n. 9375/05 Reg. Sent. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione III, composto dai Signori:

Dott. Giovanni de Leo                 Presidente

Dott. Angelo Scafuri    Consigliere

Dott.ssa Maria Laura Maddalena  Referendario rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 4644/2002 R.G. proposto da Gaetano SISMUNDO, rappresentato e difeso dall’avv. L.S. Alla imprese, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in  Napoli,  via Monte di Dio, n.1/E;

CONTRO

Il comune di Fratta Maggiore, in persona del commissario straordinario pro tempore, e rappresentato e difese dall’avv. Luigi Parisi, con domicilio eletto in Napoli, via Arenaccia, n. 122 presso Cirillo-Costa;

PER L’ANNULLAMENTO

dell’ordinanza n. 23 del 11.2.2002 di revoca della licenza n. 13.3. 1996, n. 160, rilasciata alla ditta ricorrente, e di cessazione dell’attività; di tutti gli atti preordinati connessi e conseguenti

Visto gli atti di ricorso con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione del comune di Fratta Maggiore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore alla udienza pubblica dell’ 12 maggio 2005, il referendario dott.ssa Maria Laura Maddalena;

Uditi gli avvocati come da relativo verbale;

FATTO

Con il ricorso n. 4644/2002, il ricorrente, titolare della licenza n. 160 del 13.3.1996 per l’esercizio di una rimessa per autoveicoli, espone di essere stato sottoposto a processo penale per la violazione del decreto Ronchi (d.lgs. n. 22 del 1997), nonché dell’art. 335 c.p. e dell’art. 20 della legge n. 47 del 1985, con l’accusa di aver effettuato la raccolta di rifiuti speciali e di aver realizzato una discarica non autorizzata.  In conseguenza della pendenza di tali procedimenti giudiziari, il comune di Frattamaggiore ha disposto la revoca della licenza n. 160 del 1996, per averne fatto un uso diverso da quello previsto dallo strumento urbanistico, realizzando opere abusive.

Deduce le seguenti doglianze:

  1. violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, in quanto non può ritenersi equivalente alla comunicazione di avvio del procedimento la “comunicazione verbale” menzionata nel provvedimento di revoca e comunque mai ricevuta dal ricorrente;
  2. violazione dell’art. 10 del TULPS, che consente la revoca della licenza solo in caso di abuso del titolo autorizzatorio,  eccesso di potere per difetto di motivazione, di istruttoria, carenza dei presupposti di fatto e di diritto e sviamento, perché la realizzazione di una tettoia per il rimessaggio degli autoveicoli da parte del ricorrente non ha comportato un uso dell’area diverso da quello autorizzato e perché la realizzazione di una tettoia non determina la trasformazione urbanistico-edilizia dell’area;
  3. con riferimento all’ordine di cessazione della attività sull’area di circa 10.000mq perché sprovvista di licenza, eccesso di potere perché la licenza n. 160 del 1996 non fissa il numero massimo degli autoveicoli da custodire né una superficie massima da utilizzare e perché la ditta Sismundo è stata costretta a custodire un numero notevole di autoveicoli per specifica disposizione delle forze dell’ordine.

Il comune di Frattanaggiore si è costituito e ha chiesto il rigetto del ricorso, evidenziando che il ricorrente era stato reso edotto verbalmente, in due riunioni tenutesi in data 15 e 21 gennaio 2002, della intenzione del comune di revocare la licenza e che il provvedimento impugnato costituisce un atto dovuto a fronte dell’abuso edilizio commesso dal ricorrente, consistente nella realizzazione di un manufatto, all’interno del quale sono stati ricavati vani con tramezzature di blocchi in cemento, di una tettoia in metallo e della pavimentazione di circa 600 mq di terreno antistanti al manufatto abusivo. Ha rilevato inoltre che i limiti relativi alla superficie autorizzata e al numero massimo dei veicoli in custodia sono contenuti nella licenza n. 160 del 1996 per relationem alla domanda del ricorrente dell’11.1.1996 e alla relazione tecnica allegata del 9.1.1996.

Il ricorrente ha depositato una memoria nella quale ha ribadito le precedenti difese, precisando che il procedimento penale avviato nei confronti del ricorrente si è concluso con la sua assoluzione.

All’odierna udienza, il comune ha depositato una memoria e la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 per non essere stato preceduto il provvedimento impugnato dalla avviso di avvio del procedimento teso alla di revoca della licenza n. 160 del 1996.

Il comune ha rilevato, in punto di fatto, che il comune aveva dato comunicazione dell’avvio del procedimento ma solo verbalmente, in occasione di due riunioni tenutesi presso gli uffici del comune in data 15 e 21 gennaio 2002, nel corso delle quali il ricorrente aveva convenuto sulla necessità della revoca, proponendo tuttavia alla amministrazione di rilasciare una nuova licenza sull’area non edificata abusivamente.  A riprova della conoscenza dell’avvio del procedimento di revoca, il comune ha depositato una domanda di rilascio di copia delle risultanze del sopralluogo dell’ASL NA3.

Secondo il comune, quindi, in virtù del principio della strumentalità delle forme, l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento dovrebbe essere ritenuto assolto, in quanto il ricorrente è stato comunque posto in grado di interloquire con l’amministrazione.

Il comune ha inoltre evidenziato che il provvedimento di revoca era atto doveroso e vincolato del comune, che i presupposti di fatto risultano incontestati e che comunque l’eventuale annullamento non priverebbe il ricorrente della possibilità di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto. Per tali ragioni la comunicazione di avvio del procedimento dovrebbe ritenersi nel caso di specie superflua.

Rileva il collegio in primo luogo che, a prescindere dalla questione della prova della intervenuta comunicazione verbale di avvio del procedimento, circostanza non ammessa dal ricorrente, essa, per come sarebbe stata effettuata secondo la prospettazione del comune, non appare comunque idonea a surrogare una formale comunicazione da effettuarsi in forma scritta. Il fatto che il ricorrente abbia partecipato ad alcune riunioni presso gli uffici comunali nel corso delle quali egli sarebbe stato informato della intenzione del comune di revocare la licenza non dà infatti adeguata garanzia della completezza e precisione della comunicazione stessa, la quale è finalizzata da rendere pienamente consapevole l’interessato dell’oggetto del procedimento per consentirgli di interloquire e di portare elementi di valutazione a suo favore, che l’amministrazione è tenuta a prendere in considerazione.

Una comunicazione in forma orale se non viene non raccolta in un verbale non consente di avere alcuna certezza circa il suo contenuto e non può sostituire la comunicazione in forma scritta.

Chiarito ciò, occorre esaminare il secondo aspetto delle deduzioni del comune resistente, concernenti la non necessità di una comunicazione di avvio del procedimento stante la natura vincolata del provvedimento adottato.

Secondo la difesa comunale, il provvedimento impugnato, impropriamente definito revoca, sarebbe in realtà un atto dovuto di declaratoria di inefficacia come diretta conseguenza del mutamento dell’assetto dei luoghi realizzato mediante l’edificazione di opere abusive con la modifica della destinazione urbanistica.

La prospettazione del comune non è condivisibile. Il provvedimento impugnato è un vero e proprio atto di revoca, atto di secondo grado che incide sfavorevolmente sulla sfera giuridica del ricorrente, privandolo di una utilità in precedenza concessagli con un provvedimento ampliativo.

Esso inoltre ha contenuto discrezionale.

Il motivo della revoca è, infatti, la destinazione dell’area ad un uso diverso dal quello previsto dallo strumento urbanistico, ovvero “il mutamento della situazione di fatto” previsto dall’art. 21-quinques della legge n. 241 del 1990, così come modificata dalla legge n. 15 del 2005. Si tratta dunque di un provvedimento di natura discrezionale, dovendo l’amministrazione valutare se il comportamento posto in essere dal ricorrente integri quella modifica della destinazione dell’area rispetto all’uso consentito. 

Stante la natura discrezionale dell’atto impugnato, non è possibile ritenere non necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, come richiesto dal comune, né è possibile applicare – nonostante essa non richieda una specifica allegazione difensiva ma possa operare ex officio –  la disposizione di cui all’art. 21 octies, comma 2 della l. 241 del 1990, così come modificata dalla legge n. 15 del 2005, secondo la quale il provvedimento non è annullabile  per violazione delle norme sul procedimento e sulla forma degli atti, qualora “per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Le argomentazioni del comune possono tuttavia essere interpretate come  riconducibili alla seconda parte del comma 2 dell’art. 21 octies,  la quale prevede che il provvedimento amministrativo, anche discrezionale, non possa comunque essere annullato per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri che il provvedimento non poteva avere diverso contenuto da quello adottato. Si tratta di una norma di natura processuale e come tale applicabile in virtù del principio tempus regit actum anche alla controversia in esame.

Tale disposizione richiede per la sua applicabilità uno specifico impulso di parte  e onera l’amministrazione di fornire la prova della sostanziale ininfluenza ai fini della decisione della omessa comunicazione di avvio. Nel caso di specie, un tale intendimento della amministrazione si rinviene, in via interpretativa, nelle sue difese, pur in mancanza di uno specifico richiamo normativo alla novella della legge n. 241 del 1990. Specifici richiami si rinvengono infatti solo nella memoria depositata tuttavia lo stesso giorno dell’udienza e, pertanto, tardiva.

Tutta la difesa del comune è infatti impostata sulla dimostrazione della doverosità del provvedimento di revoca oggetto del giudizio, a causa dell’intervenuto mutamento della destinazione d’uso dell’area a seguito della edificazione abusiva. In sostanza, dunque, l’amministrazione ha inteso dimostrare che il provvedimento impugnato non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello adottato.

A sostegno delle sue argomentazioni ha depositato documenti tra i quali il verbale di sequestro dei carabinieri della stazione di Grumo Nevano del 21.10.12001 (richiamato nel provvedimento impugnato). In tale verbale si legge che gli agenti operanti constatavano la presenza di operai intenti ad eseguire dei lavori edili su un fabbricato insistente nell’area destinata a deposito di autovetture. Il ricorrente riferiva che il manufatto era di proprietà della moglie Varavallo Assunta e che era già stato sottoposto a sequestro in data 23.8.2001.

La difesa del comune ha quindi anche depositato il provvedimento di intimazione di demolizione del predetto manufatto, del 11.10.2001, con l’allegata comunicazione della notizia di reato del 23.8.2001, nella quale la costruzione abusiva viene descritta come segue: “manufatto della lunghezza di 21,50 m circa per 9,50 m. e con altezza di circa 4 m.; la copertura dello stesso è in pannelli sandwich inclinata. All’interno del manufatto sono stati ricavati vani con tramezzature in blocchi di lapil cemento”.

Secondo la difesa dell’amministrazione, dunque, il mutamento di destinazione dell’area in questione, classificata come zona di attrezzature di interesse collettivo, deve essere ricondotto non alla costruzione della tettoia abusiva, come sostiene il ricorrente, ma alla edificazione di un intero manufatto abusivo, comportante una trasformazione urbanistico edilizia dell’area. L’uso dell’area per un fine diverso da quello autorizzato ha quindi determinato l’amministrazione alla adozione del provvedimento di revoca.

Le argomentazioni del comune sono condivisibili.

Sulla base degli atti depositati e delle deduzioni difensive del comune, è possibile ritenere che effettivamente il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato, pur in presenza di una regolare comunicazione di avvio del provvedimento.

Infatti, le censure mosse dal ricorrente nel secondo motivo di ricorso, volte a contestare la sussistenza del presupposto per l’esercizio del potere di revoca, “l’uso diverso da quello previsto dallo strumento urbanistico generale”, non sono fondate.

Esse si basano, infatti, sull’assunto che la revoca sia stata disposta unicamente a causa della realizzazione della tettoia abusiva, la quale non comporterebbe alcuna modifica della destinazione urbanistica essendo usata come deposito di attrezzi ed autoveicoli sequestrati. Invece, come ha dimostrato il comune resistente, le opere abusive che hanno determinato la revoca della licenza sono quelle relative alla realizzazione del manufatto, con conseguente modifica della destinazione urbanistica imposta dal p.r.g.

A riprova di ciò, non può non rilevarsi che nella istanza di condono del 9.12.2004 depositata dal ricorrente, è espressamente dichiarato che “l’abuso edilizio consiste nella realizzazione di un locale commerciale per la vendita di veicoli sito in Frattamaggiore (NA) alla via Michetti”.

In conclusione, deve essere affermata l’infondatezza delle censure sostanziali avverso il provvedimento di revoca di cui al secondo motivo di ricorso e l’impossibilità di annullare il provvedimento per violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2.  

Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente contesta la legittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui esso ha disposto la cessazione dell’attività di autorimessa sull’area di mq 10.000 perché sprovvista di licenza ex art. 86 TULPS, deducendo che la licenza non fissa né un numero massimo di autoveicoli da custodire né una superficie massima da utilizzare e che il ricorrente è stato costretto a custodire un numero notevole di veicoli a fronte di una situazione di emergenza e su disposizione specifica delle forze dell’ordine.

Il motivo di ricorso non può trovare accoglimento.

Il provvedimento impugnato ha disposto la cessazione dell’attività esercitata sull’area non autorizzata, in quanto abusiva.

La licenza n. 160 del 1996 invero non indica espressamente la superficie dell’area autorizzata, tuttavia essa può essere agevolmente identificata – come rilevato dal comune resistente – tramite la relazione tecnica e la planimetria allegata alla istanza di licenza presentata dal ricorrente in data 11.1.1996, depositate dal comune (doc. 13). Da tali atti risulta che la superficie in questione consiste in mq. 520 circa.

Dagli accertamenti effettuati, risulta invece che il ricorrente aveva adibito a deposito anche un’ulteriore area di circa 10.000mq, in difetto della prescritta autorizzazione.

Il provvedimento, nella parte in cui ha disposto la cessazione dell’attività sull’area non autorizzata, dunque si palesa legittimo ai sensi dell’art. 17 ter del TULPS, non potendo l’amministrazione consentire la prosecuzione dell’attività abusiva.    Né a questi fini rileva il fatto che il ricorrente abbia dichiarato di essere stato costretto a custodire un numero maggiore di veicoli, occupando anche l’area non autorizzata. Tali affermazioni, peraltro del tutto sprovviste di prova, non possono comunque determinare l’illegittimità del provvedimento impugnato che non ha natura sanzionatoria ma è solo finalizzato a disporre il ripristino della legalità.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Sussistono, tuttavia, giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Terza Sezione di Napoli,  respinge il ricorso n. 4644/2002;

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così è deciso in Napoli, nelle camere di consiglio del  12 maggio 2005 e del 16 giugno 2005. 

Dott. Giovanni de Leo Presidente

Dott. ssa Maria Laura Maddalena Estensore