N. 435 REG.RIC.
ANNO 2002
N. 491 REG.SENT.
ANNO 2005
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER L’EMILIA-ROMAGNA
SEZIONE DI PARMA
composto dai Signori:
Dott. Gaetano Cicciò Presidente
Dott. Umberto Giovannini Consigliere
Dott. Italo Caso Consigliere Rel.Est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 435 del 2002 proposto da Vodafone Omnitel S.p.A., ora Vodafone Omnitel N.V., in persona del procuratore speciale Vittorio Minervini, rappresentata e difesa dall’avv. Riccardo Troiano, dall’avv. Pier Mario Telmon e dall’avv. Monica Callai, e presso quest’ultima elettivamente domiciliata in Parma, borgo del Parmigianino n. 5;
contro
il Comune di Parma, non costituito in giudizio;
e nei confronti
dell’Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente dell’Emilia-Romagna e dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Parma, non costituite in giudizio;
per l’annullamento
dei pareri resi in data 5 agosto 2002 (prot. n. 3270-02-APRUSZ) dall’Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente dell’Emilia-Romagna e in data 27 agosto 2002 (prot. n. 5591) dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Parma, comunicati alla ricorrente con nota prot. n. 123302 del 26 settembre 2002 (a firma del Dirigente del Servizio Ambiente del Comune di Parma), con cui si è espressa una valutazione non favorevole sulla richiesta di autorizzazione alla installazione di una stazione radio base per la telefonia mobile in via Benassi n. 5;
di ogni altro provvedimento e atto presupposto, connesso e conseguente, ed in particolare dell’art. 42 bis del regolamento edilizio comunale approvato con deliberazione consiliare n. 42/84 del 28 febbraio 2000;
per la condanna
delle Amministrazioni al risarcimento del danno.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Udito alla pubblica udienza del 4 ottobre 2005 l’avv. Mascello, in sostituzione dell’avv. Troiano, per la ricorrente.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
Riferisce la società ricorrente che essa presentava un progetto per la realizzazione, nel territorio del Comune di Parma (via Benassi n. 5), di una “infrastruttura per stazione radio base per l’espletamento del servizio pubblico radiomobile di telecomunicazione”, ubicata su di un edificio; che in data 5 agosto 2002 (prot. n. 3270-02-APRUSZ) l’Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente dell’Emilia-Romagna esprimeva una valutazione non favorevole, per contrasto con l’art. 42 bis del regolamento edilizio comunale, stante la presenza – a meno di 100 metri – di un fabbricato adibito a scuola per minori di 14 anni; che il parere non favorevole veniva successivamente reso anche dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Parma (prot. n. 5591 del 27 agosto 2002); che di detti pareri negativi veniva data comunicazione alla ricorrente con nota prot. n. 123302 del 26 settembre 2002, a firma del Dirigente del Servizio Ambiente del Comune di Parma.
Ritenendo illegittime tali determinazioni, la società ricorrente ha adito il giudice amministrativo. Deduce:
1) Illegittimità in via derivata e riflessa.
L’art. 42 bis del regolamento edilizio comunale è già stato impugnato con il ricorso n. 372/2000. Gli atti oggetto della presente controversia sono dunque illegittimi per gli stessi motivi ivi illustrati, motivi che devono ritenersi integralmente fatti propri e trascritti.
2) Violazione della legge n. 36/2001. Incompetenza. Eccesso di potere per errore e difetto dei presupposti – Violazione dell’art. 9 della legge reg. n. 30/2000, del DM 381/1998, della DGR 197/2001. Eccesso di potere per errore e difetto dei presupposti sotto altro profilo – Illegittimità sopravvenuta per violazione del d.lgs. n. 198/2002. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e sviamento.
Il vincolo della distanza è illegittimo, in quanto la competenza in materia di valori di campo elettromagnetico, a tutela della salute pubblica, spetta allo Stato; né, d’altra parte, la disposizione regolamentare trova fondamento nella legge reg. n. 30/2000, che fissa altri criteri-guida. Illegittimi, poi, sono gli atti impugnati anche per contrasto con il sopraggiunto d.lgs. n. 198 del 2002.
3) Violazione e falsa applicazione della legge reg. n. 30/2000, del D.M. n. 381/1998 e della deliberazione della Giunta regionale n. 197/2001. Eccesso di potere per falsità di presupposti e sviamento.
Il progetto è stato redatto conformemente ai criteri contenuti nell’art. 8 della legge reg. n. 30/2000 e nel capo III della deliberazione della Giunta regionale n. 197/2001. Ricorrevano dunque tutti i presupposti per procedere alla installazione dell’impianto.
4) Violazione dei principi generali in materia di libertà di impresa ed esercizio di pubblico servizio. Violazione dell’art. 41 Cost. Eccesso di potere per sviamento e ingiustizia manifesta.
Gli atti impugnati non sono sorretti da adeguata istruttoria, e ciò dà luogo ai vizi di cui in rubrica.
Conclude quindi la ricorrente per l’annullamento degli atti impugnati, ivi incluso l’art. 42 bis del regolamento edilizio comunale approvato con deliberazione consiliare n. 42/84 del 28 febbraio 2000. Viene altresì invocato il risarcimento del danno subito per effetto del diniego di autorizzazione.
Non si sono costituiti in giudizio il Comune di Parma, l’Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente dell’Emilia-Romagna e l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Parma.
All’udienza del 4 ottobre 2005, ascoltato il rappresentante della ricorrente, la causa è passata in decisione.
D I R I T T O
Vistasi negare l’autorizzazione alla installazione di una stazione radio base per telefonia mobile nel territorio del Comune di Parma, la società ricorrente impugna il provvedimento di rigetto e i pareri negativi ivi richiamati, nonché le prescrizioni regolamentari in applicazione delle quali è intervenuto il diniego. Ne lamenta l’illegittimità sotto molteplici profili, ed invoca pertanto il loro annullamento, con condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento dei danni.
Va preliminarmente puntualizzato che è tempestiva la censura dell’art. 42 bis del regolamento edilizio comunale. In quanto prescrizione a carattere normativo, destinata a regolare la futura attività edilizia e, come tale, non immediatamente lesiva di posizioni giuridiche soggettive di singoli, la disposizione poteva essere impugnata soltanto unitamente al provvedimento che ne avrebbe realizzato la concreta applicazione; il termine per la proposizione del relativo ricorso è dunque iniziato a decorrere dalla piena conoscenza del provvedimento esecutivo, l’unico suscettibile di rendere attuale e certa la lesione dell’interesse protetto.
Nel merito, si osserva che la materia della localizzazione degli impianti di telefonia mobile è stata oggetto in giurisprudenza di numerose pronunce, tali da determinare un orientamento oramai ben delineato. In particolare – per riassumerne brevemente i principi guida – è stato rilevato che, sia con riferimento alla normativa anteriore alla legge 22 febbraio 2001, n. 36 (“Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”), sia con riferimento al quadro normativo scaturito dall’entrata in vigore di detta disciplina, è da escludere che rientri tra le competenze attribuite ai Comuni la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli previsti dallo Stato (v. d.m. 10 settembre 1998 n. 381); che, in effetti, prima della legge n. 36 del 2001 ai Comuni spettavano le sole competenze in tema di uso del territorio, fermo restando che il formale utilizzo degli strumenti di carattere urbanistico-edilizio e il dichiarato intento di esercitare le proprie competenze in tema di governo del territorio non potevano giustificare l’adozione di misure che nella sostanza costituissero indirettamente una deroga ai predetti limiti, quali il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio base per la telefonia mobile in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale o la previsione di specifiche distanze fisse minime tra detti impianti e le abitazioni; che, insomma, l’introduzione di misure tipicamente di governo del territorio (distanze, altezze, localizzazioni, ecc.) appariva legittimo nei soli limiti in cui fosse conforme al principio di ragionevolezza ed alla natura delle relative competenze, e quindi sorretta da motivate esigenze di ordine urbanistico-edilizio, quali risultanti da un’istruttoria idonea a dimostrare la sostanziale correttezza delle misure e la loro idoneità al fine perseguito; che tanto, però, vale anche a seguito della legge n. 36 del 2001, la quale ha attribuito allo Stato l’esercizio delle funzioni relative alla «determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità … in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee …» [art. 4, comma 1, lett. a)] ed ha previsto che i «limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, le tecniche di misurazione e rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico …» (art. 4, comma 2) siano fissati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, mentre ha conferito alle Regioni (art. 8) una serie di competenze (individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile; determinazione delle modalità per il rilascio delle autorizzazioni alle installazione degli impianti; indicazione dei criteri localizzativi, degli standard urbanistici, delle prescrizioni e delle incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili; definizione delle attribuzioni di Province e Comuni; ecc.), da esercitare però pur sempre nel «… rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato …» (art. 8, comma 1); che ai Comuni – è vero – è stato al contempo riconosciuto il potere di «… adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici» (art. 8, comma 6), ma si tratta di funzione da coordinare con il quadro di riparto delle competenze in materia, e quindi senza potere introdurre misure che prevedano limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli previsti dallo Stato o che comunque ne costituiscano di fatto una deroga, essendo invece consentita l’individuazione di specifiche e diverse misure, la cui idoneità – al fine della “minimizzazione della esposizione” – emerga dallo svolgimento di compiuti e approfonditi rilievi istruttori, sulla base di risultanze di carattere scientifico; che, peraltro, essendo subordinato tale potere regolamentare alle competenze regionali in materia, la disciplina di livello comunale non può estendersi al punto di presupporre essa stessa l’individuazione delle “aree sensibili”, ma deve limitarsi a raccordare il potere concessorio, in armonia con le esigenze urbanistiche e la minimizzazione dell’impatto elettromagnetico, a quanto già determinato in sede regionale.
Sulla questione è intervenuta anche la Corte costituzionale (v. sentt. n. 307 del 7 ottobre 2003 e n. 331 del 7 novembre 2003). Il giudice delle leggi ha osservato che la fissazione a livello nazionale dei valori-soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al Paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell’energia e di ordinamento delle comunicazioni è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato; che, per il resto – e cioè per le discipline localizzative e territoriali –, riprende pieno vigore l’autonoma capacità delle Regioni e degli enti locali di regolare l’uso del proprio territorio, purché ovviamente criteri localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli stessi; che, in ragione di ciò, mentre sono costituzionalmente legittime le normative regionali che vietano l’installazione degli impianti in corrispondenza delle “aree sensibili” (individuate in ben definite categorie di edifici) – perché comunque espressione di un “criterio di localizzazione” sia pure formulato in negativo –, sono invece da ritenere incostituzionali le normative regionali che, per individuare le zone precluse all’installazione degli impianti, utilizzano il criterio della distanza tra luoghi di emissione e luoghi di immissione delle irradiazioni – perché in contrasto con il criterio statale basato esclusivamente sui limiti di immissione delle irradiazioni nei luoghi particolarmente protetti –.
Restano invece estranei al presente giudizio, ratione temporis, i sopraggiunti d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (“Codice delle comunicazioni elettroniche”) e d.P.C.M. 8 luglio 2003 (“Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz.”). Se ne può dunque nella fattispecie prescindere.
Tanto premesso, risulta a questo punto agevole al Collegio la risoluzione della controversia.
Il diniego di autorizzazione è motivato per relationem, sulla base del “parere non favorevole” dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Parma, a sua volta fondato sull’esito negativo della valutazione operata dall’Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente dell’Emilia-Romagna (“… Sulla base della documentazione trasmessa, si evince che un fabbricato adibito a scuola per minori di 14 anni è a distanza inferiore a m. 100 … ai sensi dell’art. 42-bis del Regolamento Edilizio del Comune di Parma …”). La norma regolamentare richiamata, da parte sua, nell’occuparsi dei “sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi”, vieta l’installazione dei relativi impianti «… ad una distanza, misurata in proiezione orizzontale, inferiore a metri 100 da scuole (dell’obbligo), asili, ospedali e case di cura … » (comma 8).
Appare evidente che, lungi dal costituire espressione della funzione di governo del territorio, la disciplina in tal modo introdotta, per non trovare alcuna giustificazione sotto il profilo urbanistico-edilizio, si rivela in realtà come un tipico caso di esercizio di attività amministrativa preordinata alla tutela della pubblica salute da possibili fonti di inquinamento elettromagnetico, e ciò a mezzo di strumenti diversi da quelli all’uopo consentiti dallo Stato, titolare della competenza in materia. La normativa nazionale, in effetti, assume a riferimento indici quali i valori di campo elettromagnetico generati dagli impianti e le potenze delle onde piane irradiate dagli stessi, nulla disponendo invece in ordine alle distanze dagli edifici, il che – come si è già detto – ha indotto la giurisprudenza a considerare illegittimi gli atti comunali che in via generale subordinino l’installazione degli impianti a simili fasce di rispetto (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2005 n. 450; TAR Emilia-Romagna, Parma, 12 ottobre 2004 n. 674; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 27 maggio 2005 n. 1113), e persino incostituzionali le normative regionali che adottino il medesimo regime delle “distanze”, anche se riferito alle c.d. “aree sensibili” (v. Corte cost. n. 307/2003 e n. 331/2003 cit.).
Di qui la fondatezza della doglianza incentrata sull’esercizio di funzioni estranee a quelle di spettanza dell’Amministrazione comunale, e quindi, assorbite le ulteriori censure, l’annullamento degli atti impugnati, ivi compreso l’art. 42 bis del regolamento edilizio comunale, nella parte in cui questo, seppur limitatamente a specifiche categorie di siti, impone distanze minime per l’installazione degli impianti di telefonia mobile.
Resta da vagliare l’istanza risarcitoria.
Per costante giurisprudenza (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 15 febbraio 2005 n. 478), alla stregua del generale principio dell’onere della prova, chi deduce di aver subito un danno deve dare dimostrazione dello stesso, sia in ordine all’an sia in ordine al quantum. Nella fattispecie, però, la società ricorrente si è limitata a richiedere in modo generico la condanna dell’Amministrazione comunale, senza fornire alcun elemento utile all’accertamento non solo dell’entità dei danni, ma anche della loro stessa sussistenza. E ciò è sufficiente per respingere la domanda.
Sussistono giusti motivi per dichiarare irripetibili le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, così provvede:
- accoglie la domanda di annullamento, con conseguente caducazione degli atti impugnati, ivi compreso l’art. 42-bis del regolamento edilizio comunale nella parte in cui impone distanze minime per l’installazione degli impianti di telefonia mobile;
- respinge la domanda di risarcimento del danno.
Spese irripetibili.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del 4 ottobre 2005.
f.to Gaetano Cicciò Presidente
f.to Italo Caso Consigliere Rel.Est.
Depositata in Segreteria ai sensi dell’art.55 L. 27/4/82, n.186.
Parma, lì 19 ottobre 2005
f.to Eleonora Raffaele Il Segretario
fg
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