REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio
Sede di Roma, Sez. II ter
composto dai signori magistrati:
Consigliere Roberto Scognamiglio Presidente
Consigliere Paolo Restaino Correlatore
Primo Ref. Silvia Martino Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 957/2005 proposto da Amico Pietro s.r.l, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Di Maria e Vincenzo Scuderi ed elettivamente domiciliato in Roma alla via Gramsci n. 9 presso lo studio dell’avv. Scuderi
CONTRO
- Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato
e nei confronti
- RTI Lovers Italia s.r.l. e Lovers Romania s.a., in persona del legale rappresentante p.t., n.c.;
per l’annullamento
- del verbale di aggiudicazione provvisoria del 16 novembre 2004, relativo all’affidamento mediante licitazione privata della fornitura di n. 5.000 giacche a vento, 6° lotto, nella parte in cui il seggio di gara ha disposto l’esclusione dell’odierna ricorrente;
- del verbale di aggiudicazione definitiva del 20.12.2004 nella parte in cui il seggio di gara, previa verifica dell’anomalia dell’offerta, ha aggiudicato la fornitura in questione al raggruppamento odierno controinteressato, nonché
- del bando di gara nella parte in cui dispone che tutta la documentazione richiesta ed ogni altro atto prodotto dalla ditta concorrente, “dovrà essere redatto in lingua italiana o con annessa traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo straniero dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare ovvero da traduttore ufficiale”, ove inteso nel senso di imporre l’obbligo della traduzione anche delle certificazioni di qualità UNI EN ISO 9001 – 2000.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente a mezzo dell’Avvocatura dello Stato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti di causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 20.6.2005 la relazione del dr. Silvia Martino e uditi altresì gli avv. ti presenti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La ditta Amico s.r.l. ha partecipato alla licitazione privata indetta dall’Amministrazione resistente per l’affidamento della fornitura di n. 5.000 giacche a vento, con prezzo base complessivo pari a euro 325.000,00.
La gara è stata celebrata in data 16.11.2004 e all’esito della verifica della regolarità della documentazione allegata all’offerta, è stata disposta l’esclusione della società odierna ricorrente in ragione dell’asserita omessa presentazione di parte della documentazione richiesta dalla lettera d’invito. In particolare, non sarebbe stata prodotta la traduzione italiana della certificazione ISO 9000 relativa ad una delle ditte indicate dalla ricorrente quali produttrici del filato e/o tessuto, avente sede in Norvegia.
La predetta esclusione risulta disposta in asserita applicazione della lettera d’invito nella parte in cui richiedeva alle ditte concorrenti di produrre la documentazione in lingua italiana e di allegare la relativa traduzione in caso di produzione di documenti in lingua straniera. La ricorrente asserisce che detta previsione non è applicabile alle certificazione ISO, e che comunque non era sufficiente a determinare l’esclusione della società, la quale (pur non essendole imposto dal bando), si è premurata di indicare ulteriori due ditte produttrici del filato, allegando per esse la certificazione ISO, ritenuta del tutto regolare dal seggio di gara. Tali circostanze sono state evidenziate dalla ditta Amico con apposito reclamo proposto avverso il verbale di aggiudicazione provvisoria, il quale è pero rimasto inevaso. Avverso il provvedimento di esclusione, nonché avverso l’aggiudicazione definitiva, successivamente intervenuta, ha quindi dedotto: 1) Violazione e falsa applicazione del punto 4 della lettera di invito (lex specialis); - Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di vincolatività del bando di gara – Eccesso di potere per difetto di presupposto e ingiustizia manifesta: la ricorrente è stata esclusa dalla gara in quanto ha omesso di produrre la traduzione della certificazione di qualità rilasciata in favore di una delle ditte produttrici del filato, avente sede in Norvegia. Evidenzia però di avere indicato, in conformità al punto 4 della lettera di invito, ben tre ditte produttrici del tessuto o del filato da fornire, allegando per ciascuna di esse la relativa certificazione di qualità. Ad ogni buon conto, la clausola appena richiamata, non era assistita da alcuna sanzione di esclusione per l’ipotesi di inadempimento alla prescrizione di allegare anche la traduzione dei documenti e/o atti redatti in lingua straniera. Invoca altresì l’unanime orientamento giurisprudenziale alla stregua del quale la volontà di sanzionare con l’esclusione l’inosservanza di una specifica modalità di presentazione delle offerte deve essere chiaramente espressa nel bando di gara, dovendo viceversa accordarsi prevalenza, in mancanza di tale univoca previsione, all’interesse pubblico alla più ampia partecipazione alle gare. Sottolinea ancora che la stazione appaltante poteva comunque limitarsi a considerare valide le certificazioni ISO presentate per le altre due ditte indicate quali fornitrici del tessuto, in ordine alle quali non ha avanzato alcun rilievo; 2) Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi sopra calendati sotto ulteriore profilo – Eccesso di potere per arbitrio, straripamento, difetto di presupposto: l’esclusione è poi illegittima anche per un vizio di ordine logico. La certificazione ISO non è un documento promanante dallo stesso soggetto concorrente (quale ad es. una dichiarazione sostitutiva) ma è un atto ufficiale, rilasciato da soggetti accreditati da organismi riconosciuti a livello europeo. Le certificazioni ISO 9000, di fatto, vengono sovente redatte in lingua inglese, in ragione dell’esigenza di uniformare a livello europeo, le modalità di rilascio di tali certificazioni. Non vi era dunque alcun necessità di tradurre il documento esibito, non essendo siffatta certificazione rimessa alla discrezionalità del concorrente.
Resiste l’Amministrazione intimata facendo in primo luogo rilevare che il bando di gara (punto III 2.1.), prescriveva chiaramente che tutta la documentazione richiesta a corredo della domanda di partecipazione, dovesse essere redatta, a pena di esclusione, in lingua italiana ovvero con annessa traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo straniero. Osserva poi che l’avere allegato tre certificazioni di qualità UNI EN !SO 9001 – 2000, relative ad altrettante ditte fornitrici delle materie prime, non inficia il provvedimento di esclusione, in quanto la ditta ricorrente potrebbe in ipotesi avvalersi, alternativamente o congiuntamente, di ciascuna delle ditte medesime. Rimane cioè il fatto che la società potrebbe comunque approvvigionarsi presso la ditta straniera alla quale si riferisce la certificazione di qualità su cui non è stato possibile condurre le opportune verifiche perché mancante della traduzione in lingua italiana. In sostanza, l’impossibilità di accertare compiutamente, per tutte le ditte indicate come produttrici delle materie prime, che le lavorazioni avvenissero secondo i regime di qualità previsti dalle norme UNI EN ISO 9001 – 2000, ha indotto l’Amministrare a decretare l’esclusione della ditta Amico dalla licitazione privata.
Con ordinanza n. 1206/2005, resa nella camera di consiglio del 7 marzo 2005, è stata respinta l’istanza cautelare e contestualmente fissata l’udienza pubblica di discussione per il 20 giugno 2005.
La ricorrente ha quindi depositato una memoria conclusiva in vista dell’udienza del 20.6.2005 alla quale il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2. Il ricorso è infondato.
2.a Rileva in primo luogo il Collegio che il bando di gara prescrive chiaramente, al paragrafo III. 2.1 (rubricato “Indicazioni riguardanti la situazione propria dell’imprenditore/fornitore/prestatore di servizi, nonché informazioni e formalità necessarie per la valutazione dei requisiti minimi di carattere economico e tecnico”) che “le domande...e tutta la documentazione richiesta, in originale ovvero autenticata a norma di legge, ovvero con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ovvero con dichiarazione sostitutiva di certificazione sottoscritta dai rispettivi legali rappresentanti dovranno essere redatte in lingua italiana o con annessa traduzione in lingua italiana “certificata conforme al testo straniero” dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare, ovvero da traduttore ufficiale, pena l’esclusione [neretto originale]”. Analoga prescrizione è contenuta nella lettera di invito, pagg. 3 e 4, in cui è chiaramente evidenziata la necessità di traduzione dell’offerta, di tutta la documentazione richiesta e di ogni altro atto prodotto dalla ditta concorrente ed è altresì specificato (in neretto): “Le offerte non accompagnate dalla suddetta documentazione oppure accompagnate dai suddetti documenti non conformi alle citate prescrizioni richieste da questa Amministrazione, non saranno ritenute valide ai fini dell’aggiudicazione della gara in questione”.
Secondo pacifica giurisprudenza, la stazione appaltante non può disapplicare le clausole del bando, quando le stesse abbiano un contenuto chiaro e siano suscettibili di univoca interpretazione, se non a rischio di alterare la par condicio nei confronti di quei concorrenti che invece si sono attenuti scrupolosamente alle regole procedurali. Così, nella fattispecie, il carattere onnicomprensivo della prescrizione contenuta nel bando di gara, ed ancor più chiaramente nella lettera di invito (che fa riferimento, secondo quanto appena riportato a “tutta la documentazione richiesta e ad ogni altro atto prodotto”), elide ogni possibile incertezza interpretativa.
Quanto poi alla ragionevolezza della prescrizione relativa alla necessità di traduzione della documentazione di gara, pur essa impugnata dalla ricorrente nella parte in cui si riferisce anche alla certificazione di qualità, opina il Collegio che la stessa non sia né illogica né eccessivamente onerosa, ove si consideri che l’impresa concorrente ad una gara d’appalto è comunque tenuta (indipendentemente da una specifica previsione del bando), a porre la stazione appaltante nella migliore condizione per potere prontamente delibare il contenuto degli elementi offerti al vaglio della Commissione giudicatrice. Indice della ragionevolezza di siffatta previsione è poi il suo recepimento in una norma di derivazione comunitaria (sebbene non direttamente applicabile alla fattispecie). L’art. 15, ottavo comma del d. lgs. 17 marzo 1995, n. 158 (di recepimento delle direttive 90/531/CEE e 93/38/CEE relative alle procedure di appalti nei settori esclusi) prevede ad esempio, ai fini della qualificazione degli imprenditori, fornitori e prestatori di servizi che: “I documenti, le certificazioni e gli atti sostitutivi di cui al comma 7 devono essere accompagnati, se redatti in una lingua diversa dall'italiano, da una traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo originale dalle autorità diplomatiche o consolari italiane del paese in cui essi sono stati redatti, oppure da un traduttore ufficiale.” La norma (e le consimili prescrizioni contenute nei bandi di gara), sono evidentemente ispirate dall’esigenza di assicurare la certezza delle situazioni giuridiche acclarate nelle certificazioni concernenti i requisiti di qualificazione, qualora il loro originale sia stato formato in una lingua differente da quella italiana. La produzione di atti non accompagnati dalla traduzione ufficiale equivale alla non produzione degli stessi, in quanto impedisce alla stazione appaltante di avere immediata, diretta e certa contezza delle referenze relative alla capacità tecnico – economica dei concorrenti (così TAR Lazio, III – ter, 25 marzo 2003, n. 2565, citata dalla difesa erariale).
2.b Del pari infondati, a parere del Collegio, sono infine i rilievi concernenti la circostanza che la ricorrente ha indicato non una soltanto (secondo lo standard minimo richiesto dal bando e dalla lettera d’invito) bensì tre ditte fornitrici del filato, di talché, a suo dire, l’Amministrazione avrebbe potuto limitarsi a non tener conto della certificazione ISO prodotta per la ditta straniera e considerare valide le certificazioni ISO, presentate per le altre due ditte fornitrice del tessuto, sulle quali il seggio di gara non ha avanzato alcun rilievo.
Osserva il Collegio che l’esatta prescrizione contenuta nella lettera d’invito richiede “l’indicazione della ditta produttrice del filato e/o tessuto” e di allegare, “pena l’esclusione dalla gara, al fine di assicurare che le lavorazioni avvengano in regime di qualità, la relativa certificazione attestante il riconoscimento della suddetta ditta a produrre in conformità alle norrme UNI EN ISO 9001:2000”. La prescrizione persegue dunque il dichiarato fine di assicurare la qualità della fornitura, sia pure attraverso la dimostrazione della qualificazione delle ditte sub - fornitrici della concorrente, soggetti terzi rispetto al regolamento contrattuale e al capitolato d’oneri. Pertanto, dal punto di vista dell’Amministrazione committente, le imprese fornitrici della materia prima sono assolutamente fungibili, proprio perché la certificazione della ditta (o delle ditte) sub- fornitrici, integra in realtà un requisito soggettivo di qualificazione della stessa concorrente. A voler seguire invece il ragionamento della ricorrente, la stazione appaltante avrebbe in realtà dovuto non già semplicemente “non tenere conto” della certificazione non regolarmente tradotta, e quindi non verificabile dall’Amministrazione, bensì imporre alla ditta Amico di escludere dal novero dei propri fornitori la ditta norvegese della quale non era stato possibile controllare i requisiti di qualificazione, innescando così una sorta di negoziazione diretta nella stessa fase di verifica dei requisiti di partecipazione, con evidente vulnus alla trasparenza del procedimento e alla par condicio tra i concorrenti.
In definitiva, per quanto appena argomentato, il ricorso deve essere respinto.
Sussistono però giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
PQM
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez.II ter, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20.6.2005.
Roberto Scognamiglio Presidente
Silvia Martino Estensore