi alcuna giustificazione sulla mancata compilazione della citata sezione; aggiunge la sentenza che a tale “deficienza” il consiglio comunale ha cercato di porre rimedio con la delibera n. 38/6 dell’11 ottobre 2004 — impugnata con motivi aggiunti dagli odierni appellati — che “... reca l’elencazione di 12 programmi, rapportati a corrispondenti funzioni amministrative, corredata da un quadro riassuntivo per titoli di spesa” (punto 6 della motivazione).

Fatta tale premessa, la sentenza afferma che la delibera originariamente impugnata sarebbe “priva del contenuto legalmente fissato”, mentre la successiva delibera, “... lungi dal rappresentare gli elementi fissati dalla disciplina regolamentare (descrizione del programma; motivazione delle scelte; finalità; risorse umane e risorse strumentali; coerenza con altri strumenti pianificatori), si segnala per la sola riproduzione di identici elementi desunti dalla sezione 5 proposta in forma aggregata. Le esposte indicazioni implicano quindi la fondatezza della dedotta violazione di legge”.

Subito dopo (al punto 7) la sentenza viene finalmente all’esame dell’eccezione preliminare di rito, sollevata dalla difesa del Comune appellante, relativa al difetto originario di legittimazione attiva dei ricorrenti, oggi odierni appellati, tutti consiglieri comunali di minoranza.

Il T.A.R. dapprima richiama la giurisprudenza che afferma la legittimazione di codesti soggetti solo ove i provvedimenti impugnativi si appalesino lesivi del loro jus ad officium; quindi afferma che “... la validità di tale tesi dev’essere saggiata, nel caso di specie, innanzitutto alla luce delle disposizioni regolamentari che conformano lo status di consigliere”; cita quindi l’art. 43 del regolamento del consiglio comunale di Cassino secondo cui le proposte possono essere sottoposte a deliberazione del consiglio solo se corredate dei documenti necessari per consentirne l’esame.

Afferma quindi che “la completezza ed esaustività della documentazione tutta sulla quale, ad esito del dibattito, ciascun consigliere è chiamato a concorrere sostanzia quindi, per espressa disposizione regolamentare lo jus ad offìcium e, non appare dubbio che, l’assenza di un documento a corredo del bilancio condiziona negativamente le prerogative del soggetto chiamato ad approvarlo”.

Aggiunge la sentenza che, nella specie, la contestazione degli appellati non cadrebbe “. . . sul contenuto intrinseco di un documento, ma sulla assenza di esso . . .”.

Tale ordine di considerazioni non può essere condiviso.

E, invero, come riconosciuto dallo stesso giudice di primo grado, secondo giurisprudenza consolidata, in linea di principio i consiglieri comunali dissenzienti non hanno un interesse protetto e differenziato all’impugnazione delle deliberazioni dell’organismo del quale fanno parte (cfr. Cons. St., sez. I, par. n. 2695/2003, del 30 luglio 2003).

Essi possono avere interesse ad impugnare gli atti del Consiglio nei casi in cui venga lesa la propria sfera giuridica in conseguenza della modifica della composizione e del funzionamento dell’organo di cui fanno parte (cfr. Cons. St. sez. I., par. n. 2695/2003, cit.; id. sez. I, par. n. 3726/2002, del 13 dicembre 2003; id. sez. I, par. n. 1218/2001, del 30 gennaio 2001).

In particolare, in via di principio, i consiglieri comunali, in quanto tali non appaiono legittimati ad agire contro l’Amministrazione di appartenenza, dato che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive; sicché, un ricorso di singoli consiglieri (in particolare, contro l’Amministrazione di appartenenza) può ipotizzarsi soltanto allorché vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all’ufficio dei medesimi e quindi su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere (ad es., scioglimento del Consiglio comunale e nomina di un commissario ad acta: cfr. Cons. St., sez. V, 31 gennaio 2001, n. 358).

Alla stregua dell’indirizzo giurisprudenziale summenzionato, quindi, la legittirnazione attiva degli attuali appellati va accertata con riferimento non al contenuto del regolamento consiliare cassinate, ma alla natura ed al contenuto della delibera impugnata: ossia al provvedimento del consiglio comunale di approvazione del bilancio di previsione e della correlata relazione previsionale e programmatica.

Seguendo infatti il ragionamento dei primi giudici, qualunque delibera consiliare dovrebbe ritenersi impugnabile dai consiglieri dissenzienti quanto meno con riferimento alla censura relativa alla pretesa conformità di essa al modello legale.

Ora, la delibera n. 9/2 del 20 aprile 2004 e, soprattutto, la delibera n. 38/6 dell’11 ottobre 2004, sono entrambe delibere di approvazione della proposta di bilancio di previsione; entrambe, ed in particolar modo la seconda, contengono una relazione previsionale e programmatica ai sensi dell’art. 170 del d.lgs. n. 267/2000.

Altro non occorre accertare per verificare se i consiglieri di opposizione fossero legittimati a proporre ricorso al T.A.R.; assumere, come ha fatto il giudice di prime cure, che tra i motivi di ricorso figurasse anche quello della non conformità della relazione previsionale e programmatica al modello delineato dall’art. 170 equivale già a compiere un passo ulteriore, ossia a superare i limiti entro cui deve svolgersi la verifica sulla legittimazione attiva dei ricorrenti: equivale, in una parola, ad esaminare il merito della censura, utilizzandolo strumentalmente al fine - addirittura dichiarato dal primo giudice - di giustificare il ricorso da parte di soggetti non legittimati.

In una parola, come fondatamente dedotto dal Comune appellante, se la relazione previsionale sia o meno completa ed adeguatamente motivata rispetto a quanto richiesto dall’art. 170 del d.lgs. n. 267/2000 è questione che, attenendo al merito della controversia, può essere sollevata solo dai soggetti effettivamente legittimati; e per verificare se i consiglieri di minoranza siano a ciò legittirnati non si può utilizzare il risultato dello scrutinio di merito del motivo, ma, viceversa, occorre guardare, come detto, alla natura ed al contenuto del provvedimento, onde verificare se la delibera incida o meno sulle prerogative dei ricorrenti (sullo jus ad officia di essi).

Ora, la delibera consiliare di approvazione del bilancio di previsione, atto generale dell’amministrazione comunale, non è provvedimento incidente in via diretta sul diritto all’ufficio del consigliere comunale, e quindi su un diritto spettante alla persona fisica investita della carica di consigliere. Si tratta, infatti, di un atto a contenuto generale, obbligatorio, ai sensi degli artt. 162 Ss. del d.lgs. n. 267/2000, costituente il presupposto ineludibile della gestione delle entrate e delle spese dell’ente locale.

Proprio tale natura di atto fondamentale e generale della gestione finanziaria e contabile dell’ente esclude fisiologicamente che esso possa prefigurare anche solo in astratto una idoneità dello stesso a pregiudicare o incidere direttamente - ma anche indirettamente - lo jus ad officia dei consiglieri che lo approvano o disapprovano (per ragioni di legittimità, di opportunità o anche solo politiche).

L’approvazione del bilancio di previsione, cioè, non pregiudica le prerogative del singolo consigliere proprio perché è atto programmatico di gestione dell’intera attività dell’ente, sicché non può il consigliere di minoranza che non abbia condiviso le scelte di bilancio democraticamente assunte nell’aula consiliare pretendere di proseguire la propria battaglia politica dinanzi al Giudice, che non è organo di soluzione delle contese politiche interne tra maggioranza e minoranza.

Neppure vale invocare, come fa il T.A.R., l’art. 170, comma 90 del d.lgs. n. 267/2000, secondo cui “nel regolamento di contabilità sono previsti i casi di inammissibilità e di improcedibilità per le deliberazioni di consiglio e di giunta che non sono coerenti con le previsioni della relazione previsionale e programmatica”; secondo i primi giudici tale norma “... integra in maniera ancor più significativa le prerogative del consigliere, fornendo così un ulteriore supporto della legittimazione nella fattispecie contestata, integrando i casi fissati dalla prevista disciplina regolamentare una guida, non solo nell’attività di gestione disimpegnata da parte dei responsabili dei servizi amministrativi, ma anche un supporto informativo spendibile nella discussione delle delibere consiliari”.

Anche tale affermazione non può essere condivisa: la norma si limita a stabilire che il singolo ente locale dovrà considerare ‘inammissibili’ o ‘improcedibili’ le delibere di consiglio o di giunta ‘non coerenti’ con la relazione previsionale e programmatica: fatto assolutamente ovvio, non potendosi neppure ipotizzare un atto dell’amministrazione che si ponga in dichiarata posizione di

‘incoerenza’, ossia di contrasto o di conflitto, con l’atto fondamentale di gestione, ossia con il bilancio previsionale e con il contenuto della relazione ad esso allegata.

Ma da tale ovvio principio non può trarsi anche la conclusione che esso andrebbe in qualche modo ad integrare lo jus ad officium del consigliere: altrimenti opinando, infatti, ogni atto generale del comune - lo strumento urbanistico, lo statuto, l’istituzione di un tributo locale - coinvolgerebbe le prerogative di ciascun singolo consigliere: sì che tutti i consiglieri espressione della minoranza consiliare potrebbero indistintamente impugnare innanzi al Giudice amministrativo pressoché tutte le delibere di competenza del consiglio comunale, sovvertendo alla radice il principio, sopra esposto, secondo cui, di regola, i consiglieri comunali dissenzienti non possono vantare un interesse protetto e differenziato all’impugnazione delle deliberazioni dell’organismo del quale fanno parte.

Sulla questione preliminare, concernente il difetto di legittimazione attiva degli appellati, questi ultimi deducono in sede di memoria che essi hanno proposto l’originario ricorso al T.A.R. di Latina non in quanto consiglieri “dissenzienti”, ma perché “... i documenti di programmazione, per come redatti e posti a disposizione dell’organo consiliare, impedivano agli stessi consiglieri di conoscere, di valutare ponderatamente le scelte che erano chiamati ad approvare e, quindi, di esercitare correttamente le proprie funzioni istituzionali ... di indirizzo e controllo politico-amministrativo” (pagg. 14 s. della memoria).

Tuttavia, da un’attenta disamina del ricorso e dei motivi aggiunti in prime cure risulta che nessuna delle censure sollevate attiene ad una concreta violazione dello jus ad officium degli appellati, ma tutte concernono i caratteri formali e sostanziali delle delibere adottate dal Comune appellante.

Gli appellati, al fine di superare tale obiezione, assumono che essi non avrebbero potuto valutare le delibere concernenti il bilancio preventivo e quello triennale “per come redatti”: ma tale profilo - “per come redatti” - in realtà cela il riferimento al reale contenuto del ricorso e dei motivi aggiunti di primo grado, riguardante la rispondenza delle delibere impugnate, e segnatamente della relazione previsionale e programmatica, alle norme di cui al d.lgs. n. 267/2000.

L’infondatezza della tesi degli appellati emerge, poi, a ben vedere, anche da quanto da essi assunto nella memoria (a pag. 15), ove si legge che la giurisprudenza riconoscerebbe la legittimazione a ricorrere ai consiglieri “... in ipotesi ben meno lesive (modalità di convocazione dell’organo; violazione dell’ordine del giorno)”.

Tuttavia, contrariamente a quanto asserito dagli appellati, proprio i casi da essi citati - assieme a pochi altri analoghi - sono gli unici nei quali ai consiglieri comunali è ammesso ricorrere avverso delibere adottate dall’organo di cui sono membri, poiché proprio questi casi sono gli unici nei quali è configurabile la violazione del c.d. jus ad officium.

La tesi degli appellati, in sostanza, riprende - com’è comprensibile - quella del giudice di prima istanza, che ha riconosciuto erroneamente la legittimazione a ricorrere dei consiglieri in quanto le delibere impugnate sarebbero state prive “... del contenuto legalmente fissato”.

Tesi non condivisibile poiché, come fondatamente dedotto nel ricorso in appello, un profilo di legittimità, ancorché formale, concernente il contenuto della delibera approvativa del bilancio, verrebbe in tal modo a costituire il presupposto fondante la supposta violazione dello jus ad officium, laddove, invece e ben diversamente, codesto asserito profilo di legittimità, ancorché formale, è e rimane un (asserito) vizio della delibera, non delle modalità attraverso le quali sarebbe stato violato lo stesso jus ad officium.

Non può che ribadirsi, quindi, quanto fin qui detto e, cioè, che le questioni se la relazione previsionale sia o meno completa ed adeguatamente motivata rispetto a quanto richiesto dall’art. 170 del d.lgs. n. 267/2000, e se essa contenga tutti gli elementi previsti dalla legge, sono questioni che attengono alla legittimità sostanziale della delibera di approvazione del bilancio, non ai diritti ed alle prerogative dei consiglieri.

Da quanto finora detto discende, dunque, che i ricorrenti, che hanno agito tutti nella dichiarata qualità di consiglieri comunali del Comune di Cassino, non erano legittimati ad impugnare né la delibera n. 9/2 del 20 aprile né la delibera n. 38/6 dell’11 ottobre 2004; il ricorso avrebbe dovuto, quindi, essere dichiarato inammissibile per difetto della condizione dell’azione della legittimazione attiva ad causam in capo agli appellati, ad impugnare i provvedimenti annullati; la sentenza impugnata merita, allora, di essere annullata senza rinvio, stante la riconosciuta esistenza, da parte di questo giudice di appello, di una causa impeditiva del giudizio (cfr. art. 34, primo comma, L. 6 dicembre 1971, n. 1034), in difetto della quale, cioè, la causa non poteva essere proposta (cfr., analogamente, il difetto dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione rientra tra le ipotesi di cassazione senza rinvio di cui all’art. 382, terzo comma, c.p.c.) ed il ricorso di prime cure andava conseguentemente dichiarato inammissibile, senza procedere all’esame del merito.

A questo punto si dovrebbe passare ad esaminare l’eccezione, sollevata in via subordinata ed incidentale dagli appellati, con cui essi ripropongono la questione, disattesa dai primi giudici, in quanto ritenuta infondata, relativa alla illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del D.L. 29 marzo 2004, n. 80, convertito in L. 28 maggio 2004, n. 140, che ha prorogato al 31 maggio 2004 il termine di adozione della deliberazione del bilancio di previsione per l’anno 2004.

Tuttavia, la riconosciuta inammissibilità del ricorso priva di rilevanza la dedotta questione di legittimità costituzionale.

Essa, comunque, è manifestamente infondata.

I ricorrenti, odierni appellati, dopo aver richiamato gli artt. 151 e 163 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 - che prevedono la possibilità di differire il termine de quo con decreto ministeriale e l’esercizio provvisorio di durata bimestrale che si connette a tale differimento - argomentano la proposta eccezione sulla scorta di un duplice profilo implicante, da un lato, la violazione dell’art. 81, comma 2, Cost., che limita l’esercizio provvisorio ad una durata massima di quattro mesi e, dall’altro, dell’art. 97 Cost., perché una tale evenienza inciderebbe negativamente sulla funzione programmatoria preordinata ad una gestione amministrativa improntata ai parametri dell’efficienza, efficacia ed economicità, sottolineando, infine, che, anche ad ammetterne la giustificabilità in dipendenza del collegamento tra la fase di approvazione del bilancio comunale e le disposizioni attuative della cd. legge finanziaria, il differimento di cui alla norma sospetta di incostituzionalità sarebbe comunque irragionevole, “se si considera che per il recepimento delle novità introdotte dalla legge finanziaria non sono certo necessari cinque mesi”.

La questione è, come si è detto, oltre che irrilevante, infondata.

Come correttamente  rilevato dai primi giudici, la prospettazione, pur esposta in termini pregevoli, non può essere condivisa, rilevando sul punto altri parametri di rango costituzionale.

Ed, infatti, pur rimanendo identica la ragione sottesa alla logica del differimento dei termini, vale a dire la sua connessione con la manovra economica statale - complessivamente delineata dall’approvazione della legge finanziaria ed attuata con i provvedimenti ad essa successiva - ai fini della valutazione della norma e della sua possibile giustificazione rileva, da un lato, il principio, di rango parimenti costituzionale, di coordinamento della finanza pubblica, dall’altro l’inserimento della norma nell’attuale momento istituzionale indotto dal nuovo Titolo V, momento segnato da una fase evolutiva, connessa all’emanazione dei decreti previsti dalla L. 5 giugno 2003, n. 131.

Ai fini in questione non può, allora, come giustamente sottolineato dal giudice di prime cure, omettersi di considerare:

1) l’art. 117, comma 3, Cost., che colloca nella “legislazione concorrente” - la cui determinazione dei principi fondamentali è riservata alla legislazione dello Stato - la “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento del sistema della finanza pubblica e del sistema tributario”;

2) l’art. 119, comma 1, Cost., per il quale “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”;

3) il previsto controllo della Corte dei Conti sul rispetto degli equilibri di bilancio da parte degli enti locali (art. 7, comma 7, L. 5 giugno 2003, n. 131);

4) la presenza di soluzioni ordinamentali, come certificato dall’attività assegnata alla “Alta Commissione di studio” deputata ad “indicare al Governo … i principi generali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione” (art. 3, comma 1, lettera b) L. 27 dicembre 2002, n. 289);

5) il cd. “Patto di stabilità comunitario” che, sul piano delle implicazioni sulla finanza di ciascuno Stato membro, determina un coinvolgimento delle autonomie regionali e comunali nel rispetto degli obblighi comunitari (art. 53, L. 23 dicembre 2000, n. 388). Da tale sintetica esposizione, emerge, quindi, che ai fini dello scrutinio di costituzionalità della norma rilevano parametri ulteriori rispetto agli invocati artt. 81 e 97 Cost., parametri di cui non si può non tener conto nella delibazione della questione  di costituzionalità in esame, il che appare, del resto, corroborato dagli elementi desumibili dal recente D.L. 30 dicembre 2004, n. 314, conv. con mod.ni in L. 1 marzo 2005, n. 26, recante, all’art. 1, disposizioni sul differimento dei termini di deliberazione del bilancio provvisorio per l’anno in corso.

Per le suesposte considerazioni l’appello in esame deve, dunque, essere accolto e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, essendo il ricorso di primo grado inammissibile per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata senza rinvio, essendo il ricorso di primo grado inammissibile per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, odierni appellati.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 31 maggio 2005 con l’intervento dei Sigg.ri:

Sergio Santoro    Presidente

Raffaele Carboni    Consigliere

Chiarenza Millemaggi Cogliani  Consigliere

Cesare Lamberti    Consigliere

Nicola Russo    Consigliere est. 

L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE

f.to Nicola Russo     f.to Sergio Santoro 

IL SEGRETARIO

f.to Rosi Graziano 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15 dicembre 2005

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186) 

PER IL DIRIGENTE

f.to Livia Patroni Griffi

  N°. RIC.1829/2005.

FDG