T.A.R. Lombardia–Milano – Sez. III - Sentenza 14 ottobre 2005, n. 3795 

                          N.                     /05  Reg.Sent.

N.  n.                781/05     Reg. Ric.

 

  REPUBBLICA ITALIANA

  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione 3a ha pronunciato la seguente

  SENTENZA

sul ricorso n.781/05 proposto da

ASSOGAS – ASSOCIAZIONE NAZIONALE INDUSTRIALI PRIVATI GAS E SERVIZI COLLATERALI, con sede in Milano in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore

EROGASMET s.p.a., con sede in Roncadelle in persona del suo Amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore

ITALCOGIM RETI s.p.a., con sede in Milano in persona del suo Amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore

tutte rappresentate e difese dall’avv. Fabio Todarello, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, piazza Velasca 4

  contro

  COMUNE di CAVARIA CON PREMEZZO

in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Claudio Netti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Pietro Bembo in Milano, corso di Porta Vittoria 17

  e nei confronti di

  GEI – GESTIONE ENERGETICA IMPIANTI s.p.a.

  con sede in Crema in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita

  per l’annullamento

  degli atti di gara per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas metano nel territorio comunale, e in particolare:

  visto il ricorso notificato in data 14 marzo 2005 e depositato in data 21 marzo 2005;

  visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cavaria con Premezzo;

  viste le memorie difensive delle parti;

  uditi alla pubblica udienza del 29 giugno 2005, relatore il cons. Domenico Giordano, l’avv. Fabio Todarello per le ricorrenti e l’avv. Sara Siconi, in delega, per l’amministrazione comunale;

  visti gli atti tutti della causa;

  ritenuto quanto segue in:

  FATTO e DIRITTO

  1) All’approssimarsi del 31 dicembre 2004, data di scadenza della concessione rilasciata a GEI s.p.a. per il servizio di distribuzione del gas nel territorio comunale, il Comune di Cavaria con Premezzo. con deliberazione C.C. n.57 del 30 novembre 2004, assunta in applicazione del D.Lgs. n.164/2000, ha disposto l’avvio della procedura di gara per il nuovo affidamento del servizio per il periodo di dodici anni.

  In tale deliberazione, l’amministrazione comunale ha affrontato la questione relativa al rimborso da riconoscere al gestore uscente per le opere realizzate nel corso della concessione; a questo riguardo, muovendo dal presupposto che la scadenza di detta concessione era fissata all’interno del periodo transitorio previsto dal suindicato decreto, e pur ritenendo che – di conseguenza - nella fattispecie dovesse trovare applicazione il metodo del calcolo del valore residuo degli ammortamenti, previsto dall’art.14, ottavo comma, del decreto, tuttavia - a fronte dell’opposizione manifestata (con nota in data 30 settembre 2004) dal gestore, che aveva sostenuto invece l’applicabilità del diverso sistema di calcolo di cui all’art.15 quinto comma, ha stabilito di rimettere al futuro concessionario la scelta tra la facoltà “di costruire un impianto interamente nuovo o di utilizzare parte degli impianti esistenti prescelti dal medesimo ed acquistati dall’attuale concessionario sulla base di prezzi da concordarsi esclusivamente tra le parti”.

  Detto indirizzo veniva successivamente ribadito con deliberazioni n. 233 e n.234 del 14 dicembre 2004, con le quali la Giunta comunale ha mandato al Responsabile del servizio tecnico comunale di procedere all’espletamento della gara e ha approvato il progetto preliminare per la costruzione della nuova rete di distribuzione del gas.

  Infine, con determinazione 27 dicembre 2004 n.464 del dirigente responsabile è stato approvato il bando di gara per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas metano nel territorio comunale.

  Nel bando venivano trasfusi i suindicati indirizzi degli organi collegiali e venivano altresì fissati i requisiti soggettivi di partecipazione; in particolare, l’art. 9.4 ha stabilito, con riguardo al numero di utenze, che i concorrenti avrebbero dovuto attestare di aver fornito prestazioni in ambito territoriale “in cui sia compreso un numero di utenti complessivamente non inferiore a 5.000” e, con riguardo al fatturato, di aver realizzato negli ultimi tre esercizi “un valore complessivo minimo per attività di servizio di distribuzione gas di € 1.000.000,00”.

  Il bando, al capo “precisazioni”, ha poi previsto che “il gestore non potrà avanzare alcuna pretesa di revisione del corrispettivo” da riconoscere in favore del Comune.

  2) Con il ricorso in epigrafe ASSOGAS, associazione che riunisce le imprese operanti nelle attività della filiera del gas, nonché EROGASMET s.p.a. e ITALCOGIM RETI s.p.a., società entrambe attive nel settore della distribuzione del gas, hanno impugnato gli atti di indizione della gara, assumendone l’illegittimità per plurimi motivi.

  In particolare le esponenti sostengono che:

  a) i requisiti soggettivi richiesti per l’ammissione alla gara, e concernenti il numero degli utenti medi annui serviti e il fatturato annuo minimo, sono del tutto sproporzionati e irragionevoli, rispetto alle dimensioni dell’appalto, così da determinare ingiustificate e intollerabili “barriere all’ingresso”, in violazione del principio della massima partecipazione alla gara e della libertà di concorrenza. In particolare, il requisito relativo alle utenze, richieste in numero di 5.000, appare sproporzionato rispetto al numero di 1.917 utenze presenti nel territorio comunale. Analoghi rilievi sono stati sviluppati con riguardo al requisito riferito al fatturato globale prodotto negli ultimi tre esercizi, che è stato richiesto per l’ammontare di un milione di euro, pari al valore presunto del servizio per l’intero periodo di concessione, avente durata di dodici anni.

  Illegittime si palesano altresì le prescrizioni relative ai requisiti concernenti le capacità tecnico organizzative pertinenti all’esecuzione dei lavori, in quanto la dichiarazione attestante il possesso della certificazione SOA, richiesta dall’art.11, rende superflua l’ulteriore dichiarazione di cui al punto 9.5 del bando, che prevede peraltro il possesso della qualifica per la categoria OG6 per importi corrispondenti alla III classifica, a fronte di lavori da realizzare per importi che richiederebbero la IV qualifica superiore, con conseguente indeterminatezza del bando. Questo, inoltre, ha prescritto una serie di requisiti incrociati pesantemente limitativi ai fini della partecipazione alla gara e tra loro difficilmente compatibili, poiché relativi a due attività tra loro eterogenee, come il servizio di distribuzione del gas e l’esecuzione di lavori, che non possono sussistere in capo al medesimo soggetto e non possono essere pretesi nella misura del 60% in capo alla sola mandataria, pena lo snaturamento dell’istituto dell’associazione temporanea;

  b) il meccanismo escogitato dall’amministrazione comunale, in forza del quale i concorrenti potranno scegliere se realizzare una nuova infrastruttura o acquisire gli impianti esistenti a mezzo di libera contrattazione con il gestore uscente, è illogico, intrinsecamente contraddittorio e contrastante con il dato normativo vigente. Infatti, nel caso di nuova costruzione della rete, si determinerebbe la duplicazione dell’infrastruttura e l’abbandono di un impianto esistente e funzionante, con lesione del diritto del gestore uscente a percepire il rimborso del valore industriale degli impianti; invece la previsione che rimette ai concorrenti la facoltà di acquisire la rete sulla base di libere trattative con il gestore introduce elementi distorsivi nella procedura, che risulta indeterminata quanto agli oneri a carico dell’aggiudicatario, e discrimina i concorrenti, a vantaggio del gestore uscente che non dovrà sopportare gli oneri aggiuntivi di acquisto della rete;

  c) l’esclusione del diritto dell’aggiudicatario a conseguire la revisione del corrispettivo costituisce violazione del principio generale dell’ordinamento che consente di riequilibrare il sinallagma contrattuale, qualora nel corso del periodo di affidamento, che nella specie ha la non breve durata di dodici anni, dovessero sopravvenire situazioni, non ascrivibili a responsabilità del gestore, che incidano sull’equilibrio contrattuale determinando l’insorgere di condizioni antieconomiche.

  3) Il Comune di Cavaria con Premezzo si è costituito in giudizio, deducendo con memoria plurimi profili di inammissibilità del ricorso e l’infondatezza del gravame.

  Con ordinanza n.825 del 6 aprile 2005, è stata accolta la domanda cautelare presentata con il ricorso.

  Con memorie depositate in prossimità dell’udienza di discussione, le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni.

  All’udienza, la controversia è stata affidata alla decisione del Collegio.

  4) In via preliminare, si rende necessario procedere all’esame delle eccezioni che sono state formulate in rito dall’amministrazione comunale resistente.

  5) E’ stata dedotta l’inammissibilità del ricorso collettivo per l’esistenza di una situazione di conflitto di interessi tra le parti.

  Ad avviso dell’amministrazione resistente, con riguardo alla contestazione dei requisiti di ammissione alla procedura di gara, l’associazione di categoria si troverebbe in una situazione di conflitto di interessi rispetto alle altre due società ricorrenti che possiedono i requisiti prescritti dal bando e, come si attesta nel verbale del 25 marzo 2005, sono state ammesse a partecipare alla gara oggetto dell’impugnativa.

  Il Collegio giudica fondata l’eccezione.

  Al riguardo occorre innanzitutto richiamare il principio secondo cui il ricorso che sia stato proposto congiuntamente da una pluralità di soggetti è ammissibile solo a condizione che non sussista un conflitto di interessi tra i ricorrenti, nel senso che l’interesse sostanziale fatto valere dalle parti non deve presentare punti di contrasto o conflitto, poiché l’eventuale accoglimento del gravame avanti al giudice amministrativo deve poter tornare a vantaggio di tutti.

  Il ricorso collettivo, quindi, è ammissibile a condizione che non sussista conflitto di interessi fra i ricorrenti non soltanto al momento della impugnazione, ma anche nel prosieguo del giudizio (cfr., in tal senso, CdS, IV, 17 luglio 2000, n.3927).

  Va, in proposito, ricordato che si verte in una situazione di conflitto di interessi tra i ricorrenti, che preclude l’ammissibilità del ricorso giurisdizionale, allorché l’accoglimento del ricorso, con il consequenziale annullamento dell’atto impugnato, determinerebbe come propria conseguenza immediata e diretta quella di giovare ad alcuni soggetti e di nuocere, in modo chiaro ed evidente, contemporaneamente, ad altri ricorrenti.

  In questa prospettiva, il vantaggio per alcuni dei ricorrenti e lo svantaggio per altri, devono costituire, perché sussista il conflitto di interessi, un effetto evidente, immediato e diretto della statuizione di accoglimento, e non invece, una semplice possibilità connessa con l’attività dell’amministrazione successiva all’annullamento giurisdizionale (cfr. CdS, VI n.4873/03).

  Nella fattispecie in esame è possibile registrare detta situazione di conflitto, ostativa all’ammissibilità della domanda di annullamento (nelle parti relative alle condizioni di ammissione alla gara), atteso che l’interesse dell’associazione a prospettare l’illegittimità delle clausole del bando che, prevedendo restrittivi requisiti di partecipazione, limitano le possibilità di accesso per le imprese aderenti, collide con quello delle società ricorrenti, che - essendo state ammesse a prendere parte alla selezione - non hanno interesse a contestare i requisiti di ammissione fissati nel bando di gara e a conseguire, quale risultato dell’impugnativa, l’annullamento delle clausole contestate, la riedizione della procedura e il conseguente ampliamento della platea dei possibili concorrenti.

  La rilevata carenza di legittimazione al ricorso sussiste con riferimento alle specifiche censure esposte nella parte in “diritto” nella sezione A del ricorso essendo evidente che l’associazione di categoria deducendo tali doglianze ha del tutto trascurato la posizione delle altre due ricorrenti, le quali vantano un interesse diametralmente opposto all’accoglimento di tali motivi.

  6) Una successiva eccezione prospetta l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse; si sostiene, al riguardo, che le residue censure, relative alla previsione del nuovo impianto da realizzare e all’esclusione della revisione del corrispettivo, non precludono la partecipazione alla procedura, ma attengono a profili che riguardano la fase successiva alla selezione concorsuale e, quindi, non sono suscettibili di provocare una lesione caratterizzata dai requisiti dell’immediatezza, della concretezza e dell’attualità.

  L’eccezione è infondata.

  A parere del Collegio, la verifica circa la consistenza dell’interesse all’impugnativa deve trovare esito positivo, avuto riguardo alla concreta fisionomia della procedura in contestazione e all’interesse dedotto in giudizio, che è volto ad impedire lo svolgimento della gara alle condizioni fissate nella lettera di invito, denunciate come gravose e ingiustificatamente discriminatorie, nell’intento di conseguire, in esito all’auspicata pronuncia di annullamento, la riedizione della procedura in un quadro di regole che si rivelino idonee non solo a garantire la redditività della gestione, ma che soprattutto non prevedano – a carico dei concorrenti - oneri suscettibili di determinare barriere all’ingresso di nuovi competitori nel mercato reso contendibile del servizio pubblico di distribuzione del gas.

  In tale quadro, la lesività delle clausole contestate non si manifesta con l’aggiudicazione, ma nel momento anteriore in cui esse sono assunte come regole della procedura ed acquistano il valore proprio di arresto procedimentale per l’impresa che non intenda affrontare il rischio di rendersi aggiudicataria di un rapporto contrattuale che comporti l’assunzione di oneri impropri.

  La presentazione dell’offerta, infatti, implica l’accettazione incondizionata delle prescrizioni che regolano la gara e il successivo svolgimento del rapporto, essa, quindi, determina l’insorgenza di un vincolo che deve essere contestato immediatamente dall’impresa che intenda sottrarsi ai relativi oneri.

  In casi del genere, il bando manifesta una diretta lesività, dal momento che, attraverso condizioni idonee a determinare barriere all’ingresso, pregiudica di fatto la formulazione di un’offerta che possa costituire frutto di una valutazione attendibile e non aleatoria degli investimenti e degli oneri che l’assunzione del servizio comporta.

  La lesione dell’interesse alla partecipazione non diviene quindi attuale a conclusione della procedura di gara, ma si determina con immediatezza per effetto delle clausole contenute nella lettera di invito, che – precludendo la possibilità di formulare attendibili previsioni di investimento e di riequilibrare il sinallagma contrattuale - sono suscettibili di immediata impugnazione.

  7) Con altra eccezione si contesta l’inammissibilità del ricorso proposto da ASSOGAS nella persona del suo Presidente, il quale - seppure dotato del potere di rappresentanza giudiziale – non sarebbe tuttavia titolare di potere decisionale in ordine all’instaurazione della lite, che compete unicamente all’assemblea. Secondo la difesa comunale, la mancata esibizione in giudizio dell’atto autorizzativo dell’organo associativo competente alla proposizione del giudizio renderebbe inammissibile il ricorso.

  Ritiene il Collegio che la questione abbia rilevanza anche se l’eccezione non può impedire l’esame del ricorso nel merito, non essendo dubbio che le altre due ricorrenti siano legittimate ad impugnare a titolo individuale le clausole di cui trattasi. La questione deve essere comunque affrontata prima di esaminare necessariamente la causa nel merito, al fine di rendere la sentenza fra le effettive parti legittimate .

  Con riguardo alla questione relativa al mancato deposito da parte dell’associazione ricorrente della delibera assembleare di autorizzazione all’instaurazione del giudizio, va evidenziato che i principi relativi alla formazione della volontà processuale degli enti pubblici (deliberazione della lite da parte dell’organo volitivo e successiva produzione in giudizio) non sono applicabili nei ricorsi proposti dalle associazioni private, il cui rappresentante legale (salvo i casi eccezionali in cui lo statuto associativo attribuisca la rappresentanza legale all’assemblea o ad altro organo collegiale, devolvendone il solo esercizio al Presidente) ha piena capacità di compiere tutti gli atti - ivi compresi quelli processuali - che rientrino nell’oggetto sociale (cfr. CdS V, 10 maggio 1988 n. 321; id., 17 aprile 2002 n.2010).

  In ogni caso, un’eventuale inosservanza delle regole statutarie inerenti alle modalità di instaurazione della lite non incide sulla validità degli atti compiuti dal Presidente, cui lo Statuto (art.16) riconosce la capacità di agire e resistere in giudizio in rappresentanza dell’associazione, ma può assumere esclusivamente valore interno, sul piano della responsabilità del Presidente verso l’associazione medesima.

  In difetto di una diversa attribuzione, non rinvenibile nello Statuto dell’Associazione ricorrente, la legittimazione processuale attiva spetta quindi al Presidente (cfr., per il principio, CdS V 27 ottobre 1995 n.1485).

  Ne discende l’infondatezza dell’eccezione.

  8) Risolte le questioni preliminari, residua all’esame del collegio in primo luogo la contestazione riferita al meccanismo, introdotto negli atti di gara, in forza del quale i soggetti partecipanti alla procedura potranno “scegliere liberamente se costruire completamente un nuovo impianto (comprese le derivazioni di utenza fino al contatore) o realizzare in parte un nuovo impianto per le parti innovative e, per una parte del territorio, acquisire dall’attuale concessionario gli impianti necessari, comprese le derivazioni di utenza, a condizioni che debbono essere concordate liberamente fra il concessionario attuale e quello che si aggiudicherà la futura concessione per 12 anni”.

  Siffatta impostazione della procedura di gara appare illegittima per i motivi denunciati nei profili di censura esposti nella sezione B del ricorso.

  9) Essa manifesta, in primo luogo, un’intrinseca contraddittorietà.

  In forza dell’art.14, sesto comma, del D.Lgs. n.164 del 2000, l’ente locale è chiamato a garantire che il servizio di distribuzione del gas venga espletato “nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali… e di sicurezza” e, a tal fine, deve selezionare il soggetto cui affidare l’esecuzione del servizio, sulla base, tra l’altro, “del livello di qualità e sicurezza, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione”.

  Non è dubbio, quindi, che l’amministrazione comunale debba considerare lo stato di vetustà della rete di distribuzione esistente e, qualora accerti che le condizioni strutturali e funzionali degli impianti non consentano l’erogazione del servizio nel rispetto degli standard di qualità e sicurezza, sia tenuta, nel procedere all’indizione della gara per l’affidamento del servizio, a prevedere, tra gli obblighi da porre a carico del nuovo affidatario, quello di realizzare ex novo la rete di distribuzione.

  La necessità di garantire che le scelte amministrative siano sempre improntate ai principi di economicità e di impiego controllato delle risorse pubbliche esige tuttavia che la determinazione di dismettere l’infrastruttura esistente e di procedere al suo integrale rinnovo risulti sorretta da una previa indagine circa l’inutilizzabilità dell’impianto preesistente, dovendosi invero ritenere illogica la duplicazione di una infrastruttura funzionante ed efficiente.

  Nel caso di specie, l’analisi degli atti comunali rivela come sia mancata una puntuale verifica tecnica circa la funzionalità della rete di distribuzione, ma soprattutto smentisce l’asserita necessità di porre in disuso l’impianto esistente.

  In difetto di più concreti rilievi circa disservizi prodotti dall’attuale rete di distribuzione per dispersioni nella portata, cadute dei valori di pressione o per inconvenienti di altra natura (cui gli atti comunali non operano alcun accenno), si rivelano affatto generiche le osservazioni riferite al tempo trascorso dalla posa degli impianti e al notevole sviluppo urbanistico registrato nel frattempo nel Comune, trattandosi di aspetti che caratterizzano una molteplicità di situazioni locali, ma in sé inidonee a giustificare la necessità di costruire un nuovo impianto.

  La sostanziale inutilità di tale duplicazione si coglie dalla stessa disciplina contenuta nel bando di gara, laddove si ammette la possibilità di procedere, in alternativa alla nuova costruzione, al semplice “adeguamento alle normative vigenti di tutto o di parte dell’impianto esistente” (punto 2, 1° cpv.) e si rimette alla scelta dei concorrenti la facoltà di “acquisire dall’attuale concessionario gli impianti necessari, comprese le derivazioni d’utenza” (premessa, 3° cpv.), nonché dalla delibera consiliare n.57/04, che pone a carico della concessionaria uscente, in caso di partecipazione alla gara, l’obbligo non di ricostruire la rete di distribuzione, ma solo di “adeguare gli impianti esistenti”.

  Risulta chiaro da tali disposizioni che l’infrastruttura esistente richiede soltanto gli interventi di revisione necessari a conformare gli impianti alla normativa tecnica vigente e le opere di ampliamento della rete per la fornitura del servizio alle nuove utenze; il che rende palese l’illogicità della previsione del bando con cui si richiede la ricostruzione integrale della rete di distribuzione.

  10) L’esame degli atti di gara consente altresì di scorgere come la determinazione di far ricorso al singolare meccanismo predisposto dall’amministrazione comunale, che ha rimesso ai concorrenti l’opzione tra la realizzazione di un nuovo impianto e l’acquisizione di quello preesistente al prezzo “da concordarsi esclusivamente tra le parti”, sia stata occasionata dal contrasto insorto circa il metodo di determinazione del rimborso da riconoscere al concessionario uscente per l’acquisizione degli impianti.

  Secondo l’ente locale, detto rimborso avrebbe dovuto calcolarsi in applicazione del parametro del valore residuo di bilancio, introdotto dall’art.14, ottavo comma, del decreto Letta, mentre secondo la società affidataria doveva determinarsi con il criterio della stima industriale di cui all’art.24 R.D. n.2578/25.

  L’amministrazione comunale, ritenendo non dovuto il rimborso calcolato sulla base del criterio di stima industriale e dopo aver dato atto dei “tentativi infruttuosi di negoziare un’intesa con la società attualmente concessionaria, la quale ha avanzato rivendicazioni economiche ritenute inaccettabili”, ha escogitato una soluzione volta ad escludere la necessità di procedere all’acquisizione degli impianti realizzati dal gestore uscente e di corrispondere quanto dovuto a titolo di rimborso.

  Il che, come fondatamente dedotto dalle ricorrenti, denota anche che l’indicazione per la formazione di una nuova rete distributiva fosse in realtà diretta a perseguire il fine sviato di sottrarre l’amministrazione agli oneri finanziari connessi al rapporto precedente.

  11) Senonché, il passaggio al nuovo regime introdotto dalla riforma del settore non può certo costituire l’occasione per affrancare l’ente locale dai pregressi impegni convenzionali assunti nei confronti del gestore uscente.

  In proposito il decreto, al fine di accelerare i processi di liberalizzazione nel mercato interno del gas naturale, ha modificato la durata delle concessioni in corso, disponendo la cessazione dei rapporti alla scadenza del periodo transitorio, ma non ha inciso sulle condizioni economiche pattuite dalle parti per la devoluzione della rete al termine dell’affidamento.

  Deve quindi ritenersi che tale profilo, il quale attiene propriamente ai rapporti tra ente concedente e gestore uscente, resti regolato dalla convenzione che accede alla concessione in scadenza, con la conseguenza che, qualora le pattuizioni intervenute tra le parti prevedano la devoluzione onerosa degli impianti al termine del rapporto, i relativi oneri di riscatto dovranno ricadere sull’ente concedente e dovranno determinarsi secondo i criteri di calcolo stabiliti nelle clausole convenzionali (o, in mancanza di queste, e qualora non sia desumibile una diversa volontà delle parti, in applicazione dei criteri previsti dall'art. 24 cit.), rimanendo in ogni caso fuori dal rimborso dovuto al gestore uscente la valutazione del mancato profitto derivante dalla conclusione anticipata dell’affidamento o della concessione.

  Ne consegue che, in forza delle clausole contenute nell’art.2 della convenzione regolante il servizio di distribuzione (approvata, con delibera consiliare n.15 del 26 marzo 2002, già in vigenza del decreto Letta), che prevedono la reversibilità onerosa dell’impianto alla scadenza del rapporto, il Comune è tenuto a liquidare al gestore uscente un corrispettivo parametrato al valore industriale residuo degli impianti, determinato in applicazione dei metodi di calcolo definiti dall’art.13 del D.P.R. n.902/86, ovvero – in caso di dissenso sulla misura del rimborso - a mezzo della procedura arbitrale prevista dall’art.17 della convenzione.

  In proposito, deve essere senz’altro condivisa l’affermazione contenuta nella deliberazione consiliare n.57/04, secondo cui “l’amministrazione comunale non può prevedere quale obbligo nel bando di gara che il nuovo esercente versi all’attuale concessionario la somma” da questi pretesa a titolo di valore industriale residuo dell’impianto.

  In forza dell’art.15, quinto comma, del decreto, l’obbligo del nuovo gestore di riconoscere un rimborso parametrato al valore industriale degli impianti è espressamente previsto soltanto “in quest’ultimo caso”, e cioè con riferimento ai soli rapporti soggetti a scadenza anticipata; ma non è riferibile alle concessioni a scadenza naturale, come quella intercorsa tra il Comune e il gestore uscente, che ha avuto termine al 31 dicembre 2004 e, quindi, all’interno del periodo transitorio.

  Con riguardo ai rapporti aventi scadenza (non anticipata, ma) compresa entro i termini fissati per il periodo transitorio, il Collegio evidenzia come non si ponga l’esigenza di indennizzare il gestore uscente dell’abbreviazione d’imperio della durata delle pregresse concessioni e di prevenire l’insorgere del conseguente rischio di alterazione dell’equilibrio economico della gestione basato sull’aspettativa ad un rapporto di maggiore durata, con oneri da porre a carico del nuovo gestore a compensazione del vantaggio che lo jus superveniens assicura ai nuovi operatori per effetto della possibilità di accesso anticipato, rispetto al termine di scadenza della concessione, al mercato dei servizi di distribuzione del gas.

  Con riguardo ai suindicati rapporti, come già annotato, l’art.15, quinto comma prima parte, non reca previsioni circa gli oneri da porre a carico del nuovo gestore per il passaggio degli impianti.

  Nel silenzio della legge, deve quindi escludersi la possibilità di obbligare il nuovo distributore a sostenere i costi necessari all’acquisizione della rete di distribuzione.

  Il che, nell’ottica liberalizzatrice del decreto Letta, non è senza ragione.

  La previsione di ingenti costi iniziali (per di più da riconoscere in favore dei precedenti gestori, i quali – a norma del decimo comma dell’art.15 – possono partecipare alle gare indette per l’affidamento del servizio, in concorso con i nuovi operatori) è infatti idonea a determinare effetti distorsivi del confronto concorrenziale, in quanto altera le condizioni di partenza, a vantaggio dei distributori uscenti, con l’effetto di ostruire di fatto l’accesso alla gestione del servizio da parte di nuovi soggetti.

  Deve quindi concludersi nel senso che, in conformità alle previsioni di cui all’art.14, quarto comma, del decreto, le reti realizzate dai titolari di concessioni soggette a scadenza naturale devono essere trasferite, al termine del rapporto, in proprietà dell’ente locale alle condizioni fissate nella convenzione stipulata tra le parti, senza che i relativi oneri possano essere trasferiti a carico del nuovo distributore.

  12) L’ultima questione che il Collegio deve affrontare riguarda la lamentata violazione del principio dell’ordinamento che consente il riequilibrio del sinallagma contrattuale, qualora nel corso dell’affidamento intervengano condizioni che incidano su detto equilibrio. Le ricorrenti sostengono, in particolare, che le prescrizioni contenute nel bando di gara e nello schema del contratto di servizio presentano elementi di contraddittorietà e di indeterminatezza, in quanto il meccanismo di revisione del corrispettivo, che l’art.18, terzo comma, del contratto di servizio prevede nel caso in cui la remunerazione annuale subisca variazioni superiori al 20% delle condizioni economiche, risulta “sconfessato” dalle previsioni contenute nel bando (segnatamente alle pagg. 3, 4 e 7), che invece escludono ogni forma di revisione del corrispettivo.

  Al riguardo il Collegio, rilevata la sussistenza della evidenziata contraddizione tra le previsioni della lex specialis, giudica necessario che, in sede di rielaborazione della disciplina di gara dopo l’annullamento disposto con la presente decisione, l’amministrazione comunale risolva la denunciata antinomia, tenendo conto della necessità di prevedere un meccanismo che consenta, in caso di modifiche incidenti sulle condizioni economiche definite in sede di gara, di mantenere inalterato l’equilibrio economico tra le reciproche prestazioni quale raggiunto al momento della stipulazione del contratto di servizio, il che risponde anche all’esigenza di assicurare la conservazione degli standard di qualità stabiliti in sede di aggiudicazione della gara.

  13) Per tutte le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, nella parte diretta a contestare i requisiti di ammissione alla gara, mentre deve essere accolto nelle restanti parti, con conseguente annullamento delle previsioni del bando di gara, che rimettono ai concorrenti la scelta tra la realizzazione di una nuova rete o l’acquisizione di quella esistente.

  Sussistono comunque giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese tra le parti.

  P.Q.M.

  il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n.781/05, così dispone:

  Così deciso in Milano il 29 giugno 2005 in camera di consiglio con l’intervento dei magistrati:

  Italo Riggio - presidente

  Domenico Giordano - cons. est.

  Daniele Dongiovanni - ref. 
 

ric.n.781/05:assogas ed altri/comune cavaria con premezzo/gei

_________________________________________________________________________


     ______________________________________________________________________________________

- -