n. 3780/05 Reg. Sent. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione quarta, con l’intervento dei signori Magistrati:

Dante D’Alessio  Presidente

Renata Emma Ianigro  Referendario

Carlo Polidori   Referendario - estensore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1240/1999 proposto da CASOLARO Elisabetta, rappresentata e difesa, per mandato a margine del ricorso, dagli avvocati Enrico Iossa e Aniello Mele, con i quali è elettivamente domiciliata in Napoli, via Toledo n. 320,

CONTRO

il Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Tarallo e Anna Pulcini, con i quali è elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura comunale in Napoli, Piazza Municipio, Palazzo San Giacomo,

PER L’ANNULLAMENTO

dell’ordinanza n. 1549 del 23 novembre 1998, notificata il 1° dicembre 1998, con la quale il Sindaco del Comune di Napoli ha ordinato all’Unità Operativa Antiabusivismo di procedere ad horas alla demolizione del manufatto realizzato dalla ricorrente, in assenza di titolo abilitativo, su un fondo di sua proprietà sito in Napoli alla via Camillo Guerra n. 26/b e ricompreso in Zona sottoposta a vincolo ai sensi della legge n. 1497/1939, nonché di ogni altro atto preordinato, connesso e conseguente, e

PER LA CONDANNA

dell’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente a causa dell’esecuzione del provvedimento impugnato;

      Visti i motivi aggiunti proposti dalla ricorrente, rappresentato, difeso e domiciliato come sopra,

CONTRO

il Comune di Napoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato, difeso e domiciliato come sopra,

PER L’ANNULLAMENTO

della disposizione dirigenziale n. 53 del 29 gennaio 2001, con la quale è stato chiesto alla ricorrente il pagamento della somma di lire 33.955.960 a titolo di spese sostenute per l’esecuzione della demolizione in danno del suddetto manufatto, nonché di ogni altro atto preordinato, connesso e conseguente, ivi compreso il provvedimento n. 4484 del 27 novembre 1998, con il quale l’esecuzione dei lavori di demolizione è stata affidata all’impresa Giuliano Amato, la delibera n. 1988 del 15 giugno 1999 e la  relazione redatta dal Servizio Edilizia Privata in data 28 ottobre 1999;

     Visti gli ulteriori motivi aggiunti proposti dalla ricorrente, rappresentato, difeso e domiciliato come sopra,

CONTRO

il Comune di Napoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato, difeso e domiciliato come sopra,

PER L’ANNULLAMENTO

della cartella di pagamento n. 071-2002-02170925-35 del 22 gennaio 2003, con la quale è stato intimato alla ricorrente di provvedere al pagamento della somma di euro 17539, 89;

     Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;

     Visti tutti gli atti di causa;

     Relatore il Referendario Carlo Polidori;

     Udite alla pubblica udienza del 23 marzo 2005 le parti presenti come da verbale;

     Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

1. Con l’ordinanza n. 1549 del 23 novembre 1998 il Sindaco del Comune di Napoli ha ordinato, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985,  all’Unità Operativa Antiabusivismo di procedere ad horas alla demolizione opere abusive (consistenti nella realizzazione di un corpo di fabbrica costituito  da piano terra e primo piano per una superficie di circa 170 mq) realizzate dalla ricorrente su un fondo di sua proprietà sito in Napoli alla via Camillo Guerra n. 26/b e ricompreso in Zona sottoposta a vincolo ai sensi della legge n. 1497/1939. Tale provvedimento è stato notificato alla ricorrente in data 1°  dicembre 1998 ed è stato eseguito il giorno successivo mediante il materiale abbattimento delle predette opere.

     Con  atto ritualmente notificato in data 28 gennaio 1999 e depositato in data 11 febbraio 1999  la ricorrente - dopo aver evidenziato il presente ricorso tende alla declaratoria dell’illegittimità dell’impugnata ordinanza di demolizione e alla conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni cagionati con l’esecuzione di tale provvedimento - deduce i seguenti motivi.

I)  Violazione e falsa applicazione degli articoli 4 e 7 della legge n. 47/1985; errata valutazione dei  presupposti di fatto e di diritto; eccesso di potere. La presente censura è incentrata sulla violazione dell’art. 4 della legge n. 47/1985, disposizione espressamente richiamata nel provvedimento impugnato. La ricorrente sostiene che il fondo di sua proprietà non è sottoposto ad alcun vincolo di inedificabilità assoluta e che al momento dell’adozione del provvedimento impugnato il manufatto in questione risultava quasi del tutto ultimato - dovendosi ritenere, in applicazione del criterio sancito dall’art. 31 della legge n. 47/1985, che l’opera sia ultimata quando è stato eseguito il rustico ed è stata ultimata la copertura - sicché non sussistevano i presupposti necessari per il ricorso alla procedura sanzionatoria prevista dell’art. 4 della legge n. 47/1985. In altri termini, secondo la ricorrente, una corretta valutazione della situazione di fatto avrebbe determinato il ricorso alla procedura sanzionatoria di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985 e, quindi, ella avrebbe potuto richiedere la sanatoria dell’abuso, mentre l’Amministrazione avrebbe dovuto ponderare l’opportunità di procedere alla demolizione.

II)  Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 47/1985 e degli articoli 7 e 15 della legge n. 1497/1939; eccesso di potere; violazione del giusto procedimento; omessa valutazione della sanabilità dell’opera; omessa istruttoria e omessa valutazione dell’applicabilità dell’art. 2, comma 46, della legge n. 662/1996. La ricorrente dopo aver ribadito l’inesistenza di vincoli di inedificabilità assoluta sul fondo di sua proprietà, si duole del fatto che l’Amministrazione non abbia tenuto conto del fatto che, secondo la prevalente giurisprudenza, il nulla osta ambientale può essere rilasciato anche ex post. Pertanto l’Amministrazione ha illegittimamente omesso di attivare il procedimento  finalizzato al rilascio del nulla osta paesistico e, quindi, di valutare la compatibilità dell’opera con il vincolo relativo esistente sul fondo.

III)  Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 47/1985; eccesso di potere per carenza di istruttoria; violazione del giusto procedimento. Secondo la ricorrente l’Amministrazione ha violato anche dell’art. 4, comma 3, della legge n. 47/1985, perché la demolizione non è stata preceduta dall’ordine di sospensione dei lavori, né dal preventivo accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione.

IV) Violazione degli articoli 36 e 51 della legge n. 142/1990, come modificati dalla legge n. 127/1997 e dalla legge n. 191/1998; eccesso di potere; incompetenza. La ricorrente deduce l’incompetenza del Sindaco a disporre la demolizione, evidenziando che l’avversata ordinanza è stata adottata dopo l’entrata in vigore della legge n. 191/1998, che  ha inequivocabilmente attribuito ai dirigenti la competenza ad adottare i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia.

V) Violazione degli articoli 4, 7, 8 e 10 della legge n. 241/1990 e degli articoli 24 e 97 Cost; eccesso di potere; violazione del giusto procedimento; sviamento. La presente censura è incentrata sull’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento concluso con l’adozione del provvedimento impugnato.

VI) Violazione della legge n. 47/1985; eccesso di potere,: omessa istruttoria. Il provvedimento impugnato risulterebbe viziato anche perché l’Amministrazione non ha tenuto conto del fatto che l’immobile in questione era sottoposto a sequestro probatorio e, quindi, la ricorrente non avrebbe comunque potuto ottemperare all’ordine di demolizione.

VII)  Violazione e falsa applicazione della legge n. 47/1985 e dell’art. 3  della legge n. 241/1990; violazione dei principi generali regolanti la procedura sanzionatoria eccesso di potere; difetto di motivazione; erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Infine, l’impugnata ordinanza sarebbe illegittima perché la possibilità di ordinare l’immediata demolizione dell’immobile abusivo è meramente residuale e   l’Amministrazione ha omesso ogni valutazione sulla gravità dell’abuso e sulla sanabilità dell’opera, da un lato, e sulle possibilità di utilizzo della stessa a fini pubblici, dall’altro.

2. Con la successiva disposizione dirigenziale n. 53 del 29 gennaio 2001, notificata in data 23 febbraio 2001, è stato richiesto alla ricorrente il pagamento della somma di lire 33.955.960 a titolo di spese sostenute per l’esecuzione della demolizione in danno del manufatto abusivo in questione.

     Avverso questo provvedimento la ricorrente, con atto ritualmente notificato in data 10 aprile 2001 e depositato in data 20 aprile 2001,  ha dedotto i seguenti motivi aggiunti.

I)  Violazione e falsa applicazione degli articoli 4 e 7 della legge n. 47/1985; eccesso di potere per sviamento, simulazione del procedimento, illogicità manifesta ed irrealizzabilità delle statuizioni. La ricorrente rileva che nella motivazione della disposizione dirigenziale n. 53/2001 si afferma che ella non avrebbe ottemperato all’ordine di demolizione impartito con l’ordinanza sindacale n. 1549/1998, senza considerare che tale provvedimento in realtà era diretto all’Unità Operativa Antiabusivismo del Comune di Napoli, alla quale era stato affidato anche il compito di provvedere alla contestuale notifica della predetta ordinanza. Ne consegue che, non essendo stato assegnato alla ricorrente alcun termine per adempiere alla demolizione, la disposizione dirigenziale n. 53/2001 è illegittima perché si fonda sull’erroneo presupposto che la ricorrente - pur  avendo ricevuto l’assegnazione di un termine per procedere spontaneamente alla demolizione e pur essendo stata avvertita che decorso tale termine la demolizione sarebbe stata eseguita in danno -  sia rimasta inerte.

II)  Violazione e falsa applicazione degli articoli 4 e 27 della legge n. 47/1985; violazione del giusto procedimento. La presente censura non riguarda la disposizione dirigenziale n. 53/2001, ma concerne la procedura sanzionatoria seguita dall’Amministrazione. Infatti la ricorrente si duole che tale procedura si sia risolta nell’adozione di un solo atto e, quindi, la demolizione non sia stata preceduta da un’apposita ingiunzione a lei diretta, né dal preventivo accertamento della sua  inottemperanza a tale ingiunzione.

III)  Violazione dell’art.  27  della legge n. 47/1985 e degli articoli 32 e 35 della legge n. 142/1990; violazione dei principi generali in materia di appalto di opere pubbliche e dei principi generali regolanti l’attività amministrativa; eccesso di potere per sviamento e  incongruità; difetto di motivazione e di istruttoria. La ricorrente sostiene innanzi tutto che la scelta della ditta esecutrice dei lavori di demolizione è stata effettuata elidendo la procedura di gara prevista in materia di appalti pubblici. Inoltre la somma richiesta risulterebbe sproporzionata rispetto ai lavori effettuati. Infine, nel provvedimento impugnato non vi è nessun riferimento al criterio di scelta della ditta cui sono stati affidati i lavori di demolizione, né ai lavori effettuati, né alla corrispondenza tra i prezzi richiesti per tali lavori ed il tariffario per le opere pubbliche, né alle modalità di valutazione - a corpo o a misura - dei lavori stessi. 

IV)  Illegittimità derivata. Da ultimo, la disposizione dirigenziale n. 53/2001 risulterebbe illegittima perché si fonda sull’ordinanza sindacale n. 1549/1998, che risulta a sua volta viziata sotto i diversi profili evidenziati nel ricorso introduttivo del giudizio.

3. Con la cartella di pagamento n. 071-2002-02170925-35 del 22 gennaio 2003, è stato infine intimato alla ricorrente di provvedere al pagamento della somma di euro 17.539, 89.

     Anche quest’ultimo provvedimento è stato  impugnato con ricorso per motivi aggiunti, ritualmente notificato in data 26 febbraio 2003 e depositato in data 5 marzo 2003, nel quale la ricorrente deduce l’illegittimità derivata della pretesa dell’Amministrazione in quanto la stessa si fonda sull’ordinanza sindacale n. 1549/1998 e sulla disposizione dirigenziale n. 53/2001, che risultano a loro volta viziate sotto i diversi profili evidenziati nel ricorso introduttivo e nel primo ricorso per motivi aggiunti.

4. L’Amministrazione resistente si è costituita in giudizio con atto depositato in data 6 febbraio 2004  ed ha depositato una memoria difensiva in data  1° ottobre 2004.

      In esecuzione dell’ordinanza istruttoria n. 333/2004, il Dipartimento Autonomo Pianificazione Urbanistica del Comune di Napoli, con nota in data 31 maggio 2004,  ha chiarito che il fondo su cui è stata realizzata l’opera oggetto dell’impugnata ordinanza di demolizione ricade nel perimetro della variante di salvaguardia al vigente PRG (approvata con Decreto del Presidente della Giunta Regionale Campania n. 9297 del 29 giugno 1998), in base alla quale è assoggettato al regime della Zona B  (risanamento conservativo), e che secondo l’art. 17, comma 4, delle norme di attuazione della predetta  variante  la Zona B “è assoggettata a vincolo di conservazione che si attua mediante interventi volti a preservare il patrimonio edilizio e urbanistico del centro storico, nonché il relativo tessuto viario”. Inoltre, nella predetta nota  è stato chiarito che il fondo de quo rientra nel perimetro delle zone vincolate dal Decreto Ministeriale del 22 giugno 1967, emesso ai sensi legge n. 1497/1939.

        Tali affermazioni sono state contestate dalla ricorrente nella memoria depositata in data 3 dicembre 2004, ove viene evidenziato che - secondo quanto risulta dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal comune di Napoli in data 7 ottobre 1998 - il fondo in questione non ricade in Zona B della variante di salvaguardia, ma in Zona nEa (area agricola), nella quale è consentita la realizzazione di nuovi edifici, e che all’epoca della realizzazione dell’abuso il predetto fondo non era sottoposto ad alcun vincolo di inedificabilità assoluta, in quanto il  Decreto Ministeriale del 22 giugno 1967 impone soltanto l’obbligo di richiedere l’autorizzazione paesaggistica  prima della realizzazione dell’intervento edilizio.

     Alla pubblica udienza del 23 marzo 2005 la causa è stata assunta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. La controversia sottoposta all’esame del collegio verte principalmente sulla legittimità dell’ordinanza n. 1549 del 23 novembre 1998, con la quale il Sindaco del Comune di Napoli ha ordinato, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985,  all’Unità Operativa Antiabusivismo di procedere ad horas alla demolizione del manufatto abusivo realizzato dalla ricorrente su un fondo di sua proprietà sito in una zona sottoposta a vincolo ai sensi della legge n. 1497/1939. Tale ordinanza è stata eseguita d’ufficio il giorno successivo a quello in cui è stata notificata alla ricorrente e, quindi, l’azione di annullamento proposta con il ricorso principale in realtà è strumentale rispetto alla domanda di risarcimento dei danni cagionati dall’esecuzione del provvedimento impugnato, in ossequio al prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo presuppone il preventivo annullamento dell’atto amministrativo fonte di danno (ex multis, Cons Stato, Sez. IV, 19 luglio 2004, n. 5196; Sez. V, 22 giugno 2004, n. 4359).

     La natura strumentale dell’azione di annullamento in esame risulta foriera di importanti conseguenze. Infatti è noto che laddove venga dedotta l’incompetenza dell’organo che ha adottato il provvedimento impugnato, tale censura deve essere esaminata per prima, in quanto il suo eventuale accoglimento comporta, ai sensi dell’art. 26, comma 2, della legge n. 1034/1971, la rimessione dell’affare all’autorità attualmente competente, con l’assorbimento delle ulteriori censure fatte valere nel ricorso, il cui esame è precluso al giudice al fine di non precostituire un vincolo anomalo sui futuri provvedimenti della competente autorità, che non è neppure parte necessaria del giudizio (ex multis, T.A.R. Sardegna, 23 marzo 2004, n. 393; T.A.R. Lombardia Brescia, 1° giugno 2001, n. 398).

     Orbene, a giudizio del Collegio, tale regola non può trovare applicazione nel caso in cui l’azione di annullamento sia meramente strumentale ad una domanda di risarcimento danni per lesione di un interesse legittimo,  come quella in esame. Infatti, avendo l’Amministrazione già provveduto alla demolizione dell’immobile abusivo, il presente ricorso non mira ad ottenere una pronuncia giurisdizionale che vincoli la futura azione amministrativa, ma  solo ad ottenere la condanna del Comune di Napoli al ristoro dei danni cagionati dall’esecuzione di un provvedimento ritenuto illegittimo. Ne consegue che, pur essendo stata dedotta anche l’incompetenza del Sindaco di Napoli ad adottare l’impugnata ordinanza di demolizione, si ritiene comunque necessario procedere all’esame di tutte le censure proposte con il ricorso principale, per le ragioni che saranno illustrate in sede di esame della domanda di risarcimento danni.

2. I primi due motivi di ricorso sono incentrati sulla violazione dell’art. 4 della legge n. 47/1985. Infatti la ricorrente sostiene che il fondo di sua proprietà non è sottoposto ad alcun vincolo di inedificabilità assoluta e che al momento dell’adozione del provvedimento impugnato il manufatto de quo risultava quasi del tutto ultimato, sicché non sussistevano i presupposti necessari per il ricorso alla procedura sanzionatoria prevista dell’art. 4 della legge n. 47/1985. Ne discende, secondo la ricorrente, che l’Amministrazione avrebbe dovuto seguire la diversa procedura di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985 e, quindi, ella avrebbe potuto chiedere la sanatoria dell’abuso ed il rilascio del nulla osta ambientale  ex post, mentre l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare la prevalenza dell’interesse pubblico all’abbattimento delle opere e la compatibilità delle stesse con il vincolo relativo esistente sul fondo, prima di procedere alla demolizione.

      La tesi prospettata dalla ricorrente si traduce in una censura sulla scelta del procedimento adottato, in quanto presuppone che, in presenza di un’opera che risulti, da un lato, quasi del tutto ultimata e, dall’altro, realizzata su un’area sottoposta a vincolo relativo e, come tale, suscettibile di sanatoria sia dal punto di vista urbanistico sia dal punto di vista ambientale, l’Amministrazione debba seguire il procedimento ordinario di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985, che prevede la previa notifica di una ingiunzione a demolire al responsabile dell’abuso. Tale procedimento, secondo la ricorrente, implicherebbe altresì la esperimento, da parte dell’Amministrazione competente, di una previa verifica d’ufficio in ordine alla sanabilità dell’opera.

2.1. Tali affermazioni non sono condivisibili.

     L’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985 dispone che “il Sindaco, quando accerti l’inizio di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla L. 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui alle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497, e successive modificazioni ed integrazioni, il Sindaco provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa”.

     Da tale disposizione si evince che lo specifico presupposto che differenzia il  procedimento sanzionatorio ivi previsto, rispetto a quello di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985, va rinvenuto nella localizzazione delle opere abusive su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità, ovvero destinate ad opere e spazi pubblici o ad interventi di edilizia residenziale pubblica.  Il diverso schema procedurale dipende dalla particolare gravità dell’illecito consistente nella realizzazione abusiva di interventi su aree meritevoli di una particolare tutela  e protezione e, quindi, la scelta del legislatore si spiega agevolmente considerando la necessità di predisporre un meccanismo sanzionatorio idoneo a reintegrare con immediatezza il bene protetto, pregiudicato dall’abusivo intervento edilizio. Ne consegue che in tal caso l’ordine di demolizione deve seguire automaticamente all’accertamento dell’illecito, senza la necessità di una preventiva notifica della diffida a demolire e senza alcun margine per valutazioni discrezionali, al fine di impedire che il trascorrere del tempo determini il consolidarsi di  situazioni soggettive che potrebbero impedire l’applicazione della sanzione ripristinatoria.

2.2. Una corretta interpretazione di tale disposizione induce quindi a ritenere innanzi tutto che l’inizio dell’esecuzione dell’opera abusiva costituisca la condizione minima per l’adozione del provvedimento di demolizione, sicché né la lettera, né lo scopo della norma possono far ritenere preclusa l’adozione di tale provvedimento nel caso in cui l’opera sia quasi ultimata. In altri termini, ai fini dell’adozione dell’ordine di demolizione è necessario e sufficiente che l’opera sia stata eseguita senza titolo e su una delle aree individuate dall’art. 4, qualunque sia lo stato della costruzione (Cons. Stato, Sez. V, 11 gennaio 2002, n. 125)

     Ne consegue che le affermazioni della ricorrente sulla stato di ultimazione del manufatto de quo sono irrilevanti in punto di diritto, fermo restando che risultano comunque smentite anche in fatto dalla nota della Polizia Municipale del Comune di Napoli in data 19 novembre 1998, dalla quale si evince che “all’atto del sopralluogo i lavori erano in atto e gli operai alla vista degli intervenuti si davano alla fuga” e che il primo piano dell’immobile presentava “armatura in carpenteria in legno e ferro. Centralmente al corpo di fabbrica vi sono rampanti scala che adducono al lastrico di risulta: quest’ultimo per circa il 70% è munito di massetto di pendenza e orlato di tegole. Tutto il manufatto descritto  si presenta al vento e al grezzo”.

2.3. Inoltre, il Collegio rileva che, accedendo all’interpretazione della ricorrente sulla inapplicabilità dell’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985 in caso di vincoli di inedificabilità relativi, si finirebbe con l’attribuire a tale disposizione un ambito di applicazione diverso e più ristretto rispetto a quello dalla stessa delineato. Una siffatta interpretazione additiva non trova alcun riscontro nella norma ed è contraria alla sua ratio perché comporterebbe un ingiustificato restringimento dei poteri di vigilanza attribuiti al Comune, essendo evidente che il legislatore, laddove si tratti di aree  meritevoli di una particolare e rafforzata tutela, ha inteso attribuire all’Amministrazione il potere-dovere di ripristinare senza indugio la legalità violata, senza distinguere in relazione alla natura assoluta o relativa del vincolo (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 17 maggio 2004, n. 8774).

     In tal senso si è chiaramente espresso anche il Consiglio di Stato (Sez. V,  sentenza n. 125/2002 cit.), che ha negato la possibilità di escludere l’operatività dell’art. 4, comma 2, legge n. 47/1985 in presenza di limitazioni che comportino un  parziale impedimento all’attività edificatoria (discendenti, nella fattispecie, dallo strumento urbanistico adottato anche in funzione di tutela ambientale). Infatti, secondo i giudici di Palazzo Spada, la formula di legge “va interpretata nel senso che sia in vigore un divieto di edificare, secondo un’accezione che può desumersi anche da altre disposizioni della legge. È da richiamare qui, in particolare, l’art. 33 della legge stessa, nel quale le opere non suscettibili di sanatoria sono definite con riferimento a quelle che siano in contrasto con una serie, appunto, di vincoli, fra i quali sono elencati non solo quelli imposti, da leggi o da strumenti urbanistici, per la tutela di interessi paesistici, ambientali, e di altro tipo, ma è anche enunciato, alla lett. d), “ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”. Non vi sono, perciò, neppure elementi, desumibili dal sistema della legge, che possano indurre a circoscrivere in misura restrittiva l’analoga formula utilizzata nell’art. 4, comma 2”.

     Stante quanto precede e considerato che la ricorrente comunque non contesta che il fondo di sua proprietà sia sottoposto ad un vincolo di inedificabilità relativa, risulta evidente che nella fattispecie in esame sussistevano i presupposti per il ricorso alla procedura di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985 e, quindi, ella non può dolersi del fatto che non abbia potuto richiedere la sanatoria dell’abuso ed il rilascio del nulla osta ambientale ex post, né del fatto che l’Amministrazione non abbia valutato la prevalenza dell’interesse pubblico all’abbattimento del manufatto e la compatibilità dello stesso con il vincolo relativo esistente sul fondo, prima di procedere alla demolizione. Infatti, come già evidenziato, la procedura sanzionatoria in esame è caratterizzata da un meccanismo  automatico ed immediato che mira ad assicurare una pronta e tempestiva reazione rispetto alla lesione di beni urbanistici di primario rilievo, conferendo al competente organo comunale un potere-dovere del tutto vincolato, nell’esercizio del quale non è possibile individuare margini di discrezionalità che consentano di comparare il sacrificio imposto al privato con l’interesse pubblico all’eliminazione delle opere abusive, in quanto la prevalenza di quest’ultimo, ove sussistano vincoli comportanti la inedificabilità dell’area, è riconosciuta in via generale dallo stesso legislatore (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, n. 8774/2004 cit.).

3. Quanto alle altre censure relative alla procedura conclusa con l’adozione della avversata ordinanza di demolizione,  il Collegio ritiene innanzi tutto di non doversi discostare dal consolidato orientamento giurisprudenziale, seguito anche da questa Sezione (ex multis, sentenza 1°  febbraio 2005, n. 623), che in tema di demolizione non reputa necessaria la preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento, stante il suo carattere di atto  dovuto e vincolato.

     Né risulta condivisibile l’ulteriore censura incentrata sulla mancata previa notifica  di un’ordinanza di sospensione dei lavori. Infatti nel sistema delineato dalla legge n. 47/1985 l’esigenza di un immediato intervento repressivo, che è alla base della procedura sanzionatoria di cui all’art. 4, comma 2, consente di prescindere dalla preventiva notifica di un ordine di sospensione dei lavori,  che risulta espressamente prevista dal successivo comma 4 soltanto per la diversa e meno grave ipotesi di inosservanza di norme e prescrizioni imposte dagli strumenti urbanistici o previste dal titolo abilitativo (T.A.R. Campania Napoli,  Sez. IV, n. 8774/2004 cit.).

     Quanto poi al fatto che l’immobile in questione fosse sottoposto a sequestro probatorio, è sufficiente evidenziare che, secondo una consolidata giurisprudenza, anche di questa Sezione (ex multis, sentenza 4 febbraio 2003, n. 614) tale circostanza non osta all’adozione dell’ordine di demolizione dal momento che è possibile motivatamente domandare all’autorità giudiziaria il dissequestro dell’immobile proprio al fine di ottemperare al predetto ordine.

 Infine si deve rilevare che, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente nell’ultimo motivo di ricorso, nel caso di opere abusive realizzate su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità ovvero destinate ad opere e spazi pubblici o ad interventi di edilizia residenziale pubblica, l’immediata demolizione dell’immobile non  costituisce affatto un’ipotesi  residuale, ma rappresenta il meccanismo sanzionatorio tipizzato dal legislatore al fine di reintegrare con immediatezza il bene protetto pregiudicato dall’intervento edilizio abusivo. Pertanto, come già evidenziato in precedenza, non residua alcun margine di valutazione riguardo alla gravità dell’abuso, alla sanabilità dell’opera, ovvero all’eventualità che la stessa, invece di essere demolita, venga destinata a fini pubblici.

      Stante quanto precede tutte le censure incentrate sull’illegittimità del procedimento seguito ai fini dell’adozione dell’avversata ordinanza di demolizione risultano infondate.

4. A diverse conclusioni si deve, invece, pervenire con riferimento alla dedotta incompetenza del Sindaco di Napoli a disporre la demolizione. Infatti il provvedimento impugnato è stato adottato dall’assessore delegato dal Sindaco di Napoli in data 23 novembre 1998, senza considerare che a tale data la competenza in materia di provvedimenti sanzionatori degli abusi edilizi doveva ritenersi direttamente attribuita ai dirigenti dell’Amministrazione comunale per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 191/1998 all’art. 51 della legge n. 142/1990.

4.1. Al riguardo occorre puntualizzare che secondo l’art. 51, comma 3, della legge n. 142/1990, nella sua formulazione originaria, “spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino gli organi di governo dell’ente. Spettano ad essi in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto, la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità sulle procedure d'appalto e di concorso, la stipulazione dei contratti”.

     Tale elencazione è stata poi ampliata dall’art. 6, comma 2, della legge n. 127/1997 e dall’art. 2, comma 12, della legge n. 191/1998 che, nel modificare la seconda parte del citato art. 51, comma 3, hanno inserito, rispettivamente, “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie” (lett. f) e “tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale” (lett. f  bis).

     Inoltre, si deve rammentare che l’art. 6, comma 3, della legge n. 127/1997 ha introdotto nell’art. 51 della legge n. 142/1990 il comma 3 bis, secondo il quale “nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui al comma 3 sono svolte dai responsabili degli uffici o dei servizi”, e che anche tale disposizione è stata successivamente modificata dall’art. 2, comma 13, della legge n. 191/98, secondo il quale “nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui al comma 3, fatta salva l'applicazione del comma 68, lettera c ), dell’art. 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione”.

     Infine rileva l’art. 45 del d.lgs. n. 80/1998, secondo il quale a decorrere dalla entrata in vigore dello stesso decreto, ossia dal 23 aprile 1998, le disposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 29/1993, “si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai Dirigenti”.

4.2. Tale complesso normativo in tema di attribuzione delle competenze ai dirigenti, ha suscitato contrasti interpretativi circa la natura immediatamente precettiva (Cons. Stato, Sez. V, 15 novembre 2001, n. 5833; 21 novembre 2003, n. 7632) o meramente programmatica delle relative disposizioni (Cons. Stato, Sez. V, 23 giugno 2003, n. 3717; 27 settembre 2004, n. 6297).

     In particolare la giurisprudenza che sostiene la natura programmatica dell’art. 51 comma 3, cit. (nonostante le modifiche apportate dalla legge n. 127/1997 e dalla legge n. 191/98), puntualmente richiamata dal Comune di Napoli nella memoria depositata in data 1° ottobre 2004, fa leva sul rinvio alle “modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente”. Pertanto l’attribuzione delle competenze ai dirigenti non sarebbe automatica, ma subordinata alla previa approvazione delle modifiche statutarie e regolamentari volte a determinare le modalità per l'espletamento delle funzioni demandate ai dirigenti e, quindi, non potrebbe trovare accoglimento il motivo di ricorso asserente la violazione della suddetta normativa, ove in esso non sia fatto alcun riferimento a puntuali precetti dell’indispensabile normativa regolamentare di attuazione.

4.3. Tuttavia questi contrasti debbono allo stato ritenersi superati alla luce della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. V, sentenze 4 maggio 2004, n. 2694, e 8 marzo 2005, n. 952), secondo la quale non può essere messa in dubbio la competenza dei dirigenti rispetto agli atti di gestione e ai provvedimenti degli Enti locali, per lo meno a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 127/1997 e dalla legge n. 191/1998 all’art. 51 della legge n. 142/1990.

     L’attribuzione diretta ai Dirigenti degli Enti locali dei compiti di gestione, anche in mancanza di specifiche norme statutarie o regolamentari, risulta poi confermata dall’art. 53, comma 23, della legge 23 dicembre 2000 n. 388, come modificato dall’art. 29 della legge 28 dicembre 2001 n. 448, che ha consentito unicamente agli Enti locali con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti di adottare, al fine di operare un contenimento della spesa (da documentare ogni anno), disposizioni regolamentari organizzative per attribuire ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi nonché il potere di adottare anche atti di natura tecnica gestionale.

     Stante quanto precede, pur mancando nel ricorso specifiche deduzioni circa la normativa  ordinamentale del Comune di Napoli, deve ritenersi fondata la censura in esame, perché l’impugnata ordinanza di demolizione è successiva alla entrata in vigore della legge n. 191/1998, sicché i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, ratione temporis, non rientravano più nelle competenze del Sindaco e degli organi da lui delegati.

5. L’accoglimento della censura relativa all’incompetenza dell’autorità che ha adottato l’impugnata ordinanza di demolizione  induce il Collegio ad interrogarsi sulla sorte di tale provvedimento alla luce della nuova disciplina della patologia del provvedimento amministrativo introdotta dalla recente legge n. 15/2005, che risulta  immediatamente applicabile alle controversie pendenti (T.A.R. Sardegna, Sez. II, 25 marzo 2005, n. 483). Infatti, mentre il primo comma dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990 ribadisce che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza, il comma successivo afferma che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, fermo restando che “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

      Orbene, secondo il Collegio, da una lettura combinata del primo e del secondo comma dell’art. 21 octies si desume che quando viene accertata l’incompetenza relativa dell’organo adottante (da non confondere con l’incompetenza assoluta, disciplinata dall’art. 21 septies, comma 1, della legge n. 241/1990), il provvedimento deve essere necessariamente annullato, non potendo trovare applicazione la disposizione che ne preclude l’annullamento laddove sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Infatti tale disposizione si riferisce soltanto ai casi in cui il provvedimento sia stato adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma.  Né sembra possibile includere le norme sulla competenza tra le norme sul procedimento amministrativo o tra le norme sulla forma degli atti. Infatti dal primo comma dell’art. 21 octies si desume che il legislatore ha inteso confermare la tripartizione dei vizi di legittimità dell’atto amministrativo, in base alla quale la violazione delle norme sulla competenza configura il vizio di incompetenza, mentre la violazione di norme sul procedimento o sulla forma rientra nell’ambito più generale della violazione di legge. Inoltre devono ritenersi norme sul procedimento tutte quelle relative al modus operandi dell’Amministrazione ed alla partecipazione procedimentale del destinatario del provvedimento finale,  delle altre Amministrazioni interessate e dei soggetti indicati dall’art. 9 della legge n. 241/1990, mentre devono ritenersi norme sulla forma quelle relative ai requisiti formali degli atti endoprocedimentali e del provvedimento finale.  

      Ciò posto, si osserva che la scelta legislativa di escludere l’applicazione dell’art. 21 octies, comma 2, prima parte, nel caso in cui il provvedimento vincolato sia stato adottato da un’autorità incompetente se, da un lato, appare coerente con quella dell’art. 26, comma 2, della legge n. 1034/1971, perché l’accoglimento del ricorso per motivi di incompetenza determina l’immediata rimessione dell’affare all’autorità competente e, quindi, non vi è spazio per valutare se il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, dall’altro può destare perplessità nei casi come quello in esame, in cui l’azione di annullamento è strumentale ad una domanda di risarcimento danni.

5.1. Infatti, dall’esame delle censure proposte con il presente ricorso è emerso che l’Amministrazione ha agito nell’esercizio di un potere vincolato, perché l’ordine di demolizione - qualora si tratti di opere realizzate nelle zone indicate dall’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985 - deve seguire automaticamente all’accertamento dell’illecito, senza la necessità di una preventiva notifica della diffida a demolire e senza alcun margine per valutazioni discrezionali. Inoltre risulta palese che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso se fosse stato adottato dal competente dirigente del Comune di Napoli, perché dall’esame dei primi due motivi di ricorso è emerso che nella fattispecie in esame sussistevano tutti i presupposti per il ricorso alla procedura sanzionatoria di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 47/1985, trattandosi di un manufatto eseguito senza i prescritti titoli abilitativi su un’area  sottoposta ad un vincolo di inedificabilità.

      Ciononostante, non potendosi fare applicazione del secondo comma dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990, l’avversata ordinanza di demolizione deve essere inevitabilmente annullata e, quindi, si deve procedere all’esame della domanda di risarcimento dei danni cagionati dall’esecuzione di tale provvedimento.

6. È noto che la lesione dell’interesse legittimo di per sé non è sufficiente per affermare la risarcibilità del danno derivante dall’esecuzione del provvedimento impugnato. In particolare, secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 22 luglio 1999, n. 500), “la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente rilevante, rientra infatti nella fattispecie della responsabilità aquiliana solo ai fini della qualificazione del danno come ingiusto. Ciò non equivale certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilità degli interessi legittimi come categoria generale. Potrà infatti pervenirsi al risarcimento soltanto se l’attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. In altri termini, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo”.

     È altresì noto che, nonostante tali affermazioni di carattere generale, sia stata comunque teorizzata dalla giurisprudenza una significativa distinzione tra interessi legittimi oppositivi e pretesivi.  In particolare, secondo le Sezioni Unite (sentenza  n. 500/1999 cit.) “per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, potrà ravvisarsi danno ingiusto nel sacrificio dell’interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio conseguente all’illegittimo esercizio del potere. ... Circa gli interessi pretensivi, la cui lesione si configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, dovrà invece vagliarsi la consistenza della protezione che l’ordinamento riserva alle istanze di ampliamento della sfera giuridica del pretendente. Valutazione che implica un giudizio prognostico, da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta”.

6.1. Tuttavia, come evidenziato dal Consiglio Stato (Sez. VI, sentenza 12 marzo 2004, n. 1261) tale impostazione è “idonea, nella sua perentorietà, ad innescare un sistema di protezione degli interessi oppositivi ingiustificatamente eccessivo. Ed invero, se il provvedimento compressivo è viziato per ragioni attinenti alla sola forma oppure al solo procedimento, ma risulta ineccepibile sul piano sostanziale, la Pubblica Amministrazione potrebbe adottare un provvedimento di identico contenuto sfavorevole per il privato. In questa situazione è difficile giustificare un diritto a risarcimento, salvo a sganciare la responsabilità dell’Amministrazione dal paradigma aquiliano, con conseguente differente valutazione dei presupposti fondanti il diritto al ristoro e distinta quantificazione dei pregiudizi riparabili. Si pensi al caso di una concessione edilizia che sia ritirata con provvedimento di annullamento sostanzialmente giusto, in quanto per esempio inteso a riparare  alla violazione della disciplina pubblicistica sui limiti di edificabilità previsti dal piano regolatore generale o dal regolamento edilizio, ma tuttavia affetto da vizio procedimentale, quale in ipotesi  la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento. In ipotesi siffatte, ad onta della illegittimità del provvedimento di ritiro, l’Amministrazione, senza nuovamente incorrere nel rilevato vizio formale, potrà successivamente reiterare l’annullamento del titolo abilitativo. In una prospettiva meno formalistica, quindi, il privato non potrebbe sostenere la lesività sostanziale del primo provvedimento di annullamento, inficiato da illegittimità solo formale attesa la non spettanza ab initio del bene della vita sottrattogli”.

6.2.  Il Collegio condivide integralmente quest’ultima impostazione. Infatti escludere la necessità del giudizio sulla spettanza del bene giuridico in caso di richiesta di risarcimento di danni derivante dalla lesione di interessi legittimi oppositivi significherebbe creare una  ingiustificata disparità di trattamento rispetto al caso in cui la richiesta di danni derivi dalla lesione di interessi pretesivi. Inoltre, non si comprende per quale ragione, mentre l’art. 21 octies della legge n. 241/1990 ha generalizzato il giudizio sul raggiungimento dello scopo della norma violata senza distinguere tra interessi pretesivi e interessi oppositivi, si dovrebbe continuare ad affermare che ai fini dell’azione risarcitoria il giudizio sulla spettanza del bene della vita deve riguardare soltanto gli interessi pretesivi.

     Sembra quindi corretto affermare che, come per gli interessi legittimi pretensivi, anche rispetto agli interessi legittimi oppositivi il pregiudizio dell’interesse individuale conseguente all’illegittimo esercizio del potere amministrativo non comporta automaticamente un danno ingiusto. Infatti, il danno può definirsi ingiusto solo in quanto l’interesse al bene risulti in concreto meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico (in tal senso T.A.R. Lazio, Sez. I, 17 maggio 2004, n. 4551) e, quindi, la relativa pretesa - orientata ora alla conservazione, ora all’acquisizione del bene - risulti fondata all’esito dell’esame di tutte le censure dedotte con il ricorso,  fermo restando che tale giudizio sulla spettanza del bene  non può basarsi soltanto sulla rilevata incompetenza dell’organo che ha adottato il provvedimento avversato, la quale di per sé non consente di accertare se l’interesse del ricorrente risulti in concreto meritevole di tutela.

     Applicando tali principi alla fattispecie in esame, si può comprendere perchè, pur essendo stata dedotta anche l’incompetenza del Sindaco di Napoli, il Collegio abbia ritenuto necessario esaminare tutte le censure dedotte con il ricorso principale e, soprattutto, risulta evidente l’infondatezza della domanda di risarcimento dei danni proposta con tale ricorso. Infatti si è già rilevato che il contenuto dispositivo dell’avversata ordinanza di demolizione non avrebbe potuto essere diverso se fosse stato adottata dal competente dirigente del Comune di Napoli.

     Inoltre, benché dall’annullamento dell’avversata ordinanza sindacale di demolizione discenda l’impossibilità di convalidare (rectius, secondo la dottrina, di ratificare) tale provvedimento - avendo il legislatore ribadito, con il secondo comma dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, che la possibilità di convalida riguarda il provvedimento annullabile e non quello annullato - si deve comunque evidenziare che il competente dirigente del Comune di Napoli ben potrebbe adottare, all’esito del presente giudizio, un nuovo provvedimento con il quale viene disposta, ora per allora, la demolizione dell’immobile abusivo realizzato dalla ricorrente. Infatti, al di fuori dei casi nei quali sussiste un obbligo di irretroattività assoluta derivante dall’esistenza di un giudicato di annullamento, l’Amministrazione conserva sempre il potere di decidere ora per allora, cioè con la stessa decorrenza attribuita all’atto annullato (Consiglio Stato, Sez. V, 17 marzo 2003, n. 1356; T.A.R. Lazio, Sez. III, 24 giugno 2004, n. 6174).

      Ne consegue che nel caso in esame il giudizio sulla spettanza del bene giuridico ha esito negativo e, quindi, la domanda risarcitoria proposta con il ricorso principale deve essere respinta perché non possono essere considerati ingiusti i danni derivanti dalla demolizione dell’immobile de quo.

7. Fermo restando quanto precede, si deve altresì evidenziare che la domanda di risarcimento in questione risulta infondata anche per la mancanza del requisito della colpa dell’Amministrazione.

     Al riguardo si deve ribadire che il risarcimento del danno non consegue automaticamente all’annullamento giurisdizionale, ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge. Pertanto oltre alla lesione della situazione soggettiva tutelata è indispensabile che sia accertata anche la colpa dell’Amministrazione.

     Peraltro, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2004, n. 3465), più che intendere la colpa come profilo soggettivo di responsabilità - configurabile quando l’adozione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità - è indispensabile accedere a una nozione di colpa di tipo oggettivo, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento e, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall’Amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento. Pertanto se la violazione è l’effetto di un errore scusabile dell’autorità, non si potrà configurare il requisito della colpa, mentre se la violazione appare grave e manifesta, specie sul piano della diligenza e della perizia, il requisito della colpa dovrà ritenersi sussistente (Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169).

      Nel caso in esame non è dato ravvisare una violazione grave e manifesta da parte dell’Amministrazione perché, come si è già evidenziato, le disposizioni relative al passaggio di competenze dagli organi di governo ai dirigenti degli enti locali hanno suscitato in fase applicativa dubbi interpretativi, che hanno determinato anche la formazione di contrastanti orientamenti giurisprudenziali, sicché sussistono i presupposti per ritenere che l’accertata  incompetenza del Sindaco di Napoli sia frutto di un errore scusabile.

8. Quanto ai ricorsi per motivi aggiunti proposti avverso la disposizione dirigenziale n. 53 del 29 gennaio 2001 e la cartella di pagamento n. 071-2002-02170925-35 del 22 gennaio 2003, con le quali è stato richiesto alla ricorrente il rimborso delle spese sostenute per l’abbattimento del manufatto abusivo de quo, si deve evidenziare che dall’annullamento dell’avversata ordinanza di demolizione discende inevitabilmente l’accoglimento delle censure con le quali è stata dedotta l’illegittimità derivata delle predette richieste di pagamento e l’assorbimento delle restanti censure.

     Ne consegue che anche la disposizione dirigenziale del 29 gennaio 2001 e la cartella di pagamento del 22 gennaio 2003 devono essere annullate perché illegittime, ferma restando la possibilità che il competente dirigente del Comune di Napoli adotti un nuovo provvedimento con il quale viene disposta, ora per allora, la demolizione dell’immobile  realizzato dalla ricorrente e, quindi, provveda nuovamente a richiedere il rimborso delle spese sostenute per l’abbattimento di tale immobile.

9. Considerato il parziale accoglimento dei ricorsi in esame, sussistono giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

     Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, Sezione IV, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe indicati:

     - accoglie il  ricorso n. 1240/1999 nei termini di cui in motivazione e respinge la richiesta di risarcimento danni. Per l’effetto, annulla l’ordinanza di demolizione n. 1549 in data 23 novembre 1998;

     - accoglie il primo ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla la disposizione dirigenziale n. 53 in data 29 gennaio 2001;

     - accoglie il secondo ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla la cartella di pagamento n. 071-2002-02170925-35 in data 22 gennaio 2003.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Napoli, nella Camera di consiglio del 23 marzo 2005.

      Il Presidente                    L’Estensore