REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – 2^ Sezione – ha pronunciato la seguente

Sent. n. 3278 

Anno   2005  

R.g. n. 550-551

Anno   2005

 

SENTENZA

sui ricorsi n. 550/2005 e 551/2005 notificati, entrambi, il 14 aprile 2005, proposti:

A) quanto al ricorso n. 550/2005, da TERSILLA Enrico, MANCUSO Domenico, ZANELLO Laura e ZIMONE Antonella, rappresentati e difesi dagli avv.ti Silvio Crapolicchio e Graziella Colaiacomo ed elettivamente domiciliati in Torino, piazza Statuto n.4, presso lo studio dell’avv. Rosanna Pioppo,

contro

il Presidente della Repubblica Italiana, non costituito in giudizio;

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino, presso cui domicilia in corso Stati Uniti n.45;

il Prefetto della Provincia di Torino, non costituito in giudizio;

il dr. Claudio Vetrice, non costituito in giudizio;

per l’annullamento, previa sospensione,

del decreto del Presidente della Repubblica del 21.2.2005, pubblicato nella GURI n. 52 del 4.3.2005 mediante il quale è stato disposto lo scioglimento del Consiglio Comunale di Salerano Canavese, ai sensi dell’art. 141, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 267/2000, con contestuale nomina a Commissario del Dott. Claudio Ventrice; della presupposta relazione del Ministero dell’Interno del 19.2.2005; di ogni altro atto, precedente, contestuale, successivo e/o comunque connesso ai provvedimenti impugnati;

B) quanto al ricorso n. 551/2005, da Elio OTTINO, rappresentato e difeso dagli avv.ti Silvio Crapolicchio e Graziella Colaiacomo ed elettivamente domiciliato in Torino, piazza Statuto n.4, presso lo studio dell’avv. Rosanna Pioppo,

contro

il Presidente della Repubblica Italiana, non costituito in giudizio;

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino, presso cui domicilia in corso Stati Uniti n.45;

il Prefetto della Provincia di Torino, non costituito in giudizio;

il dr. Claudio Ventrice, non costituito in giudizio;

per l’annullamento, previa sospensione,

del decreto del Presidente della Repubblica del 21.2.2005, pubblicato nella GURI n. 52 del 4.3.2005 mediante il quale è stato disposto lo scioglimento del Consiglio Comunale di Salerano Canavese, ai sensi dell’art. 141, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 267/2000, con contestuale nomina a Commissario del Dott. Claudio Ventrice; della presupposta relazione del Ministero dell’Interno del 19.2.2005; di ogni altro atto, precedente, contestuale, successivo e/o comunque connesso ai provvedimenti impugnati.

Visti i ricorsi ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione nei due giudizi dell’Amministrazione dell’Interno e i relativi allegati;

Viste le memorie depositate nei due giudizi dalle parti ricorrenti;

Visti gli atti tutti delle due cause e le relative produzioni documentali;

Relatore alla pubblica udienza del 13 luglio 2005 il Referendario avv. Ivo Correale;

Uditi l'avv. Pioppo, su delega dell'avv. S. Crapolicchio per i ricorrenti, l’Avvocato dello Stato M. Prinzivalli, per l’Amministrazione resistente;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

La presente vicenda è già stata parzialmente oggetto di esame da parte di questa Sezione, che si è pronunciata con la sentenza 14 febbraio 2005, n.296.

I presupposti di fatto sono, quindi, parzialmente coincidenti e nella presente sede si ripropongono.

Elio Ottino si candidava alle elezioni comunali del Comune di Salerano Canavese, concorrendo per la carica di Sindaco pur avendo ricoperto per due mandati consecutivi la detta carica, risultando eletto alla stessa carica.

In data 23 giugno 2004, il Prefetto di Torino inviava al Sindaco del Comune di Salerano Canavese il telefax prot. n. 40020/bis - AREA II - avente il seguente contenuto: “Si rappresenta che la S.V. si trova nella condizione di ineleggibilità di cui all'art. 51 comma 2 del D.Lgs. 267/2000. Tale circostanza, per le opportune valutazioni, va portata a conoscenza del Consiglio Comunale in occasione della riunione dedicata alla convalida degli eletti punto. Si prega di assicurare”.

Il Consiglio comunale di Salerano Canavese, con deliberazione n. 5 in data 1 luglio 2004, “Visto il verbale contenente i risultati dell'elezione diretta del Sindaco e del Consiglio Comunale tenutasi in questo Comune il 12/13.06.2004 da cui risulta che sono stati proclamati eletti i Signori: Sindaco Elio OTTINO. Consiglieri ...;

Visti gli artt. 41, 51, 55 e seguenti del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267;

Avuta lettura della nota della Prefettura prot. n. 4000203/bis - Area II del 23.06.2004 con la quale il Prefetto di Torino invita il Sindaco a portare a conoscenza del C.C. in occasione della riunione dedicata alla convalida degli eletti l'esistenza della condizione di cui all'art. 51 comma 2 Capo I Titolo III del T.U.E.L.;

Avuta lettura delle condizioni di ineleggibilità ed incompatibilità alla carica di Sindaco e dei singoli proclamati eletti, sopra citati;

Accertato non sussistere nei confronti dei singoli consiglieri ...;

Accertato che sussistono, tuttavia, nei confronti del Sindaco Elio OTTINO, le condizioni di cui all'art. 51 comma 2 del TUEL per aver egli ricoperto per due mandati consecutivi la carica di Sindaco, l'ultimo dei quali scaduto in data 13 giugno 2004;

Ritenuto che, secondo l'inequivocabile tenore letterale della norma di cui all'art. 41 del TUEL, di cui si dà lettura e che si allega in copia alla presente delibera, il Consiglio Comunale non può però censurare tale particolare causa (art. 51 comma 2 Capo I Titolo III del T.U.E.L.), in quanto questa non rientra tra quelle previste dal Capo II Titolo III del TUEL;

Rilevato che pur nell'eventuale lacuna normativa, non rimediabile in via interpretativa, sussiste comunque uno strumento di tutela dell'ordinamento rappresentato dall'azione popolare di cui all'art. 70 del TUEL promuovibile anche dal Prefetto;

Ritenuto in ogni modo di non potersi esimere, a tutela dell'ordinamento, dall'invitare il Prefetto di Torino ad azionare la procedura di cui all'art. 70 del TUEL;

Ritenuto in assenza di specifici strumenti normativi di propria competenza, di essere obbligato a rispettare e a prendere atto della volontà popolare, legittimamente espressa; ...”, stabiliva, “1. Di convalidare, per le motivazioni in premessa esposte che qui si intendono richiamate, l'elezione diretta del Sindaco e proclamati eletti nelle votazioni del 12 e 13 giugno 2004 dal Presidente dell'unica sezione elettorale del Comune di Salerno Canavese. 2. Di dare atto che tutti i succitati proclamati eletti hanno i requisiti di eleggibilità stabiliti nel Capo II del Titolo III del T.U.E.L. e per gli stessi non esistono condizioni di incompatibilità. 3. Di trasmettere, per le motivazioni approfonditamente esposte in premessa, la presente deliberazione al Prefetto affinché assuma gli eventuali provvedimenti di competenza”.

Il Prefetto di Torino, in data 14 luglio 2004, inviava al Sindaco del Comune di Salerano Canavese la nota prot. n. 40000203/bis - Area II, avente il seguente contenuto: “Si fa seguito al telefax in data 23 giugno u. sc., per significare, in merito alla deliberazione n. 5 dell'1.7.2004 avente ad oggetto “Esame ...”, che l'avvenuta convalida del Sindaco alla carica elettiva, ..., concretizza una palese violazione dell'art. 41 del D.Lgs. n. 267/2000, in relazione alla causa di ineleggibilità introdotta dall'art. 51 del Decreto medesimo. Ciò in quanto .... La circostanza che l'art. 41 del decreto legislativo 267/2000 sancisca l'obbligo del Consiglio Comunale di esaminare le condizioni degli eletti a norma del capo II del titolo III, non esenta l'Organo collegiale dall'obbligo di verificare tutte quelle cause ostative all'espletamento del mandato che siano comunque previste da norme recate sia dallo stesso decreto legislativo sia da altre disposizioni di legge; ciò in virtù del principio generale dell'ordinamento giuridico alla cui stregua ogni organo collegiale delibera sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti. Sono conferma di tale assunto .... Ciò stante e richiamato tutto quanto sopra osservato, si invita la S.V. a convocare in via d'urgenza il Consiglio Comunale al fine di revocare, per le suesposte motivazioni, la delibera di convalida della S.V. a Sindaco, facendo conoscere la data della avvenuta convocazione nonché avendo cura di trasmettere copia della deliberazione assunta”.

Il Consiglio Comunale di Salerano Canavese, con deliberazione n. 7 in data 22 luglio 2004, “Visti gli artt. 41,51 e 70 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267; Avuta lettura della nota della Prefettura prot. n. 40000203/bis - Area II del 14.7.2004 con la quale il Prefetto di Torino ha invitato il Consiglio Comunale a revocare la delibera n. 5 del 1.7.2004 di convalida del sig. Elio Ottino alla carica di Sindaco per la violazione dell'art. 51 comma 2 Capo I Titolo III del T.U.E.L.; Avuta lettura delle massime giurisprudenziali citate nella detta nota, che si allegano in copia alla presente delibera (Allegato B); Ritenuto nuovamente come la norma di cui all'art. 41 TUEL impedisce al Consiglio Comunale di censurare la detta causa di ineleggibilità, poiché essa non rientra tra quelle previste dal Capo II Titolo III del TUEL; Ritenuto che le massime citate nella nota della Prefettura appaiono inconferenti in relazione alla fattispecie in esame e comunque aventi riguardo alla situazione normativa pregressa; Rilevato che nella delibera in questione il Consiglio Comunale, lungi dal limitarsi a convalidare l'elezione a Sindaco del sig. Elio Ottino, ha debitamente evidenziato tale lacuna normativa, ritenuta non rimediabile in via interpretativa, evidenziando la sussistenza comunque di uno strumento di tutela dell'ordinamento rappresentato dall'azione popolare di cui all'art. 70 del TUEL promuovibile anche dal Prefetto; Rilevato che il Consiglio Comunale ha altresì invitato, nella detta delibera, il Prefetto di Torino ad azionare la procedura di cui all'art. 70 del TUEL, proprio per porre rimedio alla situazione venutasi a creare; Preso atto dell'inerzia del Prefetto di Torino nella proposizione della detta procedura; Ritenuto che in tale situazione, non può comunque spettare al Consiglio Comunale adottare una delibera al di fuori dei propri poteri, come stabiliti dalla legge, tanto meno in una materia come quella dell'ineleggibilità, nella quale, come acclarato più volte dalla Corte Costituzionale (...), è vietata la possibilità di ricorrere ad interpretazioni estensive e/o analogiche; ... Ritenuto, tuttavia, di non potersi esimere, a tutela dell'ordinamento, dal reiterare l'invito al Prefetto ad azionare la procedura di cui all'art. 70 TUEL, al fine di censurare nei confronti del Sindaco Sig. Elio Ottino la sussistenza della causa di ineleggibilità di cui all'art. 51, secondo comma, TUEL, nonché di evidenziare in tale sede altresì l'illegittimità costituzionale della norma di cui all'art. 41 TUEL, nella parte in cui non prevede in capo al Consiglio Comunale il potere di censurare detta causa di ineleggibilità; ...”, stabiliva “Di confermare integralmente per le motivazioni in premessa esposte che qui si intendono richiamate, il contenuto della delibera consiliare n. 5 del 1.7.2004. Di trasmettere la presente deliberazione al Prefetto, come richiesto dal medesimo, invitandolo, altresì, espressamente, ad azionare avverso la detta delibera e nei confronti del Sindaco sig. Elio Ottino la procedura di cui all'art. 70 TUEL, per le ragioni descritte in premessa che qui si intendono richiamate”.

Il Prefetto di Torino, in data 26 luglio 2004, inviava al Ministero dell'Interno - Direzione Centrale per le Autonomie - Ufficio Controllo sugli Organi - il fax n. 06.46549654, avente il seguente contenuto: “Si fa riferimento ... per comunicare che il Consiglio Comunale di Salerano Canavese ... con deliberazione datata 22 luglio u. sc., ha confermato integralmente il contenuto della precedente deliberazione datata 1° luglio 2004, di convalida del Sindaco. In relazione a quanto sopra si trasmette la documentazione afferente la vicenda, richiedendosi di attivare la procedura di scioglimento dell'Organo elettivo per gravi e persistenti violazioni di legge. Si allega ...”.

Con “Relazione del Ministro dell'Interno al sig. Presidente della Repubblica” in data 4 agosto 2004, il detto Ministro, dopo aver fatto riferimento alla “nota del 23 giugno 2004” del Prefetto di Torino, alla “deliberazione n. 5 in data 1 luglio 2004” del Consiglio Comunale di Salerano Canavese, alla “nota n. 40000203/bis – Area II del 14 luglio 2004” del detto Prefetto ed alla “seduta del 22 luglio 2004” nella quale il citato Consiglio Comunale, con la deliberazione n. 7 “ha confermato la convalida dell'elezione alla carica di sindaco del sig. Elio Ottino persistendo, in tal modo, nella grave violazione di legge” in quanto “l'inosservanza dell'obbligo di legge, perdurante anche dopo la diffida, ha manifestato inequivocabilmente la volontà di disattendere una prescrizione normativa di valore cogente posta a garanzia delle regole fondamentali che presiedono al corretto svolgimento del procedimento di nomina degli organi di governo dell'ente locale e della sussistenza dei requisiti soggettivi prescritti per la elezione”, per cui “Verificatasi l'ipotesi disciplinata dall'art. 141, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il prefetto di Torino ha proposto lo scioglimento del consiglio comunale sopraccitato”, ha ritenuto che, “nella fattispecie, essendosi determinata l'ipotesi di gravi e persistenti violazioni di legge, ricorrano gli estremi per far luogo al proposto scioglimento” e, quindi, ha sottoposto alla firma del Presidente della Repubblica “l'unito schema di decreto con il quale si provvede allo scioglimento del consiglio comunale di Salerano Canavese (Torino) ed alla nomina del commissario per la provvisoria gestione del comune nella persona del dottor Claudio Ventrice”.

In data 23 agosto 2004 era comunque notificato al sig. Ottino un ricorso ex art. 70 d.lgs. n. 267/2000 avanti al Tribunale Civile di Torino con il quale il Ministro dell’Interno chiedeva l’annullamento delle deliberazioni nn. 5, dell’ 1 luglio 2004, e n. 7, del 22 luglio 2004, in relazione alla ritenuta causa di ineleggibilità a Sindaco per il terzo mandato consecutivo.

Il Presidente della Repubblica, con decreto in data 25 agosto 2004, “Visto che il consiglio comunale di Salerano Canavese (Torino) è stato rinnovato nelle consultazioni elettorali del 12 e 13 giugno 2004, con contestuale elezione del sindaco nella persona del signor Elio Ottino; Visto che il predetto amministratore versa nella condizione di ineleggibilità disciplinata dall'art. 51, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267; Considerato che l'organo consiliare, nonostante la conoscenza della sussistenza della causa ostativa all'espletamento della carica elettiva di sindaco, ha proceduto alla sua convalida; Considerato che il consiglio, pur diffidato ad ottemperare al dovere di revoca, ha confermato la convalida dell'elezione del sindaco, determinando in tal modo la persistenza di una grave violazione di legge; Ritenuto, pertanto, che ricorrano gli estremi per far luogo allo scioglimento della predetta rappresentanza; Visto l'art. 141, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267; Sulla proposta del Ministro dell'Interno, la cui relazione è allegata al presente decreto e ne costituisce parte integrante”, ha stabilito, all'art. 1, che “Il consiglio comunale di Salerano Canavese (Torino) è sciolto”, ed, all'art. 2, che “Il dottor Claudio Ventrice è nominato commissario straordinario per la provvisoria gestione del comune suddetto fino all'insediamento degli organi ordinari, a norma di legge. Al predetto commissario sono conferiti i poteri spettanti al consiglio comunale, alla giunta ed al sindaco”.

Con sentenza 17 settembre 2004, n. 34746, il Tribunale Civile di Torino dichiarava il difetto  di legittimazione ad agire del Ministero dell’Interno e, per l’effetto, dichiarava l’inammissibilità del ricorso ex art. 70 d.lgs. n. 267/2000 dal detto Ministero proposto nei confronti di Elio Ottino.

Con ricorso notificato all’interessato in data 20 ottobre 2004, il Ministero dell’Interno appellava davanti alla Corte d’Appello di Torino tale sentenza.

Con ricorsi a questo Tribunale n. 1469/2004 e n. 1470/2004, notificati il 25 ottobre 2004, rispettivamente Elio Ottino e alcuni consiglieri comunali chiedevano l’annullamento del su ricordato decreto del Presidente della Repubblica del 25 agosto 2004 e degli atti connessi.

In particolare, Elio Ottino, nel suo ricorso, riteneva che il presupposto diretto dei provvedimenti impugnati, lesivi dei suoi interessi legittimi, era costituito dall’art. 51, comma 2, d.lgs. n. 267/2000 e che tale norma era ingiustamente e irragionevolmente limitativa del diritto di elettorato passivo ed attivo, nella parte in cui non consentiva al Sindaco di un Comune, o in subordine ad un Sindaco di un Comune con meno di 5.000 abitanti, eletto per la seconda volta consecutiva, di essere eletto nuovamente alla medesima carica, in relazione agli artt. 1,2,3,48,51,97 e 118 Cost. Egli chiedeva, quindi, in via pregiudiziale, di dichiarare la non manifesta infondatezza della rilevata questione di legittimità costituzionale.

I consiglieri comunali, nel loro ricorso, ribadivano la tesi già espressa dal consiglio comunale, rilevando che l’art. 41 T.U.E.L. impediva a tale organo di censurare la causa di ineleggibilità di cui all’art. 51, comma 2, d.lgs. cit., per cui non ritenevano che il medesimo consiglio fosse incorso nelle lamentate gravi e reiterate violazioni della legge di cui all’art. 141 T.U.E.L. invocate a fondamento del disposto scioglimento. Era assente, poi, una congrua motivazione in ordine alle ragioni che avevano indotto l’Amministrazione a tale decisione, tenuto conto dei ripetuti appelli del medesimo consiglio comunale all’esercizio del potere prefettizio di cui all’art. 70 T.U.E.L. In subordine, i ricorrenti prospettavano anche la questione di costituzionalità, in relazione al contenuto dell’art. 41, 1 comma, T.U.E.L. che impediva al consiglio comunale di far valere la causa di ineleggibilità di cui all’art. 51, 2 comma, T.U.E.L.

Nel frattempo, con sentenza n. 1911 del 19 novembre 2004, la Corte d’Appello di Torino rigettava il ricorso in appello proposto dal Ministero dell’Interno avverso la sentenza del Tribunale di Torino sopra richiamata.

In relazione al giudizio amministrativo instauratosi, con la sentenza sopra richiamata e pubblicata il 14 febbraio 2005, questa Sezione, previa riunione dei ricorsi, in parte rigettava ed in parte dichiarava inammissibile il ricorso proposto da Elio Ottino e in parte accoglieva ed in parte dichiarava inammissibile il ricorso proposto dai consiglieri comunali, annullando, per l’effetto, l’impugnata “Relazione del Ministro dell’Interno al Sig. Presidente della Repubblica”, in data 4 agosto 2004, e l’impugnato decreto del Presidente della Repubblica, in data 25 agosto 2004.

Questa Sezione, in sostanza, in relazione al ricorso, proposto dal solo Elio Ottino, rilevava la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata e la genericità delle altre censure in ragione ai prospettati vizi di istruttoria, illogicità, irragionevolezza, vessatorietà, contraddittorietà, carenza/assenza di motivazione, ingiustizia manifesta, sviamento.

In relazione al ricorso, proposto dai consiglieri comunali, invece, questa sezione rilevava la lamentata carenza di motivazione dei provvedimenti impugnati, sulla considerazione che le affermazioni del Ministro dell’Interno in ordine alla ritenuta “grave violazione di legge” non tenevano conto di quanto deliberato dallo stesso consiglio comunale nelle sedute del 1 luglio 2004 e del 22 luglio 2004, dichiarando l’inammissibilità, sotto diversi profili, delle restanti censure sollevate dai ricorrenti.

In seguito a tale sentenza, con nota n. 400203 bis 1/1/3/4-Area II del 19 febbraio 2005, il Prefetto di Torino-Ufficio Territoriale del Governo comunicava ad Elio Ottino – nonché a ciascun consigliere comunale - che “Con riferimento alla situazione del Comune di Salerano Canavese determinatasi a seguito della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, n. 296/2005, si significa che sono in corso approfondimenti ai fini della verifica dei presupposti per l’adozione di un nuovo provvedimento di scioglimento del civico consesso. Tutto si comunica ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della legge 241/90”.

Gli interessati, quindi, predisponevano delle memorie illustrative, ai sensi dell’art. 10 l.n. 241/1990, che facevano pervenire alla Prefettura di Torino in data 23 febbraio 2005.

In data 4 marzo 2005 era pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 52, il decreto del Presidente Repubblica del 21 febbraio 2005, con il quale “…Ritenuto che, in relazione alle motivazioni della sentenza di annullamento, permane il potere di adottare un provvedimento di scioglimento emendato dai vizi rilevati dal Tribunale Amministrativo Regionale;

Ritenuto che permangono i presupposti di fatto e di diritto che hanno dato luogo allo scioglimento della suddetta rappresentanza ai sensi dell’articolo 141, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per le motivazioni esposte nella allegata relazione.

Sulla proposta del Ministro dell’Interno, la cui relazione è allegata al presente decreto  ne costituisce parte integrante ed i cui contenuti corrispondono a quelle esigenze di compiuta ricostruzione della vicenda e di esposizione delle ragioni che consentono di ritenere la sussistenza, nell’attività deliberativa del comune di Salerano Canavese, di gravi e persistenti violazioni di legge; DECRETA

Art. 1 Il consiglio comunale di Salerano Canavese (Torino) è sciolto.

Art. 2 Il dottor Claudio Ventrice è nominato commissario straordinario per la provvisoria gestione del comune suddetto fino all’insediamento degli organi ordinari, a norma di legge. Al predetto commissario sono conferiti i poteri spettanti al consiglio comunale, alla giunta ed al sindaco.”.

Nella relazione ministeriale allegata, del 19 febbraio 2005, facente parte integrante del suddetto decreto, così, tra l'altro, si affermava:

Pertanto, poiché la censura giurisdizionale ha riguardato profili formali del provvedimento, riconducibili ai vizi della motivazione, nonché all'eccesso di potere per travisamento dei fatti, è da ritenere secondo la costante giurisprudenza, che l'amministrazione mantenga integrata la potestà di adottare il provvedimento depurandolo delle carenze riscontrate.

L'assunto sostenuto dal consiglio comunale di Salerano Canavese di non poter censurare la causa di ineleggibilità prevista dall'art 51, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si fonda su una interpretazione esclusivamente letterale dell'art. 41 del testo unico degli enti locali; al contrario, una lettura sistematica della norma in armonia con i principi dell'ordinamento giuridico non consente di escludere la sussistenza del potere-dovere del consiglio comunale di procedere alla verifica delle condizioni di eleggibilità dei suoi componenti e del sindaco con riguardo otto a tutte le cause ostativa e comunque previste dalla norma e di legge, quale che sia la fonte legislativa che le disciplina singolarmente.

Invero è principio generale dell'ordinamento giuridico che ogni organo collegiale dei liberi sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti e verifichi la sussistenza di tutte le cause ostative all'espletamento del mandato. Detto accertamento va esperito anche nei confronti della carica di sindaco che, in virtù dell'art. 37 del decreto legislativo 10 agosto 2000, n. 267, è componente del consiglio comunale.

Il potere di convalida dei propri eletti da parte del consiglio comunale rappresenta una primaria espressione dell'autonomia riconosciuta dalla Costituzione agli enti locali, nonché una essenziale forma di garanzia di tale autonomia rispetto ad ingerenze esterne; così che la con l'esistenza nel ordinamento giuridico dell'istituto della convalida da parte dell'organo collegiale e dell'istituto dell'azione prevista dall'art. 70, garantisce un imprescindibile equilibrio di sistema, trattandosi di rimedi che si integrano quanto alle finalità, pur essendo differenti le esigenze in vista dei quali sono previste dalla legge. L'azione ex art. 70 ha carattere accessorio e comunque termporalmente successivo rispetto al momento ordinario di tutela degli interessi pubblici sottesi alle norme sulle condizioni di eleggibilità, affidato necessariamente alla diretta responsabilità dello stesso organo elettivo. Peraltro, una interpretazione che escludesse il sindaco dalla convalida degli eletti per la sola causa di ineleggibilità scaturente dal divieto del terzo mandato, mantenendolo invece ad essa assoggettato per le rimanenti cause previste dal capo II del titolo III, risulta improponibile siccome palesemente viziata da irragionevolezza. Risulta, inoltre, impraticabile in quanto comporterebbe la intrinseca contraddittorietà dell'atto deliberativo conclusivo del procedimento che, da una parte, "nell'esaminare le condizioni degli eletti", dovrebbe rilevare la condizione ostativa, dall'altra, concludere, fuori da ogni principio di ragionevolezza, per una convalida parziale (limitata alle condizioni di cui al capo II).

D'altra parte, non è mai stato posto in discussione che il potere di convalida da parte del consiglio comunale abbia carattere generale e riguardi tutti i casi di ineleggibilità comunque previsti dalla legge. Infatti, già l'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 570, del 16 maggio 1960, con una formulazione letterale analoga a quella recata dall'art. 41, imponeva al consiglio comunale di procedere nella seduta immediatamente successiva le elezioni, alla verifica delle cause di ineleggibilità previste dagli artt. 14,15,16 e 17 dello stesso decreto. La predetta disposizione ha trovato incontestata applicazione nel tempo anche a seguito dell'entrata in vigore della legge 23 aprile 1981, n.154, che, pur avendo abrogato i richiamati artt. 14,15,16 e 17 e disciplinato le cause di ineleggibilità ed incompatibilità, non ha ritenuto di dover introdurre un esplicito richiamo, nel corpo dell'art. 75 del D.P.R. n. 570/1960, alle nuove disposizioni di diritto sostanziale da essa stessa recate. Analogamente, sono intervenute nel tempo norme che hanno introdotto cause di ineleggibilità e/o incompatibilità senza che per esse venisse fatto espresso riferimento a potere di convalida (legge 23 gennaio 1992, n.32). Ed è significativo che la Corte di cassazione... non ha mai posto in discussione la sussistenza, anche in questi casi, del potere di convalida nonostante la norma che lo regolava (art. 75 D.P.R. 570/1960) facesse e persistentemente riferimento alle sole disposizioni sulla ineleggibilità e la incompatibilità originariamente previste ed ormai da tempo abrogate. Peraltro, con riguardo alla causa di incompatibilità tra la carica di sindaco e quella di consigliere regionale, le nuove leggi regionali adottate nell'osservanza dei principi dettati dalla legge 2 luglio 2004, n. 165, non fanno espresso riferimento alla convalida del consiglio comunale cosìcchè anche in questo caso l'art. 41 del T.U.O.E.L. rimane privo di collegamento formale con le disposizioni che regolano la posizione sostanziale, senza che perciò possa ritenersi venuto meno il potere-dovere del consiglio comunale di procedere alla convalida.

Alla luce di quanto sopra esposto, può ritenersi che la collocazione meramente formale del divieto di terzo mandato consecutivo nell'ambito del Capo I del titolo III del T.U.O.E.L., non faccia venire meno il regime giuridico proprio della causa di ineleggibilità, né, tantomeno, esenti l’organo collegiale dal dovere di pronunciarsi, dichiarando la decadenza per effetto di causa ostativa non sanabile.

Nel caso di Salerano Canavese, l'inosservanza dell'obbligo derivante dal principio generale della convalida degli organi eletti, perdurante anche dopo la diffida, ha reso inequivocabilmente manifesta la volontà del consiglio comunale di disattendere una prescrizione di valore cogente, posta a garanzia delle regole fondamentali che presiedono al corretto movimento del procedimento di nomina degli organi di governo dell'ente locale e della sussistenza dei requisiti soggettivi prescritti per la elezione

In presenza di tale grave e persistente violazione di legge, si è determinata l'ipotesi disciplinata dall'art. 141, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267.”.

Con due ricorsi a questo Tribunale, notificati entrambi il 14 aprile 2005, n. 550/2005 e 551/2005, rispettivamente, Tersilla Enrico, Mancuso Domenico, Zanello Laura e Zimone Antonella, nella qualità di consiglieri comunali, e il sig. Elio Ottino, quale sindaco rieletto, chiedevano l’annullamento, previa sospensione, del decreto del Presidente della Repubblica del 21 febbraio 2005 e della presupposta relazione del Ministro dell’Interno, lamentando:

A)quanto al ricorso n. 550/2005.

I. Violazione degli artt. 3,7,8 e 10 della l.n. 241/1990, degli artt. 24 e 97 della Costituzione; eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto del presupposto, illogicità, irragionevolezza, vessatorietà, contraddittorietà, carente, assente e/o erronea motivazione, ingiustizia manifesta, sviamento.

Nella nota del 19 febbraio 2005 inviata ai ricorrenti dal Prefetto di Torino, si dava avviso dell’avvio del procedimento di scioglimento del consiglio comunale, esplicitamente richiamando l’applicazione dell’art. 7 l.n. 241/1990. In base a tale disposizione legislativa, però, gli interessati avevano la facoltà di intervenire nel procedimento medesimo, ai sensi dell’art. 10 l.cit., presentando memorie scritte e documenti, come in effetti è stato fatto dagli stessi in data 23 febbraio 2005.

La comunicazione di avvio del procedimento, però, si rilevava un mero simulacro formale, dato che nel medesimo giorno - 19 febbraio 2005- in cui essa veniva portata conoscenza degli interessati, il procedimento si concludeva, essendo di tale data la relazione ministeriale recepita nel formale decreto del Presidente della Repubblica, impedendo quindi agli interessati la possibilità di presentare una memoria difensiva.

Né risultavano particolari ragioni di urgenza – peraltro non richiamate dall’Amministrazione – che imponevano un’accelerazione del procedimento tale da sacrificare l’apporto degli interessati allo stesso.

Pur non esistendo un termine indicato specificamente dalla legge per consentire l’intervento degli interessati, ai sensi dell’art. 10 l.n. 241/1990, appariva logico che tale termine dovesse essere quanto meno essere congruo e idoneo a consentire l’esercizio del diritto di difesa. Ciò non accadeva certo se il procedimento terminava nel medesimo giorno in cui l’interessato  riceveva la comunicazione del relativo avvio.

Inoltre, così facendo, l’Amministrazione non aveva valutato in alcun modo l’apporto fornito, con la memoria del 23 febbraio 2005, dagli interessati, concretando un’ipotesi di evidente difetto di motivazione.

II. A rilevare analoghi vizi, come quelli riscontrati sub I, secondo i ricorrenti, portava anche l’interpretazione sostanziale della motivazione addotta dall’Amministrazione.

Il consiglio comunale, infatti, lungi dal limitarsi a convalidare la citata elezione di Elio Ottino, aveva dapprima evidenziato una situazione di “impasse” normativa, rilevando come l’art. 41, 1 comma, T.U.E.L. non prevedeva la possibilità per il consiglio stesso di censurare la causa di ineleggibilità di cui all’art. 51, 2 comma, T.U.E.L., sotto il profilo della terza rielezione consecutiva del sindaco, in quanto non ricompressa tra le norme di cui al capo II, titolo III del D.lgs. n. 267/2000.

Come affermato anche in un parere di illustre cattedratico ivi richiamato, il consiglio comunale, nella prima seduta, non può far altro che prendere atto di un’eventuale candidatura illegittima per tale motivo, ma non può valutare l’ipotesi di ineleggibilità, e sanzionarla, trovandosi quest’ultima disposizione non nel capo II del T.U.E.L., bensì nel capo I.

Il consiglio comunale, inoltre, aveva cercato di individuare anche qualche interpretazione che gli consentisse di rilevare la suddetta causa di ineleggibilità nella prima seduta, senza trovare, tuttavia, una soluzione positiva, dato l’inequivocabile tenore letterale dell’art 41 cit. e data l’impossibilità di procedere ad interpretazioni di natura analogica in materia elettorale, in particolare inerente a diritti di elettorato passivo.

Per tale ragione, il medesimo consiglio comunale aveva individuato nella procedura di cui all’art 70 T.U.E.L. l’unica soluzione idonea a rilevare la specifica causa di ineleggibilità, tra l’altro esercitabile dal Prefetto di Torino che, però, si dimostrava inerte e veniva risollecitato in tal senso in una seconda occasione, con la deliberazione n. 7 del 22 luglio 2004.

Alla seconda inerzia del Prefetto era solo il Ministero dell’Interno a promuovere l’azione, con gli esiti negativi, però, richiamati in narrativa, in seguito alla doppia pronuncia di inammissibilità del ricorso espressa dai giudici ordinari di merito competenti.

Il consiglio comunale, quindi, lungi dal compiere gravi e reiterate violazioni di legge, si era doverosamente attenuto alla lettera della legge, tentando ad ogni modo di porre rimedio ad una situazione normativa complessa, riconducibile alla non perfetta indicazione della legge.

Premesso ciò, i ricorrenti rilevavano anche che l’interpretazione propugnata nella relazione ministeriale impugnata nella presente sede, secondo cui la norma dell’art. 41 T.U.E.L. andrebbe interpretata sistematicamente in armonia con i principi dell’ordinamento giuridico, in base ai quali ogni organo collegiale può deliberare sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti e verificare la sussistenza di tutte le cause ostative all’espletamento del mandato, non poteva essere condivisa.

Tale interpretazione, infatti, confliggeva con il principio di necessaria, primaria, interpretazione letterale della norma, di cui all’art 12 delle Preleggi, secondo quanto anche riconosciuto dalla giurisprudenza, tenuto conto che l’art. 41 cit. non appariva equivoco nella sua formulazione, con il chiaro riferimento alla possibilità, per il consiglio comunale, di esaminare la condizione degli eletti solo a norma del capo II del titolo III  del medesimo T.U.E.L.,e non di altri.

La giurisprudenza richiamata nella suddetta relazione, poi, era inconferente, perché relativa a fattispecie diverse e non coincidenti con quella in esame.

Anche alla luce di tali considerazioni, quindi, non potevano riscontrarsi le gravi e reiterate violazioni di legge che imponevano l’adozione del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale di cui al D.P.R. impugnato.

III. I ricorrenti osservavano che, ad ogni modo, pur ammettendo come valida l’interpretazione proposta dall’Amministrazione, in assenza di pronunce chiarificatrici della giurisprudenza sul punto controverso, non poteva ritenersi la consapevolezza di gravi e ripetute violazioni di legge nell’ipotesi in cui un organo comunale non ritenesse di assecondare una particolare interpretazione di una disposizione normativa, contraria tra l’altro al suo senso letterale.

Nei provvedimenti impugnati mancava anche una congrua motivazione sul punto, vale a dire sulla ritenuta volontà del consiglio comunale di disattendere il dettato normativo.

IV. I ricorrenti rilevavano in subordine l’illegittimità costituzionale dell’art. 41, 1 comma, T.U.E.L., sotto diversi profili, nella parte in cui non stabilisce in capo al consiglio comunale il potere di esaminare la condizione degli eletti non solo a norma del capo II titolo III del TUEL ma anche dell’art. 51, secondo comma, T.U.E.L. medesimo, procedendo ai sensi dell’art. 69 seguente.

In particolare, per i ricorrenti, la norma confliggeva:

a) con l’art. 1 Cost., perché costituiva un’illegittima limitazione della sovranità popolare;

b) con gli artt. 2, 48, 51 Cost., in relazione alla possibilità di censura della limitazione dell’elettorato attivo e passivo;

c) con l’art 3 Cost., in considerazione della situazione di ineguaglianza tra i sindaci eletti che versano nelle condizioni di ineleggibilità di cui al capo II del Titolo III del T.U.E.L. e quelli che versano nelle condizioni di ineleggibilità di cui al capo I.

d) con l’art. 97 Cost., impedendo il “buon andamento” del consiglio comunale, in relazione alla possibilità di far rispettare la legge;

e) con l’art. 118 Cost., in quanto avviene una compromissione dell’autonomia amministrativa garantita ai Comuni, se il consiglio comunale deve sottostare alle indicazioni interpretative della legge da parte del Prefetto.

La questione di costituzionalità prospettata era, poi, ritenuta rilevante poiché i provvedimenti impugnati si erano fondati proprio sulla presunzione per la quale l’art. 41, 1 comma, T.U.E.L. non impedirebbe al consiglio comunale di far valere la causa di ineleggibilità di cui all’art. 51, secondo comma, T.U.E.L.

Quanto al ricorso n. 551/2005.

I. Con tale ricorso Elio Ottino deduceva un primo motivo di ricorso identico a quello dedotto dai consiglieri comunali  nel ric. n. 550/2005, alla cui esposizione, quindi, si rimanda.

II. Con il secondo motivo di ricorso, Elio Ottino evidenziava che il presupposto diretto dei provvedimenti impugnati era l’art 51, comma 2, T.U.E.L., la cui mancata censura da parte del consiglio comunale ha ingenerato i provvedimenti impugnati.

Il ricorrente, quindi, evidenziava la palese illegittimità costituzionale di tale norma, ingiustamente e irragionevolmente limitativa del diritto di elettorato passivo e attivo, in manifesta violazione degli artt. 1,2,3,48, 51 e 97 Cost.

E’ vero, sosteneva Elio Ottino, che l’art. 51 Cost. prevede che i requisiti per l’accesso alle cariche elettive siano stabiliti dalla legge ma è altrettanto vero che la ragione a sostegno della norma, desumibile dalla volontà di evitare il rischio del consolidamento di un potere personalistico anche si fini della strumentalizzazione della carica al fine della rielezione, non può desumersi, neanche latamente, da alcuna norma costituzionale e appare in contrasto con l’art. 3 e con l’art. 97 Cost.

Se il sindaco aveva ben operato per due mandati consecutivi ben poteva ripresentarsi per il terzo, senza che possa configurarsi uno specifico vantaggio nei confronti di altri candidati.

Con la norma in questione, invece, si era sicuramente violato il diritto di elettorato passivo e attivo, impedendo la libertà di scelta in ambito elettorale e di rappresentanza della comunità.

Inoltre, un limite simile non esisteva per altre cariche elettive politiche e amministrative e alcune regioni a statuto speciale avevano introdotto deroghe a tale limite, con la creazione di ulteriori disparità tra le diverse regioni d’Italia.

Inoltre, per alcuni campi, quali – ad esempio – la realizzazione di opere pubbliche, l’esiguità temporale dei due mandati consecutivi faceva disperdere l’esperienza accumulata dai sindaci rieletti, spezzando la necessaria continuità dell’azione amministrativa e ignorando il consenso e la volontà popolare espressa in ragione del loro positivo operato. 
Il ricorrente, quindi, specificava che l’art 51, 2 comma, T.U.E.L. violava:

a) l’art 1 Cost., in quanto posto in violazione della sovranità popolare;

b) gli artt. 2,48 e 51 Cost., in quanto posto ad illegittima violazione del diritto di elettorato attivo e passivo, riconducibile ai diritti inviolabili dell’uomo;

c) l’art. 3 Cost., in quanto introduce una evidente disuguaglianza e disparità di trattamento in danno dei soggetti aspiranti alla carica di sindaco per il terzo mandato consecutivo, rispetto ad altri aspiranti sindaci in eguale posizione e rispetto ad altre cariche istituzionali dello Stato;

d) l’art. 97 Cost., in quanto comporta una potenziale lesione dei principi di efficienza, buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione;

e) l’art. 118 Cost., in quanto comporta una compromissione dell’autonomia amministrativa garantita ai Comuni.

Pur ricordando che tale eccezione di illegittimità costituzionale era stata già esaminata e respinta da questo Tribunale, nella su ricordata sentenza n. 296/2005, il ricorrente riproponeva la medesima, specificando ulteriormente che:

a) sull’art. 1 Cost., le restrizione illogica alla possibilità di elezione di rappresentanti politici costituiva una limitazione della stessa sovranità popolare;

b) sugli artt. 2,48,51 Cost., questo Tribunale, nella precedente sentenza, non aveva motivato in ordine alle ragioni per le quali non era ritenuta illegittima la limitazione al diritto di elettorato attivo e passivo desumibile dall’art. 51, 2 comma, T.U.E.L.;

c) sull’art. 3 Cost., la precedente sentenza non aveva tenuto nel dovuto conto la comparazione con le altre cariche elettive, in particolare con quelle di Presidente di regione, o con altri sindaci  in regioni a statuto speciale o con altri sindaci non partecipanti per la terza consecutiva tornata elettorale ma già eletti in passato più di due volte;

d) sull’art. 97 Cost., la mancata rielezione per la terza volta consecutiva di un sindaco distintosi per particolare efficienza poteva incidere sul buon andamento dell’Amministrazione;

e) sull’art. 118 Cost.: era evidente la compressione dell’autonomia amministrativa garantita ai Comuni.

Il ricorrente, quindi, precisava che solo una norma di rango costituzionale avrebbe forse potuto introdurre una limitazione come quella di cui all’art 51, 2 comma, T.U.E.L., alla luce della comparazione anche con altri ordinamenti, e che vi era, ancora attualmente, un lungo e approfondito dibattito sull’argomento, con opinioni oscillanti, anche tra la stessa opinione pubblica.

Si costituiva in entrambi i giudizi l’Amministrazione dell’Interno rilevando l’infondatezza dei ricorsi, secondo quanto illustrato in una nota del Ministero dell’Interno allegata e dal contenuto identico per i due giudizi.

Alla camera di consiglio dell'11 maggio 2005 la trattazione della domanda cautelare veniva rinviata all’udienza di merito.

Con memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica  del 13 luglio 2005, sia Tersilla Enrico, Mancuso Domenico, Zanello Laura e Zimone Antonella, sia Elio Ottino, nel confutare le identiche argomentazioni esposte dall’Amministrazione costituitasi nei due giudizi, ribadivano le proprie tesi difensive.

All’odierna udienza i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

Il Collegio, preliminarmente, dispone la riunione dei due ricorsi, data la loro evidente connessione soggettiva ed oggettiva, per deciderli con un’unica sentenza.

Con il  primo motivo, comune ad entrambi i ricorsi, i ricorrenti lamentavano la violazione degli artt. 3,7,8 e 10 l.n. 241/1990 perché, sostanzialmente, con la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 l.n. 241/1990, l’Amministrazione aveva escluso la sussistenza di ragioni di particolare celerità ed urgenza per omettere la partecipazione degli interessati e si era vincolata, quindi, ad accettare l’intervento degli stessi, con tutte le conseguenze in ordine all’obbligo di considerare i loro apporti ed esternare, sul punto, la motivazione se contraria.

Invece, con l’adozione della relazione ministeriale conclusiva  nel medesimo giorno del 19 febbraio 2005 in cui era stata emessa e ricevuta la nota della Prefettura di Torino che comunicava l’avvio del procedimento, l’Amministrazione aveva dato luogo ad un adempimento formale ma inutile, avendo già deciso la conclusione del procedimento e omettendo ogni riferimento all’apporto degli interessati, in violazione di tutti i principi riconosciuti in materia dalla giurisprudenza.

L’Amministrazione, nella relazione depositata nei due giudizi, ha ricordato che la precedente sentenza di questa sezione aveva annullato i provvedimenti impugnati in base ad argomentazioni esclusivamente formali, in ordine alla mancata rappresentazione delle tesi espresse dal consiglio comunale, e che, quindi, essa aveva riprovveduto mediante un nuovo provvedimento di scioglimento nel quale erano, questa volta, rappresentate le argomentazioni svolte dal consiglio ed indicati puntualmente i motivi posti a fondamento dell’adozione della misura di rigore.

Inoltre, l’Amministrazione ha precisato che la comunicazione di avvio del procedimento era stata assolta a prescindere dai presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche costituenti le deduzioni dei destinatari del provvedimento finale, in quanto la produzione di memorie e documenti era già stata effettuata e valutata nell’arco dell’intero “iter” che aveva portato al provvedimento impugnato.

Le garanzie procedimentali offerte dalla legge n. 241/1990 trovavano soddisfazione nei canoni di imparzialità e buon andamento della p.a. e, quindi, nell’obiettività dell’atto amministrativo, funzionale al perseguimento per cui il potere è dato con l’attribuzione allo Stato del controllo sugli organi.

L’Amministrazione ha ricordato anche che la partecipazione degli interessati si era oggettivamente realizzata avendo i ricorrenti presentato ricorso all’autorità competente avverso il primo provvedimento. In più, di fronte ad una norma cogente che vietava al sindaco di essere rieletto per la terza volta consecutiva ed al principio generale che impone al consiglio comunale di esaminare la condizione dei propri componenti, la riproposizione della misura secondo le indicazioni del giudice amministrativo costituiva un atto assolutamente obbligato, privo di margini di apprezzamento discrezionale, di natura dovuta e vincolata, che comunque non comportava la necessaria partecipazione degli interessati, anche ai sensi di quanto ritenuto da giurisprudenza richiamata.

L’Amministrazione ha ricordato anche la sussistenza di particolari esigenza di celerità, visto che l’ottemperanza alla sentenza di questo TAR avrebbe comportato il reinsediamento degli organi ordinari nell’ente locale retto da un commissario, seguito dal reinsediamento del medesimo commissario, a discapito della continuità dell’attività amministrativa e dell’interesse della comunità alla stabilità di governo.

Infine, l’Amministrazione resistente ha rappresentato che nella presente occasione era applicabile anche il disposto dell’art. 21-octies l.n. 241/1990, come introdotto dall’art. 14 l.n. 15/2005, in virtù del quale il provvedimento non potrebbe comunque essere annullato, pure in assenza di partecipazione dell’interessato, quando il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Ebbene, il Collegio non ritiene di condividere tali considerazioni, sotto tutti i profili prospettati, e pertanto il primo motivo di entrambi i ricorsi si palesa fondato.

Il Collegio osserva, in primo luogo, che l’Amministrazione medesima sostiene che la precedente sentenza di questa sezione, n. 296/05, atteneva esclusivamente a profili formali e che essa aveva comunque adottato – e qui il Collegio concorda con l’Amministrazione – “un nuovo provvedimento di scioglimento” nel quale erano state rappresentate, questa volta, le argomentazioni svolte dal consiglio ed erano stati puntualmente indicati i motivi posti a fondamento della adozione della misura di rigore.

Ebbene, se nella precedente occasione – valutata con la ricordata sentenza n. 296/05 – la stessa Amministrazione ammette che le argomentazioni svolte dal consiglio non erano state rappresentate ed i motivi posti a fondamento dell’adozione della misura di rigore non erano stati esternati, ne consegue – ad opinione del Collegio – che, quello conclusosi con i provvedimenti impugnati nella presente sede, era un procedimento del tutto “nuovo” e strutturalmente scollegato con quello di scioglimento precedente, in cui correttamente l’Amministrazione ha ritenuto di considerare le argomentazioni rappresentate dal consiglio comunale di Salerano Canavese e di indicare puntualmente i motivi a fondamento della sua decisione di rigore.

Ma se così e – come è – è evidente che il procedimento “nuovo” necessitava di una “nuova” comunicazione di avvio dello stesso, come in effetti correttamente effettuata dalla Prefettura di Torino, per consentire a tutti gli interessati – sindaco eletto e consiglieri comunali – di partecipare allo stesso, in considerazione della delicatezza dell’argomento e della peculiarità del caso di specie, legato all’interpretazione di una norma del T.U.E.L. proposta dall’Amministrazione procedente,  in un senso non coincidente con quello letterale.

Non può ritenersi condivisibile, quindi, quanto rappresentato dall’Amministrazione resistente nella relazione ministeriale allegata in giudizio, in cui si afferma che l’obbligo di comunicazione è stato assolto “…a prescindere dai presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche costituenti le deduzioni dei destinatari del provvedimento, in quanto la produzione di memorie e documenti era già stata effettuata e valutata da questa Amministrazione nell’arco dell’iter che ha portato al provvedimento ora impugnato”, perché le memorie e i documenti presentati dagli interessati erano relativi ad un procedimento tutt’affatto distinto da quello culminato con i provvedimenti impugnati nella presente sede e definito, nella medesima relazione ministeriale, come “nuovo”. In tale ultimo procedimento, infatti, l’Amministrazione, anche in virtù di quanto rilevato nella sentenza di questa sezione n. 296/05, aveva ritenuto, a differenza di quanto fatto in precedenza, di considerare gli apporti precedenti riconducibili agli interessati ma, ovviamente, per rivalutarli ed eventualmente confutarli;  per compiere tale operazione, però, non poteva prescindere dall’avviare un “nuovo” confronto con gli interessati, consentendo  di presentare agli stessi “nuove” memorie e documenti (eventuali), proprio in relazione alla conclusione di estremo rigore che era stata adottata nella precedente occasione di imposto scioglimento del consiglio comunale e che si intendeva riproporre.

Del tutto fuorviante, poi, ai fini di una corretta interpretazione degli artt. 7 e ss. l.n. 241/90, si palesa l’ulteriore argomentazione rappresentata dall’Amministrazione, secondo la quale “..la partecipazione si era oggettivamente realizzata avendo i ricorrenti presentato ricorso all’autorità competente avverso il primo provvedimento, cosicché in tale evenienza si era sostanzialmente realizzata la partecipazione dei soggetti interessati alla procedura amministrativa”, atteso che è di elementare considerazione che la partecipazione alla procedura da parte dei soggetti interessati deve avvenire all’interno della stessa, e non all’esterno mediante reazione sul piano giurisdizionale, proprio per consentire una conclusione del procedimento stesso consona alla miglior garanzia degli interessi, primari e secondari, pubblici e privati, ivi rappresentati, in modo che l’operare a tutela dell’interesse pubblico, cui deve tendere, istituzionalmente, l’Amministrazione procedente, non prevarichi oltre modo l’interesse privato.

Il ritenere, quindi, che la partecipazione dell’interessato possa avvenire successivamente alla conclusione del procedimento, mediante ricorso all’autorità competente, significa interpretare in maniera completamente errata lo spirito a fondamento dell’istituto della partecipazione procedimentale, che vuole vedere l’interessato dialogare con l’Amministrazione all’interno del procedimento medesimo e non successivamente, all’esterno, e davanti ad un organo terzo, quale “l’autorità giurisdizionale competente”.

Né, ugualmente, appare condivisibile quanto pure precisato dall’Amministrazione resistente, secondo cui “Le garanzie procedimentali offerte dalla legge n. 241/90, trovano del resto soddisfazione nei canoni di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e quindi nella obiettività dell’atto amministrativo, funzionale al perseguimento per cui il potere è dato con l’attribuzione allo Stato del controllo sugli organi.”, perché – come anche rilevato dai ricorrenti nella memoria depositata per l’udienza di merito – i canoni di “imparzialità e buon andamento” sono dei vettori tendenziali di tutta l’attività della pubblica amministrazione, vincolanti per quest’ultima ben prima dell’entrata in vigore della l.n. 241/90, la quale è stata adottata proprio per integrare tali canoni con l’individuazione di istituti partecipativi più diretti a favore del privato, idonei a consentire – come detto – un dialogo effettivo e concreto con l’amministrazione procedente.

Se fosse bastata la sussistenza dei canoni procedimentali dell’imparzialità e buon andamento – che devono sempre e comunque contraddistinguere l’operato dell’Amministrazione – non ci sarebbe stata necessità di adottare la l.n. 241/90 che, invece, ha voluto formalizzare ed esternalizzare al massimo l’apporto dell’interessato al procedimento, obbligando l’Amministrazione a tenerne conto non solo implicitamente, come accadeva in precedenza, appunto mediante l’imparzialità e il buon andamento, ma anche esplicitamente, mediante l’osservanza degli istituiti di cui agli artt. 7 e ss. l. n. 241/90 cit.

Come ulteriore argomentazione, l’Amministrazione resistente richiama quella di ordine sostanziale – non condivisa comunque ugualmente dal Collegio, secondo quanto sarà in prosieguo rappresentato – per la quale nel caso di specie si era in presenza di una sorta di atto dovuto, in cui, in considerazione della circostanza per la quale il sindaco versava in condizioni di ineleggibilità, il consiglio comunale aveva disatteso una prescrizione di valore cogente, posta a garanzia delle regole fondamentali che presiedono al corretto svolgimento del procedimento di nomina degli organi di governo dell’ente locale.

Premesso che, per quanto sarà più avanti chiarito, il Collegio non ritiene che la norma richiamata sia così “cogente” come propone l’Amministrazione, tenuto conto che la sua disposizione letterale è orientata in senso opposto a quello ritenuto nei provvedimenti impugnati, si rileva che la giurisprudenza, cui il Collegio ritiene di aderire, ha da tempo precisato che anche in presenza di atti “dovuti”, o meglio, dove la discrezionalità dell’Amministrazione è vincolata nell’adottare un determinato procedimento in presenza di specifici presupposti individuati dalla legge (e, si ribadisce, non è questo il caso), è pur sempre necessario consentire la partecipazione dell’interessato, quantomeno per due ordini di ragioni: la prima, di ordine formale, è che la l.n. 241/90 non fa menzione a tale causa di esclusione della partecipazione procedimentale, limitandosi a richiamare soltanto la presenza di particolari ragioni di celerità e urgenza, da richiamare comunque nel provvedimento conclusivo; la seconda, di ordine sostanziale, è che l’apporto dell’interessato può comunque essere utile o determinante proprio per individuare l’esistenza o meno di quegli specifici presupposti che la legge pone a fondamento dell’atto vincolato.

Nel caso di specie, quindi, non era la natura (ritenuta dall’Amministrazione) vincolata dell’atto conclusivo del procedimento ad escludere l’obbligo di partecipazione dell’interessato allo stesso.  

L’unica esclusione possibile, era quella di cui all’art 7, comma 1, l.n. 241/90, secondo cui l’avvio del procedimento – ovviamente finalizzato alla partecipazione dell’interessato – può essere omesso “Ove sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”.

Come ritenuto dalla giurisprudenza, però, tali ragioni di celerità devono essere richiamate nel provvedimento finale e ciò non è stato fatto.

Inoltre, osserva il Collegio, se la comunicazione di avvio del procedimento è stato dato – come nel caso di specie con la nota prefettizia del 19 febbraio 2005 ricevuta il medesimo giorno dagli interessati che esplicitamente precisava “Tanto si comunica ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della legge 241/90.” – è ovvio che l’Amministrazione non riteneva sussistenti “particolari esigenze di celerità del procedimento” ai fini della omissione della partecipazione al procedimento degli interessati.

Non può avere, perciò, alcuna rilevanza quanto – a posteriori e sola nella presente sede – rappresentato dall’Amministrazione, secondo la quale sussistevano particolari esigenze di celerità “…visto che l’ottemperanza della sentenza del TAR Piemonte avrebbe comportato il reinsediamento degli organi ordinari nell’ente retto da un commissario fin dall’agosto 2004, cui avrebbe fatto seguito, a distanza di pochi giorni, un nuovo reinsediamento del commissario, a discapito della continuità dell’attività amministrativa e dell’interesse della comunità alla stabilità di governo”.

Peraltro, considerato che il Prefetto aveva inviato la comunicazione ex art. 7 l.n. 241/90, con ciò escludendo particolari impedimenti alla partecipazione per ragioni di urgenza, il Collegio osserva che il ripristino della situazione “quo ante”, evidentemente legittima per quanto riconosciuto da una sentenza di questo giudice amministrativo, legata ad una scelta elettorale dei cittadini interessati, non appariva  così grave da essere celermente impedita e, inoltre, l’affermare che era necessario entro pochi giorni “un nuovo reinsediamento del commissario” lascia intendere che l’Amministrazione aveva già deciso come concludere il procedimento indipendentemente dall’apporto degli interessati e ciò, per quanto rilevato in precedente, non appare conforme a legge, anche in presenza di un “atto dovuto”.

Al riguardo, l’apporto degli interessati poteva essere utile per inquadrare la fattispecie sotto una diversa luce e far escludere l’applicabilità, al caso di specie, dei particolari presupposti di legge, ritenuti idonei a fondare l’atto conclusivo del procedimento che l’Amministrazione si era autonomamente configurato.

Il richiamo ad alcuni precedenti giurisprudenziali del Consiglio di Stato, contenuto nella relazione dell’Amministrazione resistente, quindi, non appare conforme al caso di specie, ove il Collegio ritiene che non si fosse in presenza di un “atto dovuto” e ove, comunque, la partecipazione dell’interessato era stata sollecitata dalla medesima Amministrazione con la comunicazione esplicita di avvio del procedimento del 19 febbraio 2005.

Per concludere sul punto, l’Amministrazione richiama l’applicabilità al caso di specie del disposto di cui all’art. 21-octies l.n. 241/90, come introdotto dall’art. 14 l.n. 15/2005, secondo cui: “ Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Ebbene, osserva il Collegio, che la seconda parte di tale disposizione non è confacente al caso di specie, in cui, con il primo motivo comune ad entrambi i ricorsi, i ricorrenti non lamentavano l’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento, che in effetti c’è stata con la nota prefettizia del 19 febbraio 2005, ma la sostanziale inutilità della stessa e il mancato rispetto del principio del contraddittorio procedimentale, dato che l’atto conclusivo è stato adottato il medesimo giorno della comunicazione di avvio.

L’Amministrazione, quindi, poteva, al più, invocare la prima parte della riportata disposizione, secondo cui l’annullamento del provvedimento impugnato non può essere pronunciato se il contenuto dispositivo dello stesso non avrebbe potuto essere diverso, in ragione della natura vincolata del provvedimento.

In primo luogo, il Collegio osserva che la legge n. 15/2005 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 21 febbraio 2005, due giorni dopo, quindi, la comunicazione di avvio del procedimento e l’adozione del provvedimento finale di cui alla relazione ministeriale più volte richiamata, nonché  il giorno stesso del formale decreto del Presidente della Repubblica, pure oggetto del presente ricorso, per cui non può risultare applicabile al caso di specie.

In secondo luogo, il Collegio – secondo quanto sarà approfondito in prosieguo – osserva che non si desume da nessun elemento oggettivo fornito dalla medesima Amministrazione, né nel corso nel procedimento né nella presente sede, che il contenuto dispositivo del provvedimento finale non poteva essere diverso da quello adottato, tenuto conto che il tenore letterale della norma di cui all’art 41, 1 comma, d.lgs. n. 267/2000 non contempla le cause di ineleggibilità diverse da quelle di cui al Titolo III Capo II del medesimo T.U.E.L. e l’operazione che tende a far rientrare nella doverosa attività del consiglio la verifica anche di altre cause di ineleggibilità, principalmente quelle di cui al Capo I, è riconducibile ad una unilaterale interpretazione dell’Amministrazione, peraltro tutta da verificare e idonea ad essere efficacemente contrastata, come dimostrato dallo stesso consiglio comunale con l’adozione delle diverse delibere succedutesi nel tempo che, lungi dall’ignorare il problema, ne prendevano coscienza ma rilevavano una difficoltà di fondo, dovuta ad incongruenze della legge, ad operare nel senso richiesto e ciò a testimonianza del fatto che l’apporto degli interessati al procedimento, lungi dall’essere sostanzialmente inutile, come affermato dall’Amministrazione, era invece fondamentale per un corretto inquadramento della fattispecie affrontata nel corso del procedimento.

In sostanza, l’Amministrazione, ad opinione del Collegio, ha ragionato come se l’art 41, 1 comma, T.U.E.L. avesse esplicitamente indicato che il consiglio comunale,  nella prima seduta, dovesse esaminare le condizioni degli eletti anche a norma del “capo I” del Titolo III e non solo del “capo II” Titolo III, come in effetti indicato. In tal caso, poiché l’art. 51, 2 comma, T.U.E.L., che non consente un terzo mandato consecutivo per un sindaco per fattispecie come quelle corrispondenti al Comune di Salerano Canavese, è contenuto nel capo I del d.lgs. n. 267/2000, ben si sarebbe potuto concordare con l’Amministrazione nel ritenere esistente da parte del consiglio comunale una  violazione di legge (grave e reiterata, in virtù dei richiami), idonea a giustificare la massima sanzione di rigore come un atto sostanzialmente “dovuto”. Ma poiché tale chiarezza è esente dal testo normativo attualmente in vigore, che non richiama le cause di cui al suddetto capo I, non si vede come l’interpretazione adottata dall’Amministrazione possa essere l’unica e tale da giustificare persino l’omissione dell’apporto al procedimento da parte degli interessati.

Correttamente, quindi, i ricorrenti hanno ricordato nelle loro difese che la prima giurisprudenza, formatasi in relazione all’invocata applicazione dell’art 21-octies l.n. 241/90, come introdotto dall’art. 14 l.n. 15/2005, è tutta orientata alla necessità di interpretare, in modo restrittivo e costituzionalmente orientato, la citata disposizione, con necessità che l’Amministrazione dimostri in modo inequivocabile che il provvedimento finale non poteva che essere adottato in modo conforme a quello concretizzatosi (TAR Basilicata, 15.3.05, n.139 e TAR Campania-Na, 3.3.05, n.1672).

Nel caso di specie tale inequivocabile dimostrazione manca nella presente sede, per cui la fattispecie di cui all’art. 21-octies cit. non è invocabile.

In conclusione, il primo motivo comune ad entrambi i ricorsi è fondato, perché l’Amministrazione, pur comunicando l’avvio del procedimento, ha concluso il medesimo nello stesso giorno, non consentendo agli interessati una effettiva partecipazione allo stesso, partecipazione particolarmente necessaria nel caso di specie, ove la univocità del testo normativo e i sicuri tentativi del consiglio comunale di proporre una soluzione alternativa, escludevano la presenza di attività vincolata dell’Amministrazione nel disporre la massima sanzione di rigore, contrariamente a quanto ritenuto dalla stessa.

Per tale ragione, quindi, il ricorso di Elio Ottino, n. 551/2005, contenente tale unico motivo di ricorso (e altro, subordinato, di illegittimità costituzionale dell’art 51, 2 comma, d.lgs. n. 267/2005) nonché il ricorso n. 550/2005, proposto dai consiglieri comunali, dianzi indicati, devono essere accolti.

In relazione al ric. n. 551/2005, quindi, l’accoglimento dell’unico motivo principale di ricorso comporta l’assorbimento della subordinata questione di illegittimità costituzionale ivi prospettata.

Il Collegio, però, per completezza, ritiene necessario anche verificare la fondatezza degli ulteriori motivi di ricorso dedotti, invece, con il ricorso n.r.g. 550/2005 di Tersilla, Mancuso, Zanello e Zimone.

Con il secondo motivo, infatti, proprio solo di tale ricorso, i ricorrenti lamentavano la violazione degli artt. 41,51, 70 e 141 del T.U.E.L., oltre che degli artt. 1,2,3,48,51,97 e 118 Cost., perché non ritenevano esistenti quelle gravi e reiterate violazioni di norme cogenti rilevate dall’Amministrazione nei provvedimenti impugnati, dato che l’art. 41 T.U.E.L., come anticipato in precedenza, faceva riferimento al solo capo II del medesimo testo normativo e il consiglio medesimo aveva più volte sollecitato il Prefetto ad operare mediante una procedura alternativa, di cui all’art 70 T.U.E.L.

Anche tale motivo di ricorso è fondato.

In assenza di specifiche argomentazioni espresse nella relazione ministeriale allegata in giudizio, che si limita a confutare nel dettaglio il primo motivo dei due ricorsi e la prospetta questione di illegittimità costituzionale dell’art 51, 2 comma, T.U.E.L., le conclusioni dell’Amministrazione devono desumersi dalla relazione ministeriale richiamata dal (e facente parte integrante del) decreto del Presidente della Repubblica del 21 febbraio 2005.

Ebbene, da essa si desume che le ragioni dell’Amministrazione possono sintetizzarsi in quattro punti:

a) l’assunto sostenuto dal consiglio comunale si fonda su un’interpretazione esclusivamente letterale dell’art. 41, 1 comma, T.U.E.L. mentre dovrebbe applicarsi, al caso di specie, una lettura sistematica della norma, in armonia con i principi generali dell’ordinamento giuridico;

b) è principio generale dell’ordinamento giuridico che ogni organo collegiale deliberi sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti e verifichi le cause ostative all’espletamento del mandato e ciò vale anche nei confronti del sindaco che, alla luce dell’art. 37 d.lgs. n. 267/2000, è componente del consiglio comunale;

c) il potere di convalida dei propri eletti da parte del consiglio comunale rappresenta una primaria espressione dell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione agli enti locali nonché una essenziale forma di garanzia di tale autonomia rispetto ad ingerenze esterne e coesiste, in alternativa, con l’azione popolare ex art. 70 T.U.E.L., di carattere accessorio e comunque temporalmente successivo rispetto al momento ordinario di tutela degli interessi pubblici sottesi alle norme sulle condizioni di elegibbilità;

d) anche la lettura della precedente normativa in materia, anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 267/2000, pur abrogata, faceva propendere per questa soluzione.

Il Collegio, sul punto sub a), concorda con quanto, in proposito, osservato dalla difesa dei ricorrenti, secondo cui l’interpretazione di una norma deve partire dal suo contenuto letterale e solo ove questo fosse equivoco, orientarsi verso un’interpretazione sistematica o analogica, ai sensi – d’altronde – di quanto previsto anche dall’art. 12, 1 comma, delle disposizioni sulla legge in generale.

Non può certo compiersi, quindi, l’operazione opposta, che sembra propugnata dall’Amministrazione, secondo cui un’interpretazione “esclusivamente letterale” sarebbe scorretta e necessariamente da far precedere da un’interpretazione sistematica in basi a principi generali dell’ordinamento.

Al Collegio pare proprio che l’art. 41, 1 comma, T.U.E.L. sia sufficientemente chiara nell’indicare, tra gli adempimenti della prima seduta del consiglio comunale, quello di “esaminare la condizione degli eletti a norma del capo II Titolo III e dichiarare la ineleggibilità di essi quando sussista alcuna delle cause ivi previste, provvedendo secondo la procedura indicata dall’articolo 69”.

Se il legislatore avesse voluto prevedere anche l’esame della condizione degli eletti a norma del capo I del Titolo III, non avrebbe avuto difficoltà a rappresentarlo nel testo normativo ovvero, se pure avesse preferito ricorrere all’implicito richiamo a principi generali, avrebbe previsto che il consiglio comunale provvedesse ad esaminare la condizione degli eletti “ai sensi dei principi generali dell’ordinamento”.

Solo con tali indicazioni letterali, quindi, l’Amministrazione avrebbe potuto pretendere dal consiglio comunale l’esame della condizione di eleggibilità di Elio Ottino e, ad un rifiuto o ad una omissione, far seguire la massima sanzione di rigore per “gravi e reiterate” violazioni di legge.

Ma poiché, nel caso di specie, l’interpretazione letterale della norma, vale a dire quella relativa al “senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e della intenzione del legislatore” - per richiamare l’espressione propria dell’art. 12, comma 1, delle Preleggi - ad avviso del Collegio era inequivocabile e, come correttamente ritenuto dal consiglio comunale, non consentiva di esaminare la condizione degli eletti a norma del capo I del Titolo III, essendo presente solo l’esplicito riferimento al capo II, non si vede per quale ragione essa doveva essere ignorata, a beneficio di una più contorta interpretazione sistematica come propugnata dall’Amministrazione.

E’ stata, evidentemente, una scelta del legislatore quella di inserire, tra gli adempimenti della prima seduta del consiglio comunale, la verifica delle sole cause di ineleggibilità di cui al Capo II del Titolo III, vale a dire di quelle, numerose, previste dagli artt. 55-69 T.U.E.L., e non di quella, unica, riconducibile all’art. 51, 2 comma, T.U.E.L.

D’altronde, un ulteriore elemento a sostegno della necessità e linearità dell’interpretazione letterale è quello relativo alla parte conclusiva dell’art. 41, 1 comma, cit., secondo cui il consiglio comunale provvede, sulle rilevate ineleggibilità, “…secondo la procedura indicata dall’art. 69”.

Ebbene, tale art. 69 del T.U.E.L. prevede testualmente che “Quando successivamente alla elezione si verifichi qualcuna delle condizioni previste dal presente capo come causa di ineleggibilità…il consiglio di cui l’interessato fa parte glielo contesta.”. Come si nota, anche l’art. 69 fa riferimento al “presente capo” - vale a dire al capo II, in cui esso è inserito - e non al capo I o “a qualunque capo”, con ciò confortando l’interpretazione letterale che vuole l’operazione di verifica richiesta al consiglio comunale nella prima seduta legata alla procedura di cui all’art. 69 e, quindi, alle cause di ineleggibilità o incompatibilità di cui all’esclusivo Capo II del Titolo III del T.U.E.L.

Secondo il Collegio, la logica del legislatore, agevolmente riscontrabile dalla lettura (questa sì) sistematica dell’intero T.U.E.L. prevede che le cause di ineleggibilità “generali” e oggettive, di cui al Capo II del Titolo III del medesimo T.U.E.L. siano verificabili dal consiglio comunale entro la prima seduta, con le procedure di cui all’art 69 cit.

La causa di ineleggibilità, soggettiva, di cui all’art. 51, 2 comma, d.lgs. n. 267/2000 cit., è invece verificabile esclusivamente attraverso la procedura di cui all’art. 70 T.U.E.L., vale a dire attraverso l’azione popolare esercitabile da qualsiasi cittadino elettore del comune o da chiunque vi abbia interesse, ai sensi dell’art. 70, 1 comma, cit. ovvero “anche”, come si esprime il legislatore, dal prefetto, ai sensi dell’art. 70, 2 comma, cit.

Con una scelta propria della discrezionalità riconosciutagli, quindi, il legislatore ha ritenuto che fosse lo stesso elettorato attivo che ha provveduto all’elezione, o meglio, che fossero gli stessi cittadini interessati, a tutela dell’interesse alla governabilità locale, a richiedere di constatare l’ineleggibilità del sindaco per il terzo mandato consecutivo o, in alternativa, il prefetto, a tutela dell’interesse pubblico al rispetto della legge.

Tale compito non poteva, logicamente, essere chiesto al consiglio comunale, composto per la maggioranza di elementi vicino al sindaco eletto per modo di sentire politico e amministrativo.

Che nel caso di specie il prefetto non abbia provveduto ed abbia provveduto, invece, il Ministro dell’Interno – erroneamente, per quanto rilevato dai giudici di merito competenti e in attesa di pronuncia del giudice di legittimità – non è circostanza che può essere imputata al consiglio comunale, sotto la forma della riscontrata grave e reiterata violazione di legge, proprio perchè, nell’ipotesi in esame, la legge non risulta violata, per quanto osservato finora.

Né è possibile concordare anche con quanto sostenuto nella relazione ministeriale impugnata, ove è indicato che “l’azione ex art. 70 ha carattere accessorio e comunque temporalmente successivo rispetto al momento ordinario di tutela degli interessi pubblici sulle condizioni di eleggibilità, affidato necessariamente alla diretta responsabilità dello stesso organo elettivo”, perché dalla lettura del medesimo T.U.E.L. si evince il contrario.

L’art. 69, commi 1 e 2, d.lgs. n. 267/2000, infatti prevede che il consiglio comunale, ove riscontrata una causa di ineleggibilità di cui al “presente capo” (come ricordato in precedenza, il capo II), contesta tale causa all’interessato e questi ha dieci giorni di tempo per formulare osservazioni o per eliminare le cause di ineleggibilità sopravvenute o di incompatibilità (art. 69, comma 2, cit.). Il successivo terzo comma prevede che “Nel caso in cui venga proposta azione di accertamento in sede giurisdizionale ai sensi del successivo articolo 70, il termine di dieci giorni previsto dal comma 2 decorre dalla data di notificazione del ricorso”, con ciò inequivocabilmente chiarendo – in senso contrario a quanto apoditticamente affermato nella relazione ministeriale impugnata – che l’azione popolare di cui all’art. 70 T.U.E.L. non è affatto accessoria e temporalmente successiva alla procedura richiesta al consiglio comunale - evidentemente ai sensi dell’art. 69 cit. se l’Amministrazione chiedeva al consiglio medesimo di intervenire ai sensi dell’art. 41, 1 comma, T.U.E.L. – ma può essere antecedente o quanto meno contemporanea ed autonoma.

Per quanto ricordato sopra, sub b), il Collegio osserva che, per quanto detto finora, l’argomentazione richiamata dall’Amministrazione in ordine all’applicabilità del principio generale della verificabilità della regolarità dei titoli dei propri eletti, appartenente ad ogni organo collegiale non ha pregio, in considerazione della ricordata interpretazione letterale della norma che deve prevalere.

Inoltre, il Collegio osserva che il sindaco non può definirsi tra gli “eletti” al consiglio comunale, essendo ben diversa la modalità di sua elezione rispetto a quella dei componenti del consiglio comunale né è invocabile la disposizione di cui all’art. 37, comma 1, del medesimo T.U.E.L., secondo cui il consiglio comunale è composto anche dal sindaco, atteso che tale norma si limita a descrivere la composizione dell’organo ma non a specificare le modalità di elezione ad esso, contenute in altra parte del T.U.E.L. e uniche riscontrabili ai fini dell’esercizio del potere consiliare di cui all’art. 41, 1 comma cit.

Il consiglio comunale vanta certo la possibilità di verificare l’eleggibilità dei propri componenti (elettivi, appunto), quali tutti i consiglieri comunali, anche in virtù di principi generali dell’ordinamento, ma ciò solo in assenza di specifiche norme e comunque non nei confronti di componenti non eletti per esso, vale a dire del sindaco che è eletto mediante procedure elettorali tutt’affatto diverse.

Ugualmente non è condivisibile quanto sopra richiamato sub c), per quanto illustrato a proposito della coesistenza tra azione ex art. 41, 1 comma, T.U.E.L. e azione popolare ex art. 70 T.U.E.L.

Infine, anche quanto richiamato sub d) non appare decisivo, atteso che la normativa precedente al d.lgs. n. 267/2000 a nulla può rilevare, in presenza delle specifiche norme contenute nel “nuovo” T.U.E.L. e che si applicano al caso di specie senza necessità di ricorrere a principi generali, per quanto illustrato finora.

In definitiva, appare corretto e coerente con l’interpretazione della normativa in vigore quanto compiuto dal consiglio comunale di Salerano Canavese che, lungi dall’ignorare il problema rappresentato dall’elezione alla carica di sindaco per il terzo mandato consecutivo di Elio Ottino, ha approfondito l’esame della fattispecie ed ha riscontrato, in sostanza, una precisa indicazione del legislatore, come tale rappresentata agli organi prefettizi. Che questi non si siano trovati in accordo ed abbiano omesso di intraprendere la strada indicata dal medesimo legislatore, legata esclusivamente alla proposizione dell’azione di cui all’art. 70 T.U.E.L., non è circostanza riconducibile al medesimo consiglio, sotto il profilo della grave e reiterata violazione di legge di cui all’art. 141, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 267/2000, consiglio comunale che, anzi, risulta aver fatto tutto quanto era in suo potere per cooperare con gli organi centrali.

In relazione al ric. n. 550/2005, quindi, l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso comporta l’assorbimento dei restanti motivi, ivi compreso quello, subordinato, di illegittimità costituzionale dell’art. 41, 1 comma, d.lgs. n. 265/2000.

I ricorsi, quindi, previa riunione, devono essere accolti, con annullamento dei provvedimenti impugnati.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – 2^ Sezione:

1) riunisce i ricorsi in epigrafe indicati;

2) accoglie i detti ricorsi e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati;

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Torino, alla camera di consiglio del 13 luglio 2005 con la partecipazione dei signori magistrati:

Giuseppe Calvo                          Presidente

Ivo Correale                              Referendario, estensore

Antonio Plaisant                        Referendario

Il Presidente                                L’Estensore

f.to Calvo f.to Correale

Il Direttore Segreteria II Sezione  Depositata in Segreteria a sensi di

f.to Ruggiero Legge il  22 ottobre 2005

      Il Direttore Segreteria II Sezione

      f.to Ruggiero