REPUBBLICA ITALIANA Il Consiglio
di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede
giurisdizionale ha pronunciato la seguente O R D
I N A N Z A sul ricorso in appello n. 188 del 2003
proposto
da IMPRESA
ALESSANDRO FRANCESCO, in proprio e nella qualità di
capogruppo dell’A.T.I. Alessandro-Arcobaleno
, in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata
e
difesa
dall’
avv.
Mario Caldarera,
elettivamente
domiciliata
presso
lo studio dell’avv. Girolamo Calandra
, in
Palermo, piazza Vittorio Emanuele Orlando, 33; -APPELLANTE PRINCIPALE-
c o n
t r o A.T.I. C.E.A. s.r.l. (capogruppo, oggi
ITALCANTIERI s.r.l.) - MONDELLO FRANCESCO
, in
persona del legale rappresentante, ed Impresa MONDELLO FRANCESCO, in
persona del titolare, rappresentate
e
difese
dall’
avv.
Aldo
Tigano, elettivamente domiciliate
presso
lo studio dell’avv. Pietro Allotta, in Palermo, via D. Trentacoste, 89;
-
APPELLATE ED APPELLANTI INCIDENTALI
- e
nei confronti del COMUNE DI S. ANGELO DI BROLO, in
persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.
Francesco Pizzuto, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.
Pietro Allotta, in Palermo, via Domenico Trentacoste, 89;
per
l'annullamento della sentenza n. 2661/02 del 25
novembre 2002
, con
la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione I
di Catania, pronunziandosi sul ricorso n. 926/01 proposto dall’A.T.I.
C.E.A. s.r.l. – Mondello Francesco:
1)
ha annullato i verbali di gara del 30 gennaio 2001 e 1 febbraio 2001, con
i quali è stata pronunziata l’aggiu-dicazione in favore dell’A.T.I.
Alessandro-Arcobaleno dell’appalto indetto dal Comune di S. Angelo di
Brolo relativo a “lavori di costruzione rete fognante nelle zone S.
Silvestro-Scarapulli-S. Antonino”; 2) ha dichiarato l’avvenuta
caducazione del contratto d’appalto fra il Comune di S. Angelo di Brolo
e l’A.T.I. Alessandro-Arcobaleno in conseguenza dell’annullamento
dell’aggiudicazione; 3) ha respinto la domanda di risarcimento dei danni
formulata dalla ricorrente; 4) ha compensato integralmente spese, diritti
ed onorari di giudizio.
Visto il
ricorso in appello di cui in epigrafe; Visti gli
atti di costituzione in giudizio del Comune di S. Angelo di Brolo e
dell’A.T.I. C.E.A. s.r.l. - Mondello Francesco ed Impresa Mondello
Francesco
; Visto
l’appello incidentale proposto dall’A.T.I. C.E.A. s.r.l. - Mondello
Francesco e dall’Impresa Mondello Francesco
; Viste le
memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Vista
l'ordinanza n. 154/03 del 19-20 febbraio 2003
, con
la quale è stata
respinta
la domanda incidentale di sospensione dell’ese-cutività della sentenza
impugnata e fissata l’udienza di discussione del ricorso nel merito; Visti gli
atti tutti della causa; Relatore alla
pubblica udienza del 16 dicembre 2004
il
Consigliere Giorgio Giaccardi e uditi, altresì, l’avv. A. Pellicanò,
su delega dell’avv. M. Caldarera, per l’Impresa appellante in proprio
e n.q., l’avv. P. Allotta, su delega dell’avv. A. Tigano, per
l’A.T.I. C.E.A. s.r.l. - Mondello Francesco e per l’Impresa Mondello
Francesco e gli avv.ti R. Tommasini e G. Rubino, su delega dell’avv. F.
Pizzuto, per il Comune di S. Angelo di Brolo;
Ritenuto e
considerato in fatto e in diritto quanto segue. F A T T O L’Impresa
Alessandro Francesco, in proprio e nella qualità di mandataria capogruppo
dell’A.T.I. Alessandro-Arcobaleno, aggiudi-cataria dell’appalto
indetto dal Comune di S. Angelo di Brolo per la realizzazione dei lavori
in epigrafe indicati, ricorre in appello avverso la sentenza n. 2661/02
con la quale il T.A.R. della Sicilia, Catania, in parziale accoglimento
del ricorso n. 926/01 proposto dall’A.T.I. C.E.A. s.r.l. - Mondello
Francesco, ha annullato la predetta aggiudicazione e dichiarato in via
consequenziale l’avvenuta caducazione del contratto stipulato tra il
Comune e la ricorrente nelle more del giudizio di primo grado (contratto
impugnato con motivi aggiunti al ricorso originario). A sostegno
del gravame l’appellante deduce: 1) Violazione
e falsa applicazione dell’art. 31, comma 2, L. 109/1994, come modificato
dall’art. 9, commi 60-62, della L. n. 415/1998; violazione e falsa
applicazione dell’art. 14, comma 1, L.r. 4/1996 e dell’art. 1, comma
6, L.r. n. 21/1998, come modificato dall’art. 10 L.r. n. 10/1999;
violazione del bando di gara (con particolare riguardo al capo di
decisione che considera fondata la censura relativa al computo degli
“oneri di sicurezza”, non soggetti a ribasso d’asta, nei prezzi
unitari in cui si scompongono le offerte). 2) In
subordine: erroneità della sentenza appellata nella parte in cui
pronunzia l’annullamento dell’aggiudicazione senza procedere alla
previa caducazione della clausola del bando di gara, a cui
l’aggiudi-cazione darebbe puntuale esecuzione. 3) Violazione
e falsa applicazione degli artt. 1418, 2° comma, 1441, 1325, punto 1,
cod. civ.; falsa applicazione dell’art. 14 D.lgs. n. 190/02, con
riguardo al capo della sentenza impugnata che ha dichiarato la caducazione
del contratto in conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione. 4) Violazione
e falsa applicazione degli artt. 6 e 7 L. n. 205/2000; difetto di
giurisdizione del giudice amministrativo, in ordine alla domanda relativa
alla caducazione del contratto. Si sono
costituite in giudizio l’A.T.I. C.E.A. - Mondello e la mandante Impresa
Mondello Francesco in proprio, resistendo all’appello principale e
proponendo a loro volta appello incidentale avverso il capo di decisione
che ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni formulata in prime
cure, assumendo in particolare che l’avvenuta stipulazione del contratto
con l’odierna appellante nell’imminenza dell’udienza di discussione
dinanzi al TAR denoterebbe la presenza di una condotta colposa foriera di
danno risarcibile, in via principale in forma specifica, in subordine per
equivalente, salva comunque la liquidazione del c.d. danno da ritardo. Si è altresì
costituito in giudizio il Comune di S. Angelo di Brolo, chiedendo il
rigetto di ambedue gli appelli, principale ed incidentale, e la
conseguente conferma della sentenza gravata. Con ordinanza
n. 154/03 del 19 febbraio 2003 questo Consiglio, pur non ravvisando i
presupposti per la concessione della misura cautelare richiesta
dall’appellante principale, ha nondimeno disposto la fissazione
dell’udienza di trattazione del ricorso nel merito, ai sensi del
combinato disposto del 3° ed 8° comma dell’art. 23 bis L. n.
1034/1971, introdotto dall’art. 4 L. n. 205/2000.
D
I R I T T O 1. Le
questioni che si pongono all’esame del Collegio possono essere così
riassunte: A) Con
riferimento al primo e secondo motivo di appello principale, occorre
stabilire se, in caso di gara d’appalto mediante offerte di prezzi
unitari, ai sensi degli artt. 1, lett. e) e 5) L. n. 14/1973, richiamati
dall’art. 1, comma 6, L.r. n. 21/1998, come modificata dalla L.r. n.
10/1999, ed in relazione alla specifica disciplina contenuta nel bando di
gara, sia o meno legittimo procedere all’aggiudicazione raffrontando le
percentuali di ribasso risultanti dalla commutazione dell’offerta
complessiva alla base d’asta comprensiva degli oneri di sicurezza, o se
occorra invece, alternativamente, determinare la media dei ribassi in
rapporto alla base d’asta depurata dall’importo dei suddetti oneri,
ovvero ricalcolare le offerte complessive aggiungendo ai prezzi offerti il
medesimo importo e quindi convertendo la somma risultante in percentuale
di ribasso. B) Con
riferimento al terzo motivo di appello principale, occorre determinare
quali siano gli effetti dell’annullamento giurisdizionale
dell’aggiudicazione dell’appalto sulla sorte del contratto medio
tempore stipulato tra l’amministrazione e l’impresa che risulti
illegittimamente selezionata, con specifico riguardo agli spazi di tutela
riservati dall’ordinamento all’impresa che risulti indebitamente
pretermessa dall’aggiudicazione. C) Con
riferimento al terzo motivo d’appello occorre indagare se sussista, o
meno, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine a
domanda volta ad ottenere la declaratoria di avvenuta caducazione del
contratto conseguente all’aggiudicazione. D) Con
riferimento, infine, all’appello incidentale, deve stabilirsi se ed in
quale forma sia proponibile l’azione risarcitoria conseguente
all’avvenuta stipulazione del contratto con l’impresa che sia
risultata illegittimamente aggiudicataria, avuto in particolare riguardo:
a) alla suscettibilità, o meno, di una riparazione in forma specifica,
attraverso ordine del giudice all’amministrazione di stipulare il
contratto d’appalto con l’A.T.I. appellante incidentale; b) alla
configurabilità, o meno, di profili di colpa in capo
all’amministrazione per il comportamento dalla stessa tenuto nelle more
del giudizio volto all’annullamento dell’aggiudicazione. 2. I quattro
gruppi di questioni riassunti sub 1, lett. A, B, C e D si presentano
logicamente in rapporto graduato di pregiudizialità l’uno rispetto agli
altri, atteso che: a) l’eventuale riforma del capo di decisione con il
quale è stato pronunziato l’annullamento dell’aggiudi-cazione,
ripristinando la piena legittimità ed operatività del sottostante
provvedimento amministrativo, renderebbe automaticamente salvo il
contratto stipulato nelle more del giudizio di primo grado con l’A.T.I.
appellante principale, eliminando ogni residua controversia anche in punto
di giurisdizione e di tutela risarcitoria; b) l’eventuale riforma del
solo capo di decisione concernente la declaratoria di caducazione
automatica del contratto per effetto dell’annullamento
dell’aggiudica-zione modificherebbe radicalmente i termini della
questione risarcitoria suscettibile di esame nella presente sede
giurisdizionale, precludendo in particolare la richiesta reintegrazione in
forma specifica, quanto meno finché il contratto medio tempore stipulato
non venga rimosso nelle forme e sedi opportune, ed incidendo altresì,
verosimilmente, sulla valutazione dei profili di responsabilità della
p.a. per il comportamento tenuto in pendenza di giudizio e più in
generale sulla subordinata richiesta di liquidazione del danno per
equivalente. Come noto, le
questioni richiamate ai precedenti punti B, C e D, unitamente ad altre
connesse, hanno già formato oggetto di rimessione all’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato con una complessa ed articolata ordinanza (IV Sez.,
21 maggio 2004, n. 3355), sulla quale peraltro non è intervenuta
pronunzia di merito da parte del Collegio adito, stante l’intervenuta
rinunzia al ricorso in appello (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 11/2004).
Le argomentazioni su cui si fonda la predetta ordinanza di rimessione sono
pienamente condivise e fatte proprie da questo Collegio, che ritiene
pertanto opportuno riproporle al vaglio dell’Adunanza Plenaria. Quanto alla
pregiudiziale questione sub A), pur dotata di assai minore rilevanza sul
piano teorico e dogmatico rispetto a quelle dianzi considerate, va
rilevato che anche su di essa sussiste una situazione di obiettiva
incertezza interpretativa e (almeno in parte) di pregresso contrasto
giurisprudenziale in ordine alla portata della normativa statale e
regionale applicabile, di per sé destinata a rifluire anche sulla
specifica questione interpretativa della clausola del bando di gara da
applicarsi nella presente controversia. Si ravvisano pertanto i
presupposti per rimettere anche tale questione al vaglio dell’Adunanza
Plenaria, unitamente a quelle (come detto, rilevanti solo in via
gradualmente subordinata) di cui ai punti B), C e D). 3. Il primo
profilo oggetto di rimessione (sub 1-A) investe innanzitutto la portata
della norma innovativamente introdotta nel testo dell’art. 31, 2°
comma, della L. n. 109/1994 dai commi 60-62 della legge n. 415/1998 (c.d.
Merloni ter), a mente della quale gli oneri previsti dai piani di
sicurezza facenti parte integrante dai contratti d’appalto “vanno
evidenziati nei bandi di gara e non sono soggetti a ribasso d’asta”. La sentenza
appellata segnala, al riguardo, l’esistenza di due filoni
giurisprudenziali (l’uno dei quali presente, peraltro, solo a livello di
giurisprudenza di primo grado), che sostengono rispettivamente: a) la
sufficienza dell’analitica indicazione dei predetti oneri da parte della
stazione appaltante, e l’implicita inclusione del relativo importo nei
prezzi offerti, salva diversa indicazione nel bando o comunque negli atti
di gara; b) la necessità di scorporare dai prezzi offerti la voce
afferente ai predetti oneri, ovvero, alternativamente, la necessità di
ragguagliare le offerte complessive ad una base d’asta depurata del
relativo importo non soggetto a ribasso. Giova
precisare, per maggiore chiarezza, che il problema prospettato è
suscettibile di porsi solo nel caso in cui le offerte vengano formulate in
termini di valore assoluto (nella specie, con il meccanismo dei prezzi
unitari di cui agli artt. 1, lett. e) e 5 L. n. 14/1973), da convertirsi
in percentuali di ribasso rapportate a loro volta alla base d’asta,
atteso che nel caso di offerte già espresse in percentuale non v’è
dubbio che le stesse vadano ragguagliate alla base d’asta al netto degli
oneri di sicurezza predeterminati in misura fissa dall’ammini-strazione.
La formula al
riguardo impiegata dal bando di gara (“la stima dei costi per dare
attuazione al piano di sicurezza è di £. 16.155.000; tale importo, non
soggetto a ribasso d’asta, è da ritenersi compreso nell’importo dei
lavori e dei suoi prezzi”), sembrerebbe in effetti avvalorare la chiave
di lettura proposta dall’appellante principale, secondo cui nei singoli
prezzi unitari previsti dall’apposito elenco predisposto dalla stazione
appaltante debbono intendersi compresi anche (pro quota) gli importi per
oneri di sicurezza: con la conseguenza che l’operazione di traduzione
del prezzo complessivo in percentuale di ribasso, agli specifici fini
previsti dall’art. 1, 6° comma, L.r. n. 21/1998, come modificato dalla
L.r. n. 10/1999, essendo operata su un importo già comprensivo della
quota non soggetta a ribasso, dovrebbe essere rapportata alla base
d’asta egualmente comprensiva di detto importo, e non già, come
ritenuto dal giudice di primo grado, alla base d’asta al netto degli
oneri individuati dal bando. Una conferma di tale linea interpretativa
potrebbe essere ricavata anche da un precedente giurisprudenziale evocato
dalla difesa appellante (Cons. Stato, IV, 12 ottobre 2002, n. 5521), nel
quale, pur con riguardo a fattispecie del tutto diversa da quella
all’esame, si afferma testualmente che l’offerta espressa in valore
assoluto è suscettibile di valutazione univoca, nel senso che deve
intendersi comprensiva degli oneri per la sicurezza, non soggetti a
ribasso. Per altro
verso, appare prima facie non destituito di fondamento l’apprezzamento
del primo giudice (sulla scorta, peraltro, di altro precedente
giurisprudenziale reso specificamente in materia di appalto con offerta di
prezzi unitari per categorie di lavori: Cons. Stato, IV, 23 gennaio 2002,
n. 393), in ordine all’inadeguatezza della linea interpretativa ed
applicativa seguita dal seggio di gara al fine di soddisfare la specifica
esigenza di escludere in radice dal confronto concorrenziale una voce di
prezzo non soggetta per legge a ribasso, in quanto correlata a primarie
finalità di tutela e salvaguardia della salute e sicurezza dei
lavoratori. Nel caso
venga privilegiata questa seconda linea interpretativa l’Adunanza
Plenaria dovrà nondimeno stabilire, in relazione alla censura dedotta con
il secondo e subordinato motivo d’appello, se sia o meno corretta la
statuizione resa dal T.A.R., di disporre l’annul-lamento del solo
provvedimento di aggiudicazione, e non anche in parte qua del bando di
gara, pur impugnato con il ricorso introduttivo di primo grado. 4- Venendo al
secondo e più cospicuo gruppo di questioni rimesso all’esame
dell’Adunanza Plenaria (sub 1-B), il Collegio ritiene opportuno
riportarsi integralmente alla perspicua e condivisa motivazione sviluppata
dalla ricordata ordinanza n. 3355/2004 della IV Sezione, di seguito
riprodotta per quanto rilevante anche nel presente giudizio. 4.1.1.
Secondo l’impostazione tradizionale e più risalente della
giurisprudenza civile (Cass. Civ. 17 novembre 2000, n. 14901; 8 maggio
1996, n. 4269; 28 marzo 1996, n. 2842; 26 luglio 1993, n. 8346), il
contratto stipulato sulla base di un’aggiudicazione illegittima è
annullabile ai sensi dell’art. 1425 o dell’art. 1427 c.c. (a seconda
della catalogazione dogmatica del vizio alla quale si accede); tale
conclusione viene raggiunta sulla base del rilievo che le norme che
regolano le procedure ad evidenza pubblica servono a consentire la
corretta formazione della volontà del contraente pubblico, sicchè la
loro violazione implica un vizio del consenso manifestato dalla pubblica
amministrazione o, secondo un’altra ricostruzione, ne rivela
l’incapacità a contrarre. Il
corollario più evidente e problematico di tale impostazione è costituito
dall’imputazione alla sola pubblica amministrazione della legittimazione
alla proposizione della domanda di annullamento del contratto ai sensi
dell’art. 1441 c.c. (cfr. ex
multis Cass. Civ. 21 febbraio 1995, n. 1885). 4.1.2-
Secondo una diversa ricostruzione, il contratto concluso in esito ad
un’aggiudicazione illegittima è affetto da nullità assoluta ai sensi
dell’art. 1418, comma 1, c.c. per violazione di norme imperative (Cons.
St., sez. V, 5 marzo 2003, n. 1218; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 29
maggio 2002, n. 3177), attesa la natura inderogabile delle disposizioni
che regolano la selezione del contraente privato ai fini
dell’affidamento di un appalto pubblico. 4.1.3-
La prevalente giurisprudenza amministrativa, già prima delle recenti
riforme introdotte con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 e con
la legge 21 luglio 2000, n. 205 (che hanno esteso l’ambito della
giurisdizione esclusiva amministrativa alle controversie aventi ad oggetto
le procedure di affidamento degli appalti pubblici ed il novero dei
pertinenti poteri di cognizione e di condanna) ha preferito ricostruire la
fattispecie in termini di caducazione del contratto per effetto
dell’annullamento della presupposta aggiudicazione (Cons. St., sez. V,
25 maggio 1998, n. 677; sez. V, 30 marzo 1993, n. 435), negando così ogni
ipotesi di invalidità del negozio giuridico, connettendo la sola
conseguenza dell’inefficacia all’eliminazione del provvedimento
conclusivo della sequenza procedimentale pubblicistica che ha preceduto la
sua conclusione e, soprattutto, escludendo che la stipula del contratto
determinasse la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del
ricorso contro l’aggiudicazione (Cons. St., sez. VI, 21 ottobre 1996, n.
1373). Tale
impostazione teoretica è stata confermata anche dopo le recenti riforme
del processo amministrativo, con le precisazioni e le integrazioni di
seguito illustrate. La
VI sezione (Cons. St. sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332; sez. VI, 30 maggio
2003, n. 2992) ha, in particolare, ascritto la fattispecie allo schema
della caducazione automatica, che comporta la necessaria ed immediata
cessazione dell’efficacia del contratto per il solo effetto
dell’annullamento dell’aggiudicazione (senza bisogno, cioè, di
pronunce costitutive), sulla base del rilievo della sussistenza di una
connessione funzionale tra la sequenza procedimentale pubblicistica e la
conseguente stipula del contratto che implica, in analogia alle
fattispecie privatistiche del collegamento negoziale, la caducazione del
negozio dipendente, nel caso di annullamento di quello presupposto. La
IV sezione (Cons. St., sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666) ha, invece,
optato per la diversa catalogazione della fattispecie in termini di
inefficacia sopravvenuta relativa, che comporta la cessazione degli
effetti del contratto non in via automatica, ma per effetto della
necessaria iniziativa giurisdizionale del contraente pretermesso (unico
legittimato ad invocarla in suo favore) e con il duplice limite della
buona fede dei terzi, in applicazione analogica degli artt. 23, comma 2, e
25, comma 2, c.c. (nel medesimo senso anche Cons. St., sez. VI, n. 2992/03
cit.), e dell’eccessiva
onerosità della sostituzione
del contraente per la pubblica amministrazione, debitrice nella relativa
domanda di reintegrazione in forma specifica, ai sensi dell’art. 2058
c.c.. Le
recenti ricostruzioni giurisprudenziali che annettono (su questo punto,
concordemente tra loro) la sola conseguenza dell’ineffi-cacia del
contratto all’annullamento dell’aggiudicazione argomentano, inoltre, a contrario tale conclusione dal rilievo che se l’art. 14, comma
2, decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 ha espressamente escluso la
risoluzione del contratto quale conseguenza dell’annullamento e della
sospensione dell’aggiudicazione per i soli appalti relativi alle
infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale (alle quali
si applicano la legge 21 dicembre 2002, n. 443 ed il decreto legislativo
20 agosto 2002, n. 190), per i contratti aventi ad oggetto appalti diversi
da questi ultimi la conseguenza dell’annullamento degli atti della
procedura ad evidenza pubblica è proprio quella che la suddetta
disposizione ha inteso scongiurare per gli appalti compresi nel suo ambito
applicativi, e cioè la risoluzione (da intendersi, tuttavia, come
espressione atecnicamente usata dal legislatore per indicare la perdita di
efficacia del negozio giuridico). 4.2-
Proseguendo nell’illustrazione del dibattito giurisprudenziale passato
in rassegna, occorre dar conto, in estrema sintesi, delle critiche
indirizzate a ciascuna delle soluzioni riferite e delle lacune
riscontrabili a carico di ciascuna di esse, onde raccogliere tutte le
relative indicazioni utili ad una diversa ricostruzione della fattispecie
in termini maggiormente coerenti con l’ordinamento e, al contempo,
satisfattivi di tutti gli interessi coinvolti nelle relative controversie. 4.2.1-
All’indirizzo della teoria dell’annullabilità sono state rivolte le
seguenti, principali obiezioni: a) le norme sull’evidenza pubblica non
sono poste solo nell’interesse della parte pubblica, ma anche, se non
soprattutto, in quello delle imprese ad un accesso libero, competitivo e
concorrenziale alla contrattazione con le amministrazioni; b) la riserva
alla sola pubblica amministrazione della legittimazione a domandare
l’annullamento del contratto impedisce una tutela satisfattiva e piena
dell’impresa ricorrente che ha ottenuto l’annulla-mento
dell’aggiudicazione; c) l’ascrizione dell’annullamento
dell’aggiudicazione alle categorie dell’incapacità di contrattare
(art. 1425) o dei vizi del consenso (art. 1427 c.c.) risulta sprovvista di
sufficienti riscontri positivi e di sicure indicazioni argomentative: non
si chiariscono i caratteri costituivi della presunta incapacità legale
dell’amministrazione e non si precisa il tipo di vizio della volontà
nella specie riscontrato. 4.2.2-
La tesi della nullità è stata criticata (soprattutto) in quanto assegna
ad un fatto sopravvenuto (l’annullamento dell’aggiu-dicazione) la
valenza propria di un difetto genetico (che caratterizza lo schema
dell’invalidità radicale) ed in quanto espone il contratto alle
inaccettabili conseguenze dell’accertamento della sua nullità, senza
limiti di prescrizione (art. 1422 c.c.), su iniziativa di chiunque vi
abbia interesse ed alla sua rilevabilità d’ufficio (art. 1421 c.c.),
con conseguente pregiudizio delle pregnanti esigenze di certezza dei
rapporti giuridici imputabili alla pubblica amministrazione e di stabilità
dei relativi negozi giuridici. 4.2.3-
Le recenti ricostruzioni offerte dalla giurisprudenza del Consiglio di
Stato, riassumibili, seppure logicamente giustificate da argomenti e
presupposti (parzialmente) diversi, nella medesima enunciazione
dell’inefficacia del contratto, trascurano, ad avviso del Collegio, la
pur necessaria analisi della natura giuridica e della valenza sostanziale
dell’aggiudicazione ed omettono l’indispensabile ascrizione della
fattispecie ad una delle categorie civilistiche che autorizzano la
classificazione della situazione in termini di inefficacia. Quanto
al primo aspetto, si osserva che la disamina delle conseguenze
dell’annullamento dell’aggiudicazione non può prescindere dalla
necessaria qualificazione di quest’ultima, dalla verifica della portata
dei suoi effetti e dalla conseguente ricostruzione del vincolo che la lega
al contratto: in mancanza di tale,
presupposta ricostruzione dogmatica risulta, infatti, arduo, se non
impossibile, pervenire ad una soluzione della questione in esame, coerente
con il sistema. In
ordine al secondo profilo, deve rilevarsi che l’affermazione
dell’inefficacia va sostenuta dall’individuazione della situazione
giuridica che la presuppone e la costituisce: nell’ordinamento civile
l’inefficacia non è, infatti, una categoria dogmatica ma fattuale, nel
senso che indica la sola conseguenza della perdita degli effetti di un
negozio giuridico in alcune fattispecie tipicamente previste (nullità,
annullabilità o simulazione del negozio giuridico; risoluzione o
rescissione del contratto; verificazione della condizione risolutiva od
omessa verificazione di quella sospensiva, scadenza del termine) e non
anche la causa dell’originaria o sopravvenuta inidoneità del negozio a
produrre i suoi effetti (legali e negoziali). 4.3-
Occorre, quindi, ascrivere la fattispecie considerata ad uno dei predetti
schemi, al fine di giustificare l’affermazione dell’inefficacia del
contratto, principiando la ricostruzione qui prospettata dalla Sezione con
l’esame (logicamente antecedente) della valenza dell’aggiudicazione. 4.3.1-
La natura giuridica dell’aggiudicazione si presta ad essere decifrata
secondo un duplice schema: a) l’atto ha solo valenza provvedimentale
(come ritenuto da Cons. Giust. Amm., 20 luglio 1999, n. 365; Cons. St.,
sez. V, 25 maggio 1998, n. 677; T.A.R. Sicilia, Catania, 10 settembre
1996, n. 1603); b) l’atto ha anche valore negoziale (come ritenuto da
Cons. St., sez. IV, 7 settembre 2000, n. 4722; VI, 14 gennaio 2000, n.
244; sez. V, 19 maggio 1998, n. 633). 4.3.2-
Secondo la prima impostazione, l’aggiudicazione è il provvedimento
conclusivo della procedura ad evidenza pubblica, con il quale
l’amministrazione aggiudicatrice si limita a selezionare l’impresa con
la quale stipulerà, in seguito, il contratto d’appalto, senza
manifestare, con quello, alcuna volontà negoziale. 4.3.3-
La seconda qualificazione dell’aggiudicazione va precisata e chiarita
nei termini di seguito esposti. La
procedura ad evidenza pubblica serve a regolare la formazione del consenso
della pubblica amministrazione (che, a differenza dei soggetti privati,
non è libera di negoziare gli appalti pubblici con chi vuole ed alle
condizioni che vuole) sia con riguardo al contenuto dell’accordo, sia
con riguardo all’identità del contraente. Le
varie fasi della sequenza procedimentale vanno, allora, classificate,
oltre che in termini pubblicistici, secondo lo schema privatistico della
formazione del consenso contrattuale. In
coerenza con tali coordinate, il bando dev’essere, quindi, qualificato
come invito ad offrire (e, in particolare, come atto prenegoziale che
stimola l’iniziativa delle imprese interessate a contrattare e che
contiene alcuni elementi del futuro contratto), l’offerta come proposta
contrattuale (e, in particolare, come manifestazione della volontà
dell’impresa di contrarre alle condizioni offerte) e, infine,
l’aggiu-dicazione come accettazione della proposta (e, in particolare,
come manifestazione della volontà dell’amministrazione di affidare
l’appal-to all’impresa selezionata e di vincolarsi al rispetto delle
condizioni dalla stessa proposte, come integrate da quelle contenute nel
bando o nel capitolato). 4.3.4-
Secondo questa ricostruzione, l’aggiudicazione presenta una duplice
natura, amministrativa e negoziale, nel senso che si pone, al contempo,
come provvedimento conclusivo della procedura di selezione del contraente
privato e di atto giuridico con il quale l’ammi-nistrazione formalizza
la propria volontà di contrarre con l’impresa scelta ed alle condizioni
dalla stessa offerte. La
duplice natura dell’atto implica anche la coesistenza in esso degli
effetti dispositivi propri degli atti pubblici e di quelli negoziali
tipici degli atti privati. La
diversità della valenza sostanziale ascrivibile a ciascuna delle nature
riscontrate non impedisce, tuttavia, di riconoscere un legame
indissolubile tra gli effetti relativamente prodotti, sicchè la regola simul stabunt simul cadent va applicata, prima che al rapporto tra
aggiudicazione e contratto, agli effetti pubblicistici e privatistici
rintracciabili nel medesimo atto di aggiudicazione. 4.3.5-
A tale impostazione consegue, inoltre, che l’accordo contrattuale si
forma al momento dell’adozione dell’aggiudicazione e che l’eventuale
stipula, separata e successiva, del contratto acquista valenza meramente
riproduttiva del consenso già manifestato dalle parti e cristallizzato,
in tutti i suoi elementi, nell’atto conclusivo della procedura ad
evidenza pubblica. 4.3.6-
La qualificazione dell’aggiudicazione come atto (anche) negoziale si
fonda, peraltro, oltre che sul rilievo della concentrazione in quel
provvedimento di tutti gli elementi dell’accordo (sicchè non pare
ammissibile una successiva, diversa regolamentazione del rapporto che,
quand’anche convenuta dalle parti, risulterebbe affetta da invalidità
radicale), anche sul dato positivo offerto dall’art. 16, comma 4, del
regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 (ancora in vigore per le parti non
tacitamente abrogare da disposizioni successive incompatibili) che, là
dove sancisce l’equivalenza dell’aggiudicazione “per ogni effetto
legale” al contratto, indica chiaramente la valenza negoziale della
prima e la sua idoneità a costituire, da sola, il vincolo contrattuale
con l’appaltatore selezionato (di talchè l’eventuale sottoscrizione
del documento negoziale, quand’anche prescritta dalla legge, varrebbe
come mera conferma di obbligazioni già sorte per effetto diretto
dell’aggiudicazione). 4.4-
In esito a tale catalogazione dogmatica dell’aggiudica-zione, occorre
verificarne le conseguenze di diritto in ordine al tema della decisione. 4.4.1-
Per il rilevato vincolo logico ed ontologico che lega inscindibilmente la
valenza pubblicistica e quella privatistica ascrivibili
all’aggiudicazione, l’annullamento giurisdizionale di quest’ultima,
che opera, com’è noto, ex tunc, ne
elimina gli effetti fin dalla sua adozione, non solo con riferimento al
suo contenuto propriamente provvedimentale, ma anche con riguardo a quello
tipicamente negoziale. Ne
consegue, ancora, che la demolizione dell’atto con cui
l’amministrazione ha espresso la sua volontà negoziale, priva il
relativo negozio giuridico dell’elemento essenziale costituito
dall’accordo, che deve, quindi, ritenersi insussistente, per effetto
dell’elisione dell’atto generativo del consenso di una delle parti. Tale
conclusione vale anche per i casi nei quali una disposizione positiva
impone la stipula del contratto, quale documento separato
dall’aggiudicazione, posto che, in questi casi, la sottoscrizione
dell’atto negoziale vale come riproduzione dell’accordo già formatosi
per effetto dell’incontro delle volontà delle parti nella riferita
sequenza bando - offerta - aggiudicazione. 4.4.2-
La conseguenza di tale impostazione è che il contratto è nullo per
mancanza dell’accordo ai sensi del combinato disposto degli artt. 1428,
comma 2, e 1325, comma 1, n. 1) c.c., come, peraltro, recentemente
ritenuto dalla Corte di Cassazione (Cass. Civ., 9 gennaio 2002, n. 193) A
ben vedere, infatti, l’annullamento dell’aggiudicazione non incide sul
consenso, nel senso che ne rivela un vizio, ma elimina radicalmente
l’atto con il quale è stato manifestata la volontà, sicchè la sua
conseguenza più immediata ed evidente va ravvisata proprio nella
demolizione, con efficacia retroattiva, di una parte essenziale
dell’accordo e, quindi, nell’accertamento (anche se non diretto) della
mancanza di quest’ultimo. 4.5
Non pare, peraltro, che le obiezioni comunemente formulate all’indirizzo
della tesi della nullità valgano a smentire o confutare la correttezza
della relativa impostazione teorica fin qui sostenuta. 4.5.1-
La critica che si fonda sulla natura sopravvenuta e non genetica del vizio
si basa, infatti, sull’erroneo presupposto che l’annullamento
dell’aggiudicazione incida sul rapporto e non sul suo atto giuridico
costitutivo. Sennonchè
ogni vizio relativo alla corretta formazione della volontà negoziale o
addirittura alla sua esistenza (ivi compresi quelli, di minore gravità,
che determinano l’annullabilità del contratto) va riferito al momento
genetico del rapporto e non alla sua fase esecutiva e funzionale. Possono
qualificarsi sopravvenute, in particolare, solo quelle vicende che non
riguardano direttamente la validità del negozio giuridico ma la sua
attuazione (inadempimento, eccessiva onerosità, impossibilità,
verificazione della condizione risolutiva), ma non anche quelle che,
ancorchè accertate successivamente, attengono proprio al rispetto delle
regole che presiedono alla valida conclusione del contratto (come quelle
relative all’esistenza dell’accordo). Non
solo, ma l’efficacia retroattiva dell’annullamento giurisdizionale
dell’atto impugnato impone di riferire l’efficacia della statuizione
demolitoria al momento genetico del rapporto, e cioè alla conclusione del
negozio, e non alla sua fase esecutiva, e cioè alla corretta attuazione
delle obbligazioni od al funzionamento della causa (del tutto estranee
agli effetti della caducazione dell’aggiudicazione). 4.5.2-
Quanto alla critica che individua nelle caratteristiche tipiche
dell’azione di nullità (legittimazione estesa a tutti i soggetti che
hanno interesse, imprescrittibilità, rilevabilità d’ufficio del vizio,
natura dichiarativa della relativa pronuncia) la ragione principalmente
ostativa all’accoglimento della relativa tesi, si deve osservare che,
anche prescindendo dal rilievo che le conseguenze di fatto di una teoria
(quand’anche gravi) non valgono ad inficiarne la correttezza, i riferiti
caratteri dell’azione in questione vanno coordinati con le regole che
presidiano il giudizio amministrativo. Quando,
infatti, una delle parti contrattuali manifesta e cristallizza il proprio
consenso in un atto che riveste anche natura provvedimentale (come nella
fattispecie in esame), l’accertamento della sua illegalità ed il suo
conseguente annullamento soggiacciono alle regole tipiche del processo
impugnatorio. Ne
consegue che l’aggiudicazione deve essere impugnata nel prescritto
termine di decadenza e che, in difetto di tale tempestiva iniziativa
giurisdizionale, resta preclusa la proponibilità dell’azione di nullità. La
natura provvedimentale dell’aggiudicazione impedisce, peraltro, al
giudice di accertare d’ufficio la nullità del contratto costituita
dall’illegittimità del provvedimento finale della procedura di
selezione del contraente (risolvendosi l’esercizio di quel potere
nell’inam-missibile sindacato ufficioso della legittimità di un atto
amministrativo). La
legittimazione a far valere la nullità va, inoltre, riconosciuta alle
sole parti che hanno impugnato l’aggiudicazione, quali unici soggetti
che hanno manifestato, in concreto, interesse, invocando la rimozione
dell’atto invalidante, alla declaratoria della relativa invalidità. Né
varrebbe obiettare che le limitazioni appena segnalate finiscono per
snaturare l’azione di nullità e configgono con gli interessi ad essa
sottesi, atteso che le pertinenti esigenze di tutela di interessi
indisponibili vanno coordinate con quelle, altrettanto rilevanti, di
stabilità degli atti amministrativi e di certezza dei relativi rapporti
giuridici. Ne
consegue che la riferita, necessaria pregiudizialità dell’annullamento
dell’aggiudicazione, ai fini della dichiarazione della nullità del
contratto su domanda della sola parte che ha proposto il ricorso, risulta
imposta dalle esigenze di rispetto delle regole del giudizio
amministrativo impugnatorio e che, di contro, l’applicazione alla
fattispecie in esame dell’intera disciplina civilistica dell’azione di
nullità si risolverebbe nella inammissibile disapplicazione delle regole
che presiedono, a tutela dei pertinenti interessi pubblici, alla tutela
giurisdizionale degli interessi lesi da provvedimenti amministrativi (tale
essendo, oltre che un atto negoziale, l’aggiudicazione). 4.6-
Resta da chiarire che, se è vero che il contratto nullo è radicalmente
inidoneo a produrre effetti giuridici (quod
nullum est nullum producit effectum), è anche vero che la (voluta)
inerzia delle parti nell’invocare l’accertamento della relativa
invalidità del negozio e la sua spontanea attuazione non impediscono, pur
in assenza delle condizioni della conferma, la regolare esecuzione delle
pattuizioni ivi contenute, con conseguente salvezza dell’interesse
pubblico alla realizzazione dell’appalto, nei casi in cui non sia
ammessa la sostituzione dell’appaltatore. 4.7-
Ovviamente l’ipotesi ricostruttiva sopra delineata postula la
qualificazione dell’aggiudicazione come atto (anche) negoziale; ove, di
contro, dovesse negarsi tale natura e riconoscersi la sua sola valenza
provvedimentale, si dovrebbe ricostruire la fattispecie in termini
diversi. 4.7.1-
Deve, al riguardo, avvertirsi che la prospettata classificazione
dell’aggiudicazione come atto negoziale è stata compiuta secondo
parametri di valutazione generali e che, invece, l’indagine in concreto
della natura dell’atto potrebbe condurre a conclusioni diverse: il
regolamento di gara (bando o capitolato) potrebbe precisare che
l’aggiudicazione non impegna l’amministrazione alla stipula del
contratto (con ciò escludendo la sua valenza negoziale) o una
disposizione normativa potrebbe regolare il rapporto tra aggiudicazione e
contratto nel senso di negare chiaramente l’equivalenza tra i due atti. 4.7.2-
In questi ultimi casi, l’aggiudicazione riveste solo natura
provvedimentale, mentre il contratto contiene e riceve le uniche
dichiarazioni negoziali delle parti. 4.7.3-
Resta, tuttavia, anche in tale situazione, quel vincolo inscindibile tra
fase pubblicistica (nella quale si seleziona il contraente) e fase
privatistica (nella quale si forma l’accordo e si costituisce il vincolo
negoziale) che potrebbe autorizzare le medesime conclusioni sulla nullità
del contratto (anche se qui manca quell’effetto diretto di eliminazione
dell’atto negoziale). 4.7.4-
Si potrebbe, altrimenti, configurare l’aggiudicazione come una
condizione di diritto del contratto di appalto, con la conseguenza che la
sua eliminazione (e, quindi, il suo venir meno) determina la sopravvenuta
inefficacia del negozio per l’intervenuto difetto di una situazione
giuridica (la validità e l’efficacia dell’aggiudicazione), la cui
persistenza ne condiziona (con valenza risolutiva) l’idoneità a
produrre i suoi effetti tipici. 4.8-
Come si vede, il quadro delle soluzioni configurate dalla giurisprudenza,
ordinaria ed amministrativa (ivi compresa quella proposta con la presente
ordinanza ed illustrata al punto 4.4), si rivela composito ed articolato
e, perciò, privo di quella necessaria coerenza e di
quell’indispensabile sistematicità che, sole, in una fattispecie così
rilevante, assicurano la certezza dei rapporti giuridici, l’uniformità
delle relative regole di giudizio e, in definitiva, l’effettività della
tutela giurisdizionale. Ne
consegue la necessità dell’indicazione di parametri certi e della
ricostruzione dogmatica della fattispecie in termini coerenti con il
sistema positivo. Valuterà,
quindi, l’Adunanza Plenaria in quale schema privatistico ascrivere
l’inefficacia del contratto d’appalto (non risultando, in definitiva,
controverso tale effetto) quale conseguenza dell’annulla-mento
dell’aggiudicazione. 5.-
Anche sulla questione di giurisdizione formante oggetto della rimessione
di cui al punto 1-C), il Collegio ritiene di richiamarsi integralmente
alla motivazione della pregressa ordinanza di rimessione n. 3355/04 della
IV Sezione, rilevando incidentalmente come sulla materia del contendere
non sembra aver influito la sopravvenuta sentenza n. 204/2004 della Corte
Costituzionale che, nel ridefinire il quadro della giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, non ha tuttavia inciso sulle specifiche
previsioni normative di cui agli artt. 6 e 7 della legge n. 205/2000 che
regolano il riparto di giurisdizione in materia di contratti della
pubblica amministrazione. Come
puntualmente premesso dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, e come del
resto risulta dallo stesso ordine in cui vengono articolati nel presente
giudizio i motivi di appello, la questione di giurisdizione è logicamente
successiva a quelle fin qui esaminate in quanto la sua risoluzione è
direttamente condizionata dalla soluzione offerta al precedente quesito,
relativo alla sorte del contratto stipulato in esito ad una aggiudicazione
illegittima (ed annullata). 5.1-
La questione va posta, quindi, con riferimento a ciascuna delle soluzioni
ipotizzate al precedente quesito nonché con riguardo al tipo di domande
al riguardo proponibili. Si
deve, allora, distinguere: a) se la soluzione preferita postula la
pronuncia di decisioni costitutive (annullamento, risoluzione del
contratto e, forse, inefficacia sopravvenuta) si rivela necessaria la
proposizione di domande intese a conseguire una statuizione che elimini
gli effetti del contratto e risulta, al contempo, precluso ogni
apprezzamento incidentale della sua inefficacia; b) se si ritiene,
viceversa, che l’inefficacia del contratto si produca automaticamente
(come nei casi della nullità o della caducazione automatica), deve
concludersi che tale conseguenza va accertata con pronunce dichiarative e
che può anche essere accertata in via incidentale. 5.2.-
Ne consegue che, nell’ipotesi sub a), occorre verificare se l’ambito
di giurisdizione esclusiva disegnato dall’art. 6 l. n. 205/2000,
letteralmente circoscritto alle controversie aventi ad oggetto le
procedure di affidamento di appalti pubblici, possa estendersi, in via
interpretativa, fino a comprendere anche il sindacato diretto
dell’invalidità e dell’inefficacia del contratto e, soprattutto, la
potestà di adottare pronunce costitutive (quali l’annullamento o la
risoluzione). 5.2.1-
La giurisprudenza si è finora occupata, a ben vedere, della questione
generale della spettanza al giudice amministrativo della potestà
cognitiva dell’incidenza dell’annullamento degli atti della procedura
ad evidenza pubblica sulla validità e sull’efficacia del contratto -
affermandola sulla base dell’apprezzamento delle esigenze di
concentrazione in capo ad un’unica autorità giurisdizionale dei poteri
attinenti alla delibazione della medesima vicenda sostanziale e della
valorizzazione del carattere esclusivo della giurisdizione in materia (cfr.
Cons. St. sez. VI, n. 2332/03; sez. VI, n. 2992/03; sez. IV, n. 6666/03
cit; Cons. Giust. Amm., 31 maggio 2002, n. 276; T.A.R. Campania, Napoli,
sez. I, 29 maggio 2002, n. 3177; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 28
febbraio 2001, n. 746) - ma ha omesso un esame diretto e puntuale della
sussistenza della competenza giurisdizionale nell’esercizio di un
sindacato diretto (e non incidentale) della validità e dell’efficacia
del contratto e nella conseguente adozione di pronunce costitutive. 5.2.2-
Deve rilevarsi, al riguardo che, ad avviso del Collegio, l’attribuzione
delle controversie relative alle procedure di affidamento degli appalti
pubblici alla giurisdizione esclusiva amministrativa risulterebbe del
tutto inutile se non si intendesse tale ambito di competenza come
comprensivo anche delle questioni relative alla validità ed
all’efficacia del contratto (che, sole, paiono concernere diritti
soggettivi), che l’esclusione di queste ultime dal novero di quelle
conoscibili dal giudice amministrativo sulla base dell’art. 6 legge n.
205 del 2000 determinerebbe l’inaccettabile conseguenza di costringere
il ricorrente ad un faticoso, farraginoso e dispendioso itinerario
giurisdizionale, dal giudice amministrativo (per l’annullamento
dell’aggiudicazione), a quello ordinario (per l’annullamento o la
risoluzione del contratto) e, forse, di nuovo a quello amministrativo (per
il risarcimento dei danni), per ottenere giustizia di un’unica vicenda
sostanziale, con evidente vulnus delle
esigenze di economicità, effettività e semplificazione e della tutela
giurisdizionale, e, da ultimo, che l’inscindibilità del vincolo che
collega gli aspetti pubblicistici e quelli privatistici della
contrattazione avente ad oggetti gli appalti pubblici impedisce di
giudicare il sindacato diretto della validità e dell’efficacia del
contratto estraneo ai confini della giurisdizione esclusiva attinente alla
presupposta procedura di affidamento. 5.2.3-
Il Collegio non ignora che la formulazione letterale dell’art. 6 l. n.
205/2000, là dove limita
l’ambito di giurisdizione
esclusiva ai soli provvedimenti della procedura di affidamento degli
appalti (con conseguente, implicita, esclusione della cognizione di tutti
gli atti successivi alla sua conclusione - ivi compreso il contratto),
costituisce un rilevante ostacolo alle conclusioni sopra esposte, ma
reputa che il riferito dato testuale non impedisce la lettura della
disposizione che, in esito ad un’esegesi logico-sistematica del suo
ambito applicativo (condotta in ossequio ai canoni ermeneutici sopra
indicati), assegna al giudice amministrativo la potestà di conoscere in
via diretta le questioni relative alla validità ed all’efficacia del
contatto d’appalto, siccome direttamente riferibili all’illegittimità
della presupposta aggiudicazione, e di pronunciare le relative statuizioni
costitutive (come l’annullamento). 5.2.4-
Resta, in ogni caso, esclusa, anche accedendo all’inter-pretazione
estensiva appena esposta, la possibilità di pronunciare la risoluzione
del contratto (od altre statuizioni costitutive prive di una connessione
diretta con la validità dell’aggiudicazione) che, postulando
l’accertamento di vicende relative all’attuazione del rapporto e non
immediatamente ascrivibili alla legittimità della procedura di
affidamento, risultano senz’altro riservate alla giurisdizione
ordinaria. 5.3-
In merito alla fattispecie indicata sub b) (al precedente punto 5.1.),
occorre ulteriormente distinguere due diverse situazioni processuali: 1)
è stata presentata una domanda diretta ad ottenere una pronuncia
dichiarativa; 2) non è stata presentata, ma è stata formulata una
domanda di reintegrazione in forma specifica che postula l’accertamento
incidentale dell’inefficacia del vincolo contrattuale (che costituisce
il presupposto indefettibile dell’invocata sostituzione del contraente). 5.3.1-
Nel caso sub 1) valgono le stesse considerazioni svolte a proposito delle
pronunce costitutive - non ravvisandosi, al riguardo, differenze
significative, quanto alla giurisdizione, tra le ipotesi di pronunce
dichiarative e quelle di pronunce costitutive. 5.3.2-
Nella situazione descritta sub 2) non pare, invece, dubbio, ad avviso del
Collegio, che il giudice amministrativo sia dotato della relativa
competenza giurisdizionale, anche se, occorre precisare, non ai sensi
dell’art. 6, ma dell’art. 7 della legge n. 205 del 2000. A
ben vedere, infatti, a fronte di una domanda di reintegrazione in forma
specifica ed in assenza di una domanda intesa ad ottenere la declaratoria
della nullità o, comunque, dell’inefficacia del contratto, è proprio
(e solo) la norma che attribuisce al giudice amministrativo una potestà
cognitiva piena in materia di risarcimento del danno, comprensiva, come
tale, di ogni questione incidentale che rileva ai fini dello scrutinio
della fondatezza della pretesa risarcitoria, a giustificare
l’affermazione della giurisdizione amministrativa in ordine
all’accer-tamento di tutte le situazioni di diritto (ivi compresa
l’inefficacia del contratto d’appalto) implicate dalla domanda di
risarcimento del danno. 5.4-
Si rimette, quindi, alle valutazioni dell’Adunanza Plenaria
l’ulteriore questione relativa all’individuazione dei limiti in cui
sussista la giurisdizione amministrativa in merito all’accertamento,
diretto e incidentale, delle questioni relative alla validità ed
all’efficacia del contratto d’appalto ed alla pronuncia delle relative
decisioni (costitutive e dichiarative). 6.-
Venendo alla prima questione di cui al punto 1-D, concernente
l’ammissibilità nel giudizio amministrativo ordinario di una condanna
(nella specie espressamente invocata dall’appellante incidentale) ad un facere e, in particolare, all’aggiudicazione dell’appalto in
proprio favore, è opportuno ancora richiamare integralmente la
motivazione sul punto resa dall’ordinanza di rimessione n. 3355/2004
della IV Sezione. Il
problema, tradizionalmente risolto in senso negativo (cfr. ex multis Cons. St., sez.V, 18 maggio 1998, n. 612) sulla base del
rilievo ostativo della riserva di amministrazione che impedisce la
sostituzione del giudice in valutazioni di esclusiva spettanza dei
pubblici poteri, presenta profili inediti in seguito alla recente
attribuzione al giudice amministrativo, da parte dell’art. 7 della legge
n. 205 del 2000 (che ha modificato l’art. 7 della legge 6 dicembre 1971,
n. 1034), del potere di condannare l’amministrazione al risarcimento del
danno, non solo per equivalente ma anche mediante reintegrazione in forma
specifica. Tale
ultima tecnica di riparazione del danno pare, infatti, presupporre la
possibilità che il danno patito in conseguenza di un’attività
amministrativa illegittima venga risarcito con l’assegnazione al
ricorrente, che postula spesso un’ulteriore intermediazione
provvedimentale, del medesimo bene della vita sacrificato o danneggiato
dall’attività illegale. 6.1-
Si deve premettere, in via generale, che la tutela risarcitoria, nei cui
confini si iscrive la reintegrazione in forma specifica, serve ad
assicurare al danneggiato la restitutio
in integrum del suo patrimonio e, quindi, a garantire l’eliminazione
delle conseguenze pregiudizievoli dell’attività illecita ascritta al
soggetto responsabile. La
riparazione delle conseguenze dannose viene garantita dall’ordinamento
mediante due modelli di tutela, tra loro alternativi: quello del
risarcimento per equivalente, che riconosce al danneggiato il diritto ad
una somma di denaro equivalente al valore della lesione patrimoniale
patita e quello della reintegrazione in forma specifica, che attribuisce
al soggetto passivo la medesima utilità, giuridica od economica,
sacrificata o danneggiata dalla condotta illecita. 6.2-
Occorre, al riguardo, precisare che quest’ultima modalità
ripristinatoria postula, evidentemente, la preesistenza nel patrimonio del
danneggiato della situazione soggettiva della quale si chiede la
restituzione in forma specifica, sicchè l’ammissibilità di tale
tecnica di risarcimento va coordinata con la tradizione distinzione degli
interessi legittimi nella duplice categoria di interessi oppositivi e
pretensivi. Ora,
mentre per i primi (così come per i diritti soggettivi, nelle fattispecie
di giurisdizione esclusiva), che postulano la titolarità in capo
all’interessato del bene della vita al quale è collegato l’interesse
legittimo leso, risulta configurabile la reintegrazione in forma
specifica, trattandosi di restituire al danneggiato la medesima utilità
pregiudicata dall’attività amministrativa illegittima, per i secondi,
che presuppongono, invece, la mancanza del bene della vita al
conseguimento del quale l’interesse legittimo si pone come strumentale,
appare più dubbia l’ammissibilità dell’assegnazione di una posizione
di vantaggio che l’interessato non aveva ancora acquisito nella sua
sfera patrimoniale e che, quindi, non poteva essere sacrificata
dall’azione amministrativa. 6.3-
In particolare, all’indirizzo del quesito dell’ammissibilità della
tecnica riparatoria in esame per la lesione di interessi pretensivi
possono ipotizzarsi tre risposte: 1) non è mai possibile accordare tale
tipo di tutela - che si risolverebbe in un’inammissibile sostituzione
del giudice alla pubblica amministrazione; 2) è sempre possibile - in
quanto strumento di tutela ammesso dal legislatore in via generale per la
lesione degli interessi legittimi; 3) è possibile solo nei riguardi di
attività amministrativa vincolata, quando l’esito, cioè,
dell’ulteriore azione provvedimentale risulta pronosticabile sulla base
di parametri certi e di criteri matematici (come, ad esempio,
l’aggiudicazione alla seconda classificata di una procedura di gara
indetta con il criterio del massimo ribasso, quando l’impresa vincitrice
avrebbe dovuto essere esclusa). 6.3.1-
Le prime due soluzioni vanno rifiutate in quanto, per il carattere
assoluto delle rispettive conclusioni, impediscono di discernere, in
concreto, i presupposti e gli esiti dell’attività amministrativa incisa
dalla condanna reintegratoria. 6.3.2-
Anche la terza, tuttavia, nonostante lo sforzo di conformare le relative
conclusioni alla duplice esigenza di rispetto della sfera di competenze
riservata all’amministrazione e di garanzia dell’utilità e
dell’efficacia della tecnica risarcitoria in esame, si presta a rilievi
critici. A
ben vedere, innanzitutto, l’estensione della forma di risarcimento in
esame anche agli interessi legittimi pretensivi si risolve nella
surrettizia introduzione nel nostro sistema della c.d. azione di
adempimento (la vertglichtungsklage
dell’ordinamento giuridico tedesco), allo stato sconosciuta al nostro
sistema positivo di tutela delle posizioni soggettive connesse
all’esercizio delle funzioni amministrative. La condanna
dell’amministrazione all’adozione di un provvedimento favorevole al
ricorrente postula, infatti, logicamente la configurabilità in capo al
privato di un vero e proprio diritto a quell’atto ed in capo
all’amministrazione un vero e proprio obbligo alla soddisfazione di
quella pretesa. Sennonchè la ricostruzione dei rapporti tra cittadino ed
amministrazione in termini di rapporto obbligatorio, anche con riguardo
alle tecniche di tutela giurisdizionale, esigerebbe una precisa ed univoca
innovazione normativa, che la mera previsione della possibilità di
risarcire il danno nelle forme della reintegrazione in forma specifica non
risulta idonea ad introdurre, e non si presta ad essere validamente
sostenuta senza un adeguato e puntuale riscontro positivo. La
modalità risarcitoria della reintegrazione in forma specifica, a ben
vedere, non introduce una forma generalizzata di azione di adempimento
(che avrebbe richiesto una coerente qualificazione positiva del relativo
strumento di tutela ed una maggiore chiarezza nei suoi contenuti), ma si
limita a consentire una forma ripristinatoria della posizione soggettiva
tutelata, quando questa risulti compatibile con la natura di
quest’ultima, come nei casi di lesione di interessi oppositivi o di
diritti soggettivi (nelle controversie di giurisdizione esclusiva). Se
si ammettesse, in definitiva, la tecnica riparatoria in esame per la
lesione degli interessi pretensivi si finirebbe per accordare al
ricorrente un beneficio superiore a quello che egli avrebbe avuto se non
si fosse svolta l’attività lesiva; e ciò in contrasto con tutti i
principi che presiedono al risarcimento del danno. 6.4-
Quanto alle forme di risarcimento dei danni cagionati dall’attività
amministrativa lesiva di interessi pretensivi, occorre, allora, svolgere
le seguenti considerazioni. 6.4.1-
La forma più immediata e, probabilmente, satisfattiva degli interessi
pretensivi è data dal giudicato demolitorio-conformativo che, rimuovendo
l’attività amministrativa illegittima ed imponendo la sua rinnovazione
nel rispetto della legalità, assicura all’interessato la soddisfazione
più pregnante della sua posizione soggettiva, così come ritenuto da
quell’indirizzo giurisprudenziale (Cons. St., sez. VI, 18 dicembre 2001,
n. 6281) che reputa implicita nella domanda di annullamento dell’atto
impugnato quella di reintegrazione in forma specifica, per mezzo della
riedizione dell’attività amministrativa giudicata illegittima. L’effetto
conformativo insito nella statuizione di annullamento offre, infatti, al
ricorrente l’occasione di tutela maggiormente efficace ed utile del suo
interesse legittimo, potendo servire, con la semplice rinnovazione
dell’attività giudicata illegittima, ad assicurargli in via sostanziale
quel bene della vita al quale egli aspira. 6.4.2-
Se, tuttavia, l’interessato resta privo di soddisfazione anche in esito
alla ripetizione del procedimento, potrà attivare lo strumento di tutela
costituito dal ricorso per esecuzione del giudicato che, assegnando al
giudice potestà valutative di merito e poteri di sostituzione
dell’amministrazione inadempiente, si rivela la fase processuale più
idonea a garantire quella reintegrazione in forma specifica, anche degli
interessi pretensivi, che, nella sede ordinaria di cognizione, resta
preclusa dai rilievi sopra formulati. 6.4.3-
Lo strumento di tutela in questione va ricondotto, in definitiva,
nell’ambito dell’attuazione del giudicato, se inteso come finalizzato
a garantire il rilascio del provvedimento favorevole (nel caso di specie:
l’aggiudicazione dell’appalto), ed in quello della cognizione
ordinaria, se inteso come funzionale a garantire l’utilità (minore)
dell’effetto conformativo nell’attività rinnovatoria riservata
all’ammi-nistrazione. 6.4.4-
Secondo la ricostruzione prospettata, il risarcimento per equivalente,
che, per la lesione degli interessi legittimi pretensivi, si rivela
sussidiario e residuale rispetto alla reintegrazione in forma specifica,
risulta, invece, configurabile solo nei casi in cui il conseguimento del
bene della vita non è più possibile mediante la riedizione
dell’attività provvedimentale lesiva (ad esempio, perché l’appalto
è stato integralmente eseguito) o nelle ipotesi in cui il mero ritardo
nel rilascio del provvedimento favorevole (per esempio, di una concessione
edilizia o di un’autorizzazione commerciale) ha prodotto, di per sé, un
pregiudizio patrimoniale (non eliminabile dalla sola, successiva adozione
dell’atto ampliativo). 6.5-
Ciò che il Collegio reputa di escludere, in sintesi, è l’ammissibilità,
ad ordinamento vigente, di una condanna dell’ammi-nistrazione ad un facere,
da ritenersi circoscritta alle limitate ipotesi del rito speciale
sull’accesso ai documenti amministrativi (art. 25, comma 6, legge 7
agosto 1990, n. 241) e sul silenzio (art. 21-bis,
comma 2, legge n. 1034/1971). 6.6-
Chiarirà, in definitiva, l’Adunanza Plenaria se sia ammissibile la
condanna della pubblica amministrazione all’adozione di un determinato
provvedimento e, in caso di risposta affermativa a tale quesito, a quali
condizioni possa pronunciarsi un ordine siffatto. 7.
Vengono infine rimessi all’esame dell’Adunanza Plenaria gli ulteriori
profili di tutela risarcitoria fatti valere dall’appellante incidentale
(richiamati anch’essi sub 1-D), ove non risultino già pregiudicati
dalla definizione delle questioni formanti oggetto di rimessione ai sensi
dei precedenti punti da 3 a 6. Fra
questi, merita di essere segnalata la questione relativa alla
configurabilità, o meno, dell’elemento soggettivo della colpa in
relazione non solo e non tanto al comportamento tenuto
dall’Ammi-nistrazione in sede di adozione dei provvedimenti impugnati e
nella fase procedimentale ad essi preordinata, quanto piuttosto nelle
vicende successive alla proposizione del ricorso (avuto in particolare
riguardo, nel caso di specie, alle modalità temporali di stipulazione del
contratto, al mancato esercizio del potere di autotutela, pur
ripetutamente sollecitato dalla parte interessata, e più in generale al
vulnus che si assume arrecato all’affidamento maturatosi in capo
all’appellante incidentale, con correlativa violazione dei canoni di
imparzialità e correttezza).
P.
Q. M. Il
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede
giurisdizionale
non
definitivamente pronunciando sull’appello indicato in epigrafe, ne
rimette l’esame all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Così
deciso in Palermo, addì 16 dicembre 2004
dal
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede
giurisdizionale, in camera di consiglio, con l'intervento dei Signori:
Riccardo Virgilio
,
Presidente, Pier Giorgio Trovato,
Giorgio
Giaccardi, estensore, Antonino Corsaro, Francesco Teresi,
componenti. F.to: Riccardo Virgilio, Presidente F.to: Giorgio Giaccardi, Estensore F.to: Tistera Maria Assunta, Segretario Depositata in
segreteria il 8 marzo 2005
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