n. 8707/05 Reg. Sent.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER LA CAMPANIA - NAPOLI

SEZIONE SECONDA 

composto dai Magistrati:

Presidente   dott. Antonio Onorato

Primo Referendario  dott. Umberto Maiello

Primo Referendario  dott. Paolo Severini, est.

all’udienza del 9 giugno 2005 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

contro

Visto il ricorso, con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive, prodotte dalla società ricorrente;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi, alla pubblica udienza del 9 giugno 2005, il relatore, Primo Ref. Paolo Severini, e per le parti i procuratori come da verbale d’udienza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

    FATTO

Con atto, notificato, in data 30 ottobre 2004 e depositato il successivo 24 novembre, la società ricorrente, premesso d’aver concluso, in data 9.05.02, un contratto preliminare per l’acquisto di un capannone industriale, sito in Casalnuovo di Napoli, con l’Exide Italia s. r. l., al fine d’ampliare la propria struttura aziendale; che il contratto prevedeva che l’acquisto sarebbe avvenuto in favore della Credemleasing s. p. a., che avrebbe poi concesso il cespite in locazione finanziaria alla Murolo s. a. s.; che, a carico di quest’ultima, sarebbe restato l’obbligo di provvedere alla realizzazione dei lavori di ristrutturazione dell’immobile, necessari per il conseguimento del certificato d’agibilità; che, per l’esecuzione di tali lavori, era stata presentata denuncia d’inizio attività, in data 24.02.03, assentita dal Comune, che non aveva adottato alcun provvedimento in merito; che, successivamente, era stata comunicata; dallo stesso Comune, l’adozione della delibera n. 5 di Consiglio Comunale, che prevedeva misure volte a conservare la destinazione industriale delle aree dov’era ubicato il complesso, già di proprietà della Exide Italia s. r. l.; era seguito uno scambio di corrispondenza tra la società ricorrente ed il Comune, in relazione alle problematiche emergenti da tale delibera; tanto premesso, la società ricorrente rappresentava che tuttavia, nella fase di esecuzione dei lavori di ristrutturazione, era sorta la necessità di eseguire ulteriori interventi “finalizzati al miglioramento della fruibilità e della comodità d’impiego del capannone”, anch’essi, secondo la società ricorrente, realizzabili in regime di denuncia d’inizio attività; era stata, quindi, presentata una nuova denunzia, in data 28.07.04, ma col provvedimento impugnato, notificato il 1° settembre 2004, il dirigente del servizio urbanistica, recependo le indicazioni fornite dall’Ufficio tecnico con la relazione del 6.08.04, aveva diffidato la società ricorrente dall’eseguire i lavori in questione, perché in contrasto con le norme di attuazione del vigente P. R. G:; avverso detto provvedimento erano articolate censure di violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del d. P. R. 380/01 e della l. r. 19/01; eccesso di potere per carenza dei presupposti; violazione del giusto procedimento; di violazione delle N. T. A. del P. R. G. del Comune di Casalnuovo; di eccesso di potere per travisamento, contraddittorietà, insussistenza dei presupposti, manifesta irragionevolezza, di violazione dell’art. 3 l. 241/90; di eccesso di potere per difetto di motivazione e d’istruttoria, di violazione degli artt. 3, 5, 7 e 8 della l. 241/90; ed era formulata domanda di risarcimento dei danni, causati alla società ricorrente dall’impossibilità di realizzare gli interventi di ristrutturazione in oggetto.

In data 15.12.04 perveniva documentazione da parte del Comune di Casalnuovo.

In data 27.01.05 perveniva documentazione integrativa da parte della società ricorrente.

Altri documenti erano depositati in data 19.05.05 e in data 23.05.05.

Con successiva memoria, depositata il 30 maggio 2005, la società ricorrente insisteva nella richiesta

d’annullamento dell’atto impugnato.; e precisava la richiesta di risarcimento del danno formulata nell’atto introduttivo del giudizio.

Al riguardo, affermava che tali danni andavano individuati: a) quanto al danno emergente, nei canoni di prelocazione che la stessa società era stata costretta a corrispondere alla Credemleasing S. p. a., “senza per converso poter usufruire del capannone in questione”, pari a € 24.365,72, come da documentazione depositata; ; b) quanto al danno emergente, nel pagamento dell’I. C. I.  – versata dalla Credemleasing, e da questa fatturata alla società ricorrente – per € 2.394,23; c) quanto al danno emergente, nel danno da ritardo nell’esecuzione degli interventi edilizi oggetto della denegata d. i. a (incremento dei costi dei materiali), di cui si chiedeva una liquidazione equitativa; d) quanto al danno emergente, dal danno derivante dalla mancata eliminazione delle diseconomie aziendali interne e nella conseguente mancata riduzione dei costi, danno di cui pure si chiedeva una liquidazione equitativa; e) quanto al lucro cessante, nella mancata evoluzione dell’attività imprenditoriale, con acquisizione di maggiori segmenti di mercato e conseguente incremento della clientela, danno da liquidarsi secondo la tecnica della “perdita di chances”.      

Alla pubblica udienza del 9 giugno 2005, la causa è stata trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

Il ricorso è fondato e va pertanto accolto, nei sensi di seguito precisati.

Assume carattere decisivo il motivo di ricorso che impinge nella perentorietà del termine, concesso all’Amministrazione comunale per l’inibitoria dell’intervento edilizio, oggetto di denuncia d’inizio d’attività.

Osserva il Collegio che l’art. 4 del d. l. 5 ottobre 1993, n. 389, convertito dalla l. 4 dicembre 1993, n. 493, modificato dall’art. 5, d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, sostituito dall’art. 2, comma 60, l. 23 dicembre 1996, n. 662, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 10, d. l. 31 dicembre 1996, n. 669 (il T.U. 6 giugno 2001, n. 380 sull’edilizia ha abrogato la norma, e trasfuso nel suo testo le relative disposizioni) al co. 7° subordinava alla denunzia d’inizio d’attività gli interventi ivi indicati tra i quali le “opere di manutenzione straordinaria”; nel successivo comma 8° indicava le condizioni sussistendo le quali è data la facoltà di presentare denuncia di inizio di attività per gli interventi di cui al precedente comma; ed all’11° comma fissava il termine di 20 giorni entro cui all’Amministrazione era dato esercitare il potere inibitorio (l’art. 23 del d.P.R. n. 380 del 2001 ha, ora, fissato il termine di 30 giorni).

Al riguardo, s’osserva che, ai sensi dei commi 1 e 6 dell’art. 23 del d.P.R. 380/01: “Il proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico - sanitarie”; “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l’autorità giudiziaria e il consiglio dell’ordine di appartenenza. È comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia”.

Secondo un indirizzo giurisprudenziale prevalente, la denunzia di inizio di attività costituisce una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire, ma non ha il carattere del provvedimento amministrativo, in quanto non promana da una pubblica amministrazione che ne è la destinataria, non costituisce esercizio di una potestà pubblicistica, né dà origine ad un provvedimento amministrativo in forma tacita (silenzio-assenso), non sussistendo il potere-dovere dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza del privato. (…)

E’ anche costantemente affermata la natura perentoria del termine di trenta giorni (già venti) ex art. 23 d.P.R. 380/2001.

Circa la natura del termine, concesso all’Amministrazione comunale per l’esercizio del potere inibitorio, a seguito della ricezione della denuncia d’inizio attività da parte del privato, si vedano le seguenti massime: T.A.R. Piemonte, n. 70 del 16 gennaio 2002: “Il termine di venti giorni stabilito dall’art. 2 comma 60 l. 23 dicembre 1996 n. 662 (che ha sostituito l’art. 4 d. l. 5 ottobre 1993 n. 398 convertito dalla l. 4 dicembre 1993 n. 493), ai fini dell’adozione del provvedimento comunale di inibitoria a seguito della ricezione della denuncia di inizio attività per l’esecuzione di lavori edilizi, ha carattere perentorio”; T.A.R. Friuli Venezia Giulia n. 18 del 30 gennaio 2001: “Il termine di venti giorni, entro il quale il Sindaco, a seguito di denuncia di inizio attività relativamente a lavori interni, può notificare agli interessati l’ordine motivato di non effettuare le previste trasformazioni, ha natura perentoria, essendo finalizzato a dare certezza ai rapporti giuridici tra privati e Pubblica amministrazione, a tutelare gli interessi di entrambi nonché, contemporaneamente, l’interesse pubblico”; e, ancora, T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 8 giugno 2001, n. 325; T.A.R. Lombardia, Brescia, 1° giugno 2001, n. 397; T.A.R. Basilicata, 21 ottobre 2000, n. 647.

La perentorietà è da riconnettersi con il venir meno del potere, di cui al co. 6 dell’art. 23 del d.P.R. 380/01, del Comune di contestare al denunziante la carenza dei presupposti e dei requisiti di legge.

Con il decorso di un termine breve, si definiscono e vengono a giuridica esistenza anche gli effetti dell’atto-denunzia, titolo abilitante di natura privata.

La valenza di tale atto non può trasformare in lecita e/o legittima un’attività edilizia oggettivamente abusiva, qualora il denunziante abbia erroneamente ricondotto l’intervento ad una delle fattispecie in cui opera il meccanismo della d. i. a., od erroneamente abbia certificato, tramite il proprio progettista, l’inesistenza delle condizioni impeditive stabilite dalla legge.

Conclusosi, pertanto, il procedimento d’iniziativa privata, permane in capo all’Amministrazione il più generale potere di vigilanza e di repressione di cui all’art. 4 e segg. della l. 28 febbraio 1985, n. 47, il cui esercizio non è soggetto a termini di prescrizione (salvo a dover motivare, in ipotesi di un lungo tempo trascorso dall’ultimazione dei lavori, sulla permanenza dell’interesse pubblico specifico ed attuale perseguito e ritenuto prevalente rispetto all'affidamento ingenerato nel privato dal comportamento omissivo dell’Amministrazione).

In definitiva, il potere inibitorio previsto dal comma 6 dell’art. 23 del d.P.R. 380/01, può essere esercitato entro il termine perentorio di trenta giorni, trascorso il quale possono soltanto essere emanati provvedimenti d’autotutela e sanzionatori; invero, alla scadenza del citato termine di trenta giorni matura l’autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati ed indicati nella D. I. A., fermo restando il potere dell’Amministrazione comunale di provvedere anche successivamente alla scadenza del termine stesso, ma non più con provvedimento inibitorio (ordine o diffida a non eseguire i lavori) bensì con provvedimento sanzionatorio (se i lavori sono già stati eseguiti, in tutto o in parte) di tipo ripristinatorio o pecuniario, secondo i casi, in base alla normativa che disciplina la repressione degli abusi edilizi (è’ discusso, in tal caso, se l’Amministrazione debba far precedere tale provvedimento sanzionatorio dall’emanazione, in autotutela, di un atto di secondo grado - revoca od annullamento dell’autorizzazione tacita od implicita formatasi – anche se la soluzione negativa pare quella preferibile).

Appare inoltre evidente, in base all’interpretazione letterale, che entro il termine di trenta giorni il provvedimento inibitorio di cui sopra debba essere non soltanto emanato, ma anche notificato al privato (ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento); depone chiaramente in tal senso, del resto, anche la indubbia natura recettizia dell’ordine di non eseguire i lavori da parte del Comune.

Orbene, rileva la Sezione che, nella specie, l’impugnata diffida, espressione del citato potere inibitorio, è stata notificata fuori termine (precisamente dopo 34 giorni dalla ricezione della denunzia d’inizio attività);il ricorso va pertanto accolto, restando assorbita ogni altra censura, e con salvezza degli eventuali ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Quanto, poi, alla richiesta di risarcimento del danno, avanzata dalla società ricorrente, la stessa non può essere accolta.

S’osserva infatti che l’annullamento, in sede giurisdizionale, dell’ordine di non eseguire i lavori, notificato dal Comune di Casalnuovo alla società ricorrente, essendo fondato su un motivo squisitamente formale – mancato rispetto, da parte del Comune medesimo, del termine perentorio di gg. trenta, fissato dall’art. 23 co. 6 del d.P.R. 380/2001 – non equivale ad affermare la piena legittimità dell’intervento di ristrutturazione, di cui alla d. i. a. presentata il 28.07.04, restando impregiudicato, in capo al Comune, l’esercizio del generale potere repressivo degli abusi in materia urbanistico – edilizio.

In conformità a tale osservazione, va negato ingresso all’azione risarcitoria tendente ad ottenere il ristoro del danno cd. “da ritardo” consistente sia nell’incremento dei costi dei materiali, sia nella mancata eliminazione delle diseconomie aziendali interne e nella conseguente mancata riduzione dei costi d’impresa.

Lo stesso dicasi del danno (lucro cessante), che sarebbe consistito,giusta la domanda, nella mancata evoluzione dell’attività imprenditoriale (con acquisizione di maggiori segmenti di mercato e conseguente incremento della clientela), danno da liquidarsi secondo la tecnica della “perdita di chances“.

Oltre quanto sopra osservato, s’osserva inoltre, quanto all’altra voce di danno emergente, costituita dal pagamento dei canoni afferenti la locazione finanziaria stipulata tra la società ricorrente e la Credemleasing S. P. A., che la relativa domanda risarcitoria andrebbe comunque respinta, poiché si tratta di un’obbligazione scaturente da un contratto di leasing intercorso tra le parti, avente come punto di riferimento oggettivo l’immobile, dedotto in contratto: la sussistenza e l’entità di tale obbligazione prescindono quindi, a parere del Collegio, dalla dedotta impossibilità, per la società ricorrente, d’usufruire del capannone in questione, a cagione del fatto del terzo (vale a dire a causa del dedotto illegittimo diniego di d. i. a., da parte del Comune di Casalnuovo).

Ciò è tanto più evidente, se si considera che – conformemente al tipo negoziale intercorso tra le parti (leasing) – la società ricorrente s’è riservata (cfr. il punto 22 del contratto del 4.09.2002) il diritto di opzione per l’acquisto dell’immobile, opzione sottoposta alla condizione del puntuale adempimento, da parte della stessa società, di tutte le obbligazioni scaturenti dall’accordo intercorso con la Credemleasing.

Per ciò che concerne, infine il presunto danno rappresentato dal pagamento dell’I. C. I. relativa al capannone, lo stesso è palesemente insussistente, trattandosi di null’altro che dell’adempimento di un’obbligazione tributaria propter rem.

Sussistono giusti motivi per compensare, tra le parti, le spese di giudizio. 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – sede di Napoli – Sezione II,  accoglie il ricorso in epigrafe n. R. G. 12671/2004 e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato sub 1), nei sensi di cui in motivazione.

Respinge la domanda di risarcimento del danno, avanzata dalla società ricorrente..

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Napoli, nella camera di consiglio del 9 giugno 2005.

L’ESTENSORE                                                                                                       IL PRESIDENTE

(Paolo Severini)                                                                                                      (Antonio Onorato)