R E P U B B L I C A I T A L I A N A
N.1538/2006
Reg. Dec.
N. 5413 Reg. Ric.
Anno 1998
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
Sul ricorso r.g.n.5413/1998 proposto in appello dal comune di Trieste, in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giovani Battista Verbari, con il quale domicilia in Roma alla via Donatello n. 72 presso l’avv. Valeria Mazzarelli,
contro
Autorità Portuale di Trieste, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Lucio Ghia con domicilio eletto in Roma alla via delle quattro fontane n. 10,
e nei confronti di
Regione Friuli Venezia-Giulia, in persona del l.r.p.t., non costituita,
con l’intervento di
Giovanni Ferrari, rappresentato e difeso dall’avv. Alfredo Lucente con domicilio eletto presso il suo studio in Roma alla via degli Scipioni n. 288,
per l’annullamento
della sentenza n.452/1998 depositata in data 18 marzo 1998 con la quale il TAR Friuli Venezia-Giulia che ha accolto il ricorso proposto dalla Autorità Portuale di Trieste per l’annullamento della determinazione assunta nella seduta del Consiglio Comunale di Trieste in data 18.3.1997 relativa alla Approvazione Variante Generale n.66 al Piano Regolatore Generale Comunale nella parte approvativa dell’emendamento De Rosa, denominato “scheda di specificazione degli interventi relativi alle rive”, definitivamente approvata dalla deliberazione n. 37 del 15.4.97 del Consiglio comunale di Trieste e confermata dal Decreto del Presidente della Giunta Regionale n.0300/ Pres. Del 23 settembre 1997.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Autorità Portuale di Trieste e l’atto di intervento di Giovanni Ferrari;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Relatore alla udienza pubblica del 20 dicembre 2005 il Consigliere Sergio De Felice;
Uditi gli avvocati delle parti, come da verbale di causa, avv. ti Verbari e Paliotti su delega dell’avv. Ghia;;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
FATTO
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia-Giulia, l’Autorità Portuale di Trieste ricorreva avverso la determinazione assunta nella seduta del Consiglio Comunale di Trieste in data 18.3.1997 relativa alla “Approvazione Variante Generale n.66 al Piano Regolatore Generale Comunale nella parte approvativa dell’emendamento De Rosa, denominato “scheda di specificazione degli interventi relativi alle rive”, definitivamente approvata dalla deliberazione n. 37 del 15.4.97 del Consiglio comunale di Trieste e confermata dal Decreto del Presidente della Giunta Regionale n.0300/ Pres. Del 23 settembre 1997.
Si rappresentava che in data 23.1.1996 il sindaco del comune di Trieste e l’Autorità Portuale avevano firmato un documento di intesa in relazione alle aree patrimoniali incluse nel Piano regolatore portuale.
Il Comune di Trieste, in data successiva, approvava definitivamente il c.d. emendamento De Rosa, con la scheda di specificazione per interventi relativi alle Rive.
Ricorreva l’Autorità Portuale, che lamentava il vizio di incompetenza, perché la funzione urbanistica nell’ambito dell’area portuale era di sua esclusiva spettanza, senza necessità di coordinamento con quanto disposto dal piano regolatore urbanistico, e ciò anche per le aree aventi natura patrimoniale (piscina gestita dal comune) o non del tutto in proprietà dell’area portuale (ex magazzino vini).
Si deducevano anche, trattandosi di aree per le quali era prevista (ed era stata conclusa) l’intesa, i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.
Il Tribunale adito accoglieva il ricorso ritenendo fondate le doglianze prospettate in quella sede.
Con l’atto di appello da parte del Comune di Trieste vengono dedotte le censure di ingiustizia della sentenza sotto vari profili.
Si ripropongono le eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado. Se infatti l’oggetto del ricorso di primo grado consisteva nella censura di non avere permesso alla Autorità la conformazione di aree di natura patrimoniale di privati o di proprietà dell’ente, si osserva che in ogni caso non si tratta di demanio marittimo.
Se si tratta di beni di proprietà, tale circostanza non comporta ex se la competenza nel potere conformativo.
Tra l’altro, si deduce che la ricorrente in primo grado non specifica a quale titolo ricorra, se come proprietario o come ente attributario di competenze che si lamentano come violate.
Non è sufficiente sostenere che le aree private rientrano nella delimitazione portuale, per sostenere che l’Autorità abbia competenza urbanistica sulle aree.
Dei due beni interessati dalla variante contestata, uno già è stato venduto dalla Autorità e l’altro è adibito a piscina e gestito dal comune; tali beni, quindi, non possono sicuramente essere qualificati come facenti parte di beni attrezzati, strumentali alla attività portuale.
Si contesta altresì la sentenza di primo grado, perché non ha affrontato le eccezioni di inammissibilità proposte dal Comune di Trieste; inoltre, non si è considerato che viene impugnata la delibera comunale, ma in sostanza si impugna la delibera regionale di approvazione.
Si deduce anche che proprietaria dell’ex magazzino vini è la immobiliare SASI, acquirente dall’Autorità Portuale. La proprietaria, non evocata, era controinteressata al ricorso di primo grado, con conseguente inammissibilità del ricorso proposto.
Si deduce altresì la infondatezza nel merito del ricorso di primo grado, e quindi la sostanziale ingiustizia della sentenza, in quanto l’intesa, assoggettando beni patrimoniali disciplinati dal codice civile alla disciplina dei beni demaniali, è da ritenersi inesistente, più che invalida.
Con il ricorso di primo grado si sosteneva l’illegittimità della approvazione della variante generale al piano regolatore generale, perché in violazione della intesa raggiunta.
La sentenza sostiene che la obbligatorietà della intesa, ai sensi dell’art. 32 L.R.52/1991, rende necessaria la riadozione del piano.
La sentenza è contraddittoria nel punto in cui, da un lato, ritiene che la determinazione del Consiglio comunale abbia efficacia di revoca della intesa, e dall’altro ritiene che sia necessaria la riadozione del piano regolatore.
La sentenza è inoltre non condivisibile nel merito, laddove sostiene, senza dimostrarlo, che i due beni oggetto della deliberazione comunale impugnata erano beni demaniali, mentre si trattava di beni patrimoniali disponibili, come tali rientranti nella competenza urbanistica del comune e non in quella della Autorità Portuale.
L’art. 32, comma 5, L.R.52/1991 prevede l’intesa solo per i beni demaniali e patrimoniali indisponibili, mentre le due proprietà oggetto dell’intesa erano beni di natura patrimoniale disponibile, sdemanializzati con decreto interministeriale 8.10.1994, pubblicato su G.U. n.331 del 1.12.1984 e passati al patrimonio dell’ente autonomo del porto di Trieste, trasformato poi in Autorità Portuale di Trieste con atto del 7.11.1989, n.410, del Registro verbale di consegna. Sulla base di tale atto poi l’ente porto ha ceduto l’ex magazzino vini alla SASI. Per quanto riguarda la piscina, anche essa è di proprietà privata, sicchè risulta del tutto errata la premessa della sentenza di ritenere che la intesa avesse ad oggetto beni demaniali.
Si è costituita l’Autorità Portuale di Trieste, chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.
E’ intervenuto Giovanni Ferrari, presidente e amministratore delegato della SASI spa, che lamentando la limitazione di destinazione d’uso su area di sua proprietà, chiede il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.
Il geometra Ferrari sostiene di essere stato danneggiato dall’atto impugnato (e dalla mancata attivazione di altri progetti), in quanto fideiussore della società nei confronti delle banche, fideiussione escussa con conseguente pignoramento.
Alla udienza pubblica del 20 dicembre 2005 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.Con l’atto di appello il Comune di Trieste contesta la sentenza del giudice di primo grado, che ha ravvisato l’illegittimità della variante n. 66 del 1997, con la quale il Comune di Trieste specificava interventi relativamente alle Rive, limitatamente all’area compresa tra i moli di Sartorio e Venezia.
Il giudice di primo grado ha ritenuto che la intesa, in precedenza intervenuta tra la ricorrente Autorità Portuale e il comune, fosse stata revocata dalla medesima amministrazione comunale, sicchè la regola violata non era tanto quella di rispettare i patti, ma la mancanza della intesa (venuta meno perché revocata), con conseguente necessità di riadozione del piano.
Il Comune di Trieste in sostanza deduce, al fine di dimostrare la ingiustizia della sentenza, quali motivi di appello, le eccezioni e difese già rigettate in prime cure.
Si deduce la inammissibilità del ricorso di primo grado, in quanto i beni interessati dalla variante non sono (tutti) di proprietà della ricorrente, che non chiarisce a che titolo ricorre.
Con il secondo motivo di appello si deduce un nuovo motivo di inammissibilità del ricorso di primo grado, in quanto sarebbe stato impugnato l’atto di adozione comunale, mentre produrrebbe effetti la approvazione regionale.
Un terzo motivo di inammissibilità deriverebbe dalla mancanza di notifica al soggetto proprietario della immobiliare S.A.S.I., che ha acquistato in proprietà l’ex magazzino vini.
Si deduce, inoltre, la inesistenza della intesa, che si assume violata, che ha un oggetto illecito o impossibile, intendendo assoggettare beni patrimoniali alla disciplina dei beni demaniali.
Sulla questione relativa alla necessità della intesa ai sensi dell’art. 32, comma 5, L.R.52/1991, si afferma che essa non si applica nel caso di beni che non rientrano nell’area demaniale.
2.L’appello è infondato.
L’area interessata dalla variante rientra nelle zone soggette alla pianificazione della Autorità Portuale in maniera concorrente con il comune.
Essendosi lamentata, da parte della ricorrente di primo grado, la lesione delle sue prerogative, non rileva la proprietà degli immobili interessati dall’intervento urbanistico.
Le aree portuali sono assoggettate al regime demaniale ai sensi dell’art. 28, comma I, lettera a), del codice della Navigazione.
L’articolo 30 del codice della navigazione prevede che spetta alla amministrazione della Marina Mercantile regolare l’uso di tali beni con possibilità di delega della potestà ad altri enti, tra cui l’Autorità Portuale.
La legge n.84/1994, come modificata dalla legge n.647/1996, all’art. 5, comma 3, prevede che nei porti di cui al comma 1 nei quali è istituita l’Autorità Portuale, il Piano Regolatore è adottato dal Comitato Portuale previa intesa con il comune o i comuni interessati.
Ai sensi dell’art. 27 L.84/1994 i piani regolatori portuali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge conservano efficacia fino al loro aggiornamento.
Essendo, lo strumento pianificatore dell’ambito portuale di Trieste, il Piano Regolatore Portuale (risalente all’ottobre 1957), da aggiornarsi ai sensi dell’art. 27 L.84/1994, l’Autorità alla quale è attribuito il potere pianificatorio nell’area pertinente al Demanio Marittimo Portuale e alla quale è affidata la competenza dell’aggiornamento del Piano Regolatore Portuale è l’Autorità Portuale.
Pertanto, il piano portuale determina, nell’ambito portuale, l’assetto viario, la sistemazione degli edifici, la distribuzione degli impianti. Oggetto del piano non sono solo i beni demaniali, ma tutti i beni che insistono nell’area portuale, e che possono appartenere anche a privati (art. 5, comma 1).
Esso è di competenza della Autorità Portuale, salva l’intesa con il comune o i comuni interessati.
Il piano regolatore portuale si colloca nel novero dei piani speciali di competenza di quegli enti pubblici, diversi da regione e comune, ai quali leggi statali o regionali attribuiscono specifiche funzioni di pianificazione territoriale (art. 3, comma 2, L.R. 19/11/1991, n. 52).
Esso costituisce lo strumento pianificatorio nell’ambito portuale, avente natura esclusivamente tecnica e finalizzato allo svolgimento delle attività portuali.
Dal punto di vista urbanistico, la legge regionale (l.r.52/1991) prevede all’articolo 52, comma 1, che l’accertamento della compatibilità tra piani speciali e le indicazioni dei piani regionali o comunali viene effettuata d’intesa con gli enti titolari della potestà pianificatoria speciale.
Da un lato, quindi, la predisposizione dei piani speciali spetta alla Autorità Portuale, sia pure previa intesa con il comune; dall’altro, la legge regionale urbanistica (l.r.52/1991) prevede all’articolo 32 una speciale procedura – la necessità di riadozione - in caso di mancato raggiungimento della intesa tra il comune e l’Autorità Portuale.
Il comma 5 dell’articolo 32 della legge regionale 52/1991 prevede che il comune deve raggiungere con le amministrazioni competenti le intese necessarie ai fini degli eventuali mutamenti di destinazione dei beni immobili, appartenenti al demanio e al patrimonio indisponibile dello Stato e della Regione, che fossero previsti dal PRGC adottato, nonché le intese necessarie con gli enti di cui all’art. 3, comma secondo, (tra le quali vanno inquadrate le Autorità Portuali), ai fini di eventuali mutamenti di destinazione di beni immobili rientranti nella competenza degli stessi.
Il comma 7 dell’art. 32 prevede la necessità della riadozione, in caso di mancato raggiungimento delle intese di cui al comma quinto.
La regola è pertanto la necessità della intesa, in caso di contrasto tra piani comunali e piani speciali.
In definitiva, l’adozione e le modifiche sia dei piani comunali sia dei piani speciali – come quello portuale – non sono possibili senza una previa intesa con le altre autorità coinvolte, costituendo l’intesa lo strumento previsto dall’ordinamento in uno spirito di collaborazione tra enti pubblici, mirante a dirimere i contrasti e a trovare accordi.
L’articolo 3, comma 2, della legge regionale 52/1991 stabilisce che sono strumenti di pianificazione a livello infraregionale i piani speciali degli altri enti pubblici (tra i quali rientra l’Autorità Portale) ai quali leggi statali o regionali attribuiscono specifiche funzioni di pianificazione territoriale in relazione ai fini istituzionali degli stessi.
Nella specie, il Comune, dopo avere concluso una precedente intesa con l’Autorità Portuale, ha agito adottando lo strumento della variante, compiendo determinate scelte urbanistiche precise su una zona soggetta a piano speciale, senza alcuna previa intesa (o violando o revocando la intesa precedente, ma la sostanza non cambia) con l’autorità preposta.
La volontà di uno dei due enti che stipulano un’intesa può sempre modificarsi nel tempo, almeno prima che essa abbia avuto concreta realizzazione; per l’effetto, nel caso di pianificazione in area portuale, il recesso o la revoca in sede di approvazione del piano regolatore comunale (o di una sua variante) dalla intesa precedentemente raggiunta dal comune con l’autorità portuale, rende necessaria la riadozione del piano, alla luce del fatto che, secondo le previsioni della legislazione regionale applicabile al caso di specie, le intese vanno raggiunte nel termine previsto tra l’adozione del piano stesso e la sua successiva approvazione.
3.E’ infondato anche il motivo di appello con il quale si deduce un altro motivo di inammissibilità del ricorso di primo grado, in quanto sarebbe stato impugnato l’atto di adozione comunale, mentre produrrebbe effetti la approvazione regionale. Infatti, nel giudizio di primo grado, al quale appartenevano due distinti ricorsi riuniti per connessione, risultano impugnati sia l’atto di adozione comunale che quello regionale di approvazione.
4.Alla luce delle considerazioni precedenti, relative alla violazione della potestà pianificatoria della Autorità Portuale, deve rigettarsi anche il motivo di appello con il quale si deduce altro motivo di inammissibilità del ricorso originario, che deriverebbe dalla mancanza di notifica al soggetto proprietario della immobiliare S.A.S.I., che ha acquistato in proprietà l’ex magazzino.
Vertendosi in tema di violazione di prerogative di enti pubblici e non di situazioni proprietarie, la posizione del proprietario dell’area interessata dall’intervento non assume la qualifica di controinteresse.
5.La considerazione della necessità della intesa – o la affermazione della violazione della precedente intesa – sull’area di pertinenza portuale porta a ritenere infondato anche il mezzo di appello con il quale il Comune di Trieste sostiene la inesistenza della intesa precedente, che avrebbe un oggetto illecito o impossibile, intendendo assoggettare beni patrimoniali alla disciplina dei beni demaniali.
6.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto.
La condanna alle spese del giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:
rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Condanna parte appellante al pagamento delle spese del giudizio, liquidandole in euro cinquemila a favore della Autorità Portuale di Trieste. Compensa per il resto.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 dicembre 2005, con l’intervento dei magistrati:
Stenio Riccio, - Presidente
Pier Luigi Lodi, - Consigliere
Antonino Anastasi, - Consigliere
Vito Poli, - Consigliere
Sergio De Felice,
- Consigliere, estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Sergio De Felice Stenio Riccio
IL SEGRETARIO
Rosario Giorgio Carnabuci
24 marzo 2006
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
Il Dirigente
Antonio Serrao
- -
N.R.G. 5413/1998
TRG