Ricc. nn.2804/01-3367/04     Sent. n. 1735/2005

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:

Lorenzo Stevanato  Presidente f.f.

Fulvio Rocco             Consigliere

Alessandra Farina  Consigliere, relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi n.2804/2001 e n. 3367/2004, proposti dalla Società PANIZZON BRUNO & FIGLI  S.n.c. di Panizzon Bruno, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa nel primo dagli avv.ti Primo Michielan e Franco Pasquarello, con elezione di domicilio presso lo studio dell’avv. Rodolfo Bevilacqua in Venezia S. Croce 1320, e nel secondo dall’avv. Primo Michielan, con elezione di domicilio presso lo studio dello stesso in Mogliano Veneto (TV), via G.Matteotti n. 20, come da mandato a margine di ciascun ricorso;

CONTRO

il Comune di Schio, in persona del Sindaco pro tempore rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto Borella e Stefania Piovesan, con elezione di domicilio presso lo studio dell’avv. Franco Stivanello Gussoni in Venezia, Dorsoduro 3593;

e nei confronti

limitatamente al ricorso n. 3367/04, della Regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Romano Morra e Franca Caprioglio, con elezione di domicilio presso l’Avvocatura regionale in Venezia, Dorsoduro 3901;

  PER

l’annullamento:

- con il ricorso n. 2804/2001, del provvedimento dirigenziale di diniego di concessione edilizia prot. n. URB 935-2001 del 13.8.2001, compreso il parere della C.E. dell’1.8.2001 n. BA/78 di reg.; nonché della delibera consiliare n. 130 del 4.7.2001 di adozione della variante generale al P.R.G.  nella parte in cui  all’art. 8, punto 7, comma 9 N.T.A. introduce nella cartografia corrispondente fasce di rispetto di inedificabilità assoluta dalla linea elettrica 132 kv Schio-Marzotto con derivazione Valdagno;

- con il ricorso n. 3367/2004, del provvedimento dirigenziale di diniego di permesso di costruire prot. n. 8224 del 26.8.2004, ivi compreso per quanto di ragione il parere dirigenziale della Regione Veneto del 16.8.2004.

    Visti i ricorsi, notificati rispettivamente il 14.11.2001 e 15.11.2004/17.11.2004 e depositati presso la Segreteria il 14.12.2001 ed il 7.12.2004, con i relativi allegati;

    Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Schio per entrambi i ricorsi, depositati rispettivamente il 17.4.2003 ed il 13.12.2004, e della Regione Veneto, per il secondo ricorso, depositato il 13.12.2004;

    Viste le memorie prodotte dalle parti;

    Visti gli atti tutti di causa;

    Uditi nella pubblica udienza del 23 marzo 2005 - relatore il Consigliere Alessandra Farina - l’avv. Primo Michielan per il ricorrente, l’avv. Stefania Piovesan per il Comune di Schio e l’avv. Francesco Zanlucchi, in sostituzione dell’avv. Morra, per la Regione Veneto;

    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

  Espone l’odierna ricorrente, società Panizzon Bruno & Figli, di essere proprietaria di un lotto di terreno edificabile nel Comune di Schio (VI), appartenente alla lottizzazione residenziale denominata “Dall’Amico”, individuato con il n. 7 e censito catastalmente al fg. 8, mapp. n. 933.

  L’area della lottizzazione, la cui convenzione di urbanizzazione è stata già approvata dal Comune e sottoscritta dalle parti, è stata parzialmente completata dagli altri lottizzanti ed è attraversata da un elettrodotto con cavo aereo di tensione pari a 132 kv.

  In data 12.1.2001 la società presentava istanza per il rilascio della concessione edilizia onde edificare sul lotto di proprietà un fabbricato composto da 6 unità abitative, allegando il parere favorevole della Commissione Edilizia e della Commissione Comunale Integrata Beni Ambientali.

  Il Comune disponeva l’accertamento da parte dell’ARPAV di Vicenza dell’entità dei campi magnetici provocati dall’elettrodotto insistente sull’area di proprietà.

  Nelle more, il Comune di Schio approvava la variante generale al P.R.G. con delibera consiliare n. 130 del 4.7.2001, con la quale sono state introdotte fasce di rispetto dagli elettrodotti con inedificabilità assoluta di ml.50, con l’esplicito richiamo alle prescrizioni vigenti in materia di valori di emissione.

  Poiché, a seguito degli accertamenti effettuati, l’area sulla quale la ricorrente aveva chiesto il rilascio della concessione a costruire risultava compresa nella fascia di rispetto, così come individuata dalla cartografia di cui alla variante generale, e risultavano superati i limiti di induzione magnetica, così come stabiliti dalla legge regionale n. 27/1993, il Dirigente del Servizio Edilizia Privata respingeva con provvedimento n.935 del 13.8.2001 la richiesta avanzata dalla società ricorrente.

  Avverso tale diniego la società Panizzon proponeva il primo dei ricorsi indicati in epigrafe, articolato nei seguenti motivi:

  1) Violazione di legge con riferimento agli artt. 48 e 71 della legge regionale n. 61/85.

  In base alla norme regionali richiamate è prevista l’applicazione obbligatoria delle misure di salvaguardia a seguito dell’adozione delle varianti al P.R.G., per cui nel caso di specie l’amministrazione non poteva assumere il diniego impugnato, bensì avrebbe dovuto adottare un provvedimento soprassessorio.

  2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 51 della legge regionale n. 61/85 in relazione all’art. 1.1 delle n.t.a..

  Il motivo, formulato in via subordinata nel caso in cui il vincolo di inedificabilità relativo alla fascia di rispetto dall’elettrodotto fosse immediatamente applicabile fin dall’adozione della variante generale, si richiama alla disposizione contenuta nell’art. 51 della legge urbanistica regionale, in base al quale l’approvazione delle varianti urbanistiche non comporta la decadenza dei vigenti strumenti urbanistici attuativi che non si pongano in condizioni di incompatibilità con le previsioni contenute nel piano o sue varianti.

  Di conseguenza, poiché per quanto riguarda il piano di lottizzazione “Dell’Amico” risultava già approvata e sottoscritta dalle parti la convenzione con obbligo da parte del privato di realizzare le opere di urbanizzazione, per effetto della variante generale non potevano intendersi decadute le previsioni contenute nel piano, da cui l’assentibilità della richiesta di concessione ad edificare presentata dalla ricorrente.

  3) Violazione di legge con riguardo all’art. 16 della legge n. 36/2001; eccesso di potere per difetto di presupposto.

  Parte ricorrente osserva che, laddove si ritenesse che il diniego comunale derivi direttamente dalla legge regionale n. 27/93, la quale ha stabilito determinati valori limite per le emissioni elettromagnetiche nell’ambito della prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati dagli elettrodotti, il provvedimento comunale si porrebbe in palese contrasto con la nuova disciplina introdotta dalla legge-quadro n. 36/2001 sulla protezione dall’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.

  La legge n. 36/2001 ha, infatti disciplinato i principi fondamentali della materia onde assicurare la tutela della salute della popolazione dagli effetti dell’esposizione ai campi elettromagnetici.

  Orbene, in quanto legge-quadro, la normativa statale ha previsto l’adozione di normativa di dettaglio per la determinazione “…dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obbiettivi di qualità …in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee”.

  Nelle more dell’entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 4, comma 2 lettera a), che avrebbe introdotto detti parametri unitari, la legge statale ha previsto l’applicabilità, in quanto compatibili, delle disposizioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 aprile 1992.

  Il citato D.P.C.M. del 1992 prevede dei limiti di campo elettromagnetico pari a 5 kv/m e 100 microtesla, valori che sono diversi e superiori a quelli stabiliti dalla normativa regionale.

  Ritiene, quindi, la difesa ricorrente che, per effetto della normativa statale di carattere generale e della previsione circa l’applicabilità in via transitoria dei valori individuati dal D.P.C.M. 1992, non possano più trovare applicazione i diversi e più restrittivi valori limite stabiliti dalla normativa regionale.

  Ciò in applicazione dei principi generali in materia di competenze regionali ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, per i quali l’entrata in vigore di normative a carattere generale da parte del legislatore nazionale, accompagnate da normative di attuazione, comporta l’implicita abrogazione di tutta la previgente normativa regionale di dettaglio.

  Diversamente opinando, la normativa regionale risulterebbe affetta da illegittimità costituzionale per violazione dell’interesse nazionale e di quello delle altre Regioni.

  Il livello di tutela della popolazione non può, infatti, essere diverso a seconda della Regione nella quale sono presenti gli impianti e dei valori limite previsti a livello locale.

  La ritenuta avvenuta abrogazione della normativa regionale di cui alla legge n. 27/93, per effetto della legge quadro e della conseguente applicabilità dei valori limite fissati dal d.p.c.m. 1992, avrebbero consentito alla ricorrente di edificare nell’ambito del lotto di proprietà essendo stati riscontrati valori di emissione elettromagnetica inferiori ai limiti previsti dal d.p.c.m. 1992.

  Nell’ipotesi in cui non si dovesse ritenere intervenuta l’abrogazione della legge regionale, la difesa istante eccepisce la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge regionale n. 27/93 per violazione dell’art. 117 Cost., per contrasto con i principi fondamentali di cui alla legge n. 36/2001.

  4) Violazione degli artt. 49-50 della legge regionale n. 61/85; eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione; illegittimità derivata.

  Con ultimo motivo di censura, la difesa istante rileva che, indipendentemente dal fatto che il limite di inedificabilità esistente nell’ambito della fascia di rispetto dall’elettrodotto derivi direttamente dalla legge regionale o sia frutto dell’introduzione di un nuovo vincolo urbanistico da parte dell’amministrazione, il Comune non ha motivato la propria decisione di introdurre tale nuovo vincolo, così gravemente penalizzante per la ricorrente.

  Nonostante l’attività di pianificazione urbanistica sia caratterizzata da un ampio margine di discrezionalità amministrativa, il Comune non poteva non tener conto della posizione  della ricorrente e dell’affidamento che la stessa aveva riposto in considerazione dell’intervenuta approvazione della convenzione di lottizzazione.

  La difesa ricorrente ha quindi concluso chiedendo l’annullamento del diniego impugnato, con contestuale richiesta di risarcimento dei danni patiti.

  L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio, rilevando la legittimità del diniego impugnato, stante la vigenza dei valori limite di emissioni elettromagnetiche stabiliti dalla legislazione regionale, la quale non può considerasi implicitamente abrogata per effetto dell’entrata in vigore della legge n. 36/2001.

  A tale riguardo la difesa comunale richiama la pronuncia resa in merito dalla Corte Costituzionale  del 7 ottobre 1999 n. 382, ove viene espressamente ritenuto che alle Regioni non risulta inibita la possibilità di introdurre limiti più restrittivi rispetto a quelli stabiliti a livello nazionale (in tale occasione sono stati presi a riferimento quelli stabiliti dalla Stato nell’esercizio delle funzioni ad esso riservate dall’art. 4 della legge n. 833/78 e dall’art. 2, comma 14, della legge n. 349/86), di modo che non può essere considerata incostituzionale la disciplina regionale introducente diversi e più severi parametri di riferimento, in quanto comunque finalizzata al perseguimento di obiettivi comuni a quelli perseguiti dalla normativa nazionale.

  Il diniego impugnato, basato espressamente sul rispetto di tali valori, i quali trovano applicazione diretta dalla legge regionale e non sono frutto di scelte urbanistiche comunali, risulta, pertanto, legittimamente assunto.

  Successivamente la società Panizzon, tenuto conto delle sopravvenute modifiche del quadro normativo, in particolar modo dell’entrata in vigore del D.P.C.M. dell’8.7.2003 e dell’orientamento giurisprudenziale manifestato dalla Corte Costituzionale con le sentenze del 7 ottobre 2003 n. 303 e 331, presentava in data 1 marzo 2004 una nuova richiesta di permesso di costruire.

  L’intervento proposto riproduceva, previo adeguamento alle disposizioni delle nuove n.t.a. del Comune di Schio, la medesima soluzione progettuale sul lotto di proprietà per la realizzazione di un fabbricato ad uso residenziale.

  L’istruttoria della pratica risultava particolarmente complessa, tanto che il Comune raddoppiava i termini del procedimento ai sensi dell’art. 20 , comma 8 del D.P.R. n. 380/01 e provvedeva ad inviare alla Direzione Urbanistica della Regione Veneto una richiesta di parere in ordine all’applicazione della sopravvenuta legge statale n. 36/2001 e del D.P.C.M. 8.7.2003 sulla fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione da campi elettromagnetici.

  La ricorrente provvedeva a depositare presso il Comune l’accertamento effettuato dall’ARPAV di Vicenza, in base al quale i limiti di emissione elettromagnetici riscontrati risultavano entro i valori stabiliti dal D.P.C.M. dell’8.7.2003.

  A fronte della persistente inerzia del Comune sull’istanza edificatoria della ricorrente, questa presentava apposito parere legale  sui già vigenti limiti di inquinamento elettromagnetico, quale apporto collaborativo nell’ambito della sequenza procedimentale.

  La Regione Veneto esprimeva il proprio parere, in merito al quesito postole dal Comune di Schio, con nota dirigenziale del 16 agosto 2004, nella quale veniva escluso ogni effetto abrogativo della legislazione regionale a eseguito della normativa statale sopravvenuta ed in applicazione del D.P.C.M. 8.7.2003.

  Di conseguenza, il Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Schio in data 6 settembre 2004 denegava nuovamente il permesso di costruire.

  Con il secondo ricorso indicato in epigrafe, la società Panizzon impugna anche il secondo provvedimento di diniego, denunciandone l’illegittimità per i seguenti motivi:

  1) Violazione e falsa applicazione  dell’art. 10 lettera b) della legge n. 241/90; eccesso di potere per carenza di motivazione.

  L’istanza edificatoria presentata dalla ricorrente è stata respinta senza alcuna motivazione o riferimento alle osservazioni espresse nel parere legale depositato dall’istante nell’ambito della sequenza procedimentale.

  Detto parere risultava di particolare rilevanza in quanto basato sulla disamina della questione dei valori soglia da applicare a seguito dell’entrata in vigore della legge quadro statale.

  Il provvedimento risulta poi carente di motivazione in quanto in esso non viene fatto alcuno specifico riferimento alle normative edilizie comunali che impediscono la realizzazione del fabbricato, neppure con riguardo alla implicita decadenza del piano di lottizzazione.

  2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 36/2001 e degli artt. 3 e 4 del D.P.C.M. 8.7.2003.

  La difesa istante ripercorre l’attuale assetto normativo in materia di tutela da emissioni elettromagnetiche, con particolare riguardo ai valori limite fissati a livello nazionale del D.P.C.M. 8.7.2003, emanato in applicazione della legge quadro n. 36/01, ribadendo le osservazioni formulate in occasione del primo ricorso circa l’intervenuta abrogazione della normativa regionale, imponente limiti più restrittivi, a seguito dell’intervento del legislatore statale che ha fissato i valori soglia validi per tutto il territorio nazionale.

  A tale riguardo vengono richiamate le recenti sentenze della Corte Costituzionale, in particolare la sentenza n. 303 del 7.10.2003, nella quale è stato affermato che la Regione non ha il potere di fissare limiti diversi, anche se più restrittivi, rispetto a quelli indicati dal legislatore statale.

  Da ciò la ritenuta illegittimità costituzionale delle leggi regionali che abbiano introdotto limiti diversi e più restrittivi rispetto a quelli di cui al D.P.C.M. 2003.

  In tal modo la Corte ha modificato il proprio precedente orientamento, di cui alla sentenza n. 382/99, per affermare l’inderogabilità dei valori soglia statali, così come dettati per l’intero territorio nazionale dal D.P.C.M. 2003, onde assicurare omogeneità di tutela.

  Conseguenza di quanto così affermato è l’implicita abrogazione della normativa ragionale in materia di tutela da “elettrosmog”, in quanto, anche in applicazione del principio generale di cui all’art. 10  della legge n. 62/53, cd. “Legge Scelba”, l’entrata in vigore di principi fondamentali contenuti nella legislazione statale comporta l’abrogazione delle norme regionali che si trovino in contrasto con essi.

  Nel caso di specie, quindi, non poteva continuare a trovare applicazione il sistema di parametri di tutela contemplati nella legge regionale n. 27/93.

  Per l’effetto, essendo applicabili i valori soglia di cui al D.P.C.M. 2003, ed essendo stato accertato dall’ARPAV che nella fascia di rispetto dell’elettrodotto corrente sopra il lotto della ricorrente detti valori soglia risultavano rispettati, non residuava in capo al Comune alcun margine di apprezzamento per denegare il rilascio del permesso di costruire.

  Laddove non si dovesse seguire la suesposta conclusione, ad avviso della difesa istante, risulterebbe necessario la sottoposizione all’esame della Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale della legge regionale applicata, per contrasto con l’art. 117 della Costituzione, secondo  e terzo comma.

  Il Comune di Schio si è costituito anche in questo secondo giudizio, ribadendo la legittimità del diniego nuovamente espresso in ordine alla richiesta presentata dalla ricorrente, riaffermando il potere regionale di adeguare la propria legislazione ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione ed agli obbiettivi di qualità, per cui le norme statali non sono da intendere come di immediata applicazione, ma debbono essere recepite dal legislatore regionale.

  Di conseguenza il Comune non poteva non applicare la normativa regionale, non spettando all’ente locale, nell’evidente contrasto tra la normativa statale e regionale, ritenere abrogata o disapplicare la legge regionale.

  La Regione Veneto si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del gravame proposto avverso il parere dalla stessa espresso in merito all’applicabilità della legge n. 27/93 e recepito dal provvedimento di diniego del permesso di costruire espresso dal Comune.

  All’udienza del 23 marzo 2005, udite le precisazioni conclusive dei procuratori delle parti,  entrambi i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

  DIRITTO

  Preliminarmente il Collegio ritiene opportuno disporre la riunione dei due ricorsi indicati in epigrafe, onde consentirne la trattazione congiunta, per l’evidente connessione soggettiva ed oggettiva.

  La vicenda che ha dato origine al presente contenzioso si è sviluppata nell’ambito dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale della materia relativa alla tutela da emissioni di onde elettriche ed elettromagnetiche.

  La società ricorrente, così come già esposto in fatto, è titolare di un lotto appartenente ad un’area di lottizzazione, già parzialmente attuata, il quale risulta collocato nelle vicinanze del tracciato del cavo aereo di un elettrodotto di potenza pari a 132 kv e quindi nell’ambito della fascia di rispetto, implicante un vincolo di inedificabilità.

  Con i provvedimenti oggetto dei due ricorsi proposti, il Comune di Schio ha sempre denegato il rilascio del permesso di costruire, proprio in ragione dell’esistenza del vincolo di inedificabilità derivante dalla fascia di rispetto e dell’accertato superamento dei valori soglia stabiliti dalla legislazione regionale, nella specie la legge n. 23 del 1997, ritenuta applicabile nonostante l’entrata in vigore della legge statale n. 36 del 2001, che ha fissato i principi fondamentali della materia di cui è causa.

  Il Collegio ritiene - nonostante la questione principale affrontata in entrambi i gravami sia quella relativa alla persistenza della vigenza della normativa regionale a fronte dell’entrata in vigore della legge quadro e dei valori soglia dapprima applicati in via transitoria mediante il richiamo a quelli contenuti nel D.P.C.M. del 1992 e poi in via ordinaria con riguardo a quelli previsti dal D.P.C.M. del 2003 - di dover procedere all’esame delle singole censure sollevate in occasione dei due ricorsi avverso i due successivi dinieghi di permesso di costruire, proprio in considerazione dell’evoluzione della normativa e dell’interpretazione giurisprudenziale che ad essa ha fatto seguito.

  Prendendo avvio dal primo gravame, con il primo motivo viene lamentata la mancata applicazione delle misure di salvaguardia, in quanto risultava adottata la variante generale al vigente P.R.G. comunale, da cui la necessità di un provvedimento di natura soprassessoria e non definitiva come il diniego impugnato.

  Il motivo è privo di pregio in quanto il diniego impugnato con il primo ricorso non trova fondamento in una disposizione introdotta a seguito della variante, peraltro parimenti impugnata, bensì trova la propria origine nelle disposizioni contenute nella legge regionale, applicabili per quanto riguarda l’edificazione nell’ambito delle fasce di rispetto dagli elettrodotti.

  Il Comune, quindi, non ha operato alcuna scelta discrezionale in campo urbanistico, bensì ha solo provveduto ad identificare nella cartografia comunale le aree comprese nell’ambito della fascia di rispetto.

  Il vincolo di inedificabilità che ne è derivato è, invece, dipeso da quanto stabilito dagli artt. 2 e 6 della legge regionale n. 27/93, che impone per una distanza di 50 metri dal tracciato dell’elettrodotto il divieto di edificazione.

  Di conseguenza, non sussistevano i presupposti per invocare l’applicazione delle misure di salvaguardia.

  Per le medesime ragioni è da respingere anche il secondo motivo di ricorso, in quanto se è vero che la legge urbanistica regionale n. 61/85 prevede all’art.51 che, in caso di varianti, mantengano efficacia gli strumenti attuativi che non si pongano in contrasto con le prescrizioni urbanistiche e che detto principio viene puntualmente ribadito anche nelle n.t.a. del P.R.G. del Comune di Schio, ove si stabilisce all’art. 1.1 che i piani attuativi già convenzionati alla data di entrata in vigore della variante mantengono efficacia per un decennio, anche se non espressamente confermati, è altrettanto vero che le disposizioni introdotte dalla normativa statale e regionale in materia di tutela della salute da inquinamento elettromagnetico trovano comunque diretta ed immediata applicazione.

  I vincoli di inedificabilità derivanti dalla normativa regionale richiamata operano pertanto direttamente nell’ambito delle aree identificate come rientranti nelle fasce di rispetto.

  Una volta effettuata tale identificazione, i vincoli di inedificabilità operano automaticamente, così come peraltro la stessa disposizione di cui all’art. 1.1 delle n.t.a. espressamente ribadisce (“entrano in vigore da subito i vincoli previsti da leggi statali o regionali”), operando anche per quanto riguarda le aree soggette a piani attuativi già convenzionati, come nel caso di specie.

  Con il terzo motivo viene affrontata la questione principale e cioè l’applicabilità dei valori soglia individuati dalla legislazione regionale (che nella specie sono pari a 0,2 microtesla) ovvero quelli individuati dal legislatore nazionale per effetto della disposizione contenuta nell’art. 16 della legge n. 36/2001.

  Detta norma, infatti, prevede che nelle more dell’adozione della normativa di dettaglio per la determinazione “…dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obbiettivi di qualità …in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee…”, così come previsto dall’art. 4, comma 2 lettera a) della legge n. 36/01, debba trovare transitoria applicazione quanto stabilito nel Decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 1992 in ordine ai valori soglia da rispettare.

  Il citato D.P.C.M. del 1992 prevede, tuttavia, dei limiti di campo elettromagnetico pari a 5 kv/m e 100 microtesla, valori che sono diversi e superiori a quelli stabiliti dalla normativa regionale ma che, a differenza di questa furono dettati per la salvaguardia da esposizioni non prolungate.

  Il problema è quindi quello di stabilire se, nelle more dell’approvazione da parte del Governo dei nuovi parametri individuanti i valori soglia per le emissioni elettromagnetiche, la normativa regionale, indubbiamente più restrittiva, potesse ancora trovare applicazione (così come ritenuto dal Comune nel provvedimento impugnato) o dovesse ritenersi implicitamente abrogata con conseguente applicazione dei parametri più permissivi (ma dettati per diverse esigenze relative all’esposizione acuta) precedentemente fissati dal citato d.p.c.m. del 1992 (così come ritenuto da parte ricorrente).

  La questione è già stata affrontata dalla Sezione, la quale ha ritenuto che l’operatività della nuova disciplina statale potrà avvenire soltanto a seguito del completamento dell’impianto normativo avviato dalla legge n. 36/2001 e cioè soltanto quando risulterà approvato il D.P.C.M. richiamato dall’art. 4, comma 2 della legge quadro.

  In attesa del completamento della legge n. 36/01, si è ritenuto che debba mantenere piena vigenza tutta la legislazione esistente in materia di protezione della popolazione da esposizione prolungata a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, di cui fa parte anche la legislazione regionale invocata dal Comune.

  La validità di tale conclusione risulta avallata anche dalla pronuncia della Corte Costituzionale, n. 328/1999, assunta proprio in ordine alla questione di legittimità costituzionale sollevata riguardo alla legge regionale invocata.

  La Corte, infatti, in tale occasione non ha rilevato alcun contrasto della legge regionale con i principi costituzionali in ordine al rispetto delle attribuzioni proprie della legislazione regionale in rapporto alle competenze del legislatore statale.

  “…la Regione, come Ente rappresentativo della molteplicità degli interessi legati alla dimensione territoriale, non può non reputarsi titolare anche del potere di verifica della compatibilità degli interventi che, attuati dai vari soggetti, comportano effetti sul territorio. Ed è questa  indubbiamente la prospettiva nella quale appare collocarsi la legge denunciata, che rimane nell’ambito delle competenze regionali, anche se comporta  l’imposizione di distanze superiori a quelle richieste per il rispetto dei limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico,….” (così, C.Cost. cit.).

  La disciplina regionale non è stata quindi ritenuta incostituzionale dalla Corte proprio in ragione del fatto che, sebbene mediante l’imposizione di limiti più severi di quelli statali, non risultano vanificati gli obiettivi di protezione della salute della popolazione dall’inquinamento elettromagnetico.

  All’epoca dell’adozione del primo diniego, quindi, non essendosi ancora completata la disciplina introdotta dalla legge quadro statale con l’introduzione dei nuovi limiti, basati sui valori di emissione e valevoli per tutto il territorio nazionale, la legislazione regionale poteva e doveva ritenersi ancora vigente, operando al fine del perseguimento degli obiettivi di tutela della salute umana, al pari di quella statale.

  Il terzo motivo va, pertanto, respinto, anche sotto il denunciato profilo di illegittimità costituzionale della legge regionale.

  Infondato è, infine, il quarto motivo, con il quale viene denunciato il vizio di difetto di motivazione per non essere stata addotta alcuna ragione per giustificare il vincolo di inedificabilità imposto sul lotto di proprietà, tenuto conto dell’affidamento della ricorrente in ordine alla realizzabilità di un intervento nell’ambito di una lottizzazione già convenzionata.

  Le ragioni sono ancora una volta riconducibili alla fonte del vincolo imposto, le quali sono da riportare alle prescrizioni contenute nella legislazione regionale ed ai limiti da essa imposti e non alle scelte urbanistiche del Comune.

  In conclusione, per quanto riguarda il primo gravame, attesa l’infondatezza delle censure sollevate, questo non può trovare accoglimento e va, pertanto, respinto, anche per quanto riguarda la pretesa misura risarcitoria.

  Ad opposte conclusioni, invece, ritiene di giungere il Collegio con riguardo al secondo gravame proposto dalla società Panizzon, avverso il diniego nuovamente espresso dal Comune di Schio in ordine al progetto edificatorio nuovamente presentato dalla ricorrente, dopo l’approvazione della variante generale e soprattutto dopo l’entrata in vigore del D.P.C.M. 8.7.2003, così come previsto dalla legge n. 36/01, con l’introduzione dei nuovi valori soglia basati sul livello delle emissioni elettromagnetiche, valevoli in tutto il territorio nazionale.

  Il ricorso, infatti, risulta meritevole di accoglimento con specifico riguardo al secondo motivo di censura, proprio alla luce della normativa vigente all’epoca dell’adozione del secondo diniego impugnato.

  Come noto, la disciplina introdotta dalla legge quadro n. 36/01 ha trovato completa attuazione a seguito dell’emanazione del D.P.C.M. 8 luglio 2003, con il quale, così come previsto dall’art. 4, comma secondo, sono stati fissati i nuovi limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità.

  A fronte di tale disciplina, che ha introdotto parametri uniformi per tutto il territorio nazionale al fine di assicurare la tutela della salute umana dall’esposizione alle emissioni elettromagnetiche, si pone la questione della compatibilità delle legislazioni regionali che già abbiano disciplinato la materia, introducendo come nel caso della Regione Veneto limiti più restrittivi, ovvero che abbiano successivamente legiferato in maniera difforme da quanto stabilito dal legislatore statale.

  La questione è stata risolta dall’intervento della Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 307/2003 ha chiarito i limiti della legislazione regionale a seguito dell’emanazione del D.P.C.M. 2003.

  Pur senza smentire quanto affermato in precedenza, nella specie in occasione della richiamata sentenza n. 382/99, circa la coincidenza di obiettivi e finalità da parte del legislatore nazionale e quello regionale per il perseguimento della tutela della salute umana, la Corte ha rilevato che l’entrata in vigore a pieno regime della disciplina statale di cui alla legge n. 36/01 ha definito l’ambito delle rispettive competenze.

  L’introduzione di valori soglia di inquinamento elettromagnetico valevoli su tutto il territorio nazionale risponde, infatti, all’esigenza di uniformare la disciplina della materia, assicurando unità di misurazione e valutazione dei livelli di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità.

  Ciò corrisponde all’interesse superiore di assicurare la tutela della popolazione in modo uniforme, senza distinzioni più o meno favorevoli tra Regione e Regione, garantendo al contempo la possibilità per gli stessi gestori di realizzare gli impianti e le reti di distribuzione su tutto il territorio nazionale nel rispetto di detti parametri.

  La Corte ha, infatti, individuato la ratio della fissazione di valori soglia a livello nazionale non derogabili da parte del legislatore regionale, anche se in termini più restrittivi e quindi maggiormente garantisti per la salute umana.

  Da un lato, infatti, si tratta effettivamente di proteggere la salute della popolazione dagli effetti negativi delle emissioni elettromagnetiche…; dall’altro, si tratta di consentire, anche attraverso la fissazione di soglie diverse in relazione ai tipi di esposizione, ma uniformi su tutto il territorio nazionale, e la graduazione nel tempo degli obiettivi di qualità espressi come valori di campo, la realizzazione degli impianti e delle reti rispondenti a rilevanti interessi nazionali, sottesi alle competenze concorrenti di cui all’art. 117, comma 3 della Costituzione, come quelli che fanno capo alla distribuzione dell’energia ed allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione. Tali interessi …sono indubbiamente sottesi alla considerazione del “preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee” che, secondo l’art. 4, comma 1 lett. a, della legge quadro, fonda l’attribuzione allo Stato della funzione di determinare  detti valori-soglia. In sostanza, la fissazione a livello nazionale  dei valori-soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio  fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare  impianti necessari al paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell’energia e di ordinamento della comunicazione  è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali  stabiliti dalle leggi dello Stato” (C. Cost., n. 307/2003).

  La chiara interpretazione della ratio della normativa statale, così come fornita dalla Corte Costituzionale, e la conferma che in questo ambito la potestà legislativa delle Regioni è di tipo concorrente, come tale subordinata al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale, portano, pertanto, ad escludere l’attuale applicabilità della normativa regionale di cui alla più volte richiamata legge n. 27/93.

  Detta legge deve, pertanto, ritenersi superata ed automaticamente abrogata nei limiti in cui essa si pone in termini incompatibili con quanto ha disposto il legislatore statale.

  Ciò in applicazione del principio generale di cui all’art. 10 della legge n. 62/53, in precedenza richiamato, per cui il sopravvenire di una disciplina statale di principio comporta l’abrogazione delle disposizioni regionali incompatibili.

  Nel caso di specie, quindi, a seguito dell’entrata in vigore della legge quadro n. 36/2001 completata a regime con l’emanazione del D.P.C.M. 8.7.2003 per quanto riguarda i valori soglia per le emissioni elettromagnetiche, la normativa da applicare doveva essere quella nazionale, non residuando alcuna possibilità di applicazione per la pregressa normativa regionale, come tale, per il principio sopra richiamato, da ritenersi implicitamente abrogata.

  Atteso che il diniego manifestato dal Comune risulta basato sul mancato rispetto dei valori limite fissati dalla legge regionale, mentre i valori rilevati dall’ARPAV di Vicenza hanno accertato che il livello di emissioni risulta inferiore ai parametri individuati dal legislatore nazionale, assorbite le ulteriori censure, il ricorso proposto dalla società Panizzon avverso il diniego di permesso di costruire espresso dal Comune di Schio con provvedimento n. 8224 del 26.8.2004, nonché avverso il parere regionale del 16.8.2004, trova accoglimento con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

  Quanto, infine, alle spese di giudizio, il Collegio, tenuto conto della particolarità della fattispecie, ritiene sussistano giusti motivi per disporne l’integrale compensazione fra le parti per entrambi i ricorsi proposti.

  P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda Sezione, riuniti i ricorsi indicati in epigrafe, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso rubricato al n. 2804/2001; accoglie il ricorso rubricato al n. 3367/2004 e per l’effetto dispone l’annullamento del provvedimento ivi impugnato.

    Compensa le spese e competenze dei giudizi tra le parti.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

    Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio il 23 marzo 2005.

Il Presidente  f.f.     L’Estensore 

  Il Segretario 
 

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Seconda Sezione

T.A.R. Veneto – II Sezione n.r.g.2804/01-3367/04