REPUBBLICA ITALIANA N.   2380     REG. DEC.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N.553/2002 REG. RIC.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE  PER LA CALABRIA, Catanzaro - Sezione Seconda, ANNO 2004

composto dai Signori:

Dott. Luigi Antonio ESPOSITO - Presidente

Dott. Pierina BIANCOFIORE – Componente

Dott. Ezio FEDULLO – Estensore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 553/2002, proposto da GUZZI Geom. Ermanno, titolare dell’omonima impresa di costruzioni, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Romano e dall’Avv. Francesco Bevilacqua, legalmente domiciliato presso la Segreteria del Tribunale in difetto di elezione di domicilio in Catanzaro;

contro

l’Azienda Sanitaria Locale n. 3 di Rossano, in persona del Direttore Generale p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Giancarlo Gentile, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Cosenza via Zanotti Bianco n. 8;

per la condanna

dell’amministrazione convenuta a risarcire il danno sofferto dal ricorrente mediante la corresponsione della somma di € 1.036.589,13, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 12 Novembre 2004 il dott. Ezio FEDULLO;

Uditi altresì gli avvocati come da verbale d’udienza;

Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue :

FATTO

Deducono i difensori del ricorrente che questi ha partecipato alla gara indetta dall’amministrazione intimata con bando del 31.1.1997 per l’aggiudicazione, secondo il criterio del massimo ribasso, dell’appalto avente ad oggetto i lavori di ristrutturazione ed ampliamento del presidio ospedaliero di Corigliano Calabro, fissando quale base d’asta l’importo di £ 7.202.513.690.

Allegano altresì che l’amministrazione aggiudicatrice, con delibera del Direttore generale n. 808 del 23.5.1997, ha aggiudicato definitivamente l’appalto all’impresa Perciaccante, avendo questa offerto un ribasso ( del 15,39% ) maggiore di quello ( del 9,83% ) offerto dall’impresa ricorrente.

Il provvedimento di aggiudicazione è stato fatto oggetto di impugnazione, ad iniziativa del ricorrente, dinanzi a questo Tribunale : il ricorso, incentrato sulla mancata esclusione dell’offerta presentata dall’impresa Perciaccante in ragione della sua anomalia, è stato tuttavia respinto con sentenza n. 777 del 22.12.1997.

La decisione è stata però riformata dal giudice di appello con pronuncia n. 1059 del 15.7.1998 : l’amministrazione appaltante quindi, adeguandosi al dictum giurisdizionale, con delibera n. 345 del 24.3.1999 ha aggiudicato all’impresa ricorrente i lavori non ancora eseguiti dall’impresa Perciaccante, per un importo netto di £ 6.241.388.692.

A sostegno della domanda di risarcimento formulata con il ricorso in esame, quindi, i difensori del ricorrente deducono, oltre al notevolissimo ritardo con il quale egli ha ottenuto l’aggiudicazione dei lavori, il minore importo di questi ultimi rispetto al quantum originario, a causa della parziale esecuzione già data all’appalto dall’impresa Perciaccante.

I profili di pregiudizio di cui viene chiesto il ristoro in forma equivalente attengono invece essenzialmente : 1) al mancato ammortamento delle spese generali sopportate dall’impresa ricorrente nel periodo 23.5.1997 – 27.4.1999; 2) al mancato utile sulla produzione contrattuale teorica nel periodo suindicato; 3) al mancato utile sull’importo dei lavori non aggiudicati all’impresa ricorrente perché già eseguiti dall’impresa Perciaccante; 4) alla perdita di chance determinata, da un lato, dall’impossibilità di far valere in occasione di altre gare il fatturato derivante dall’esecuzione dell’appalto in questione, dall’altro lato, dalla rinuncia ad ulteriori commesse imposta dall’esigenza di tenere impegnata la propria organizzazione aziendale per eseguire i predetti lavori; 5) all’aumento generale dei prezzi verificatosi nel periodo predetto, tale da modificare le condizioni di mercato avute in considerazione nella formulazione dell’offerta.

Il difensore dell’Azienda intimata si oppone all’accoglimento del ricorso; egli deduce, nell’ordine : 1) l’anteriorità dei fatti dedotti a fondamento dell’azione risarcitoria rispetto all’entrata in vigore delle fonti normative (in primis, l’art. 35, comma 1, d.lgs 31 marzo 1998 n. 80) da cui è germinato il principio di risarcibilità degli interessi legittimi; 2) la prescrizione del diritto azionato; 3) l’assenza dell’elemento colposo necessario per integrare la dedotta fattispecie risarcitoria; 4) la carenza di sufficiente dimostrazione dei profili lesivi allegati in ricorso.

All’esito dell’odierna udienza, quindi, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Il ricorrente, titolare di impresa operante nel settore delle costruzioni, si duole, reclamando il ristoro dei danni derivatine, della tardiva ( oltre che parziale ) aggiudicazione in suo favore, da parte dell’Azienda Sanitaria Locale n. 3 di Rossano, dell’appalto concernente i lavori di ristrutturazione ed ampliamento del presidio ospedaliero di Corigliano Calabro : appalto affidato in un primo tempo all’impresa Perciaccante, quindi, ma solo per effetto dell’annullamento del primigenio provvedimento di aggiudicazione sancito dal Consiglio di Stato con decisione n. 1059 del 15.7.1998, alla stessa ditta ricorrente.

La causa petendi dedotta a fondamento dell’azione risarcitoria rende opportuna la ricostruzione dei passaggi principali della vicenda che ha generato, secondo la prospettazione attorea, il diritto azionato con il presente ricorso.

Come accennato, l’amministrazione intimata ha indetto, con bando del 31.1.1997, gara di appalto per l’affidamento, mediante offerta del prezzo più basso e secondo i criteri di cui all’art. 1 lett. e) ed all’art. 5 l. n. 14/1973, dei lavori di ristrutturazione ed ampliamento del presidio ospedaliero di Corigliano Calabro, per un importo a base d’asta di £ 7.202.513.690.

Il bando richiamava le prescrizioni, in tema di esclusione automatica delle offerte anomale, dettate dall’art. 21, comma 1 bis, l. 11 febbraio 1994 n. 109, così come sostituito dall’art. 4 d.l. 31 dicembre 1996 n. 670, per gli appalti di lavori di importo inferiore alla soglia comunitaria : l’esclusione, secondo la lex specialis, avrebbe quindi colpito le offerte aventi ad oggetto “una percentuale di ribasso che superi di oltre un quinto la media aritmetica dei ribassi di tutte le offerte ammesse”.

Il meccanismo in tal modo congegnato è stato tuttavia ritenuto inapplicabile dalla commissione giudicatrice per non essere stato convertito in legge il d.l. n. 670/1996 che ne prorogava la vigenza (rispetto all’originario termine di validità fissato al 1° gennaio 1997) : dal che è conseguita, come si è detto, l’aggiudicazione dell’appalto in favore dell’impresa Perciaccante in ragione del maggiore ribasso offerto, come disposto con deliberazione del Direttore generale n. 808 del 23.5.1997.

Tale provvedimento è stato impugnato dall’impresa ricorrente con ricorso n. 1108/1997, incentrato in via principale sulla violazione della clausola del bando intesa ad escludere automaticamente le offerte da considerare anomale ai sensi delle richiamate disposizioni : il ricorso tuttavia, nonostante l’accoglimento della relativa istanza cautelare, è stato respinto con sentenza n. 777 del 22.12.1997.

L’organo giudicante in particolare, sul rilievo che “il bando di gara, a ben vedere, non prevede l’esclusione automatica delle offerte anomale quale propria autonoma statuizione, bensì solo in quanto tale esclusione corrisponde a quanto previsto” dalle disposizioni oggetto di rinvio, ha concluso nel senso che la retroattiva decadenza del d.l. n. 670/1996 non avrebbe potuto non riverberare i suoi effetti sulla richiamata clausola della lex specialis e sul meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale da essa ( per relationem ) contemplata.

La sentenza de qua, impugnata in appello dall’odierno ricorrente e dopo la sospensione cautelare della sua efficacia, è stata riformata con decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1059 del 15.7.1998.

Il giudice di seconda istanza ha in particolare escluso che la decadenza del d.l. n. 670/1996 avesse comportato “la caducazione ipso iure degli effetti della clausola del bando di gara, concernente il procedimento da seguire per la valutazione delle offerte anomale”, negando su di un piano generale la sussistenza di alcun diretto legame tra le sorti del decreto legge non convertito e quelle del provvedimento che sulla base dello stesso, e nel periodo della sua vigenza, sia stato adottato : sulla scorta di tali rilievi, quindi, ha sancito l’annullamento del provvedimento n. 808 del 23.5.1997, recante l’aggiudicazione dell’appalto in favore dell’impresa Perciaccante.

A seguito di ciò l’amministrazione sanitaria intimata, con delibera del Direttore generale n. 1642 del 15.9.1998, ha annullato – al fine di uniformarsi alla decisione del giudice di appello – il provvedimento di aggiudicazione suindicato : quindi, con deliberazione n. 345 del 24.3.1999, ha disposto l’aggiudicazione dell’appalto in favore dell’impresa ricorrente “per il prezzo netto di £ 6.241.388.692, determinato in considerazione dei lavori già eseguiti e al netto del ribasso dell’impresa Guzzi”.

In data 27.4.1999, infine, è stato stipulato il relativo contratto di appalto.

Venendo alle valutazioni del Tribunale, giova preliminarmente osservare che il diritto al risarcimento del danno derivante dall’azione illegittima della p.a., quindi correlato alla lesione di situazioni giuridiche ascrivibili al novero degli interessi legittimi, rinviene la sua disciplina nell’art. 2043 c.c. : ciò in ragione dell’assenza, nel rapporto intercorrente tra l’amministrazione agente ed il cittadino, dei connotati di immediatezza ed esclusività necessari per la configurazione come contrattuale della relativa fattispecie di responsabilità.

In tale quadro, emerge evidente l’esigenza di verificare, nel procedimento logico che conduce all’affermazione della responsabilità della p.a., la sussistenza, quale fattore di qualificazione della condotta lesiva, dell’elemento della colpa ( o del dolo ) dell’autore del danno, indice dell’attribuibilità soggettiva del fatto illecito al soggetto che vi abbia dato causalmente luogo.

Gli interpreti, nell’individuare il contenuto da assegnare al predetto requisito, hanno raggiunto un sufficiente grado di concordia intorno all’assunto secondo cui l’accertamento della colpa non può risolversi in quello relativo alla divergenza dell’atto amministrativo dai canoni di legittimità che ne presidiano la formazione : se così fosse, infatti, il requisito in discorso perderebbe ogni autonomia, dissolvendosi in quello concernente la ricostruzione del fatto lesivo ( “la responsabilità patrimoniale della p.a., pur quando si ricolleghi all’illegittimo esercizio di funzioni amministrative, implica in effetti un’autonoma indagine circa la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, posto che questa non è insita nel mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa e richiede piuttosto un accertamento puntuale in ordine al rispetto delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione che devono ispirarne la condotta” : Consiglio Stato, sez. IV, 19 dicembre 2003 n. 8364 ).

Ritiene il Tribunale che la predetta affermazione giurisprudenziale, pur esatta nei suoi contorni essenziali, si presti a qualche utile precisazione.

In particolare, non sembra che la colpa si identifichi in un elemento del tutto scisso da quello concernente la valutazione di legittimità dell’atto amministrativo fonte di lesione : essa semmai, per assolvere pienamente alla sua funzione disvelatrice di una situazione di particolare riprovevolezza della condotta lesiva, deve concretare un quid pluris, in termini di disvalore, che deve accompagnare la violazione delle norme disciplinatrici dell’azione amministrativa.

Ed invero, la locuzione utilizzata dalla prevalente giurisprudenza ( nel solco, peraltro, dell’indirizzo ermeneutico tracciato da Cass., SS. UU., 22 luglio 1999 n. 500 ) per definire il significato attribuibile alla nozione di colpa, nei termini della “violazione dei limiti imposti alla discrezionalità dal dovere di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione” (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 26 maggio 2004 n. 8998; T.A.R. Lazio, sez. II, 7 aprile 2004 n. 3266; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 27 gennaio 2004 n. 205), appare appunto manifestare il vulnus arrecato dal soggetto amministrativo nei confronti dei valori-cardine dell’attività pubblicistica.

Ritiene tuttavia il Tribunale che la formula appena richiamata, forgiata espressamente per le ipotesi in cui il potere spettante alla p.a. abbia natura discrezionale ( tanto che i doveri di comportamento nascenti dai principi di “imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione” appaiono anche letteralmente evocativi dei canoni generali cui, secondo l’elaborazione pretoria del vizio di eccesso di potere, deve ispirasi l’esercizio del potere discrezionale ), debba essere adattata alla diversa evenienza in cui il vizio causativo della illegittimità dell’atto amministrativo si annidi nelle componenti vincolate dal provvedimento lesivo : caso quest’ultimo cui si attagliano i fatti costituenti oggetto del presente giudizio, attesa l’estraneità di profili di discrezionalità alla questione ( di pura interpretazione ) concernente l’individuazione dei criteri di valutazione delle offerte anomale, sulla cui soluzione - come trasfusa dall’amministrazione intimata negli atti assunti a fonte della lesione lamentata – si appuntano i rilievi di illegittimità contenuti nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1059/1998.

Con riguardo a tale ipotesi, infatti, si tratta di accertare se, ed in quale misura, l’attività ermeneutica esplicata dall’amministrazione si sia svolta secondo canoni di diligenza ( professionale ), quali fossero le ragioni adducibili a sostegno delle tesi interpretative contrapposte ( ed il connesso livello di “drammaticità” dell’opzione ermeneutica prescelta ), se la scelta interpretativa non sia stata contaminata dal perseguimento di finalità eterogenee rispetto a quelle correlate all’oggettiva applicazione della legge, se – in ultima analisi – l’errore interpretativo sotteso all’adozione del provvedimento illegittimo non derivi da una lettura parziale, superficiale, illogica e distorta dei dati normativi rilevanti : circostanze queste rappresentative di una conduzione dell’attività interpretativa ( quale elemento costitutivo dell’azione amministrativa ) secondo modalità difformi dai citati canoni di “imparzialità, correttezza e buona amministrazione”, e del cui concreto verificarsi la chiarezza del disposto normativo oggetto di interpretazione rappresenta un sintomo evidente.

Ritiene il Tribunale che l’accertamento in questione, condotto con riguardo al provvedimento oggetto della presente controversia, sia destinato ad avere esito negativo.

Va subito precisato che non assume di per sé carattere decisivo, al fine di approdare a tale conclusione, la diversità degli esiti che, come si è visto, ha contraddistinto il giudizio instaurato dal ricorrente nei confronti degli atti all’origine dei danni lamentati : tale diversità infatti, pure ictu oculi indicativa di una situazione di incertezza interpretativa, non è idonea a chiarirne l’intensità né a palesare la natura delle ragioni ( più o meno gravi in termini giuridici ) sottese a ciascuna delle diverse soluzioni prospettabili con riguardo alla questione controversa.

Torna utile, invece, l’analisi della motivazione delle sentenze che si sono avvicendate : essa aiuta invero a saggiare la complessità dei temi coinvolti nella soluzione della controversia e quindi – di riflesso - nella formazione della scelta interpretativa compiuta dall’amministrazione intimata e trasfusa nel provvedimento posto a base dell’azione risarcitoria.

La questione interpretativa ( ché di questo si tratta, avendo essa ad oggetto la ricostruzione della regula iuris da applicare, nell’ambito della procedura di gara, in sede di valutazione delle offerte anomale ) attiene essenzialmente alla verifica dei riflessi prodotti dalla decadenza del d.l. n. 670/1996 – perché non convertito in legge nel termine prescritto, ex art. 77, comma 3, Cost. – sulla clausola del bando che, nel disciplinare il meccanismo di valutazione delle offerte anomale, faceva espressamente rinvio ai criteri di esclusione automatica dettati dall’art. 21, comma 1 bis, l. n. 109/1994, così come sostituito, appunto, dall’art. 4 d.l. citato.

In tale contesto viene in rilievo, quale fattore ritenuto ( dal giudice di primo grado ) decisivo a favore della tesi incentrata sul venir meno dell’efficacia ( oltre che del richiamato decreto legge ) della clausola suindicata, il carattere meramente ricognitivo, e non autonomamente  costitutivo, di quest’ultima quanto alla disciplina delle offerte anomale, mirando essa a recepire il contenuto delle norme di legge vigenti all’epoca della emanazione della lex specialis : una diversa lettura, afferma il Tribunale, oltre che essere frutto di una interpretazione “antiletterale” del bando, “sarebbe irragionevolmente in contrasto con la citata normativa, in quanto, appunto ex art. 77 Cost., un decreto legge non convertito ( ed i cui effetti provvisori non siano comunque stati fatti salvi da una legge ) decade ex tunc”.

Osserva quindi il giudicante che “non si vede perché tra due possibili esegesi del bando di gara, una conforme sia al suo tenore letterale sia a Costituzione, l’altra difforme da entrambi, non debba eleggersi la prima piuttosto che la seconda” : né, si aggiunge, potrebbe sostenersi la vigenza di una regola prescrivente l’esclusione automatica delle offerte “che presentino una percentuale di ribasso che superi di oltre un quinto la media aritmetica dei ribassi di tutte le altre offerte ammesse”, potendo tale regime – previsto dall’art. 21, comma 1 bis, ult. per. l. n. 109/1994 - trovare applicazione “solo fino alla data del 1.1.1997”.

Per finire, il giudice di primo grado esclude che la mancata applicazione del predetto meccanismo di esclusione automatica si traduca ( citando il contenuto del ricorso ) in una “inammissibile violazione della par condicio dei partecipanti alla gara d’appalto”, in base alla considerazione che queste avrebbero calibrato le offerte “con riferimento al sistema di gara previsto nel bando ed alle norme legislative in esso richiamate”, dal momento che “il principio generale della gara nei procedimenti di scelta del contraente secondo i criteri della cd. evidenza pubblica non ha per scopo quello di far vincere il partecipante più dotato di “intuito” nella formulazione dell’offerta più prossima, per eccesso, al limite di anomalia”, ma “mira a selezionare l’offerta più economica per l’amministrazione”, dovendo “ciascuna ditta partecipante offrire il compimento dell’opera al prezzo più basso possibile, compatibilmente con la necessaria qualità tecnica della propria prestazione”.

L’esito del giudizio è, come già detto, la reiezione delle censure articolate dal ricorrente avverso il provvedimento di aggiudicazione in favore dell’impresa Perciaccante, di cui il meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale – come disciplinato dall’art. 21, comma 1 bis, ult. per. l. n. 109/1994, sostituito dall’art. 4 d.l. n. 670/1996 – avrebbe invece sancito l’estromissione dalla gara.

Opposte, come accennato, le conclusioni cui è pervenuto il giudice d’appello.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 1059/1998 infatti, pur affermando l’inapplicabilità del d.l. n. 670/1996, nega che la sua decadenza abbia potuto produrre effetti travolgenti nei confronti della clausola del bando che vi faceva rinvio : ciò in applicazione del “principio per cui un provvedimento amministrativo per sua natura autoritativo, adottato sulla base di leggi amministrative di un settore ed i cui effetti sono determinati anche da un decreto legge, non perde tale natura ed i suoi effetti per il solo fatto che il decreto legge non sia stato convertito”.

Inoltre, il giudice di secondo grado fa leva, per ribadire la perdurante efficacia della clausola del bando, sulle “esigenze di trasparenza e di par condicio che caratterizzano una gara d’appalto, il cui procedimento deve basarsi sulle regole originariamente fissate nel bando”.

Quanto poi all’argomento, speso dall’amministrazione negli scritti difensivi, secondo cui la decadenza del decreto legge avrebbe “eliminato l’unico e necessario presupposto legittimante per la previsione di un meccanismo di esclusione automatica”, il giudice di appello ne confuta la fondatezza osservando che nel “vuoto normativo” venutosi a creare – alla data di adozione del bando - per effetto della decadenza del citato decreto legge, l’amministrazione era titolare del potere ( di fatto esercitato con la clausola contestata ) di “inserire nel bando uno specifico criterio sul rilievo dell’anomalia dell’offerta”, tanto più in considerazione del fatto che “il principio informatore della disciplina ( transitoria ed a regime ) degli appalti infracomunitari è costituito dalla procedura dell’esclusione automatica”.

Come è agevole constatare, la motivazione della sentenza n. 1059/1998, nel sancire l’illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado, si fonda su di un duplice ordine di considerazioni, suscettibili di venire in rilievo ai fini del giudizio di colposità dell’azione amministrativa fonte dei danni lamentati dal ricorrente.

Da un primo punto di vista, viene in rilievo la tesi della perdurante efficacia della clausola del bando contenente la previsione di un meccanismo automatico di esclusione delle offerte anomale, nonostante la decadenza del decreto legge da essa all’uopo richiamato.

Ebbene, non sembra – sotto tale aspetto - che la diversa conclusione cui è pervenuta l’intimata amministrazione sia tale da consentire di configurare come colposa la relativa scelta interpretativa : basti al riguardo richiamare i rilievi svolti dal giudice di primo grado in ordine alla matrice letterale e costituzionalmente conforme della predetta soluzione ermeneutica per rimarcarne con sufficiente nettezza la plausibilità e ragionevolezza.

Quanto al secondo ordine di considerazioni sulle quali si regge la decisione di secondo grado, esse sono intese ad evidenziare come la tesi dell’amministrazione ( così come esposta negli scritti difensivi ), secondo cui non sussisterebbe – venuto meno il d.l. n. 670/1996 – alcun titolo normativo atto a legittimare, nella disciplina degli appalti infracomunitari, un meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale, non sia fondata.

A tale riguardo, tuttavia, sono sufficienti – per concretizzare i profili di scusabilità dell’errore interpretativo commesso al riguardo dall’amministrazione ( ed esplicitato nella sede difensiva ) – gli stessi rilievi formulati dal giudice di appello laddove, nel richiamare ( con il chiaro intento di condividerne le valutazioni ) le acquisizioni della “più accorta dottrina”, evidenzia come “in materia il conditor iuris non abbia rispettato il principio di chiarezza, cui si deve attenere l’ordinamento, in ragione degli interessi pubblici e privati coinvolti, anche per evitare un diffuso contenzioso”.

Né vale osservare che i principi affermati nell’occasione dal Consiglio di Stato risultano confermativi di analoghe prese di posizione assunte sul punto, tali da consentire all’amministrazione di dirimere i predetti dubbi interpretativi : trattasi invero di decisioni di matrice cautelare del tutto irrilevanti a tale scopo, essendo successive allo svolgersi dei fatti di causa ( cfr. al riguardo i precedenti richiamati a pag. 19 della sentenza n. 1059/1998 ).

L’indagine svolta deve concludersi osservando che, in ogni caso, nessuna concreta allegazione è stata sviluppata in ricorso al fine di concretizzare il requisito soggettivo della fattispecie risarcitoria : sì che il ricorso, alla luce dei rilievi svolti, non può che essere respinto.

Possono dichiararsi assorbite le eccezioni articolate dalla difesa di parte resistente.

Sussistono giuste ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria – Catanzaro, Sezione Seconda, respinge il ricorso.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella Camera di Consiglio del 12 Novembre 2004.

            

             L’estensore                                                   Il Presidente

    Dott. Ezio FEDULLO                          Dott. Luigi Antonio ESPOSITO 

Depositata in Segreteria il 14 dicembre 2004