Ricorso n. 3390/2004       Sent. n. 4359/05

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

  Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima Sezione, con l’intervento dei magistrati:

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della   L.   27  aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

    Bruno Amoroso  Presidente

    Angelo De Zotti  Consigliere

    Italo Franco   Consigliere, relatore

  ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 3390/2004, proposto da Facco Lucio, rappresentato e difeso dall’avv. Agostino Cacciavillani, con domicilio eletto presso la segreteria del TAR ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.24 n. 1054, come da procura a.l. in calce al ricorso

contro

il Comune di Cittadella, in persona del Sindaco pro- tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Alberto Cartia, in forza della delibera di autorizzazione a resistere della G.M. n. 93 del 14.3.2005 e procura a.l. a margine del controricorso con domicilio presso la segreteria del TAR ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.24 n. 1054,

e nei confronti

di Milani Giorgio, rappresentato e difeso dall’avv. Giangiuseppe Baj, con domicilio presso la segreteria del TAR ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.24 n. 1054, come da procura a.l. a margine dell’atto di costituzione,

per l’annullamento

della delibera consiliare n. 62 dell’11.10.204, avente ad oggetto “evoca del presidente del consiglio comunale”.

   Visto il ricorso, notificato il 2 dicembre 2004 ed il 7 dicembre 2004, e depositato in segreteria il  7.12.2004, con i relativi allegati;

    visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune e del controinteressato;

    visti i motivi aggiunti notificati il 31.1.2005, l’1.2.2005 e il 15.3.2005;

    viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

    visti gli atti tutti della causa;

    uditi, alla pubblica udienza del 24 novembre 2005, relatore il Consigliere Italo Franco, l’avv. Ivone, in sostituzione di Agostino Cacciavillani per il ricorrente, l’avv. Cartia per la P.A. resistente e l’avv. Baj per il controinteressato.

    Ritenuto in fatto e considerato e in diritto quanto segue:

FATTO

Con delibera n. 62 dell’11 ottobre 2004 –assunta a seguito richiesta di convocazione da parte di 12 consiglieri comunali su 21 assegnati, al fine di deliberare la revoca del presidente del consiglio comunale- veniva disposta la revoca del consigliere Facco, già nominato presidente del consiglio comunale con provvedimento del 21.6.2002, dalla carica di presidente, e contestualmente nominato il nuovo presidente nella persona dell’odierno controinteressato. A siffatte determinazioni il consiglio perveniva, come si evince dalle premesse, sul presupposto della sua condotta “incompatibile con il ruolo istituzionale di garante della corretta dinamica politico- amministrativa dell’Ente, minandone l’efficienza”, condotta manifestatasi mediante: volute sovrapposizioni di riunioni convocate senza preavviso; indebita ingerenza nell’attività gestionale; ripetuti rinvii delle richieste di convocazione; violazione del dovere di dare preventiva informazione ai gruppi e ai singoli consiglieri.

Contro tale delibera insorge l’interessato con il ricorso in epigrafe, chiedendone l’annullamento

Preliminarmente egli afferma: che l’ottenimento di una carica pubblica conferisce un diritto alla sua conservazione fino alla naturale scadenza, sul quale incide l’istituto della revocabilità, come affievolimento dello ius in officium; che la revoca non può essere deliberata in mancanza di esplicita previsione nello statuto, come accade per il Comune di Cittadella, che non lo prevede nemmeno nel regolamento; che la giurisprudenza invocata nella delibera inerisce a casi in cui la revoca era contemplata nello statuto, e che, pertanto, se proprio si voleva procedere in tal senso, occorreva prima inserire la previsione della revoca nello statuto; che la ragione vera è il venir meno della fiducia, di scarsa rilevanza apparendo i singoli fatti addotti a giustificazione; che la revoca ha, nella specie, carattere sanzionatorio, non preceduta da alcuna contestazione.

Tanto premesso, si deduce: con il primo motivo, violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento, in relazione al diritto ad esercitare la carica pubblica conseguita; con il secondo, violazione della legge n. 241/90 e delle norme sul procedimento; con il terzo, eccesso di potere per sviamento, travisamento del fatto e carenza di motivazione, essendo la revoca disposta non per assicurare il buon andamento, ma per personalismi emulatori, in carenza di una motivazione adeguata.

Si è costituita l’amministrazione comunale instando per il rigetto del gravame, eccependo che la motivazione è analitica e adeguata e che la revoca deve ammettersi in conformità ai principi di cui all’art. 97 Cost.

Successivamente, con due serie di motivi aggiunti notificati pressoché contemporaneamente, il ricorrente ha impugnato, dapprima, due atti di convocazione di seduta da parte del nuovo presidente del consiglio comunale (del 19 e 20 gennaio 2005), deducendo illegittimità derivata e attività usurpativa del potere, con aggiunta di formale invito al segretario comunale a premettere, ad ogni decisione di spesa, l’avviso che è pendente il presente giudizio. Con i secondi si impugna una ulteriore convocazione del consiglio comunale, deducendo illegittimità derivata, oltre alla censura, riferita alla inottemperanza dell’invito formale rivolto al segretario comunale, di eccesso di potere per intenzionale omissione della completa prospettazione della fattispecie sulla quale il collegio era chiamato a deliberare, e falsità di presupposto.

In relazione a detti motivi aggiunti la difesa del Comune eccepisce, in relazione agli ultimi motivi aggiunti, mancanza di lesività degli atti con essi impugnati, nonché di interesse personale, concreto e attuale, donde l’inammissibilità degli stessi, alla stregua della giurisprudenza, anche considerando che nessun vantaggio potrebbe ottenere dall’annullamento della delibera impugnata in principalità. Quanto ai precedenti motivi aggiunti, si eccepisce, da un lato, che la convocazione impugnata con i secondi è sostitutiva di quelle precedenti, dall’altro che si tratta comunque di atto endoprocedimentale.

Si è costituito anche il controinteressato, svolgendo considerazioni ed eccezioni analoghe nella sostanza a quelle svolte dal Comune.

Sono seguite memorie conclusionali di tutte le parti con le quali vengono ulteriormente ribadite le rispettive tesi difensive.

All’udienza i difensori comparsi hanno svolto la discussione, insistendo sulle rispettive conclusioni, dopo di che la causa è stata introitata per la decisione.

D I R I T T O

1- Il contenzioso sottoposto a questo G.A. propone questioni di non poca delicatezza e di non agevole soluzione, al tempo stesso connotate anche da profili di novità rispetto ad analoghe controversie già risolte dalla giurisprudenza, come si evince anche dai richiami riportati nelle premesse della delibera consiliare impugnata in principalità, con il ricorso introduttivo. Quanto alla delicatezza, basti considerare che il thema decidendum impinge sul diritto connesso all’esercizio di una funzione pubblica di rilievo (rectius: al permanere nell’esercizio della funzione fino alla sua naturale scadenza, jus in officio), e sul ruolo istituzionale di una figura relativamente nuova (siccome introdotta di recente nell’ordinamento degli enti di autonomia locale) ma certamente di rilievo, come quella del presidente del consiglio comunale.

Ed invero, il  tema della revocabilità di una siffatta carica di rilievo istituzionale e politico (locale) al tempo stesso, sembra atteggiarsi in modo particolare o comunque diverso (perché di natura, seppure mediatamente, elettiva) rispetto al più consueto tema della revoca di un incarico conferito nell’ambito del corpo della burocrazia, vale a dire, di rilievo esclusivamente amministrativo, inerente al rapporto contrattuale che lega la P.A. con i suoi dipendenti, di ogni livello. Elemento di spicco che contraddistingue questa come altre cariche di rilievo istituzionale, non elettive direttamente, bensì in via mediata e indiretta, è costituita, infatti, quanto meno al momento della scelta, dall’elemento fiducia, di cui deve godere la persona chiamata a rivestire della carica (da parte, deve ritenersi, non soltanto della maggioranza ma, fin dove possibile, sulla base di accordi e intese con l’opposizione o minoranza, e comunque tra i vari partiti). Si tratta, beninteso, di fiducia in senso politico che, se pure si sostanzia, al fondo, della fiducia intesa come sentimento individuale delle persone, si caratterizza in modo affatto diverso, sulla scorta eminentemente di valutazioni di carattere politico, di convenienza e opportunità, fatte dai partiti dove rilevano, con la personalità e le esperienze del candidato, la sua provenienza e collocazione politica, gli affidamenti che egli possa dare a questa o quella formazione politica circa la sua opera futura, l’opera prestata in qualità di uomo politico, e così via.

Peraltro, se l’elemento fiducia siffattamente inteso caratterizza la scelta, una volta insediato, il titolare della carica di presidente del consiglio comunale è tenuto a comportarsi in maniera neutrale, dovendo preoccuparsi di garantire il funzionamento dell’organo collegiale presieduto facendo rispettare da tutti il regolamento e le altre norme inerenti, in maniera che la maggioranza non prevarichi la minoranza, oltre, naturalmente, a tenere una condotta tale da non ingenerare il sospetto (o, ancora peggio, di manifestare apertamente) di parzialità ovvero di ingerenza nell’attività di gestione, o dei singoli assessorati.

In casi del genere la questione della revocabilità dalla carica a seguito di comportamenti che si rimproverano alla persona che ne è stata investita, perché considerati incompatibili con la stessa, è destinata a più agevole soluzione nelle ipotesi in cui lo statuto dell’ente contenga specifiche previsioni al riguardo. In relazione ad ipotesi siffatte si è formata una giurisprudenza, le cui pronunce sono state richiamate nella delibera de qua.

2- D’altra parte, le funzioni connesse alla carica sono caratterizzate, come già detto, da neutralità  -a garanzia del corretto funzionamento del consiglio nel suo insieme, senza distinzione tra maggioranza e opposizione- ragion per cui, come sottolineato da Cons. Stato, Sez. V, 6.6.2002 n. 3187, il venir meno di tale neutralità nell’esercizio della funzione giustifica la revoca della nomina con il formarsi di una maggioranza favorevole a detta misura (indipendentemente dalla sua coincidenza, o meno, con la maggioranza al potere, che esprime la giunta), a prescindere dall’elemento fiducia (in quel caso, tuttavia, si era in presenza di una esplicita previsione di revoca nello statuto, che richiedeva un determinato quorum, sicché era sufficiente verificare che si fosse formata la maggioranza, salvi, ovviamente, la presenza di eventuali diversi vizi di legittimità dell’atto deliberativo).

A sua volta, Cons. Stato Sez. V, 3.3.2004 n. 1042, sottolinea che “il riferimento testuale al venir meno della <fiducia politica> compiuto nella richiesta di revoca, non può essere sopravvalutato, perché esso indica, piuttosto, che una parte dei consiglieri comunali non ravvisava più l’adeguatezza del Sig…. al ruolo neutrale assegnato al presidente”. Più avanti si afferma che dal tenore letterale della disposizione statutaria e dal contesto si evince che la “revoca è collegata  a una valutazione di carattere anche latamente politico”, soggiungendo che il sindacato del giudice è pieno per quanto concerne la verifica della legittimità formale del procedimento seguito, mentre “resta notevolmente limitato ogni apprezzamento sugli aspetti politico- discrezionali manifestati dall’atto”.

Infine, Cons. Stato, sez. V, 20.10.2004 n. 6838 afferma (massima): “Il presidente del consiglio comunale, in quanto presidente di tutto l’organo collegiale nella sua unità istituzionale e suo rappresentante, non è collegato ad alcuna parte politica e risponde solo del corretto funzionamento dell’istituzione, di tal che il provvedimento che lo revochi dal suo incarico può essere motivato solo con ragioni attinenti alla funzione, in quanto ne risulti viziata la neutralità o inadeguata la conduzione, ma non da ragioni di fiducia politica”. Generalmente attestata su queste linee la restante giurisprudenza (cfr., da ultimo, TAR Campania - SA, Sez. II, 16.2.2004 n. 114).

3- Tuttavia, come osserva la difesa del ricorrente nel ricorso introduttivo, in relazione a tutte le fattispecie in cui il G.A. è stato chiamato a pronunciarsi su provvedimenti di revoca del presidente del consiglio comunale, lo statuto comunale prevedeva espressamente la revocabilità, o quanto meno la nomina di tale figura. Al contrario, nella fattispecie all’esame, manca ogni previsione al riguardo; anzi, lo statuto non contempla nemmeno tale figura, risalendo ad epoca anteriore, evidentemente, alla sua istituzione (nel corso del giudizio è, poi, emerso che in corso di causa il Comune ha provveduto a emendare lo statuto inserendovi la previsione della figura del presidente, nonché la possibilità di revoca; ma ciò non rileva, come è ovvio, sulla controversia da risolvere).

Ora, il quesito che si  pone al Collegio è se alla revoca possa procedersi anche in mancanza di una sua espressa previsione nello statuto.

Parte ricorrente afferma che ciò non sarebbe consentito, in virtù, non solo e non tanto della precipuità della funzione, quanto del diritto ad esercitare la carica fino alla sua naturale scadenza, diritto che potrebbe essere scalfito solo da una esplicita previsione di revoca, cosicché se proprio si volesse procedere in tal senso,  bisognerebbe prima integrare lo statuto e soltanto dopo attivare il procedimento di revoca.

Al riguardo il Collegio, dopo attenta considerazione, ritiene che non possa condividersi detta tesi. Ed invero, considerato che, nel panorama degli strumenti di autotutela della P.A., la revoca di una carica di rilievo istituzionale come quella in esame è connotata da aspetti precipui, nel senso che non possono richiamarsi tout-court le regole che presiedono all’istituto classico della revoca (per le quali si veda, ora, l’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, introdotto dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15), rilievo preminente assumono regole specifiche regolanti l’istituto nella legge.

Regole siffatte si desumono dall’elaborazione giurisprudenziale, che sopra si è riportata nei tratti essenziali, con precipuo riguardo: a) al venir meno della neutralità e della correttezza della funzione; b) al fatto che si formi una maggioranza di consiglieri comunali che, ritenendo, appunto, venuta meno la correttezza della funzione di garanzia senza distinzione tra maggioranza e opposizione (che, in mancanza di disposizioni specifiche, si può affermare dovere corrispondere alla maggioranza assoluta rispetto al numero dei componenti dell’organo collegiale elettivo), si esprima in senso favorevole alla revoca; c) una motivazione adeguata che renda conto di siffatti presupposti. Orbene, se si condividono tali regole (come sembra al Collegio doversi fare), in quanto desumibili dal sistema normativo vigente e dai principi dell’ordinamento amministrativo, perde di rilievo la questione se una previsione esplicita di revocabilità sia prevista, o meno, nello statuto. Infatti, procedendo nel solco dei criteri evidenziati, non pare potersi muovere al consiglio comunale censura alcuna ove le stesse appaiano rispettate, ferma l’esclusione di un sindacato nel merito dei voti espressi da parte del G.A.

Orbene, nel caso di specie si evince tanto dalle segnalazioni che hanno preceduto la richiesta dei consiglieri promotori della revoca (la maggioranza dei componenti del consiglio, senza che debba distinguersi se essa coincida, o meno, con quella al potere), quanto dal corpo della delibera impugnata, che la condotta del presidente poi revocato è stata ritenuta difforme dalle funzioni di garanzia proprie di tale organo, quanto meno nella valutazione che ne ha dato la maggioranza, e di ciò si dà sufficientemente conto nella motivazione della stessa delibera. Quanto alla doglianza circa la mancata contestazione –del resto soltanto adombrata- si osserva, da un lato, che non si tratta, in senso proprio, di un provvedimento sanzionatorio, dall’altro che l’interessato ne era venuto a conoscenza con l’avviso di convocazione della seduta in cui si è discusso della revoca, e, ancora prima, comunque era stato messo in grado di conoscere il proponimento dei 12 consiglieri promotori, i quali indirizzavano la richiesta in discorso al segretario generale in data 7.10.2004.

Per tali ragioni debbono considerarsi infondati il primo e il secondo mezzo di impugnazione. Quanto al terzo, osserva il Collegio che i dati fattuali alla base della richiesta di revoca (i singoli episodi) sono pacifici in causa e incontestati, e che sia la motivazione, sia la discussione, danno conto tanto di essi quanto dell’incompatibilità della condotta del ricorrente con il suo ruolo istituzionale. Dunque, non può parlarsi di sviamento, né di carenza di motivazione. Anche detta censura deve ritenersi, dunque, priva di pregio.

Conclusivamente, per le considerazioni su esposte, il ricorso si manifesta fondato e va, pertanto, rigettato. Analoga sorte tocca ai motivi aggiunti, tutti basati sulla deduzione di illegittimità in via derivata dai vizi dedotti con il ricorso principale.

Possono, tuttavia, compensarsi integralmente fra le parti le spese e onorari di giudizio.

P. Q. M.

      Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione prima, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, respinta ogni contraria domanda ed eccezione, lo rigetta.

      Compensa integralmente fra le parti le spese e onorari di giudizio.

      Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

      Così deciso in Venezia, in camera di consiglio, addì  24 novembre 2005.

      Il Presidente                                                  l'Estensore 

                        il Segretario 

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Prima Sezione 

T.A.R. per il Veneto – I Sezione n.r.g. 3390/04