REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

DEL LAZIO

ROMA – SEZIONE PRIMA bis

N                 /

Reg. Sent.

N. 10792/2000 Reg. Ric.

composto dai Magistrati:

- ROBERTO POLITI  Presidente

- ELENA STANIZZI   Consigliere Rel. Est.

- DONATELLA SCALA  Consigliere

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

Sul ricorso N. 10792/2000 R.G. proposto dalla società GRAPHO S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Franco Gaetano Scoca e dall’Avv. Damiano Lipani ed elettivamente domiciliata presso lo Studio Legale di quest’ultimo sito in Roma, Via Ennio Quirino Visconti n. 20;

CONTRO

- il MINISTERO DELLA SANITA’, ora MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso il cui Ufficio sito in Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è, ope legis, domiciliato;

E NEI CONFRONTI DI

- NEWMAN S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giampaolo Rossi e dall’Avv. Paola Razzano ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo sito in Roma, Via dei Tre Orologi n. 20;

PER L'ANNULLAMENTO

  - del provvedimento del Ministero della Sanità - Servizio Studi e Documentazione – Ufficio III, datato 4 maggio 2000, prot. SSD/I/30.1/941, recante la comunicazione della collocazione della società ricorrente al secondo posto nella graduatoria finale della gara a procedura ristretta accelerata per l’affidamento della realizzazione della “Campagna di comunicazione multimediale sulla donazione di organi e tessuti”, in conformità alla proposta della relativa Commissione Tecnica;

  - del provvedimento, di estremi ignoti, di aggiudicazione della gara alla società Newman S.r.l.;

  - del verbale della seduta di gara del 2 maggio 2000 della Commissione Tecnica per l’esame e la valutazione delle offerte presentate dalle imprese invitate a partecipare alla gara, nella parte in cui vengono valutate le offerte presentate, assegnati i punteggi e formata la graduatoria finale;

  - di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale;

  E PER OTTENERE

  - la condanna, ex artt. 34 e 35 del D.Lgs n. 80 del 1998, dell’Amministrazione resistente alla corresponsione del risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente per effetto dell’illegittimo svolgimento delle procedure di gara;

  E SUL RICORSO INCIDENTALE

  - presentato dalla controinteressata NEWMAN S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giampaolo Rossi e dall’Avv. Paola Razzano ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo sito in Roma, Via dei Tre Orologi n. 20;

  CONTRO

- il MINISTERO DELLA SANITA’, ora Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso il cui Ufficio sito in Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è, ope legis, domiciliato;

  E NEI CONFRONTI DI

- GRAPHO S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Franco Gaetano Scoca e dall’Avv. Damiano Lipani ed elettivamente domiciliata presso lo Studio Legale di quest’ultimo sito in Roma, Via Ennio Quirino Visconti n. 20;

  PER L’ANNULLAMENTO

  - del bando di gara e delle operazioni di gara nella parte in cui non hanno determinato l’attribuzione alla Newman S.r.l. di un punteggio per la voce dei servizi prestati;

   E PER OTTENERE

  - il risarcimento dei danni subiti;

  Visto il ricorso con i relativi allegati;

  Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata e della controinteressata Newman S.r.l.;

  Visto il ricorso incidentale presentato dalla controinteressata Newman S.r.l.;

  Visti gli atti tutti della causa;

  Uditi, alla Pubblica Udienza del 19 gennaio 2005, l’Avv. Stefano Gattamelata per delega dell’Avv. Scoca per la parte ricorrente e l’Avv. Paola Razzano per la controinteressata Newman S.r.l. - Giudice relatore il Consigliere Elena Stanizzi;

  Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

  Quale premessa dell’analisi dei fatti e delle illegittimità denunciate, espone la società ricorrente che con bando di gara pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. S-59 del 24 marzo 2000 e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, foglio inserzioni n. 72 del 27 marzo 2000, il Ministero della Sanità ha indetto una gara a procedura ristretta accelerata per l’affidamento di servizi pubblicitari per la “Campagna di comunicazione multimediale sulla donazione di organi e tessuti”, per un importo a base d’asta di lire 1.150.000.000, IVA esclusa, secondo il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, di cui all’art. 23, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 157 del 1995, da valutarsi secondo gli elementi del prezzo (per un massimo di 30 punti), del servizio prestato per amministrazioni pubbliche (per un massimo di 30 punti) e dello specifico know how sull’argomento (per un massimo di 40 punti).

  Invitata alla gara, la ricorrente – a seguito della apertura dei plichi contenenti le offerte economiche delle imprese partecipanti, avvenuta nel corso della seduta pubblica di gara del 27 aprile 2000, come da relativo verbale – è risultata aver presentato l’offerta economica più vantaggiosa, pari ad un importo di lire 850.000.000, con un ribaso percentuale di circa il 26% rispetto all’importo a base d’asta e, stante il rilevato carattere anomarmalmente basso della stessa, è stata sottoposta a verifica.

  Nella successiva seduta del 2 maggio 2000, previo esame della giustificazioni fornite dalla ricorrente sulle condizioni dell’offerta economica, quest’ultima è stata giudicata ammissibile dalla Commissione Tecnica, la quale ha successivamente proceduto alla valutazione delle offerte, alla attribuzione dei punteggi ed alla formazione della relativa graduatoria di gara, collocando la ricorrente al secondo posto con attribuzione di 38 punti, e riconoscendo il primo posto alla società Newman S.r.l., con punti 40.

  Avverso tale verbale, nonché avverso gli ulteriori provvedimenti indicati in epigrafe, parte ricorrente ha proposto impugnazione affidata ai seguenti motivi di censura:

  - violazione del D.Lgs. n. 157 del 1995 e della direttiva 92/50/CEE; eccesso di petere per vizio del procedimento, per illogicità e/o contraddittorietà dell’atto;

  - violazione dell’art. 97 della Costituzione, della legge n. 15 del 1968, della legge n. 127 del 1997, della legge n. 191 del 1998, del D.P.R. n. 403 del 1998, della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per illogicità manifesta e carenza di istruttoria.

  Denuncia, innanzitutto, parte ricorrente, l’erroneità del punteggio finale attribuitole, in quanto asseritamente frutto di un errore di calcolo nella sommatoria dei punteggi parziali ottenuti, e segnatamente di 30 punti per l’elemento prezzo, di 2 punti per l’elemento servizi prestati e di 8 punti per lo specifico know how, la cui risultante è di 40 punti, e non già di 38 punti, come invece riportato nella graduatoria finale.

  Con la conseguenza che, stante la parità di punteggio con la società aggiudicataria, si sarebbe reso necessario l’esperimento di una trattativa migliorativa tra le due.

  Lamenta, inoltre, parte ricorrente, sotto altro profilo, l’illegittimità della procedura di gara per avere la Commissione Tecnica provveduto all’apertura dei plichi contenenti le offerte economiche prima della valutazione dell’offerta tecnica, così anticipando la valutazione oggettiva dell’elemento prezzo a quella di natura soggettivo-discrezionale circa il know how ed i servizi effettuati.

  A tale ultimo riguardo, sostiene parte ricorrente la mancata indicazione, negli atti di gara, circa le modalità di valutazione dell’elemento servizio e la documentazione da allegare a sua riprova, assumendo altresì come l’elenco recante i servizi prestati a favore di soggetti pubblici fosse richiesto solo quale condizione minima di partecipazione, e quindi ai soli fini della fase della prequalifica dei partecipanti.

  Nell’evidenziare, inoltre, parte ricorrente di aver ottenuto solo 2 punti in relazione all’elemento inerente i servizi prestati con amministrazioni pubbliche, per avere la Commissione tecnica ritenuto valutabile solo uno di tali servizi (e segnatamente quello inerente la ‘campagna informativa e di educazione alimentare sul sale nell’alimentazione per la profilassi della carenza iodica e la prevenzione dell’ipertensione’ svolto a favore del Ministero della Sanità) per il quale, seppur non certificato ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 157 del 1995, era agli atti ministeriali la prova della veridicità di quanto dichiarato, contesta la mancata valutazione degli ulteriori servizi - indicati nell’elenco presentato in sede di gara - motivata sulla base della circostanza della loro mancata certificazione ai sensi del citato articolo.

  In proposito, rileva parte ricorrente come la necessità della certificazione di tali servizi sia, sul piano normativo, superata per effetto del D.P.R. n. 403 del 1998, che consente la produzione di certificazioni sostitutive, nonché per effetto dell’art. 18 della legge n. 241 del 1990, che impone alle amministrazioni di accertare d’ufficio i fatti, gli stati e le qualità che la stessa o diversa amministrazione è tenuta a certificare, riportandosi, in proposito, la ricorrente al principio di non aggravamento del procedimento, anche in considerazione della natura accelerata della procedura di gara.

  Inoltre, secondo parte ricorrente, l’Amministrazione procedente, prima di valutare negativamente i propri requisiti per difetto nella produzione documentale, avrebbe dovuto invitare la stessa all’integrazione delle dichiarazioni presentate, in applicazione dell’art. 16 del D.Lgs. n. 157 del 1995, e ciò senza pregiudizio alcuno per la par condicio tra i concorrenti.

  Propone altresì parte ricorrente domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimo svolgimento della procedura di gara ed alla mancata aggiudicazione della stessa a favore della ricorrente.

  Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

  Si è costituita in giudizio anche la controinteressata Newman S.r.l. controdeducendo puntualmente alle censure ricorsuali, e spiegando ricorso incidentale condizionato all’eventuale accoglimento del ricorso principale, proponendo i seguenti motivi di censura:

  - violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del D. Lgs. n. 157 del 1995; violazione del bando di gara; violazione dei principi generali in tema di partecipazione alle pubbliche gare, con particolare riferimento alla allegazione dei requisiti di capacità tecnica; eccesso di potere.

  Evidenziato l’interesse alla proposizione del ricorso incidentale – sotto il profilo della valutazione dei servizi prestati - per il caso di accoglimento del ricorso, sostiene la controinteressata, che non ha ricevuto, per tale voce, alcuna attribuzione di punteggio, l’erroneità dell’operato della commissione valutativa nel considerare valutabili solo i servizi prestati a favore di amministrazioni pubbliche e non quelli prestati a favore dei privati, ovvero nel ritenere, per tali ultimi, la necessità di produzione della certificazione, posto che ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 157 del 1995 la certificazione è richiesta solo con riferimento ai servizi prestati a favore di soggetti pubblici, mentre con riguardo a quelli resi a favore di privati è sufficiente la dichiarazione di questi ultimi o, in mancanza, del concorrente.

  Nell’impugnare anche il bando di gara, nella parte in cui dovesse legittimare l’interpretazione seguita dalla commissione, la controinteressata – che ha effettuato, contrariamente alla ricorrente, quasi esclusivamente servizi a favore di privati - lamenta dunque l’illegittimità della loro mancata valutazione ai fini dell’attribuzione del punteggio per tale elemento, ribadendo come, per tali servizi, non fosse necessaria la produzione di alcuna certificazione e reclamando per gli stessi l’attribuzione del punteggio, con richiesta di risarcimento dei danni subiti.

  Con memorie successivamente depositate, sia la ricorrente che la controinteressata hanno puntualmente contestato e controdedotto alle argomentazioni avverse, insistendo nelle proprie richieste.

  Con ordinanza n. 6857/2000 è stata rigettata la domanda incidentale di sospensione degli effetti dei gravati provvedimenti.

  Alla Pubblica Udienza del 19 gennaio 2005, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.

D I R I T T O

  Con il ricorso in esame parte ricorrente rivolge azione impugnatoria avverso i provvedimenti – meglio indicati in epigrafe nei loro estremi – inerenti la gara a procedura ristretta accelerata per l’affidamento da parte del Ministero della Sanità della realizzazione della “Campagna di comunicazione multimediale sulla donazione di organi e tessuti”, e segnatamente, la comunicazione alla società ricorrente della sua collocazione al secondo posto nella relativa graduatoria finale, il verbale relativo alla seduta di gara del 2 maggio 2000 della Commissione Tecnica per l’esame e la valutazione delle offerte presentate dalle imprese invitate a partecipare alla gara, nella parte in cui reca la valutazione delle offerte, vengono assegnati i punteggi e formata la graduatoria finale.

  Nell’impugnare, inoltre, la società ricorrente il provvedimento di aggiudicazione della gara alla società Newman S.r.l., propone altresì azione volta ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimo svolgimento della procedura di gara ed alla mancata aggiudicazione della stessa a suo favore.

  Sul ricorso – affidato alla proposizione di una articolata serie di censure, involgenti la legittimità delle operazioni di gara con specifico riferimento sia alla sequenza delle stesse, che al procedimento più prettamente valutativo – si innesta il ricorso incidentale proposto dalla controinteressata Newman S.r.l., aggiudicataria della gara, il cui interesse, subordinatamente all’eventuale accoglimento del ricorso principale, è rivolto avverso la mancata valutazione dei servizi prestati a favore di privati.

  Così sinteticamente ricostruito l’oggetto del presente giudizio, più dettagliatamente illustrato in parte narrativa, il Collegio, nella gradata elaborazione logica dell’iter decisionale sulla controversia che qui occupa, ritiene di dover prendere preliminarmente in esame – stante la sua ritenuta fondatezza ed il suo conseguente carattere assorbente di ogni ulteriore doglianza, anche proposta in via incidentale - la censura ricorsuale volta a lamentare l’illegittimità dell’avvenuta apertura, da parte della Commissione Tecnica, dei plichi contenenti l’offerta economica – alla cui valutazione procedere mediante attribuzione di un punteggio determinato in modo oggettivo – in un momento anteriore all’apertura dei plichi contenenti l’offerta tecnica.

  Giova, in proposito, ricordare che il criterio di aggiudicazione della gara, come fissato dal relativo bando, è quello della offerta economicamente più vantaggiosa, di cui all’art. 23, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 157 del 1995, da valutarsi secondo gli elementi del prezzo (per un massimo di 30 punti), del servizio prestato per amministrazioni pubbliche (per un massimo di 30 punti) e dello specifico know how sull’argomento (per un massimo di 40 punti).

  Dalla lettura del verbale di gara relativo alla seduta del 27 aprile 2000, emerge che la Commissione Tecnica, dopo aver proceduto alla apertura dei plichi contenenti tutta la documentazione prodotta dai concorrenti, ha estratto le buste contenenti le offerte economiche e verificatane l’integrità, le ha aperte, dando lettura dei relativi importi.

  Sottoposta a verifica di anomalia l’offerta della società ricorrente e stabilita la sua ammissibilità, la Commissione, come risulta dal verbale datato 2 maggio 2000, ha quindi proceduto – previa determinazione dei criteri guida da seguire nell’esame delle offerte - alla valutazione dei singoli elementi costituenti ciascuna offerta, all’attribuzione del punteggio per ogni elemento, ed alla formazione della graduatoria finale, collocando al primo posto la controinteressata Newman S.r.l. con punti 40, ed al secondo posto la società ricorrente con punti 38.

  Risulta pertanto incontrovertibile, sulla base della verbalizzazione delle operazioni di gara, che la Commissione Tecnica ha acquisito la conoscenza delle offerte economiche in un momento anteriore a quello della valutazione degli altri elementi costituenti l’offerta, valutazione questa caratterizzata da un’ampia discrezionalità.

  E difatti, sulla base di criteri di valutazione fissati dalla Commissione, mentre per la valutazione dell’elemento prezzo è previsto un meccanismo connotato da una certa automaticità – prevedendosi l’attribuzione di 1 punto ogni 10 milioni di lire in meno ripetto al prezzo a base d’asta, fino ad un massimo di 30 punti, con riferimento all’elemento inerente i servizi prestati a favore di amministrazioni pubbliche – oltre al richiamo all’art. 14, comma 1, lettera a), del D. Lgs. n. 157 del 1995 – è prevista esclusivamente l’attribuzione di un massimo di 30 punti, mentre con riguardo allo specifico know how sull’argomento, da valutarsi con l’attribuzione di un massismo di 40 punti, la Commissione si è limitata a stabilire, come testualmente riportato nel verbale datato 2 maggio 2000 che “il messaggio dovrà risultare semplice, efficace e rassicurante. Si tratta, infatti, di orientare una scelta serena e consapevole in favore della donazione di organi”.

  A fronte del descritto quadro il Collegio non può che ritenere fondata la censura ricorsuale in esame, e ciò in adesione ad un consolidato indirizzo giurisprudenziale in materia secondo cui nelle gare pubbliche, allorchè l’aggiudicazione si basa su una valutazione complessiva degli aspetti tecnici e di quelli economici, il prezzo offerto deve restare ignoto al momento della valutazione delle offerte tecniche al fine di evitare che la valutazione degli aspetti tecnici possa essere calibrata in funzione del prezzo a favore o a discapito dei vari concorrenti.

  Il principio secondo cui le offerte economiche devono restare segrete per tutta la fase procedimentale in cui la commissione compie le proprie valutazioni sugli aspetti tecnici trova il proprio fondamento nella considerazione che la conoscenza dell’offerta economica potrebbe far sì che, nel momento dell’attività valutativa discrezionale, un giudizio che dovrebbe essere formulato solo attraverso l’autonoma applicazione di regole scientifiche o tecniche, risulti influenzato, anche involontariamente, da fattori di carattere economico, con conseguente infrazione dei canoni fondamentali della trasparenza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (Cons. Stato - Sez. VI – sentenza n. 7431 del 2003; 22 gennaio 2001 n. 192; 16 novembre 2000, n. 6128; Sez. V – sentenza n. 1418 del 2004; 23 marzo 2000 n. 1614; 25 luglio 2001 n. 4186; 3 settembre 2001 n. 4586; 22 settembre 1999, n. 1143; 31 dicembre 1998 n.1996; 24 novembre 1997, n. 1372; 2 maggio 1996 n. 501; Cons. Giust. Amm. Sic. – 28 gennaio 2002 n. 58; T.A.R. Lazio – Roma – Sez. II – 17 gennaio 2003 n. 194; n. 7976 del 2003; 3 ottobre 2003 n. 7976;  n. 52 del 2004; n. 801 del 2004; Sez. III - 25 luglio 2000 n. 6412; Sez. I – n. 5510 del 2003; T.A.R Umbria - 1 giugno 2001 n. 314; TAR Puglia – Lecce – 3 febbraio 2000 n. 990; TAR Liguria – 14 settembre 2001 n. 964).

  Su tali premesse, si è, pertanto, pervenuti alla conclusione che è sufficiente ad inficiare la procedura di gara la sola possibilità di conoscenza del prezzo, precedentemente all’apertura delle buste contenti l’offerta tecnica, in quanto ciò che viene in rilievo non è il comportamento concreto della commissione, ma l’assenza di criteri di segretezza idonei a precludere in apice i sospetti di parzialità.

  Con la conseguenza che nelle ipotesi di appalto concorso e in quelle di aggiudicazione attraverso il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le offerte economiche devono restare segrete per tutta la fase procedimentale in cui la commissione compie le sue valutazioni sugli aspetti tecnici di esse allo scopo di evitare che gli elementi di valutazione aventi carattere, per così dire automatico, come il prezzo, influenzino la valutazione degli elementi comportanti apprezzamenti discrezionali (Cons. Stato - Sez. V - 2 maggio 1996, n. 501; Sez. VI - 17 luglio 2001, n. 3962; n. 7431 del 2003; n. 192 del 2001).

  Nell’ambito di una riflessione di più ampio respiro sulla tematica in esame, può essere utile rilevare come non sussistano differenze sostanziali, nella disciplina dell’aggiudicazione in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa – la cui finalità è quella di orientare l’aggiudicazione dell’amministrazione appaltante verso quelle offerte che presentino il più vantaggioso rapporto tra costo e qualità - fra appalti pubblici di servizi e appalti di opere pubbliche, giacché, per entrambi, il legislatore prescrive che l’individuazione dell’offerta da prescegliere debba risultare dalla valutazione congiunta di una pluralità di elementi, dei quali il prezzo è componente necessaria ma non sufficiente, mentre gli altri elementi sono variabili in relazione allo specifico appalto.

  E’ vero che, per gli appalti di opere pubbliche, gli elementi aggiuntivi al prezzo sono tassativamente individuati dall’art.21 della legge 11 febbraio 1994, n.109 (restando nella discrezionalità della stazione appaltante solo l’indicazione dell’ordine di importanza di essi), mentre, per gli appalti pubblici di servizi, l’art. 23 del D. Lgs. n. 157 del 1995 li enumera solo esemplificativamente (lasciando, conseguentemente, alle prescrizioni del bando anche la loro concreta individuazione), ma tale difformità deriva dalla natura più eterogenea degli appalti di servizi, che ne impedisce la riconduzione ad un modello precostituito.

  La struttura della procedura è dunque unica, nel senso che la valutazione dell’offerta più vantaggiosa costituisce, comunque, la risultante della miglior combinazione di tutti gli elementi individuati dalla legge o dal bando per la specifica gara.

  Nell’ambito di tale procedura è principio radicato in giurisprudenza che non possa procedersi ad una valutazione congiunta del prezzo - il cui punteggio viene attribuito sulla base di una formula matematica, che non lascia spazio alla discrezionalità della Commissione - e degli elementi tecnici - il cui apprezzamento è effettuato mediante attribuzione di punteggi variabili da un minimo ad un massimo - giacché la conoscenza del punteggio automatico, nel momento dell’attività valutativa discrezionale, potrebbe far sì che un giudizio, che dovrebbe essere formulato solo attraverso l’autonoma applicazione di regole scientifiche o tecniche, risulti influenzato, come accennato, anche involontariamente, da fattori di carattere economico, con conseguente infrazione dei canoni fondamentali della trasparenza, imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione.

  E la trasparenza in materia è tanto più necessaria, in quanto le valutazioni discrezionali, per loro natura, sono sindacabili, da parte del giudice amministrativo, solo limitatamente a taluni vizi di eccesso di potere, quali la manifesta illogicità o il travisamento dei fatti, onde più severo deve essere il presidio formale posto alla relativa attività.

  Del resto, la correttezza di tale impostazione giurisprudenziale e della vigenza di detto principio risulta confermata dalla sua recente codificazione normativa, avvenuta ad opera dell’art. 91 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, recante il Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici n. 109 del 1994 e successive modificazioni, la quale ben può considerarsi, per la sua natura di legge quadro, esprimente principi applicabili a tutte le pubbliche gare, in assenza di diversa particolare disciplina.

  Tale normativa regolamentare distingue tra sedute riservate per la valutazione delle offerte tecniche e sedute pubbliche per la verifica della documentazione, apertura delle buste contenenti le offerte economiche e determinazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base dei criteri prefissati (art. 64, comma 5; art. 67, comma 5; art. 91, comma 3), mentre, in particolare, l’art. 91, comma 2, prevede che successivamente alla valutazione delle offerte tecniche, la commissione dà lettura in seduta pubblica dei punteggi alle stesse attribuite, procede alla apertura delle buste contenenti le offerte economiche e determina l’offerta più vantaggiosa, dando così una chiara quanto incontrovertibile indicazione sulla sequenza procedimentale che deve scandire le operazioni di gara.

  Lo scopo sotteso alla previsione della lettura in seduta pubblica del punteggio attribuito all’offerta tecnica, lettura da farsi prima della lettura pubblica delle offerte economiche, è quello di garantire i concorrenti da possibili mutamenti successivi del punteggio di merito, influenzati o influenzabili dalla sopravvenuta conoscenza delle offerte economiche, e siffatto scopo è soddisfatto dalla lettura pubblica del punteggio totale di merito, che lo rende conoscibile dagli interessati e non più modificabile, oltre che certamente non influenzato dalla previa conoscenza dell’offerta economica.

  Non può, inoltre, il Collegio esimersi dal rilevare come, nell’ambito delle procedure preordinate all’aggiudicazione delle pubbliche gare, il principio di separazione della valutazione della componente tecnica da quella economica costituisca, sotto il profilo logico-funzionale, un cardine essenziale per la legittimità del procedimento.

  Difatti, in linea di principio, il giudizio tecnico consiste in un’anticipata valutazione comparativa circa la maggiore o minore corrispondenza ed appropriatezza delle prestazioni che risultano dalle diverse offerte rispetto al parametro astratto costituito dal bando e dal suo disciplinare di servizio o capitolato tecnico d’appalto.

  Si tratta di un giudizio di discrezionalità tecnica in senso stretto, che deve esclusivamente essere effettuato alla stregua delle regole della scienza, della tecnica, o dell’arte, o dei comuni standard prestazionali, che sono propri dell’oggetto del singolo appalto.

  Per la sua precipua natura, la valutazione tecnica dell’offerta deve avvenire sulla sola ed esclusiva base degli elementi di carattere prestazionale delle offerte, con la necessità di esclusione quindi, a monte, che la stessa possa essere influenzata dalla conoscenza dei termini economici delle medesime, per i quali è compiuta una distinta valutazione di tipo automatico, in base a parametri meramente aritmetici.

  Tale considerazione va coniugata con la consapevolezza che la semplice conoscenza del contenuto economico possa essere obiettivamente in grado di alterare la valutazione tecnica del giudizio.

  La regola, per cui il prezzo (in quanto elemento di valutazione aventi carattere automatico) debba essere preso in considerazione soltanto dopo che sia esaurito l’apprezzamento concernente gli elementi discrezionalmente ponderabili – onde evitare che il primo influenzi la valutazione dei secondi – costituisce dunque un principio generale nelle gare di appalto, con la conseguenza che, per ragioni intimamente connesse con l’imparzialità ed il buon andamento della funzione amministrativa, si impone alle Amministrazioni di procedere, in primo luogo, alle valutazioni discrezionali concernenti la componente tecnica dell’offerta e, successivamente, di provvedere all’apertura della busta recante l’offerta economica (prezzo), per procedere al conteggio automatico in cui si concreta la valutazione ponderale del prezzo stesso.

  Se, alla stregua di quanto precedentemente illustrato, non vi deve quindi essere alcuna confusione tra i due momenti – di tal guisa che la valutazione delle offerte sotto il profilo tecnico va necessariamente effettuata in una fase antecedente a quella dell’apertura delle buste contenenti le offerte economiche, onde evitare che queste ultime possano influire sulle complessive valutazioni di natura tecnica – il rispetto del delineato modus procedendi è evidentemente preordinato al soddisfacimento dell’esigenza che le offerte economiche rimangano segrete per tutta la fase procedimentale in cui la Commissione compie le sue valutazioni sugli aspetti tecnici delle offerte, con riveniente indispensabilità che le relative buste restino chiuse (Cons. Stato - Sez. VI - 17 luglio 2001 n. 3962).

  Dalle considerazioni svolte consegue l’illegittimità delle operazioni di gara per avere l’Amministrazione resistente proceduto alla apertura delle offerte economiche in un momento anteriore a quello di valutazione ed attribuzione del punteggio alle offerte tecniche – oltre che anteriore alla stessa fissazione dei criteri di attribuzione del punteggio relativo all’elemento prezzo – dovendo tenersi presente che è sufficiente, ad inficiare la procedura, che si sia determinata anche solo la possibilità di conoscenza del prezzo, a seguito dell’apertura della busta contenente le offerte, venendo in rilievo, giova ribadirlo, l’assenza di criteri di segretezza idonei a precludere a monte i sospetti di parzialità.

  In presenza della rilevata violazione delle procedure anzidette – coessenziali all’evidenza pubblica, ovvero alla trasparenza della scelta – resta difatti indimostrabile l’imparziale apprezzamento delle offerte tecniche, provenienti da ditte le cui richieste economiche erano già note, o comunque prive di qualsiasi garanzia di riservatezza, prima della valutazione qualitativa da effettuare con criteri discrezionali, insindacabili nel merito.

  L’accoglimento, stante la sua rilevata fondatezza, della sin qui esaminata censura, proposta con il ricorso principale – risultando violata la segretezza delle offerte economiche, fino ad esaurimento della fase di apprezzamento delle offerte sul piano tecnico – con conseguente assorbimento delle ulteriori censure non esaminate, non consente l’utile ingresso nel presente giudizio delle censure proposte con il ricorso incidentale presentato dalla controinteressata Newman S.r.l., aggiudicataria della gara.

  Con il ricorso incidentale, difatti, la controinteressata mira ad ottenere una diversa valutazione dei servizi prestati, con attribuzione di un punteggio che, anche in caso di accoglimento del ricorso principale, le consentirebbe asseritamente di mantenere il primo posto in graduatoria.

  Posto, però, che l’accoglimento del ricorso principale conduce all’annullamento a monte del procedimento di valutazione delle offerte e di attribuzione dei punteggi per mancato rispetto della relativa sequenza, non può farsi questione di attribuzione del punteggio per una singola voce, dal momento che ad essere inficiata è l’intera procedura valutativa, che quindi viene caducata, con conseguente necessità – ove percorribile - di rinnovazione della gara, che in linea generale implica la presentazione, ammissione e valutazione comparativa delle offerte ex novo presentate da tutti i partecipanti. E ciò sulla base dei principi consolidati, affermati in tema di annullamento parziale delle operazioni di gara, dove l’esigenza di tutela della segretezza delle offerte e della par condicio dei concorrenti (che si raggiunge assicurando la necessaria contestualità del giudizio comparativo tra le varie offerte e l’altrettanto imprescindibile antecedenza di tale giudizio rispetto al momento della conoscenza delle offerte economiche) impone il rinnovamento dell’intero procedimento, allorquando, come appunto avvenuto nel caso di specie, la commissione giudicatrice, nell’esercizio del potere di discrezionalità tecnica, abbia già visionato e valutato le offerte sia economiche che tecniche (Cons. Stato – Sez. V - 21 gennaio 2002 n. 340; 25 gennaio 2003 n. 355; 9 dicembre 1986 n. 599; Sez. VI - 1 marzo 1996 281; Sez. IV – n. 3731 del 2004).

  Ed invero, nelle ipotesi di aggiudicazione attraverso il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la violazione del principio di segretezza delle offerte economiche per tutta la fase procedimentale in cui la commissione compie le sue valutazioni sugli aspetti tecnici delle offerte – funzionale allo scopo di evitare che gli elementi di valutazione aventi carattere automatico, come il prezzo, influenzino la valutazione degli elementi comportanti apprezzamenti discrezionali - non può procedersi a sanatoria dell’attività amministrativa a mezzo della rinnovazione dei lavori di valutazione delle offerte già presentate.

  Ciò in quanto una volta attribuiti i punteggi ai partecipanti ad una gara sulla base di un procedimento illegittimo e redatta la graduatoria finale, non possono essere rinnovate in sanatoria le operazioni, in quanto non può ammettersi che i punteggi siano attribuiti dopo che, sotto tutti gli aspetti, sono divenute note le offerte delle società partecipanti alla gara, per i profili tecnici ed economici.

  Ne discende che il ricorso incidentale risulta improcedibile, derivando dall’accoglimento del ricorso principale l’annullamento delle operazioni di gara contro le quali si appuntano le censure introdotte con il ricorso incidentale, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse – pur se inizialmente condizionata e subordinata all’accoglimento del ricorso principale - in capo alla controinteressata alla sua proposizione.

  Peraltro, l’annullamento degli atti di gara non ne consente la rinnovazione, avendo la controinteressata aggiudicataria già svolto e concluso la campagna informativa oggetto della gara.

  Circostanza, questa, che assume determinante rilievo ai fini della delibazione in ordine all’ulteriore capo di domanda proposto da parte ricorrente, volto ad ottenere il risarcimento del danno subito.

  Parte ricorrente chiede, in particolare, la reintegrazione per equivalente della propria posizione patrimoniale, avuto riguardo sia al mancato guadagno che avrebbe ricavato dall’aggiudicazione della gara, sia alla perdita di chance, sotto il profilo della impossibilità di godere della maggiore notorietà e prestigio derivanti dall’espletamento della campagna informativa di livello nazionale oggetto della gara, prolungata anche per il successivo anno a favore della controinteressata.

  Richiamati, in proposito, l’art. 6 della legge n. 205 del 2000 – ai sensi del quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l’altro, tutte le controversie relative a procedure di affidamento di servizi svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto di procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale – e l’art. 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7 della citata legge n. 205 del 2000 - che attribuisce al giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, il potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto anche attraverso la reintegrazione in forma specifica – la domanda risarcitoria va accolta per le considerazioni e nei limiti di cui appresso.

  Premesso che, in via generale, la tutela risarcitoria serve ad assicurare al danneggiato la restitutio in integrum del suo patrimonio e, quindi, a garantire l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli dell’attività illecita ascritta al soggetto responsabile, la riparazione delle conseguenze dannose viene garantita dall’ordinamento mediante due modelli di tutela, tra loro alternativi, quello del risarcimento per equivalente, che riconosce al danneggiato il diritto ad una somma di denaro equivalente al valore della lesione patrimoniale patita e quello della reintegrazione in forma specifica, che attribuisce al soggetto passivo la medesima utilità, giuridica od economica, sacrificata o danneggiata dalla condotta illecita.

  Posto che, nella fattispecie in esame, la portata dei vizi inficianti la procedura di gara e l’avvenuto espletamento del servizio oggetto della stessa non lasciano spazio alla reintegrazione in forma specifica, non potendosi far luogo alla rinnovazione della gara né, tantomeno, all’aggiudicazione della stessa alla ricorrente – non essendovi alcuna certezza che, in esito alla procedura correttamente svolta la stessa sarebbe risultata prima classificata in graduatoria – il risarcimento può essere liquidato, secondo le prescrizioni di cui appresso, a favore della ricorrente unicamente per equivalente, modalità di riparazione che si risolve in una forma di tutela per così dire surrogatoria, nel senso che garantisce, non l’utilità perduta o compromessa, ma, in sua sostituzione, una somma di denaro corrispondente al valore del bene della vita pregiudicato.

  Prima di procedere alla concreta individuazione dei criteri per la determinazione del danno risarcibile, preme al Collegio rilevare la ricorrenza, nella fattispecie, delle condizioni cui la risarcibilità del danno derivante da lesione di interesse legittimo – che di questo si tratta – è subordinata, e segnatamente, la sussistenza dell’evento lesivo, cioè di un evento che ha leso il bene della vita cui si aspira, l’ingiustizia del danno, nel senso di un danno prodotto non iure e in assenza di cause di giustificazione al lesivo operato dell’Amministrazione, e la responsabilità dell’Amministrazione, ossia la riferibilità del danno alla condotta colpevole dell’Amministrazione.

  Tale ultimo aspetto ha originato una complessa elaborazione giurisprudenziale, il cui maggioritario punto di approdo, cui il Collegio ritiene di dover aderire, tende a far riferimento allo schema della responsabilità aquiliana.

  Ai fini del riscontro, nel caso di specie, della responsabilità dell’Amministrazione, preme al Collegio premettere alcune considerazioni di sistema in merito all’accertamento del requisito dell’elemento soggettivo nella fattispecie di responsabilità dell’Amministrazione per attività provvedimentale illegittima, dando conto, in particolare, del tormentato percorso evolutivo seguìto dalla giurisprudenza nell’individuazione dei caratteri della colpa dell’apparato pubblico.

  Com’è noto, l’impostazione giurisprudenziale tradizionale (ex multis Cass. Civ. - Sez. III - 9 giugno 1995, n.6542), formatasi prima della sentenza delle Sezioni Unite n. 500 del 22 luglio 1999, risolveva la questione ritenendo la colpa dell’Amministrazione insita nell’esecuzione di un provvedimento amministrativo illegittimo.

  Secondo tale ricostruzione, quindi, l’illegittimità dell’atto amministrativo portato ad esecuzione integrava, di per sé, gli estremi della colpevolezza postulata dall’art. 2043 del codice civile per la costituzione dell’obbligazione risarcitoria.

  La nozione di culpa in re ipsa si fondava, in particolare, sul rilievo che la semplice adozione ed esecuzione di un provvedimento illegittimo da parte di un soggetto dotato di capacità istituzionale e di competenza funzionale ad operare nel settore di riferimento concretasse quella consapevole violazione di leggi, regolamenti o norme di condotta non scritte nella quale si risolve la colpa, secondo la definizione del suo contenuto essenziale fornita dall’art. 43 del codice penale.

  La categoria concettuale della presunzione assoluta di colpa (chè di questo si tratta), concepita dalla giurisprudenza anche per semplificare l’accertamento dell’illecito e per favorire la tutela risarcitoria del privato danneggiato (altrimenti onerato di una prova complessa e priva di parametri certi), è parsa, comunque, incompatibile con i principi generali della natura personale della responsabilità civile e del carattere eccezionale di quella oggettiva, risolvendosi nell’ingiusta assegnazione all’Amministrazione di un trattamento deteriore rispetto a quello degli altri soggetti di diritto.

  Tali dubbi di coerenza sistematica della presunzione assoluta di colpa sono stati risolti dalla Suprema Corte con la nota sentenza a Sezioni Unite n. 500 del 1999, mediante il superamento della teoria della culpa in re ipsa e la contestuale definizione di indici identificativi della colpa, indicati nell’ascrizione all’Amministrazione, intesa come apparato, e non al funzionario agente, della “violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che…si pongono come limiti esterni alla discrezionalità”.

  Va, tuttavia, fin da subito rilevato che la scarna descrizione degli elementi essenziali della colpa rinvenibile nel passaggio della motivazione della citata sentenza n. 500 del 1999 dedicato alla questione si rivela carente ed inidonea a fornire agli operatori paradigmi valutativi certi ed al sistema una catalogazione concettuale definita.

  La Suprema Corte chiarisce, innanzitutto, che l’indagine riservata al giudice deve riferirsi alla Pubblica Amministrazione come apparato impersonale e non al funzionario che ha adottato l’atto illegittimo.

  Tale prima indicazione, se vale a svincolare l’accertamento giudiziale dai canoni d’indagine utilizzati ordinariamente per la verifica della sussistenza della colpevolezza in capo alle persone fisiche, non serve, tuttavia, in positivo, ad orientare l’indagine verso un centro d’imputazione della responsabilità agevolmente individuabile e, soprattutto, non offre sicuri criteri di giudizio nel compimento della disamina contestualmente suggerita.

  Le ragioni di tali difficoltà si risolvono, a ben vedere, sull’improprio riferimento dello stato psicologico di colpevolezza all’organizzazione dell’ente, anziché alla persona fisica legittimata ad esprimerne la volontà o ad esso legata da un vincolo di subordinazione (come accade per le ipotesi di responsabilità, diretta e indiretta, degli enti privati).

  La colpa d’apparato sembra, quindi, coincidere con la verifica di una disfunzione della funzione amministrativa, determinata dalla disorganizzazione nella gestione del personale, dei mezzi e delle risorse degli uffici cui è imputabile l’adozione o l’esecuzione dell’atto illegittimo.

  Sennonchè, se tale è il carattere essenziale della colpa d’apparato la stessa si rivela impropriamente introdotta nella struttura dell’illecito, sia perché l’eventuale disorganizzazione amministrativa e gestionale non è necessariamente causa dell’illegittimità dell’atto, sia perché la stessa risulta essenzialmente estranea al profilo psicologico dell’azione amministrativa immediatamente produttiva del danno e, quindi, al campo d’indagine riservato al giudice chiamato a pronunciarsi sulla pretesa risarcitoria.

  Non solo, ma la descrizione - appena riferita - dei requisiti della colpa omette qualsiasi considerazione e valorizzazione di circostanze esimenti, con ciò precludendo, di fatto, proprio quella penetrante indagine della riferibilità soggettiva del danno alla colpevole azione amministrativa che si raccomanda contestualmente al giudice del risarcimento.

  Le ricostruzioni più recenti si sono, invece, basate, in antitesi all’indirizzo della Suprema Corte, sul rilievo critico che il criterio della “…violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi…” (indicato nella sentenza n. 500 del 1999) si risolve, se non attenuato da uno spazio di non colpevolezza (tuttavia non evidenziato dalla Cassazione), nella tautologica affermazione della coincidenza della colpa con l’illegittimità del provvedimento, con surrettizia reintroduzione della tesi che si è dichiarato di voler abbandonare.

  In una delle prime e più importanti pronunce che si sono occupate della questione (Cons. Stato - Sez. IV - 14 giugno 2001 n. 3169) è stata condivisa la concezione oggettiva della colpa suggerita dalla Cassazione, che si basa cioè sull’apprezzamento dei vizi che inficiano il provvedimento, ma sono stati mutuati dalla giurisprudenza comunitaria diversi indici valutativi quali “…la gravità della violazione commessa dall’amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento”.

  In applicazione di tali canoni di valutazione, il giudice deve, quindi, formulare il giudizio sulla colpevolezza dell’Amministrazione, affermandola quando la violazione risulta grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e, viceversa, negandola quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento di un errore scusabile (per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto).

  In una successiva pronuncia (Cons. Stato - Sez. V - 6 agosto 2001 n. 4239), sono stati ulteriormente chiariti i caratteri della responsabilità della Pubblica Amministrazione da attività provvedimentale ed, accedendo ad una ricostruzione dogmatica della stessa in termini di responsabilità da contatto sociale qualificato, si è precisato che, in analogia alle forme di accertamento giudiziale dell’illecito contrattuale o precontrattuale (e, in particolare, del criterio di imputazione del danno definito dall’art. 1218  del codice civile), la responsabilità dell’Amministrazione per l’adozione di un atto illegittimo può presumersi, sotto il profilo dell’ascrivibilità del pregiudizio ad una condotta colposa dell’apparato.

  In esito alla presupposta catalogazione concettuale della natura della responsabilità dell’Amministrazione, svincolata dalla struttura e dalla disciplina dell’illecito aquiliano, è stato, quindi, ammesso il privato alla mera allegazione del danno patito e della sua riconducibilità eziologia all’adozione od all’esecuzione di un provvedimento viziato ed imposto all’Amministrazione l’onere di dimostrare la propria incolpevolezza per mezzo della deduzione di elementi di fatto e di diritto idonei a documentare la ricorrenza di un errore scusabile e, quindi, a dimostrare l’assenza di colpa nel proprio operato.

  Tale semplificazione probatoria viene, in particolare, giustificata e legittimata non tanto con il ricorso a presunzioni semplici, pure limitatamente invocabili nell’accertamento dell’elemento soggettivo, ma con una distribuzione dell’onere della prova che, sotto un profilo sostanziale, appare rispondere ad esigenze di garanzia e di favore per la posizione processuale del privato e, sotto un profilo di coerenza logico-sistematica dell’ordinamento processuale, si fonda su una lettura dell’illecito dell’amministrazione in termini analoghi a quelli propri dell’inadempimento di un’obbligazione contrattuale o dei doveri di correttezza ravvisabili nella fase delle trattative (e, quindi, tipici della responsabilità precontrattuale).

  In tale ottica, viene superata l’equivalenza, precedentemente riconosciuta dalla stessa giurisprudenza amministrativa, colpa-violazione grave, ritenendosi, di contro, che quella enunciazione teorica si risolva in un’inammissibile limitazione della responsabilità dell’Amministrazione ai soli casi di colpa grave (ma in difetto di una previsione positiva in tal senso) e che, quindi, anche la sussistenza di un vizio non macroscopico possa implicare responsabilità dell’Amministrazione nella colpevole inosservanza dei pertinenti canoni d’azione.

  Siffatta ricostruzione teorica è stata, poi, confermata sia dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato - Sez. VI - 20 gennaio 2003 n.204), sia da quella ordinaria (Cass. Civ. - Sez. I - 10 gennaio 2003 n.157) che, in conformità alla riferita elaborazione concettuale, hanno condiviso l’assimilazione della responsabilità dell’Amministrazione per attività provvedimentale (segnatamente per lesione degli interessi c.d. pretensivi) a quella contrattuale per violazione di diritti relativi, con le implicazioni già evidenziate in tema di accertamento della colpa.

  La successiva elaborazione giurisprudenziale si è discostata dalla ricostruzione che ha fatto applicazione dei principi che presiedono alla responsabilità contrattuale per inadempimento al fine di giustificare l’affermazione della presunzione relativa di colpa e l’ascrizione all’amministrazione dell’onere di dimostrare la propria incolpevolezza, ritenendo che le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria sottese all’impostazione criticata possono essere parimenti soddisfatte restando all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, ma utilizzando, per la verifica dell’elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 del codice civile.

  In tale ottica, il privato danneggiato, ancorchè onerato della dimostrazione della colpa dell’Amministrazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari – acquisibili, sia pure con i connotati normativamente previsti, con maggior facilità delle prove dirette - quali la gravità della violazione (qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto), il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento.

  Così che, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta poi all’Amministrazione l’allegazione degli elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema dell’errore scusabile e, in definitiva, al giudice, così come, in sostanza, voluto dalla Cassazione con la sentenza n. 500 del 1999, apprezzarne e valutarne liberamente l’idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’Amministrazione.

  La rilevata semplificazione dell’onere probatorio (a carico e a discarico) appena descritta impone, quindi, di definire i caratteri che devono possedere gli elementi addotti a propria discolpa dalla Pubblica Amministrazione, a fronte della produzione degli indizi a suo carico, perché la situazione allegata integri gli estremi dell’errore scusabile e consenta, perciò, di escludere la colpa dell’apparato amministrativo.

  Appare utile, al riguardo, riferirsi alla giurisprudenza comunitaria (Corte Giustizia C.E., 5 marzo 1996, cause riunite nn.46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994) che, pur assegnando valenza pressoché decisiva alla gravità della violazione, indica, quali parametri valutativi di quel carattere, il grado di chiarezza e precisione della norma violata e la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall’Amministrazione, nonché la novità di quest’ultima, riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto, in analogia all’elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni.

  Esclusa la correttezza di ogni riferimento, pure in astratto invocabile, al livello culturale ed alle condizioni psicologiche soggettive del funzionario che ha adottato l’atto, risulta, in proposito, accettabile il criterio della comprensibilità della portata precettiva della disposizione inosservata e della univocità e chiarezza della sua interpretazione, potendosi ammettere l’esenzione da colpa solo in presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza; restando, altrimenti, l’Amministrazione soggetta all’inevitabile giudizio di colpevolezza nella violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante.

  Così come appaiono condivisibili i riferimenti, da più parti suggeriti, al criterio di imputazione soggettiva della responsabilità del professionista di cui all’art. 2236 del codice civile che, riconnettendo il grado di colpevolezza richiesto per la costituzione dell’obbligazione risarcitoria alla difficoltà dei problemi tecnici affrontati nell’esecuzione dell’opera, introduce un parametro di ascrizione del danno che tiene conto del grado di complessità delle questioni implicate dall’esecuzione della prestazione e che attenua la responsabilità del prestatore d’opera quando il livello di difficoltà risulti rilevante.

  La medesima ratio sottesa alla richiamata disposizione civilistica può, infatti, ravvisarsi nelle fattispecie nelle quali la situazione di fatto esaminata dal funzionario comporta la risoluzione di problemi tecnici particolarmente rilevanti ed in cui, in definitiva, l’accertamento dei presupposti di fatto dell’azione amministrativa implica valutazioni scientifiche complesse o verifiche difficoltose della realtà fattuale.

  A fronte, infatti, di una situazione connotata da apprezzabili profili di complessità, può, in particolare, ritenersi giustificata, in analogia con la disciplina della responsabilità del prestatore d’opera intellettuale, un’attenuazione di quella dell’Amministrazione che la circoscriva alle sole ipotesi di colpa grave.

  La ricostruzione appena esposta soddisfa, in particolare, al contempo, le esigenze di superare l’inaccettabile equazione illegittimità dell’atto-colpa dell’apparato pubblico, surrettiziamente reintrodotta con la citata sentenza n. 500 del 1999, di valorizzare gli aspetti obiettivi della condotta antigiuridica dell’Amministrazione, di restituire coerenza sistematica alla regola di riparto dell’onere della prova da applicarsi nello schema di responsabilità in questione e, in definitiva, di agevolare le parti (rispettivamente interessate) nell’adempimento del dovere di dimostrare la colpa, in prima battuta, o la sua mancanza, negli estremi dell’esimente dell’errore scusabile.

  Così definiti i caratteri costitutivi della colpa della Pubblica Amministrazione, risulta agevole rilevare, in ordine alla fattispecie in esame, che la violazione dell’ordine nella apertura delle buste contenenti le offerte economiche e le offerte tecniche e nella valutazione degli elementi costituenti l’offerta, si è tradotta in una ipotesi di violazione dei principi di segretezza, di trasparenza, di imparzialità e di par condicio tra i partecipanti, concretando una lesione di regole di condotta, di sicura ed evidente applicazione, che deve osservare l’Amministrazione nella gestione di una procedura competitiva.

  A fronte della violazione di tali principi – in precedenza più analiticamente esaminati - non risulta, di contro, apprezzabile alcun elemento, peraltro neanche allegato dall’Amministrazione (sulla quale incombe il relativo onere), riconducibile ad una delle situazioni, sopra descritte, che autorizzano la configurabilità dell’errore scusabile.

  Va, quindi, riconosciuta la sussistenza degli estremi dell’elemento psicologico della condotta lesiva scrutinata.

  Quanto alla ulteriore condizione cui la risarcibilità del danno è subordinata, inerente la lesione di un bene della vita, nella controversia in esame, per effetto dell’attività amministrativa, è stato pregiudicato tale bene al quale parte ricorrente aspira facendo valere in giudizio un interesse legittimo pretensivo, volto all’ampliamento della propria sfera giuridica mediante acquisizione del bene finale dell’aggiudicazione della gara, lucrandone il relativo utile d’impresa.

  Tale bene finale, cui tende il ricorso, non può essere raggiunto direttamente con la sentenza di accoglimento del ricorso, in quanto – secondo le considerazioni già precedentemente svolte – tale accoglimento determina l’annullamento del procedimento di gara, con conseguente necessità di rinnovazione dello stesso, a partire dalla fase di presentazione delle offerte.

  Rinnovazione, peraltro, preclusa, dall’avvenuto espletamento del servizio oggetto della gara.

  Viene, quindi, in rilievo un interesse strumentale rispetto all’interesse finale costituito dall’aggiudicazione, che, in quanto costituente comunque un interesse legittimo autonomo rispetto all’interesse legittimo volto all’acquisizione del bene finale, è un bene della vita la cui lesione determina un pregiudizio risarcibile.

  Infatti, l’irreversibile pregiudizio recato all’interesse strumentale alla partecipazione ad una nuova gara determina inevitabilmente l’impossibilità del soddisfacimento dell’interesse finale (conseguimento dell’aggiudicazione) e, quindi, l’impossibilità di apprensione del bene della vita cui finalisticamente parte ricorrente aspira.

  Cosicché, l’interesse dedotto in giudizio dalla ricorrente, ancorché strumentale, è un interesse giuridicamente rilevante ed in quanto tale la sua lesione determina l’astratta risarcibilità del danno sofferto.

  Pertanto, la condotta amministrativa sottoposta al vaglio del Collegio, a prescindere dall’estrinseco elemento rappresentato dall’illegittimità degli atti, consente di apprezzare la presenza di un danno ingiusto idoneo a determinare la risarcibilità della posizione giuridica conseguentemente lesa.

  Passando all’indagine circa la quantificazione del danno, da risarcirsi, come dianzi accennato, per equivalente, ossia mediante corresponsione di una somma di denaro corrispondente al valore del bene della vita pregiudicato in sostituzione dello stesso (non attribuibile), va rilevato come tale forma di tutela risarcitoria presenti taluni aspetti problematici con riferimento alla sua liquidazione e cioè alla determinazione della misura dell’obbligazione pecuniaria dovuta in sostituzione del bene della vita ormai irrimediabilmente perduto o danneggiato.

  Se tale opera di quantificazione risulta agevole nei casi, configurabili per lo più nelle attività illecite materiali, in cui il valore del bene leso è facilmente individuabile (si pensi ai danni subiti da un autoveicolo in un incidente stradale), non altrettanto può dirsi per le ipotesi, quali quelle interessate dall’attività provvedimentale lesiva, in cui la situazione soggettiva pregiudicata è connessa ad aspettative o interessi difficilmente apprezzabili nella loro consistenza economica.

  E le maggiori difficoltà incontrate dal legislatore e dalla giurisprudenza nel definire i contorni della nuova forma di tutela introdotta nell’ordinamento con il riconoscimento della risarcibilità della lesione degli interessi legittimi sono riconducibili proprio alla catalogazione di criteri e parametri certi, funzionali alla determinazione della misura del pregiudizio risarcibile.

  E’ vero, infatti, che, nell’impossibilità di dimostrare la misura esatta del danno, soccorre il metodo di liquidazione equitativa dettato dall’art. 1226 del codice civile, certamente utilizzabile anche dal giudice amministrativo, ma, mentre nel sistema delineato dal codice civile l’ipotesi considerata viene contemplata come eccezionale, le pretese risarcitorie svolte contro la Pubblica Amministrazione (soprattutto per lesione di interessi legittimi) risultano endemicamente connotate da estrema difficoltà nella definizione del valore economico della posizione soggettiva lesa dall’atto illegittimo, sicchè compete per lo più alla giurisprudenza l’individuazione di canoni valutativi sufficientemente certi e satisfattivi delle esigenze di effettività della tutela postulate dalla nuova forma di protezione degli interessi legittimi.

  Le difficoltà appena registrate risultano, in particolare, maggiormente avvertite nei casi di lesione di interessi pretensivi e procedimentali (nei quali la verifica della spettanza del bene della vita postula un’intermediazione amministrativa favorevole e risultano, quindi, difficilmente apprezzabili le effettive implicazioni economiche della violazione accertata), mentre si rivela più agevole la quantificazione del danno nei casi di lesione di interessi oppositivi (nei quali si tratta di determinare il valore del bene illegittimamente sacrificato).

  Così illustrati in astratto i confini problematici del tema della quantificazione del danno, occorre esaminare i riflessi processuali della dimostrazione e determinazione del pregiudizio risarcibile.

  La comune ascrizione dell’illecito commesso dall’Amministrazione nell’esercizio dell’attività provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale implica, innanzitutto, che incombe al ricorrente (presunto danneggiato) l’onere di dimostrare l’esistenza di un pregiudizio patrimoniale, la sua riconducibilità eziologia all’adozione del provvedimento illegittimo e la sua misura, come riconosciuto dall’indirizzo prevalente formatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa (ex multis Cons. Stato - Sez. V - 25 gennaio 2002 n.416, in cui si ribadisce che incombe al danneggiato la prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito).

  Ne consegue che il ricorrente non potrà limitarsi ad addurre l’illegittimità dell’atto, valendosi, ai fini della sua quantificazione, del principio dispositivo con metodo acquisitivo e, quindi, della sufficienza dell’allegazione di un principio di prova, ma dovrà compiere l’ulteriore sforzo probatorio di documentare il pregiudizio patrimoniale del quale chiede il ristoro nel suo esatto ammontare (pur con i limiti ontologici dell’assolvimento di tale onere).

  In merito al contenuto della dimostrazione richiesta, va, peraltro, precisato che, poiché l’annullamento dell’atto illegittimo può determinare, da solo, l’integrale riparazione delle sue conseguenze lesive, compete al ricorrente provare che la rimozione del provvedimento non soddisfa, di per sé, l’interesse azionato e che residua un danno ulteriore nella sua sfera patrimoniale, non interamente reintegrato (in forma specifica) per effetto della caducazione dell’atto.

  Come già rilevato, tuttavia, quando la lesione lamentata concerne interessi pretensivi o procedimentali la dimostrazione della misura del danno patrimoniale patito dal privato si rivela difficile, se non impossibile.

  A fronte, infatti, del diniego di un’autorizzazione, della mancata aggiudicazione di un appalto o dell’omessa partecipazione al procedimento, risulta estremamente arduo definire l’esatto ammontare della perdita economica patita dall’interessato.

  Appare utile, a tal riguardo, rammentare che il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione offerta dall’art. 1223 del codice civile, del danno emergente e del lucro cessante, e cioè della diminuzione reale del patrimonio del privato, per effetto di esborsi connessi alla (inutile) partecipazione al procedimento, e della perdita di un’occasione di guadagno o, comunque, di un’utilità economica connessa all’adozione o all’esecuzione del provvedimento illegittimo.

  Se per la prima voce di danno - quello emergente - non si pongono particolari problemi nell’assolvimento dell’onere della prova, essendo sufficiente documentare le spese sostenute, per la seconda - lucro cessante - si configurano, viceversa, rilevanti difficoltà.

  Infatti, per avere accesso al risarcimento, il privato deve dimostrare, non solo che la sua sfera giuridica ha subito una diminuzione per effetto dell’atto illegittimo, ma che non si è accresciuta nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato o eseguito.

  Ed è evidente come tale ultima dimostrazione presenti implicazioni di notevole complessità, attenendo a profili prognostici difficilmente apprezzabili nella loro effettiva consistenza ed attendibilità.

  Soccorre, allora, l’applicazione di criteri presuntivi di determinazione del quantum, certamente invocabili dal privato in presenza della lesione di aspettative di ampliamento della sua sfera giuridica e patrimoniale.

  Si tratta di presunzioni semplici che indicano, secondo la comune esperienza, parametri valutativi sufficientemente puntuali dell’entità della perdita economica patita dal privato per effetto dell’adozione dell’atto illegittimo ovvero della colpevole inerzia dell’Amministrazione.

  Perché sia ritualmente assolto l’onere della prova, è, tuttavia, necessario che il ricorrente danneggiato alleghi gli elementi di fatto e gli indizi sulla cui base possono individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del danno.

  L’esigenza di ricorrere a criteri presuntivi ed astratti di determinazione del danno è stata avvertita sia dalla giurisprudenza, che ha individuato un preciso canone indiziario – su cui ci si soffermerà più avanti - per la determinazione del pregiudizio connesso alla perdita di un’occasione di successo in una procedura concorsuale, sia dallo stesso legislatore, laddove ha definito, con l’art. 35 D.Lgs. n. 80 del 1998, un peculiare metodo di liquidazione del danno fondato proprio sulla definizione giudiziale di parametri valutativi indeterminati o quando ha previsto, all’art. 17, comma 1, lett. f), della legge 15 marzo 1997 n. 59, la definizione “di forme di indennizzo automatico e forfettario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento…per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento o di mancata o ritardata adozione del provvedimento” stesso.

  La più importante applicazione del ricorso a criteri presuntivi per la quantificazione del danno è rinvenibile nell’elaborazione giurisprudenziale in materia di valutazione del pregiudizio connesso a perdita di chance.

  Si tratta dei casi in cui il ricorrente ha perso l’occasione di aggiudicarsi un appalto o di vincere un concorso per effetto dell’illegittima selezione di un altro concorrente o della propria indebita esclusione dal procedimento.

  In proposito, mentre non si pongono particolari problemi per la liquidazione del danno emergente (pari alle spese - documentate - sostenute per la partecipazione al procedimento), risulta più difficile la determinazione del lucro cessante.

  Con riguardo a tale ultima voce, occorre innanzitutto rilevare come il suo contenuto cambi notevolmente se si accede alla qualificazione come precontrattuale della responsabilità dell’Amministrazione per illegittima conduzione di una procedura ad evidenza pubblica.

  Se si ravvisano, infatti, gli estremi della culpa in contraendo di cui agli artt. 1337 e 1338 del codice civile., si deve, infatti, limitare l’area del pregiudizio risarcibile al solo interesse negativo, composto dalle spese sostenute per partecipare al procedimento ed alla perdita di occasioni di guadagno alternative, con esclusione, quindi, del mancato conseguimento dell’utile ricavato dall’esecuzione dell’appalto.

  Se, invece, la violazione delle regole che presiedono alla corretta conduzione delle procedure ad evidenza pubblica viene ascritta allo schema astratto dell’illecito aquiliano, da valersi quale conclusione più plausibile della prima e maggiormente coerente con le pregnanti esigenze di tutela postulate dall’ordinamento comunitario in tema di competizioni concorrenziali per l’accesso agli appalti pubblici, si deve conseguentemente ritenere risarcibile anche l’interesse positivo e, cioè, nella voce relativa al lucro cessante, la perdita del guadagno (o della sua occasione) connesso all’esecuzione del contratto.

  L’accesso a quest’ultima opzione, condivisa dal Collegio, implica la necessità di provvedere alla determinazione di criteri valutativi astratti e presuntivi della misura del pregiudizio risarcibile, nella configurazione sopra tratteggiata.

  La giurisprudenza amministrativa si è fatta carico di quest’onere ed ha individuato nell’art. 345 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, Allegato F, un prezioso riferimento positivo, laddove quantifica nel 10% del valore dell’appalto l’importo da corrispondere all’appaltatore in caso di recesso facoltativo dell’Amministrazione, nella determinazione forfettaria ed automatica del margine di guadagno presunto nell’esecuzione di appalti di lavori pubblici (ex multis Cons. Stato - Sez. V - 8 luglio 2002 n.3796).

  Ulteriore conferma positiva della validità di tale criterio presuntivo è stata, poi, rinvenuta nell’art. 37 septies, comma 1, lett.c) della legge 11 febbraio 1994 n. 109, laddove prevede, in materia di project financing, che, nelle ipotesi in cui la concessione sia risolta per inadempimento del concedente o revocata per motivi di interesse pubblico, al concessionario spetti un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno, pari al 10% delle opere ancora da eseguire.

  Può, in definitiva, registrarsi il consolidamento di un indirizzo giurisprudenziale, ormai univoco e dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, che, sulla base delle predette indicazioni normative, riconosce nella misura del 10% dell’importo a base d’asta, per come eventualmente ribassato dall’offerta dell’impresa interessata, l’entità del guadagno presuntivamente ritratto dall’esecuzione dell’appalto.

  Occorre, tuttavia, ancora distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell’adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara (ad esempio perché, se non fosse stato indebitamente escluso, sarebbe stata selezionata la sua offerta) dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l’esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.

  La dimostrazione della spettanza dell’appalto all’impresa danneggiata risulta ovviamente configurabile nei soli casi in cui il criterio di aggiudicazione si fonda su parametri vincolati e matematici (come, ad esempio, nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l’impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rivela impossibile là dove la selezione del contraente viene operata – come aviene nella fattispecie - sulla base di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’offerta, come nel caso dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

  Nella prima ipotesi spetta, evidentemente, all’impresa danneggiata un risarcimento pari al 10% del valore dell’appalto, come eventualmente ribassato dalla sua offerta, ferma restando la possibilità di conseguire una somma superiore, in presenza della dimostrazione che il margine di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto.

  Viceversa, quando il ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando non riesce a provare che l’aggiudicazione dell’appalto spettava proprio a lui, secondo le regole di gara), la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.

  Al fine di operare tale decurtazione vanno valorizzati tutti gli indici significativi delle potenzialità di successo del ricorrente, quali, ad esempio, il numero di concorrenti, la configurazione della graduatoria eventualmente stilata ed il contenuto dell’offerta presentata dall’impresa danneggiata.

  La disamina della pretesa risarcitoria in questione e la conseguente determinazione dell’entità del pregiudizio risarcibile devono essere, quindi, condotte in coerenza con i parametri valutativi sopra descritti.

  Va preliminarmente rilevato che venendo in questione una gara basata sul metodo di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la possibilità di accertare la spettanza dell’aggiudicazione alla ricorrente risulta preclusa proprio dal metodo di selezione nella specie previsto, il quale è fondato su apprezzamenti tecnico-discrezionali delle caratteristiche qualitative dell’offerta che non tollerano alcuna sostituzione da parte del giudice nel compimento delle pertinenti valutazioni riservate in via esclusiva all’Amministrazione.

  Come sopra rilevato, infatti, la verifica della spettanza dell’aggiudicazione alla ricorrente è ammessa nelle sole ipotesi, diverse dalla presente, nelle quali la selezione del contraente avviene in applicazione di parametri rigidi e matematici, sicchè l’attività dell’Amministrazione aggiudicatrice risulta vincolata e priva di ogni discrezionalità nella scelta dell’offerta.

  Esclusa, così, la praticabilità dell’indagine sulla debenza alla ricorrente del punteggio più alto e, quindi, della stessa aggiudicazione, va ribadito che nelle ipotesi in cui non è dimostrabile che la ricorrente avrebbe vinto la gara, la misura presunta del lucro cessante (pari al 10% dell’importo del contratto) va decurtata in ragione degli indici sopra elencati, la cui determinazione giurisdizionale serve ad orientare la successiva negoziazione delle parti.

  In conclusione, non essendovi certezza alcuna che la ricorrente, attraverso l’annullamento degli atti impugnati, avrebbe ottenuto quel bene della vita al quale aspirava, ossia l’aggiudicazione, la domanda di risarcimento puó essere accolta sotto il titolo minore di perdita della possibilitá di conseguire il risultato utile invocato con l’annullamento dell’attivitá illegittima dell’Amministrazione (c.d. perdita di chance), non potendosi, in linea teorica ed astratta, neppure escludere la possibilitá di un’aggiudicazione della gara alla ricorrente in esito al suo corretto espletamento.

  Il danno, che non puó essere provato nel suo preciso ammontare, va quindi liquidato assumendo come parametro di valutazione la misura presunta del guadagno derivante dall’esecuziuone del contratto (lucro cessante), pari al 10% dell’importo del contratto per come ribassato dall’offerta della ricorrente, dividendo poi tale importo per il numero delle imprese ammesse alla gara, che costituisce un coefficiente di riduzione proporzionato al grado di probabilitá teorica di conseguire l’aggiudicazione.

  I criteri di determinazione del danno risarcibile, così stabilito in via equitativa, dovranno essere presi in considerazione dall’Amministrazione resistente ai fini della quantificazione della somma da offrire alla ricorrente, ai sensi dell’art. 7, comma 2 della legge n. 205 del 2000.

    Per l’effetto ordinando alla stessa Amministrazione di proporre alla ricorrente il pagamento di una somma da determinarsi tenendo conto dei predetti criteri, entro il termine di giorni 60 (sessanta) dalla comunicazione o notificazione dell’avvenuto deposito della sentenza, fatta salva, in caso di mancato accordo, la possibilità di ricorso ex art. 27, comma 1, numero 4 del T.U. approvato con Regio Decreto 26 giugno 1924 n. 1054.

    In conclusione, in accoglimento della censura sopra esaminata, proposta con il ricorso principale, ed assorbiti gli ulteriori motivi di doglianza, il Collegio dispone l’annullamento dei gravati provvedimenti, accoglie la domanda di risarcimento prodotta dalla ricorrente, e dichiara improcedibile il ricorso incidentale proposto dalla controinteressata Newman S.r.l.

  Le spese di lite seguono la soccombenza dell’Amministrazione intimata, mentre sussistono giusti motivi per la loro compensazione nei confronti della società controinteressata Newman S.r.l.

  P.Q.M.

  Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

  - Roma -Sezione Prima bis-

  Pronunciando sul ricorso N. 10792/2000 R.G., come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati, nei limiti sopra precisati.

    Condanna il Ministero della Salute (già Ministero della Sanità) al risarcimento dei danni per equivalente in favore della ricorrente, come da motivazione.

    In conformità all’art. 7, comma 2 della legge n. 205 del 21 luglio 2000 il Ministero della Salute dovrà proporre a favore della ricorrente, entro il termine di giorni 60 (sessanta) dalla comunicazione o notificazione dell’avvenuto deposito della sentenza, il pagamento di una somma da determinarsi secondo i criteri stabiliti in motivazione.

    In caso di mancato accordo, resta salvo il ricorso ex art. 27, comma 1, numero 4 del T.U. approvato con Regio Decreto 26 giugno 1924 n. 1054.

    Dichiara improcedibile il ricorso incidentale proposto dalla controinteressata Newman S.r.l.

    Condanna il Ministero della Salute alla rifusione delle spese di lite in favore della ricorrente, liquidate nella misura di Euro 3.000 (tremila), oltre I.V.A. e C.A.P. come per legge.

    Dichiara interamente compensate le spese di causa tra la ricorrente e la società Newman S.r.l..

  Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

  Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 19 gennaio 2005.

Dott. Roberto POLITI – Presidente 

Dott.ssa Elena STANIZZI - Relatore Estensore 
 
 
 

N. 10792/2000 R.G. 



 

TAR  Lazio –Roma – Sez. I bis- ric. n. 10792/2000 r.g.